È stata tamponata da un furgone la Fiat 500X su cui viaggiavano una giovane
madre e la sua bambina di pochi mesi, poi morta dopo essere stata sbalzata
sull’asfalto dell’autostrada A5 Torino-Aosta. È questa la prima ricostruzione
che emerge dalle indagini coordinate dalla Procura di Ivrea, che confermano come
l’auto non sia uscita di strada da sola, ma in seguito a un urto violento da
parte del furgone. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il conducente
del mezzo commerciale si sarebbe inizialmente fermato pochi istanti dopo
l’impatto, per poi fuggire senza prestare soccorso. Ma non è tutto: le indagini
puntano anche a identificare una terza auto, al momento non rintracciata, che
avrebbe successivamente investito la piccola mentre giaceva sull’asfalto, ancora
avvolta nella sua copertina.
LE IMMAGINI DELLE TELECAMERE E I TESTIMONI
La polizia stradale ha ascoltato diversi testimoni e ha acquisito le
registrazioni delle telecamere di sorveglianza dell’autostrada. Sullo sfondo,
resta da chiarire un punto cruciale dell’inchiesta: perché l’ovetto, il
seggiolino che dovrebbe garantire la massima sicurezza ai neonati, è stato
sbalzato fuori dall’abitacolo, trascinando con sé la piccola. Gli accertamenti
tecnici proseguono anche per stabilire come il seggiolino fosse fissato
all’interno dell’auto e per quale motivo non abbia trattenuto la bambina durante
gli urti.
L’INCHIESTA PER OMICIDIO STRADALE
La Procura ha aperto un fascicolo per omicidio stradale e fuga del conducente,
aggravante che potrebbe coinvolgere almeno due veicoli. Le modalità
dell’incidente, avvenuto intorno alle 20 di sabato, sono complesse e non ancora
del tutto chiare. Quando i soccorsi sono arrivati sul posto – tra gli svincoli
di Settimo Torinese e Volpiano, in direzione Aosta – la sola auto incidentata
era quella della madre: gravemente danneggiata, accartocciata contro una siepe
fuori dalla carreggiata. Nessuna traccia dei mezzi coinvolti nel tamponamento.
La piccola, nata lo scorso 12 settembre, è stata trovata sull’asfalto già in
condizioni disperate. I soccorritori del 118 hanno tentato a lungo di
rianimarla, ma la bambina è morta sul posto. La salma è stata trasferita
all’ospedale di Chivasso per gli accertamenti medico-legali.
LA MADRE DIMESSA, IL PADRE ACCORSO SUL POSTO
La madre, 35 anni, unica occupante dell’auto oltre alla figlia, è stata estratta
dalle lamiere dai vigili del fuoco e portata all’ospedale Giovanni Bosco di
Torino, da cui è stata dimessa il giorno successivo. Ancora sotto choc, non è
stato possibile raccogliere una testimonianza completa, ma le sue parole –
quando potrà ricostruire quei secondi drammatici – saranno decisive per definire
l’esatta dinamica. Sul luogo dell’incidente è arrivato anche il padre della
bambina, 47 anni, originario di Quincinetto, dove la famiglia vive.
LE IPOTESI AL VAGLIO
Gli agenti stanno valutando anche se una manovra azzardata di un altro
automobilista abbia contribuito alla carambola che ha fatto perdere alla madre
il controllo del mezzo. Una ricostruzione ancora da ricomporre perché la
dinamica resta complessa: l’urto iniziale con il furgone; il presunto successivo
investimento da parte di una terza auto non identificata; l’ovetto e la bambina
sbalzati fuori dal veicolo; la fuga di almeno due conducenti coinvolti. Tutti
gli elementi raccolti dalla polizia stradale tra sabato sera e domenica sono ora
all’esame della Procura di Ivrea, che nelle prossime ore potrebbe disporre
ulteriori accertamenti tecnici sui mezzi e sulle immagini.
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Torino-Aosta proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Chiuse le indagini sul caso della morte del 19enne Ramy Elgaml avvenuta il 24
novembre 2024 a Milano dopo un inseguimento di 8 km culminato con l’incidente
contro un semaforo, all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta. Sono otto in
tutto gli indagati, che adesso rischiano il processo: sette carabinieri e Fares
Bouzidi, l’amico della vittima che guidava lo scooter T Max. Sia Fares che il
carabiniere Antonio Lenoci devono rispondere di omicidio stradale. Lenoci è
accusato anche di lesioni. I militari Mario Di Micco, Luigi Paternuosto,
Federico Botteghin e Bruno Zanotto devono rispondere, invece, di frode e
depistaggio per aver fatto cancellare i video ripresi con un cellulare da due
testimoni. Inoltre quattro militari – Lenoci, Paternuosto, Ilario Castello e
Nicola Ignazio Zuddas – devono rispondere di falsità ideologica commessa dal
pubblico ufficiale in atti pubblici per aver nascosto la presenza di una
telecamera dashcam sull’auto e di una bodycam personale, “dispositivi che
riprendevano l’intera fase dell’inseguimento“. Castello e Zuddas devono
rispondere anche di falso per le dichiarazioni rese ai pubblici ministeri. Il
nuovo avviso notificato oggi è un atto complessivo con tutte le accuse: nel
tempo, infatti, sono aumentate le imputazioni e gli indagati, rispetto alle tre
chiusure indagini distinte per sei indagati che erano state notificate nei mesi
scorsi. Atto che prelude la richiesta di processo.
IL FALSO E IL DEPISTAGGIO
Gli ultimi due indagati sono i carabinieri che si trovavano su una delle due
pattuglie che arrivarono sul posto dopo quella che tallonava da vicino lo
scooter. Nel verbale d’arresto per resistenza a pubblico ufficiale a carico di
Fares Bouzidi, l’amico di Ramy, i quattro carabinieri che firmarono quel
provvedimento avrebbero commesso un falso ideologico perché hanno omesso di
“menzionare l’urto tra i mezzi coinvolti”, ossia l’auto dei militari e lo
scooter, scrivendo che il secondo era “scivolato“. Urto che risulta, invece, da
tutte le relazioni, anche dei consulenti, agli atti. E non hanno indicato
nell’atto nemmeno “la presenza del testimone oculare“, né hanno segnalato la
presenza “di una dashcam personale” e di una “bodycam”, che avevano ripreso
“l’intera” fase “dell’inseguimento”. Lo scrivono i pm di Milano Giancarla
Serafini e Marco Cirigliano, della Procura diretta da Marcello Viola, nel nuovo
avviso di conclusione delle indagini. Restano confermate anche le imputazioni
per due militari per depistaggio e favoreggiamento: i due avrebbero detto
“cancella immediatamente il video (…) adesso ti becchi una denuncia” al teste
oculare. Testimone che fu individuato solo grazie ad una “trasmissione
televisiva”. Altri due carabinieri, poi, sono accusati di depistaggio perché
avrebbero costretto un altro teste “a cancellare” nove file “video“.
L’OMICIDIO STRADALE
In merito all’incidente stradale che ha provocato la morte del 19enne – come già
emerso – i pm contestano a Fares l’omicidio stradale per quella fuga pericolosa,
“con picchi di velocità superiori ai 120 km/h”, anche in “contromano“, chiarendo
che all’altezza dell’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta lo scooter tentò
di girare a sinistra, ma ci fu poi una “repentina ed improvvisa manovra a
destra”. Da lì “l’urto” tra il lato posteriore destro del TMax con la “fascia
anteriore del paraurti” della Giulietta dei militari. A causa dell’urto, lo
scooter slittò e Ramy venne sbalzato “contro il palo” di un semaforo. Il ragazzo
fu anche investito dalla macchina dei militari che si schiantò in quella
direzione. A Fares – che è già stato condannato in primo grado a 2 anni 8 mesi
per resistenza – vengono contestate anche le aggravanti della guida senza
patente e contromano. Al carabiniere che guidava, invece, i pm contestano sempre
l’essersi tenuto “ad una distanza estremamente ravvicinata“, quasi “affiancando”
il T Max, senza essere, dunque, riuscito ad evitare “l’urto” quando lo scooter
sterzò a destra. Sarebbe arrivato ad una distanza “laterale” di 80 cm. Anche
lui, dunque, per la Procura, avrebbe concorso nell’omicidio stradale, non
considerando nemmeno la “lunga durata dell’inseguimento”. Per la stessa condotta
è anche accusato di aver causato lesioni a Bouzidi con una prognosi di 40
giorni. In questo caso, però, per il militare c’è “l’attenuante” che l’evento
non è stato “conseguenza esclusiva” della sua azione. Per due volte i pm nei
mesi scorsi hanno chiesto al gip di effettuare una perizia “terza” sulla
dinamica in incidente probatorio. Istanza sempre respinta. Ora la Procura dovrà
decidere se chiedere il rinvio a giudizio per Bouzidi e i sette i militari.
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sulla morte di Ramy. 7 i carabinieri indagati proviene da Il Fatto Quotidiano.
La prima causa di violenza stradale? La velocità. Focalizzarsi sulla punizione
dei comportamenti devianti, come alcol e droga? Serve relativamente, se la
strada non diventa un luogo sicuro per tutti e in particolare per i soggetti
fragili. Infine, la comunicazione sulla violenza stradale: se ne fa pochissima,
eppure è fondamentale. Sono queste, in sintesi, le istanze che vengono dal mondo
delle associazioni di familiari e vittime della strada, nella Giornata Mondiale
che ricorda queste ultime. Giornata che vede – un paradosso – Fratelli D’Italia
organizzare a Roma una sfilata di auto per dire no a zone 30, ZTL, piste
ciclabili, con una scia di inevitabili polemiche. Mentre l’Italia resta al 19°
posto nella graduatoria europea per mortalità stradale, con 51 morti ogni
milione di abitanti (la Romania 77, la Svezia 22). E con un tasso di
motorizzazione tra i più elevati in Europa (700,8 auto ogni 1.000 abitanti).
DIMEZZARE LE VITTIME, OBIETTIVO LONTANISSIMO
Cosa dicono, più precisamente, i numeri? Gli ultimi dati Istat raccontano, per
il semestre gennaio-giugno 2025, una diminuzione, rispetto allo stesso periodo
del 2024, del numero di incidenti stradali con lesioni a persone (82.344;
-1,3%), dei feriti (111.090; -1,2%) e, più consistente, delle vittime entro il
trentesimo giorno (1.310; -6,8%). Ma non c’è molto di cui rallegrarsi perché,
nel confronto con i primi sei mesi del 2019 – anno di riferimento scelto dalla
Commissione Europea, che ha fissato come obiettivo un calo delle vittime e dei
feriti gravi del 50% entro il 2030 – si registra un calo molto contenuto degli
incidenti stradali (-1,5%) e dei feriti (-5,0%) e una riduzione più marcata dei
decessi (-14,6%).
“I dati relativi al 2025 vanno considerati con ottimismo, ma anche con cautela,
poiché talvolta potrebbe verificarsi un recupero nei mesi successivi”, spiega
Silvia Bruzzone, dirigente di ricerca del “Servizio Sistema integrato salute,
assistenza e previdenza” dell’Istat. “Considerando che dovremmo dimezzare le
vittime entro il 2030, siamo ancora in un percorso da compiere con molti
ostacoli. Occorrerebbe infatti una diminuzione del 6,1% per ciascun anno”.
Se, poi, si utilizza come riferimento il 2024 –il tasso di mortalità viene
calcolato solo con dati definitivi – si vede come, sul fronte dell’incidentalità
stradale, il numero di morti in incidenti stradali ammonta a 3.030 (-0,3%
rispetto al 2023), quello dei feriti a 233.853 (+4,1%), per un totale di 173.364
incidenti stradali (+4,1%). Il numero delle morti resta pressoché stabile
rispetto al 2023, mentre si registra un aumento degli incidenti e dei feriti.
Tra il 2023 e il 2024, gli incidenti e i feriti aumentano su tutte le tipologie
di strade, soprattutto sulle autostrade (+6,9% incidenti, +7,0% feriti). Anche
il numero delle vittime aumenta in maniera marcata sulle autostrade (+7,1%), a
fronte della diminuzione sulle strade urbane (-2,1%) e del leggero aumento su
quelle extraurbane (+0,1%).
Rispetto al 2019, le vittime e i feriti sono diminuiti (rispettivamente del
-4,5% e -3,1%), mentre gli incidenti stradali mostrano un leggero aumento
(+0,7%). Gli incidenti su autostrade e strade extraurbane aumentano anche nel
confronto con il 2019 (+4,0% e +2,7% rispettivamente).
GLI IMMENSI COSTI SOCIALI
Oltre al dolore senza fine per i familiari delle vittime, ci sono i costi.
“Abbiamo fatto una stima dei costi sociali per incidenti stradali, che ammontano
a 18 miliardi l’anno solo per gli incidenti con lesioni a persone rilevati dagli
organi di rilevazione (carabinieri o polizia), ma salgono a 22 miliardi se si
considerano anche gli incidenti con danni alle cose (fonte ANIA)”, continua la
dott.ssa Silvia Bruzzone. “Si stima, infine, una cifra fino a 30 miliardi se si
considerano anche gli incidenti non rilevati dalle forze dell’ordine, come, ad
esempio, le constatazioni amichevoli che producono dei feriti lievi ma hanno
impatto sull’economia e la società. Parliamo, nel complesso, di costi che
rappresentano una percentuale tra l’1 e il 2% del Pil nazionale”.
Di fronte a tutto ciò, le associazioni delle vittime chiedono soprattutto che la
strada diventi un luogo sicuro, nonostante i comportamenti sbagliati di chi
guida. “Quando prendi un treno o un aereo sai che esiste una sicurezza che va al
di là degli errori dei singoli, perché il sistema è intrinsecamente sicuro. In
strada non è così purtroppo, allora dobbiamo fare in modo che gli errori umani
non provochino lesioni mortali”, spiega Stefano Guarnieri, padre di Lorenzo,
ucciso a 17 anni nel 2010 e presidente dell’Associazione Lorenzo Guarnieri.
“Dobbiamo assolutamente ridurre la velocità media di percorrenza delle strade.
Avremmo anche la tecnologia necessaria ma ci sono assurde barriere normative che
impediscono di usarla, penso ad esempio agli autovelox oppure ai tutor. I
controlli sono essenziali, sono la prima forma di prevenzione. Ma serve anche
altro.
LA TRISTE VISIONE “POP” DELLA VELOCITÀ
Ma perché, allora, non si punta soprattutto a controllare e ridurre la velocità?
“Purtroppo”, continua il padre di Lorenzo, “esiste ancora una narrazione che la
esalta, alimentata anche dalla potenza delle macchine stesse. Ma la violenza
stradale è una questione di salute pubblica, e la salute è un diritto
costituzionale”. Anche il reato di omicidio stradale sul lato della prevenzione
non ha portato gli effetti sperati. “Credo che purtroppo si sia molto annacquato
nel tempo, anche perché i giudici tendono, a mio avviso, a dare pene molto più
attenuate perché manca ancora un disvalore sociale verso la violenza stradale e
perché tendiamo a immedesimarci più nel guidatore che nella vittima”, continua
Guarnieri. “Anche la revoca della patente oggi è a discrezione del giudice,
continua ad essere vista come un diritto naturale a vita”. Resta inoltre
fanalino di coda l’educazione alla sicurezza stradale, “dei 650 milioni di
incassi dalle multe nel 2024, che vanno reinvestiti in ambito stradale, solo
300.000 sono stati messi in educazione alla sicurezza. Educazione che noi
facciamo nelle scuole, grazie anche alla collaborazione con la polizia stradale
e differenziando le attività per età”.
I QUATTRO PILASTRI PER UNA SICUREZZA SUBITO
Per fare le Città30, ridurre le corsie per gli automobili, fare attraversamenti
pedonali rialzati occorrono molte risorse e tempo. “Ma ogni anno muoiono 3.000
persone, mentre oltre 15.000 sono ferite gravemente o restano invalide”, spiega
Alfredo Giordani, referente della rete #Vivinstrada-Rete di associazioni per la
cultura e la prevenzione stradale. Aspettando che il sistema cambi, quali
sarebbero gli interventi urgenti per ridurre subito le vittime? “Salvini, con il
nuovo Codice della Strada, cerca di agire sul versante della punizione, ma
l’aumento delle sanzioni non è un deterrente sui comportamenti”, afferma
Giordani. “Per guidare male, poi, non servono per forza alcol e droga, la guida
in sé è un fattore che porta distrazione”. #Vivinstrada ha messo nero su bianco
i quattro pilastri per la prevenzione degli incidenti in un documento diramato a
maggio del 2024 a tutte le forze dell’ordine: anzitutto, controllo della
velocità tramite dispositivo Scout Speed, uno strumento elettronico per
individuare e sanzionare eccessi di velocità in maniera dinamica; poi controlli
a campione e sanzione per la mancata precedenza al pedone; tre, contrasto alla
sosta selvaggia con interventi di polizia e strumenti elettronici (Street
Control); infine, adeguata e articolata comunicazione e informazione su tutti i
canali istituzionali e non istituzionali disponibili. Il tema della
comunicazione è particolarmente importante. “È fondamentale che si comunichi al
cittadino che si stanno facendo controlli, bisogna riattivare la percezione del
pericolo”, afferma Giordani.
Insiste sulla comunicazione corretta della violenza stradale, anche da parte di
media e stampa, Stefano Guarnieri. “Come dico da sempre, non si può dire che
‘una macchina impazzita’ ha ucciso una persona, proprio come non si direbbe mai
che un ‘coltello impazzito’ ha ucciso qualcuno. Il responsabile viene spesso
occultato, anzi se ne attenuano le responsabilità parlando di ‘curva maledetta’,
‘asfalto scivoloso’ e così via”, conclude il papà di Lorenzo. “Invece la vittima
viene spesso stigmatizzata, ‘era vestita di nero, è arrivata improvvisamente’,
oppure disumanizzata, ad esempio quando si riportano frasi del tipo ‘credevo
fosse un animale’. Per non parlare di affermazioni come ‘non c’è stato niente da
fare. Sono dei meccanismi di disimpegno morale, che trattano gli incidenti come
fossero delle fatalità. Invece non sono per niente tali: le morti sono sempre,
sempre evitabili”.
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la velocità e investire sull’educazione” proviene da Il Fatto Quotidiano.