Tag - Giustizia

Condannato il “mago” di Rimini che sosteneva di guarire il Covid con le polverine
Scovato e smascherato da Striscia La Notizia con l’inviato Max Laudadio, il “mago di Rimini” che sosteneva di poter guarire dal Covid e da altre malattie con filtri e misteriose polverine, è stato condannato a 10 mesi e a una multa per l’esercizio abusivo della professione di omeopata e per aver violato i sigilli dell’autorità apposti su alcune confezioni di erbe che utilizzava come medicamenti. Il Tribunale lo ha invece assolto perché il fatto non sussiste per il reato di truffa. Orfeo Bindi, 70 anni, era finito nel registro degli indagati perché prescriveva “pozioni” miracolose per prevenire il Covid, curare malanni e ridurre il cancro. La pubblica accusa, rappresentata dal vice pubblico ministero onorario, Simona Bagnaresi, aveva citato come testimoni la maggior parte dei 30 clienti di Bindi, ma nessuno di questi ha dichiarato di essersi sentito truffato. Insomma gli credevano e forse gli credono ancora. Nessuno ha denunciato e nessuno di conseguenza si era costituito parte civile. Sentiti tutti a sommarie informazioni degli inquirenti, avevano quindi spiegato di non sentirsi raggirati. Anche se la prestazione del guaritore, come testimoniato dal servizio del programma di Canale 5, si aggirava intorno ai 100 euro. L’uomo, su cui avevano eseguito gli accertamenti del caso i militari della Guardia di Finanza, in un’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Davide Ercolani, era accusato di aver prescritto erbe mediche che chiamava “polverine” promettendo la guarigione da patologie compreso il coronavirus. Gli investigatori delle Fiamme gialle aveva eseguito un’ordinanza del gip, Benedetta Vitolo nei confronti di Bindi, sospeso dall’esercizio della professione di medico omeopata. Quindi il rinvio a giudizio e il processo. Il legale di Bindi, l’avvocato Antonio Giacomini del Foro di Forlì, ha annunciato il ricorso in appello. L'articolo Condannato il “mago” di Rimini che sosteneva di guarire il Covid con le polverine proviene da Il Fatto Quotidiano.
Coronavirus
Giustizia
Rimini
Omeopatia
Libero l’imam di Torino: alla destra che contesta, ricordo che la legge non serve a reprimere il dissenso
di Luca Grandicelli La Corte di appello di Torino ha disposto la cessazione immediata del trattenimento di Mohamed Shahin, l’imam di Torino incarcerato il 12 novembre 2024 nel Cpr di Caltanissetta. La magistratura ha infatti accolto le istanze dell’avvocato della difesa, richiamandosi direttamente alla direttiva europea che stabilisce come il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale debba rappresentare un’eccezione e non una regola, ed escludendo inoltre la sussistenza di una concreta e attuale pericolosità. Di fatto, ristabilendo un principio elementare dello Stato di diritto, ovvero che la privazione della libertà personale non può fondarsi su presupposti politici, né su valutazioni generiche o preventive. L’incarcerazione si è basata infatti sulle motivazioni descritte nel decreto d’espulsione, che vedevano Shahin come portatore di un’ideologia fondamentalista e antisemita e come figura di rilievo in ambienti dell’Islam radicale, con presunti legami con soggetti indagati per terrorismo, accuse da lui sempre respinte. La Corte d’appello di Torino ha ridimensionato tali elementi, chiarendo che i contatti richiamati erano sporadici e risalenti nel tempo, limitati a un’identificazione del 2012 e a una conversazione del 2018 tra terzi, e che erano stati adeguatamente chiariti dallo stesso Shahin nel corso della convalida. Di tutto questo sono state consapevoli migliaia di persone che nelle ultime settimane si sono riversate nelle piazze, di Torino e non solo, per protestare contro quello che è parso un palese esercizio strumentale del diritto per fini puramente politici. Mohamed Shahin, padre di due figli, incensurato, vive da oltre vent’anni in Italia ed è considerato un punto di riferimento per la comunità musulmana e per il dialogo interreligioso nella città e provincia di Torino. Per lui si sono mobilitate non solo persone comuni, i fedeli delle comunità musulmane italiane, ma anche voci autorevoli (e insospettabili) come il vescovo Derio Olivero, Presidente della Commissione della Cei per l’Ecumenismo e il Dialogo, che in un video diffuso sui social ha espresso solidarietà e chiesto la sua liberazione immediata. E poi associazioni per i diritti umani, intellettuali e sindacati. L’episodio conferma dunque, e per ora, come l’Italia sia ancora un paese in cui i magistrati esercitano il proprio ruolo nella più totale libertà e autonomia, nonostante i tentativi e piani dell’esecutivo di delegittimarli, controllarli e indirizzare l’esercizio delle loro funzioni su linee politiche di governo. Vale la pena dunque ricordare alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che si chiede come “si fa a difendere la sicurezza degli italiani se ogni iniziativa che va in questo senso viene sistematicamente annullata da alcuni giudici”, che la magistratura serve proprio a questo scopo: a evitare che il potere esecutivo eserciti unilateralmente azioni arbitrarie, a garantire che la sicurezza non diventi un alibi per comprimere diritti fondamentali e a ricordare che, in uno Stato di diritto, la legge non è uno strumento di repressione del dissenso politico; che la separazione dei poteri, quello esecutivo da quello giudiziario, non è un intralcio all’azione di governo, ma la condizione stessa della democrazia. Il caso Shahin non è quindi una sconfitta dello Stato, ma una sua riaffermazione, che trova la sua forza non quando reprime, ma quando accetta di essere limitato dal diritto. Un concetto, quest’ultimo, che su certi versanti a destra non è evidentemente di casa o si estende solo “fino a un certo punto”. IL BLOG SOSTENITORE OSPITA I POST SCRITTI DAI LETTORI CHE HANNO DECISO DI CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT, SOTTOSCRIVENDO L’OFFERTA SOSTENITORE E DIVENTANDO COSÌ PARTE ATTIVA DELLA NOSTRA COMMUNITY. TRA I POST INVIATI, PETER GOMEZ E LA REDAZIONE SELEZIONERANNO E PUBBLICHERANNO QUELLI PIÙ INTERESSANTI. QUESTO BLOG NASCE DA UN’IDEA DEI LETTORI, CONTINUATE A RENDERLO IL VOSTRO SPAZIO. DIVENTARE SOSTENITORE SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA, LA FIRMA O L’IMPEGNO: ADERISCI ALLE NOSTRE CAMPAGNE, PENSATE PERCHÉ TU ABBIA UN RUOLO ATTIVO! SE VUOI PARTECIPARE, AL PREZZO DI “UN CAPPUCCINO ALLA SETTIMANA” POTRAI ANCHE SEGUIRE IN DIRETTA STREAMING LA RIUNIONE DI REDAZIONE DEL GIOVEDÌ – MANDANDOCI IN TEMPO REALE SUGGERIMENTI, NOTIZIE E IDEE – E ACCEDERE AL FORUM RISERVATO DOVE DISCUTERE E INTERAGIRE CON LA REDAZIONE. SCOPRI TUTTI I VANTAGGI! L'articolo Libero l’imam di Torino: alla destra che contesta, ricordo che la legge non serve a reprimere il dissenso proviene da Il Fatto Quotidiano.
Islam
Giustizia
Blog
Torino
Imam
La bugia di Meloni sulla separazione delle carriere: “Non ci sarà più una vergogna come il caso Garlasco”. Ma non è vero
È il caso che più di ogni altro incolla i telespettatori agli schermi. Ne beneficia lo share televisivo, ma pure i numeri registrati dai siti di news e dai quotidiani online: basta parlare del caso Garlasco e l’audience cresce. Sarà per questo motivo se, tra tutti i cold case, Giorgia Meloni ha deciso di citare proprio la vicenda dell’assassinio di Chiara Poggi per lanciare la campagna elettorale in vista del referendum sulla separazione delle carriere in magistratura. E pazienza se casi giudiziari come quello di Garlasco continueranno a verificarsi anche quando pm e giudici saranno formalmente due mestieri separati. MELONI E LA “VERGOGNA” DI GARLASCO Certo per arrivare a quel punto bisognerà prima aspettare che i Sì superino i No al quesito referendario. Ed è quindi in questo clima da campagna elettorale permamente che Meloni è arrivata a chiudere l’ultima edizione di Atreju. Alla fine di un discorso lungo poco più di un’ora, la premier ha citato una frase del magistrato Rosario Livatino, ucciso dai mafiosi della Stidda nel 1990. “Il giudice se apparirà sempre libero e indipendente, si mostrerà degno della sua funzione; se si manterrà integro e imparziale non tradirà mai il suo mandato”, è la citazione del “giudice ragazzino”. Meloni l’ha tradotta così: “La giustizia cioè non può essere piegata, né manipolata, né intimidita”. Sorvolando sul fatto che spesso sono esponenti del suo governo (o lei stessa) ad attaccare i magistrati e a manipolare il contenuto di alcune sentenze (come nel caso dei centri in Albania), la capa dell’esecutivo ha quindi lanciato la corsa al referendum. “È esattamente quello che vogliamo realizzare con la riforma del Csm che finalmente libererà la magistratura dall’influenza nefasta delle correnti politicizzate. E con l’istituzione dell’Alta corte disciplinare per affermare finalmente che chi sbaglia si assume la sua disponibilità”. Secondo Meloni queste sono “misure che servono all’Italia. Sono misure che non hanno nulla a che vedere con il ‘mandiamo a casa la Meloni“, ha detto, con una punta di falsetto sull’ultima frase. Nel caso qualcuno avesse dubbi, la premier ha spiegato di riferirsi a chi “chiaramente non ha alcun argomento nel merito delle norme”. Poi ha sganciato l’esito del voto al referendum dal suo destino politico: “Fregatevene della Meloni, tanto questo governo rimane in carica fino alla fine della legislatura. I governi passano, ma le leggi rimangono e incidono sulla vostra vita. Fregatevene della Meloni, votate per voi stessi, per i vostri figli, per il futuro di questa nazione”. Quindi, con il tipico climax ascendente che caratterizza l’oratoria meloniana, ecco la citazione del cold case più pop del momento: “Votate perché non ci debba più essere una vergogna come quella che stiamo rivedendo a Garlasco, ultimo caso solo dal punto di vista temporale di una giustizia che va profondamente riformata”. La folla, ovviamente, ha applaudito a scena aperta. L’OMICIDIO DI 18 ANNI FA Ma è davvero così? Con la separazione delle carriere non ci sarà più la “vergogna” che stiamo vedendo a Garlasco, come dice la Meloni? Ma poi quale sarebbe la “vergogna” del caso Garlasco? A cosa si riferisce la premier? Le indagini sull’omicidio di Chiara Poggi sono state riaperte dalla procura di Pavia nel marzo scorso, quasi diciotto anni dopo i fatti. I pm sostengono di aver trovato nuovi elementi che li hanno portati a scrivere nel registro degli indagati il nome di Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. Secondo l’ipotesi degli inquirenti, avrebbe agito in concorso con Alberto Stasi (o con ignoti), fidanzato di Chiara Poggi, che fino a oggi è l’unico condannato per l’omicidio commesso il 13 agosto del 2007. Già all’epoca i sospetti si concentrarono subito su Stasi, arrestato il 24 settembre del 2007. Dopo aver scelto l’abbreviato, venne assolto in primo grado (2009) e pure in Appello (2011). Poi, però, nel 2013 la Cassazione annullò l’assoluzione, ordinando un nuovo processo di secondo grado. Alla fine del quale, Stasi venne riconosciuto colpevole, senza le aggravanti della crudeltà e della premeditazione: trattandosi di un processo in abbreviato, l’imputato ottenne uno sconto di un terzo della pena, quindi la condanna a 24 anni venne ridotta a 16 anni di carcere. Sentenza poi confermata dalla Suprema corte. INNOCENTISTI E COLPEVOLISTI Il tortuoso iter processuale, sommato a una serie di errori commessi nelle indagini, ha trasformato l’assassinio di Garlasco in un vero e proprio caso, che ha spaccato l’opinione pubblica tra colpevolisti e innocentisti: c’è chi crede che Stasi sia l’unico assassino e chi invece lo considera un capro espiatorio. “Trovo irragionevole che, dopo una sentenza o due sentenze di assoluzioni, sia intervenuta una condanna senza nemmeno rifare l’intero processo”, ha detto per esempio Carlo Nordio. Un’opinione legittima, soprattutto perchè proviene dal Ministro della Giustizia: il guardasigilli, certo, potrebbe riformare il codice per modificare questo meccanismo. Fino a oggi, però, non l’ha mai fatto. E di sicuro non è con la riforma della separazione delle carriere che avverrà tutto questo. Il provvedimento, come è noto, si limita a differenziare completamente e nettamente i percorsi professionali tra giudicanti e requirenti. Per questo motivo verrà sdoppiato il Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno delle toghe: ne esisteranno due, uno per i pubblici ministeri e un altro per i giudici. Nascerà poi un terzo organo, l’Alta Corte disciplinare, che sanzionerà i magistrati per i loro illeciti professionali: prerogativa che al momento appartiene al Csm. Su tutto questo dovranno esprimersi i cittadini, chiamati a votare al referendum costituzionale della prossima primavera. Anche se dovesse vincere il Sì, la riforma non inciderà in alcun modo sulla celebrazione dei processi, sulla loro velocità, sulla capacità degli investigatori di compiere le indagini e su quella dei giudici di valutare le prove. COSA NON SUCCEDERÀ CON LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE Nulla dunque impedirà a una procura di riaprire le indagini su fatti di cronaca nera, come avvenuto appunto su Garlasco. Si può dibattere sull’opportunità di mettere sotto inchiesta Sempio o su quella di aver chiuso il caso con la sentenza Stasi, si può discutere sugli evidenti errori commessi nelle indagini di 18 anni fa, ma sempre avendo ben chiaro un elemento: con la separazione delle carriere una “vergogna” come quella di Garlasco – qualsiasi fosse il riferimento di Meloni – si potrà verificare ancora. Anche quando i pm avranno una carriera separata dai giudici continueranno a esistere i casi irrisolti, quelli risolti parzialmente e quelli definiti ma in cui le indagini vengono riaperte lo stesso. Perché dunque Meloni ha citato Garlasco ad Atreju come simbolo dei mali che saranno spazzati via in caso di vittoria al referendum? Secondo Barbara Floridia, presidente M5S della Commissione di Vigilanza sulla Rai, la premier ha dichiarato apertamente “di essere a capo del circo mediatico sul caso Garlasco. Un caso che non è più cronaca, è cornice narrativa: serve a tenere alta la tensione, a costruire l’emergenza permanente e a spingere il referendum sulla separazione delle carriere. Un’operazione che non accelera i processi, non rende la giustizia più efficiente, non migliora la vita dei cittadini. Serve solo a fare propaganda, e la propaganda ha bisogno di rumore costante. Per questo ci martellano giorno e notte con trasmissioni che ne parlano”. Del resto che la riforma non inciderà in alcun modo sui tempi di accertamento della verità lo ammettono pure autorevoli esponenti di governo. “Con questa riforma processi più veloci? Chi parla di questo non conosce il sistema della giustizia in Italia”, ha detto, per esempio, Andrea Ostellari, sottosegretario alla giustizia della Lega, il giorno dell’approvazione definitiva del provvedimento. E d’altra parte a riconoscerlo era stato lo stesso ministro Nordio, nel marzo scorso: “Questa riforma non influisce sull’efficienza della giustizia“. Qualcuno allora dovrebbe ricordarlo a Meloni. L'articolo La bugia di Meloni sulla separazione delle carriere: “Non ci sarà più una vergogna come il caso Garlasco”. Ma non è vero proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
Giorgia Meloni
Magistratura
Un altro guaio per John Elkann: il gip di Torino ordina l’imputazione coatta per dichiarazione infedele
C’è un altro guaio per John Elkann. Mentre l’iter per la cessione dei quotidiani del gruppo Gedi entra nel vivo e nei giorni in cui il presidente di Stellantis ha rifiutato l’offerta per la Juventus, il gip di Torino, Antonio Borretta, ha ordinato per lui l’impostazione coatta con l’accusa di dichiarazione infedele. Una decisione che ha avuto già effetti nel procedimento sulla messa alla prova, visto che la gup Giovanna De Maria ha rinviato all’’11 febbraio 2026 l’udienza per decidere se dare o meno il via libera agli undici mesi di Elkann come tutor tra gli allievi delle scuole salesiane. La questione riguarda sempre l’eredità della nonna di Elkann, Marella Caracciolo, vedova di Gianni Agnelli. Da una parte il presidente di Stellantis ha versato all’Agenzia delle Entrate 183 milioni di euro per ottenere il parere favorevole della procura alla messa alla prova e chiudere così il procedimento per truffa ai danni dello Stato, in relazione alle imposte e alla tassa di successione non pagate sul un patrimonio della nonna. Dall’altra parte, la procura ha chiesto per John Elkann, per i suoi fratelli Lapo e Ginevra, per il commercialista Gianluca Ferrero e per il notaio svizzero Urs Robert von Gruenigen, l’archiviazione di un altro procedimento in cui si contesta l’infedele dichiarazione dei redditi della vedova Agnelli, relative al 2018 e ai primi tre mesi del 2019 (Donna Marella era deceduta il 28 febbraio di quell’anno). Il gip Borretta, però, ha archiviato le posizioni di quasi tutti gli indagati, tranne quella di Elkann e di Ferrero: per il proprietario e per il presidente della Juventus, dunque, la procura dovrà formulare richiesta di rinvio a giudizio. “Pur esprimendo la nostra soddisfazione per le archiviazioni disposte dal gip Borretta, la sua decisione di imporre al pm di formulare l’imputazione per John Elkann e Gian Luca Ferrero è difficile da comprendere, perchè in contrasto con le richieste dei Pubblici Ministeri, che erano solide e ben argomentate per tutti i nostri assistiti”, dicono i legali del presidente Stellantis, annunciando ricorso in Cassazione contro la decisione del gip, eccependone “l’ambormità“. Il dubbio riguarda l’altro procedimento: il fatto che Elkann vada a processo con l’accusa di dichiarazioni infedeli, precluderà al presidente di Stellantis di ottenere la messa alla prova? Chiamata a rispondere a questa domanda, la gup De Maria ha preso tempo, rinviando tutto al 2026. “La decisione del gip Borretta a nostro avviso non vincola il GIP di Maria che deve decidere sulla nostra istanza di Map”, dicono sempre i legali di Elknann, spiegando di aver presentato una memoria in questo senso. “Nel merito – proseguono i legali – per noi questi tecnicismi processuali non cambiano nulla: ribadiamo la nostra ferma convinzione che le accuse mosse a John Elkann siano prive di qualsiasi fondamento e riaffermiamo la forte convinzione che egli abbia sempre agito correttamente e nel pieno rispetto della legge. La scelta di John Elkann di aderire a un accordo non implica alcuna ammissione di responsabilità ed è stata infatti ispirata solo dalla volontà di chiudere rapidamente una vicenda personale molto dolorosa, tanto più dopo aver definito con l’Agenzia delle Entrate ogni possibile controversia attinente i tributi potenzialmente gravanti sui fratelli Elkann in qualità di eredi di Donna Marella Agnelli”. L'articolo Un altro guaio per John Elkann: il gip di Torino ordina l’imputazione coatta per dichiarazione infedele proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
John Elkann
Uccise un 16enne intervenuto per aiutare un amico: minorenne condannato a 11 anni e 6 mesi a Bologna
Condanna a una pena di 11 anni e 6 mesi per il ragazzino, all’epoca dei fatti minorenne, che era accusato dell’omicidio di Fallou Sall (nella foto), il 16enne ucciso a coltellate il 4 settembre del 2024, in via Piave, dopo che era intervenuto in difesa di un amico. È la sentenza emessa dal collegio di giudici, presieduto dalla presidente del Tribunale per i minori di Bologna, Gabriella Tomai. La vittima voleva aiutare un amico, un 17enne bengalese che aveva avuto alcuni screzi con l’imputato. Il minore rispondeva anche del tentato omicidio dell’amico di Fallou, reato derubricato in lesioni gravi e del porto abusivo di un coltello. La Procura aveva chiesto una pena totale di 21 anni. Il processo, che era cominciato il 21 maggio, si è svolto con rito ordinario. I giudici hanno emesso il verdetto dopo tre ore di camera di consiglio. Il legale del minore imputato, avvocato Pietro Gabriele, aveva chiesto l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato, invocando la legittima difesa. All’uscita dall’udienza ha detto che valuterà l’appello dopo le motivazioni, che saranno disponibili entro 90 giorni. L'articolo Uccise un 16enne intervenuto per aiutare un amico: minorenne condannato a 11 anni e 6 mesi a Bologna proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
Omicidio
Bologna
La Corte d’Appello contro il trattenimento dell’imam di Torino, espulso dal ministro Piantedosi
La Corte di Appello di Torino si è pronunciata per la cessazione del trattenimento dell’imam Mohamed Shahin nel Cpr di Caltanissetta. I giudici hanno accolto uno dei ricorsi presentati dagli avvocati dell’uomo, i quali hanno sostenuto che anche alla luce di nuova documentazione, non sussistono elementi che possono far parlare di sicurezza per lo Stato o per l’ordine pubblico. L’imam era stato colpito da un provvedimento di espulsione firmato dal ministro Matteo Piantedosi. L'articolo La Corte d’Appello contro il trattenimento dell’imam di Torino, espulso dal ministro Piantedosi proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
Torino
Eredità Agnelli, rinviata all’anno prossimo l’udienza per la messa alla prova di John Elkann
Tutto rinviato all’anno prossimo. Si terrà l’11 febbraio 2026 l’udienza per decidere sulla richiesta di messa alla prova di John Elkann. Il rinvio è stato deciso dalla gip di Torino, Giovanna De Maria, che ha anche fissato nel 21 gennaio l’udienza per discutere del patteggiamento del commercialista Gianluca Ferrero, presidente della Juventus. Oltre alla vendita delle testate del gruppo Gedi, dunque, nel 2026 si definiranno anche i destini giudiziari del presidente di Stellantis e del suo braccio destro, finiti nei guai per le vicende relative all’eredità della nonna di Elkann, Marella Caracciolo, vedova di Gianni Agnelli. Per poter accedere a undici mesi di messa alla prova, nel settembre scorso, il nipote dell’Avvocato aveva versato all’Agenzia delle Entrate 183 milioni di euro. Imposte e tassa di successione non pagate su un patrimonio di Marella Caracciolo ricostruito all’estero e in Italia per oltre un miliardo di euro. L’inchiesta penale era stata avviata dalla procura torinese dopo un esposto di Margherita Agnelli, figlia dell’Avvocato e madre di Elkann, che rivendica l’eredità materna e paterna. Elkann dovrebbe svolgere la messa alla prova facendo da tutor tra gli allievi delle scuole salesiane, di formatore per gli insegnanti e di consulente dei dirigenti salesiani. Su Ferrero, invece, i pm avevano dato parere favorevole per un patteggiamento a un anno, poi nella scorsa udienza si era convertita in una sanzione di 73mila euro. Il 21 gennaio, dunque, sarà definita la modalità della pena. L'articolo Eredità Agnelli, rinviata all’anno prossimo l’udienza per la messa alla prova di John Elkann proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
John Elkann
Stellantis
Procura di Torino
Primo arresto per il titolare di negozi di cannabis light per il decreto sicurezza, ma il giudice lo libera
Il titolare di due negozi di cannabis light in provincia di Brescia è stato arrestato dalla Polizia con l’accusa di detenzione ai fini di spaccio dopo il sequestro di 19 barattoli contenenti circa due chilogrammi di infiorescenze. L’arresto, eseguito ieri su disposizione della Procura di Brescia, è una delle prime applicazioni concrete delle norme introdotte nei mesi scorsi con il decreto sicurezza, che hanno imposto una stretta significativa sulla coltivazione e sulla commercializzazione dei prodotti noti come “cannabis light”. L’indagato era stato messo ai domiciliari. Secondo l’accusa, le infiorescenze rinvenute nei due punti vendita sarebbero state qualificabili come “marijuana”, formula utilizzata in imputazione senza tuttavia indicare se siano state svolte analisi chimiche utili a verificarne la presenza di principi attivi con effetto drogante. Un punto ritenuto centrale dalla difesa, che sostiene che tali verifiche non siano state eseguite. Davanti al giudice della direttissima, l’avvocato Niccolò Vecchioni, del Foro di Milano, ha depositato fatture, documenti di trasporto e certificazioni dei fornitori per dimostrare che l’attività dell’uomo, 33 anni, titolare degli store a Sirmione e Desenzano del Garda, si basa esclusivamente sull’acquisto e sulla vendita di infiorescenze prive di contenuto psicotropo, acquistate tramite canali controllati e pienamente legali. La ricostruzione della difesa ha convinto il giudice, che non ha disposto alcuna misura cautelare nonostante la richiesta del pubblico ministero di imporre all’indagato l’obbligo di firma. L’uomo è tornato libero e affronterà a marzo la prima udienza del processo. FOTO DI ARCHIVIO L'articolo Primo arresto per il titolare di negozi di cannabis light per il decreto sicurezza, ma il giudice lo libera proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
Cannabis Light
Brescia
“Mazzette smaterializzate”, chiesto il processo per il presidente del Molise Roberti e altri 43 imputati
Mazzette smaterializzate ovvero l’ipotizzata corruzione in cambio di vantaggi o assunzioni. La Direzione Distrettuale Antimafia di Campobasso ha chiesto il rinvio a giudizio per il presidente della Regione Molise, Francesco Roberti, e per altre 43 persone coinvolte nell’inchiesta denominata ‘Memory’, che ipotizza appunto un sistema di corruzione e traffico illecito di rifiuti con collegamenti alla criminalità organizzata pugliese, ma senza scambio di denaro. Il procedimento sarà aperto con l’udienza preliminare fissata per il 22 gennaio. L’inchiesta della Dda coinvolge, oltre a Roberti, la moglie del governatore, Elvira Gasbarro, e due società operanti nel settore dei rifiuti. Secondo la Procura, Roberti, all’epoca dei fatti sindaco di Termoli e poi presidente della Provincia di Campobasso tra il 2019 e il 2023, avrebbe favorito l’azienda Energia Pulita Srl nell’ottenimento di autorizzazioni e affidamenti pubblici in cambio di vantaggi personali, tra cui l’assunzione della moglie e l’affidamento di lavori a imprese considerate compiacenti. Nelle carte dell’inchiesta, gli inquirenti parlano di “mazzette smaterializzate”. Roberti, esponente di Forza Italia, guida la Regione Molise da due anni e mezzo. Nei mesi scorsi aveva chiesto di essere ascoltato dai magistrati, presentandosi a maggio per depositare una memoria difensiva di 200 pagine. Come spiegato dal suo legale, Mariano Prencipe, nella memoria sono stati ricostruiti tutti gli episodi contestati, fornendo chiarimenti e documentazione a sostegno della posizione del presidente: “Dalle intercettazioni emerge chiaramente che Roberti non si è interessato alle sorti di Energia Pulita come contestato. Anzi, fu proprio la Provincia di Campobasso a sollevare osservazioni e imporre restrizioni a questa società”. La posizione di Roberti, pur rientrando nel filone della presunta corruzione, resta distinta da quella degli altri soggetti coinvolti nei reati di stampo mafioso, che comprendono associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, estorsione, riciclaggio e smaltimento illecito di rifiuti. Gli indagati includono esponenti della criminalità foggiana, imprenditori, tecnici, professionisti e funzionari pubblici. L’inchiesta si concentra sul periodo in cui Roberti ricopriva incarichi politici locali, ovvero il suo ruolo di sindaco di Termoli e presidente della provincia di Campobasso. Le contestazioni infatti riguardano il periodo tra il 2020 e il 2023, gli anni in cui Roberti ha ricoperto questi incarichi, ed era membro del consiglio generale della Cosib, consorzio di cui fa parte anche una società coinvolta nelle indagini, Energia Pulita srl. Quindi l’accusa non si estende agli altri filoni di indagine riguardanti estorsioni, droga e traffico di rifiuti. L'articolo “Mazzette smaterializzate”, chiesto il processo per il presidente del Molise Roberti e altri 43 imputati proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
Corruzione
Puglia
Molise
Liste d’attesa “privatizzate” al reparto di oculistica: sequestrati 9 milioni su richiesta della Corte dei Conti
E dopo la Procura di Catanzaro arriva anche la Corte dei Conti che, nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte liste d’attesa privatizzate alla “Renato Dulbecco”, ha disposto il sequestro conservativo di oltre 9 milioni di euro a carico di 11 persone. Si apre un altro capitolo nell’indagine che, nei mesi scorsi, ha travolto il reparto di oculistica dell’Azienda ospedaliera-universitaria di Catanzaro. Su delega della Procura generale della Corte di Conti, infatti, il provvedimento è stato eseguito dal Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Catanzaro. I destinatari sono il primario Vincenzo Scorcia e la segretaria del suo studio privato Maria Battaglia. Ma anche la caposala Laura Logozzo e i medici Giuseppe Giannacare, Adriano Carnevali, Rocco Pietropaolo, Andrea Lucisano, Andrea Bruni, Eugenio Garofalo, Giorgio Randazzo e Maria Aloi. Per tutti, la Corte dei conti ha ipotizzato svariate condotte di danno erariale in relazione all’indebita percezione dell’indennità di esclusività e di stipendi non dovuti, nel mancato riversamento di proventi da lavoro autonomo illegittimamente esercitato, nella “privatizzazione” del servizio pubblico e nell’appropriazione di beni pubblici per fini privati. Da qui la richiesta, accolta dal presidente della Sezione giurisdizionale per la Calabria della Corte dei conti, di un sequestro conservativo per un importo di oltre 9 milioni di euro. Di questi, 6,2 milioni sono contestati al primario Scorcia (di cui 2,3 in solido con la segretaria e la caposala). Per quanto riguarda le altre contestazioni, 280mila sono stati sequestrati a Giuseppe Giannaccare, 83mila ad Adriano Carnevali, 350mila a Rocco Pietropaolo, un milione e 288 mila ad Andrea Lucisano, 357mila ad Andrea Bruni, 463mila ad Eugenio Garofalo, 70mila a Giorgio Randazzo e 29mila a Maria Aloi. L’inchiesta aveva portato lo scorso luglio agli arresti domiciliari, poi annullati dal Riesame, del primario del reparto Vincenzo Scorcia e della sua segretaria accusati di associazione a delinquere, peculato, concussione, truffa aggravata e interruzione di pubblico servizio e, il medico, di falsità ideologica e autoriciclaggio. Secondo quanto emerso dalle indagini dei pm di Catanzaro, guidati dal procuratore Salvatore Curcio, nel reparto di oculistica dell’Azienda Dulbecco vigeva una gestione “privatistica” delle liste di attesa, con visite private a pagamento per aggirare le lista d’attesa e scalare la graduatoria per essere operati, alimentando, di fatto, un sistema privato di prenotazioni e prestazioni erogate gratuitamente. Per i magistrati contabili vi era “un sistema consolidato attraverso il quale i medici dell’equipe erano soliti effettuare interventi chirurgici su pazienti previamente visitati a pagamento durante lo svolgimento della suddetta attività extra-istituzionale privata, garantendo loro un trattamento ‘privilegiato’ rispetto ai pazienti ambulatoriali regolari”. In questo modo sarebbero state aggirate “le liste d’attesa ufficiali” e lesi “i principi di trasparenza ed equità dell’assistenza sanitaria pubblica”. Il tutto “utilizzando integralmente per tali interventi chirurgici risorse dell’azienda ospedaliera”. Il danno erariale, ipotizzato dalla Corte dei Conti, ha portato così alle cifre monstre del sequestro conservativo. Il provvedimento dei giudici contabili non è un’attribuzione di responsabilità. Piuttosto è finalizzato a vincolare i beni mobili e immobili degli indagati e a evitare che possano essere venduti o dispersi prima di una sentenza definitiva nel merito. Ovviamente nel caso in cui, al termine del processo, i medici coinvolti nell’inchiesta “Short Cut” dovessero risultare colpevoli e di conseguenza condannati a risarcire i danni all’Erario e all’università “Magna Grecia”. Intanto, però, dopo i sigilli si aprirà il contradditorio anche davanti alla Corte dei conti. L'articolo Liste d’attesa “privatizzate” al reparto di oculistica: sequestrati 9 milioni su richiesta della Corte dei Conti proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giustizia
Sanità
Calabria