Da oltre una settimana, in Catalogna non si parla d’altro: alcuni cinghiali
trovati morti nel Parco Naturale di Collserola, alle porte di Barcellona, sono
risultati positivi alla peste suina africana (PSA). Il parco si trova a poca
distanza dal campus dell’Università Autonoma di Barcellona e dal comune di
Cerdanyola del Vallès, dove il 25 e 26 novembre sono stati registrati i primi
casi. Inizialmente i casi confermati erano sei, ma nel giro di pochi giorni il
numero è salito a tredici.
Le autorità – regionali e nazionali – hanno risposto immediatamente con un piano
di emergenza: è stata chiusa al pubblico l’area del parco, sospese le attività
ricreative, venatorie e forestali, imposto un perimetro di contenimento del
contagio (prima un raggio di 6 km, poi esteso con una zona di controllo più
ampia di 20km) e attivata una vigilanza massiccia. Volontari, agenti forestali e
personale militare sorvegliano la zona, mentre protezioni e divieti di accesso
sono stati installati anche per scoraggiare qualsiasi contatto con fauna
selvatica. Si teme infatti che il virus possa andare in zone con maggior densità
di cinghiali e in regioni di maggior produzione suina.
In parallelo, la Commissione Europea, su proposta della regione, ha ordinato
l’espansione della “zona di restrizione” a ben 91 Comuni nella provincia di
Barcellona, coprendo circa un terzo dei municipi: le misure comprendono un
blocco alle esportazioni di suino fuori da tale area e una serie di “misure di
emergenza provvisorie” per fermare la diffusione del virus. Le conseguenze per
l’industria suinicola catalana rischiano di essere enormi.
I dati più recenti mostrano che le esportazioni di carne suina da Catalogna
verso paesi extra-UE ammontavano lo scorso anno a circa 1.144 milioni di euro.
Quelle esportazioni , essenziali per la filiera suinicola locale, sono state
praticamente sospese. Su scala nazionale, la situazione non è più serena dal
1994: con questo focolaio, la Spagna perde temporaneamente lo status di “Paese
libero da PSA”, e già un terzo dei certificati di esportazione suinicola sono
stati bloccati, con effetti ad a catena su decine di mercati internazionali.
Dal lato del mercato interno, l’impatto si vede sulle tavole dei macellai e
allevatori. Il prezzo del maiale, già in sofferenza, è crollato drasticamente,
scendendo a circa 1,20 €/kg nei listini del mercato all’ingrosso di riferimento,
quando il costo di produzione si aggira tra 1,40 e 1,45 €/kg. Alcuni allevatori
stimano perdite nell’ordine di decine di milioni di euro solo in Catalogna.
L’IMPORTANZA DEL COMPARTO: SUINI COME PILASTRO DELL’ECONOMIA CATALANA E SPAGNOLA
Il settore suinicolo non è di secondo piano: l’industria suina spagnola è una
delle principali in Europa. A livello nazionale, le esportazioni di carne di
maiale valgono circa 8,8 miliardi di euro all’anno verso oltre cento paesi. Per
la Catalogna, la suinicoltura rappresenta un pilastro dell’economia
agroalimentare: la carne suina era prima del blocco una voce fondamentale nelle
esportazioni alimentari, coprendo circa il 19% dell’export totale agroalimentare
regionale. Inoltre, il settore dà lavoro a decine di migliaia di persone , tra
allevamenti, trasformazione, logistica e commercio , e coinvolge una lunga
filiera che tocca allevatori, industria, trasformazione e distribuzione. In una
dichiarazione recente, la dirigenza del settore ha già chiesto misure di aiuto e
l’attivazione di linee di credito d’emergenza per sostenere le aziende colpite.
COSA STA SUCCEDENDO ADESSO E COSA RISCHIA IL COMPARTO
Al momento, non sono state rilevate infezioni in allevamenti domestici vicini ai
focolai: tutti i casi confermati riguardano cinghiali selvatici. Questo è un
dato incoraggiante, ma le autorità mantengono un allarme alto, perché il salto
da fauna selvatica ad allevamenti domestici rappresenta sempre un rischio
gravissimo. Allo stesso tempo, la chiusura delle esportazioni extra UE, il
crollo dei prezzi, la perdita di mercati strategici (come Cina, Messico,
Giappone, Sud-Est asiatico e Americhe) e i costi legati ai controlli e alla
bio-sicurezza possono trasformare il focolaio attuale in una crisi strutturale
per molti operatori del settore. I prossimi giorni, come sottolineato dal
governo, saranno cruciali: si deciderà se il focolaio resterà confinato o se
dovrà essere dichiarato “epidemia nazionale”, con conseguenze ancora più
pesanti.
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delle esportazioni proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Uno sciopero degli affitti ha spinto le istituzioni a intervenire contro la
crisi abitativa in Catalogna. La Generalitat ha infatti annunciato l’acquisto di
1.700 appartamenti di InmoCaixa, il ramo immobiliare di La Caixa, una delle
principali banche catalane. Una decisione che mette fine a un processo di
privatizzazione che minacciava la stabilità abitativa di centinaia di famiglie.
Con questa operazione, il patrimonio pubblico incorpora definitivamente alloggi
che, pur essendo stati costruiti come edilizia di protezione ufficiale,
rischiavano di essere sottratti ai vincoli pubblici e immessi sul mercato
libero, con conseguenze pesanti per gli inquilini. Secondo il Sindicat de
Llogateres (il sindacato degli inquilini), si tratta di “un risultato storico
reso possibile solo dalla pressione popolare e dalla determinazione delle
famiglie in lotta”.
Per capire la portata di questa decisione, occorre ricordare che molti immobili
gestiti da InmoCaixa erano stati realizzati grazie a fondi pubblici e sottoposti
per anni al regime di “casa di protezione ufficiale”, l’equivalente delle case
popolari. Questo regime impone affitti calmierati, limiti sul prezzo e obblighi
di destinazione sociale. Tuttavia, allo scadere del periodo di protezione — che
varia di solito tra 20 e 30 anni — gli alloggi possono essere “desqualificati”,
cioè liberati dai vincoli pubblici. A quel punto la proprietà è libera di
vendere gli appartamenti a prezzi di mercato o aumentare drasticamente gli
affitti. Si tratta di un meccanismo legale, ma che negli ultimi anni ha
aggravato la crisi abitativa in molte città catalane, trasformando
progressivamente un patrimonio nato come sociale in merce immobiliare destinata
alla speculazione.
InmoCaixa ha gestito questa transizione come molti altri operatori finanziari:
in prossimità della scadenza dei vincoli, ha smesso di rinnovare i contratti
agevolati, ha aumentato la pressione sugli inquilini e, secondo numerose
testimonianze, ha scaricato su di loro persino il pagamento dell’IBI, l’imposta
sugli immobili. Quando è apparso chiaro che interi blocchi residenziali
sarebbero stati venduti o che gli affitti sarebbero cresciuti in modo
insostenibile, la tensione sociale è esplosa.
In questo contesto il Sindicat de Llogateres ha messo in piedi una strategia
complessa e tenace. Organizzando le famiglie minacciate dalla privatizzazione,
ha promosso una mobilitazione senza precedenti: uno sciopero degli affitti. In
diverse città colpite dal processo — tra cui Banyoles, Mollet, Sitges e
Palau-solità i Plegamans — decine di nuclei familiari hanno aderito, trattenendo
migliaia di euro di canoni come forma di pressione. La loro richiesta era
semplice e radicale: che quegli alloggi, costruiti con fondi pubblici,
rimanessero patrimonio pubblico e venissero sottratti definitivamente alla
speculazione.
Ora la Generalitat ha scelto di rispondere acquistando gli immobili e
“blindandoli” come alloggi sociali permanenti. Una scelta politica di peso, che
non risolve solo un conflitto locale ma interviene sulla concezione stessa della
casa come diritto. Per molte famiglie l’annuncio rappresenta la fine di un
incubo. “Senza la lotta degli inquilini questa operazione non sarebbe mai
esistita”, sottolinea il Sindicat, che parla apertamente di una vittoria
popolare ottenuta contro uno dei maggiori attori finanziari del Paese. “Abbiamo
dimostrato che quando le istituzioni non intervengono, l’organizzazione dal
basso diventa l’unica difesa del diritto all’abitare”.
Il governo catalano ha presentato l’acquisto come parte di una strategia più
ampia per ampliare rapidamente il parco di alloggi sociali, considerata una via
più efficace rispetto alla sola costruzione di nuove case. Ma il Sindicat
avverte che la battaglia non è finita: chiede il ritiro delle cause giudiziarie
contro gli scioperanti, la revisione dei contratti a condizioni eque, la
garanzia di una manutenzione adeguata e il rimborso delle somme pagate
indebitamente negli anni precedenti.
Nonostante le questioni ancora aperte, la portata materiale e simbolica della
decisione è enorme. In una Catalogna in cui la crisi abitativa è diventata una
delle emergenze sociali più gravi, il “salvataggio” di 1.700 appartamenti
significa molto più che proteggere alcune famiglie: rappresenta un precedente
politico che dimostra come la logica del mercato possa essere contrastata
dall’intervento pubblico — purché sostenuto, e questo è il punto decisivo, dalla
forza organizzata di chi quelle case le abita ogni giorno.
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acquista 1.700 appartamenti: li manterrà come alloggi sociali proviene da Il
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