
Perché con questa opposizione Giorgia Meloni è destinata a vincere sempre
Il Fatto Quotidiano - Thursday, November 27, 2025Sabato scorso, insieme a il Fatto, il Secolo XIX di Genova ha pubblicato il sondaggio di Youtrend secondo cui, in un’ipotetica primaria tra Conte, Schlein e Salis, finirebbe ultima proprio la neo-sindaca. Nel caso della testata locale, la notizia (ferale per i para-renziani in cerca di una pulzella dei Parioli che li rimetta in sella) suona a segnale che sotto la Lanterna la luna di miele della martellista olimpica è agli sgoccioli; un po’ per l’ossessiva, palese, attenzione al posizionamento d’immagine, molto per l’evidente traccheggiare davanti ai primi nodi amministrativi che incombono.
A partire dalla crisi dello storico polo siderurgico, con la solita alternativa capestro tra ambiente e occupazione (l’installazione di un forno elettrico osteggiata dalla popolazione), che vede la pretesa leader civica schierata a favore del lavoro, per poi tentare di blandire gli abitanti dichiarando che la sua era una mossa per stanare le mire governative di liquidare l’acciaio nazionale. L’ennesimo fiasco sul campo della tipologia “migliore dei migliori” con cui la “sinistra neoliberale alla moda” (copy Sahra Wagenknecht), dedita a salmodiare il mantra “si vince presidiando il centro moderato” (vedi Lilli Gruber), si attarda a lanciare ipotetiche candidature patinate per la riconquista del campo politico. Il Mario Draghi di turno.
Nel frattempo la “sinistra gattamorta” (cacicchi ex comunisti e reperti democristiani) immagina di liberarsi della tardo-sessantottina Schlein clonando il modello sconfittista Enrico Letta nell’avatar Ernesto Maria Ruffini (l’idea fantastica di entusiasmare l’elettorato proponendo un fu direttore della beneamata Agenzia delle Entrate), oppure traendo dal congelatore il rieccolo Paolo Gentiloni, benedetto dalla sponsorizzazione di Romano Prodi (sottospecie “mollacciona” della tipologia “gattamorta”).
Dunque una terra desolata, abitata da tremuli lunari che ci assicurano una sola certezza: a queste condizioni e contesto dato, Giorgia Meloni è destinata a vincere sempre. Perché sono stati questi contesti e condizioni a renderla invincibile. Ma non solo.
Vent’anni fa lo scienziato cognitivo di Berkeley George Lakoff aveva sintetizzato in un saggio le metafore ad ascendenza familistica di una politica transitata da discorso pubblico sul governo della società a paravento illusionistico di un ceto politico inadeguato quanto arrampicatore. Per la destra varrebbe il tipo “padre severo”, a sinistra troviamo quello “papà premuroso”. Fermo restando che in Italia ci si è mossi in anticipo rispetto agli armamentari comunicativi nordamericani, spingendo oltre ogni limite i frames che irreggimentano il sentire collettivo. Sicché papà premuroso qui diventa mamma pietosa (che fa la piaga cancrenosa) nella finzione assistenzialistica: la Dc dopo De Gasperi, da Fanfani ai dorotei (il cui ultimo sopravvissuto è proprio il presidente Mattarella. Stando alla solita Gruber, “il più amato dagli italiani”).
Ben più profonda e antica l’evoluzione metaforica sul lato destro, alimentata da tratti caratteriali sedimentati da secoli nella mentalità nazionale: il servilismo radicato nel Paese dopo la duplice catastrofe della perdita dell’indipendenza (l’Italia sotto dominazione straniera) e della regressione economica (dopo la primazia finanziaria e manifatturiera, il ritorno a un’agricoltura di sussistenza; nel centro-sud al latifondo) che trasformò fierezze civiche in subalternità ai nuovi padroni. Quindi, invece del padre severo, l’uomo della provvidenza; nella cui ombra trova rifugio un popolo infantilizzato. Il Duce che avanza a gambe divaricate, mascella sporgente e pugni serrati sui fianchi ora ritorna attualizzato negli stilemi di Meloni, che all’impraticabilità fisica delle posture mussoliniane supplisce con la minacciosa voce baritonale da bambina posseduta, tipo serie cinematografica sull’esorcista.
Un revival che tanto piace a questo italico spirito destrorso, sconvolgendo i promoter di un ritorno rassicurante del centrismo legge e ordine come nel lungo dopoguerra, tipo Gruber; che si ostinano a non capire. Non capire che il revival del Ventennio risponde all’esigenza di uomo forte al potere che già tentò di incarnare Bettino Craxi (che giustamente il vignettista Forattini disegnava con tanto di stivali duceschi). Operazione che fallì perché – oltre alla catastrofe dei conti pubblici causata dall’affarismo smascherato da Tangentopoli – l’onda lunga della liberazione antifascista ancora manteneva in campo antidoti resistenziali. Da tempo vanificati con lo scivolamento della sinistra in nuova destra. Che può offrire all’alternativa soltanto il piatto insapore di un centrismo conservatore (della rendita di potere lucrata da un ceto politico colluso: cane non mangia cane).
L’uscita dall’oscurantismo meloniano richiede ben altro delle ricette Neo-Lib: oltrepassare il familismo declinato in retorica politica grazie all’uscita kantiana dalla minorità. Vaste programme o utopia velleitaria? Visto che le indispensabili energie morali e culturali ad oggi sono latitanti.
L'articolo Perché con questa opposizione Giorgia Meloni è destinata a vincere sempre proviene da Il Fatto Quotidiano.