Andrea Giambruno è tornato in tv nel silenzio generale. L’ex compagno di Giorgia
Meloni si è presentato a sorpresa ad Atreju, la kermesse di Fratelli d’Italia
organizzata a Roma a Castel Sant’Angelo, mano nella mano con la figlia Ginevra.
L’ex First Gentleman ha risposto alle domande di due cronisti che chiedevano
notizie sul suo ritorno sul piccolo schermo: “Quando torno in tv? Sono già
tornato, è che non mi vedi. Com’è lavorare dietro le quinte? Ma io non lavoro
dietro le quinte”.
“Siamo in due che non la vediamo”, il commento del cronista. “C’è un problema, è
mio e non vostro”, la replica piccata di Giambruno. Non una boutade, nessuna
provocazione: Giambruno è tornato in onda nel silenzio generale. Un ritorno non
pubblicizzato, sfuggito ai telespettatori e agli addetti ai lavori. Come
confermato da Dagospia, l’ex compagno della Premier Meloni è riapparso alla
conduzione di “TgCom24“, la all news di Mediaset, per due volte alla settimana
nella fascia mattutina.
> #Atreju2025, l’arrivo di Andrea Giambruno e della figlia Ginevra.
> Mano nella mano a Castel Sant’Angelo nella giornata conclusiva della festa, in
> attesa del discorso di Giorgia Meloni.#Politica #LaPresse
> pic.twitter.com/ySnsGQfMQM
>
> — LaPresse (@LaPresse_news) December 14, 2025
Già lo scorso luglio era arrivata l’apertura di Pier Silvio Berlusconi che aveva
annunciato che “presto sarebbe tornato in onda” definendolo “un bravo
giornalista” per lui “un ritorno magari alla conduzione di un tg ma dovete
chiederlo a Crippa (Direttore Informazione Mediaset)”. Dagospia aveva poi
comunicato il suo arrivo su TgCom24 dopo lo stop al video, le polemiche per i
fuorionda a “Striscia la notizia” e l’impegno dietro le quinte a “Diario del
giorno”.
Sul fronte privato, nelle scorse settimane Giambruno ha ufficializzato la
relazione con Federica Bianco. Il primo bacio pubblico è stato immortalato dal
settimanale “Gente”. Nell’ultimo anno e mezzo il giornalista aveva scelto un
basso profilo, probabilmente anche per rispettare lo status di ex “first
gentleman”. Dopo la rottura con Giorgia Meloni, annunciata sui social il 20
ottobre 2023, Giambruno ha iniziato una relazione ormai stabile con la “beauty
coach“, collaboratrice dello Studio Medico Basoccu, specializzato in chirurgia
estetica. Bianco era stata fidanzata in precedenza con il leghista Andrea
Crippa, vice di Matteo Salvini e attuale compagno di Anna Falchi.
L'articolo Andrea Giambruno è tornato in tv nel silenzio generale: ecco cosa fa
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Giorgia Meloni
È il caso che più di ogni altro incolla i telespettatori agli schermi. Ne
beneficia lo share televisivo, ma pure i numeri registrati dai siti di news e
dai quotidiani online: basta parlare del caso Garlasco e l’audience cresce. Sarà
per questo motivo se, tra tutti i cold case, Giorgia Meloni ha deciso di citare
proprio la vicenda dell’assassinio di Chiara Poggi per lanciare la campagna
elettorale in vista del referendum sulla separazione delle carriere in
magistratura. E pazienza se casi giudiziari come quello di Garlasco
continueranno a verificarsi anche quando pm e giudici saranno formalmente due
mestieri separati.
MELONI E LA “VERGOGNA” DI GARLASCO
Certo per arrivare a quel punto bisognerà prima aspettare che i Sì superino i No
al quesito referendario. Ed è quindi in questo clima da campagna elettorale
permamente che Meloni è arrivata a chiudere l’ultima edizione di Atreju. Alla
fine di un discorso lungo poco più di un’ora, la premier ha citato una frase del
magistrato Rosario Livatino, ucciso dai mafiosi della Stidda nel 1990. “Il
giudice se apparirà sempre libero e indipendente, si mostrerà degno della sua
funzione; se si manterrà integro e imparziale non tradirà mai il suo mandato”, è
la citazione del “giudice ragazzino”. Meloni l’ha tradotta così: “La giustizia
cioè non può essere piegata, né manipolata, né intimidita”. Sorvolando sul fatto
che spesso sono esponenti del suo governo (o lei stessa) ad attaccare i
magistrati e a manipolare il contenuto di alcune sentenze (come nel caso dei
centri in Albania), la capa dell’esecutivo ha quindi lanciato la corsa al
referendum. “È esattamente quello che vogliamo realizzare con la riforma del Csm
che finalmente libererà la magistratura dall’influenza nefasta delle correnti
politicizzate. E con l’istituzione dell’Alta corte disciplinare per affermare
finalmente che chi sbaglia si assume la sua disponibilità”. Secondo Meloni
queste sono “misure che servono all’Italia. Sono misure che non hanno nulla a
che vedere con il ‘mandiamo a casa la Meloni“, ha detto, con una punta di
falsetto sull’ultima frase. Nel caso qualcuno avesse dubbi, la premier ha
spiegato di riferirsi a chi “chiaramente non ha alcun argomento nel merito delle
norme”. Poi ha sganciato l’esito del voto al referendum dal suo destino
politico: “Fregatevene della Meloni, tanto questo governo rimane in carica fino
alla fine della legislatura. I governi passano, ma le leggi rimangono e incidono
sulla vostra vita. Fregatevene della Meloni, votate per voi stessi, per i vostri
figli, per il futuro di questa nazione”. Quindi, con il tipico climax ascendente
che caratterizza l’oratoria meloniana, ecco la citazione del cold case più pop
del momento: “Votate perché non ci debba più essere una vergogna come quella che
stiamo rivedendo a Garlasco, ultimo caso solo dal punto di vista temporale di
una giustizia che va profondamente riformata”. La folla, ovviamente, ha
applaudito a scena aperta.
L’OMICIDIO DI 18 ANNI FA
Ma è davvero così? Con la separazione delle carriere non ci sarà più la
“vergogna” che stiamo vedendo a Garlasco, come dice la Meloni? Ma poi quale
sarebbe la “vergogna” del caso Garlasco? A cosa si riferisce la premier? Le
indagini sull’omicidio di Chiara Poggi sono state riaperte dalla procura di
Pavia nel marzo scorso, quasi diciotto anni dopo i fatti. I pm sostengono di
aver trovato nuovi elementi che li hanno portati a scrivere nel registro degli
indagati il nome di Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. Secondo
l’ipotesi degli inquirenti, avrebbe agito in concorso con Alberto Stasi (o con
ignoti), fidanzato di Chiara Poggi, che fino a oggi è l’unico condannato per
l’omicidio commesso il 13 agosto del 2007. Già all’epoca i sospetti si
concentrarono subito su Stasi, arrestato il 24 settembre del 2007. Dopo aver
scelto l’abbreviato, venne assolto in primo grado (2009) e pure in Appello
(2011). Poi, però, nel 2013 la Cassazione annullò l’assoluzione, ordinando un
nuovo processo di secondo grado. Alla fine del quale, Stasi venne riconosciuto
colpevole, senza le aggravanti della crudeltà e della premeditazione:
trattandosi di un processo in abbreviato, l’imputato ottenne uno sconto di un
terzo della pena, quindi la condanna a 24 anni venne ridotta a 16 anni di
carcere. Sentenza poi confermata dalla Suprema corte.
INNOCENTISTI E COLPEVOLISTI
Il tortuoso iter processuale, sommato a una serie di errori commessi nelle
indagini, ha trasformato l’assassinio di Garlasco in un vero e proprio caso, che
ha spaccato l’opinione pubblica tra colpevolisti e innocentisti: c’è chi crede
che Stasi sia l’unico assassino e chi invece lo considera un capro espiatorio.
“Trovo irragionevole che, dopo una sentenza o due sentenze di assoluzioni, sia
intervenuta una condanna senza nemmeno rifare l’intero processo”, ha detto per
esempio Carlo Nordio. Un’opinione legittima, soprattutto perchè proviene dal
Ministro della Giustizia: il guardasigilli, certo, potrebbe riformare il codice
per modificare questo meccanismo. Fino a oggi, però, non l’ha mai fatto. E di
sicuro non è con la riforma della separazione delle carriere che avverrà tutto
questo. Il provvedimento, come è noto, si limita a differenziare completamente e
nettamente i percorsi professionali tra giudicanti e requirenti. Per questo
motivo verrà sdoppiato il Consiglio superiore della magistratura, l’organo di
autogoverno delle toghe: ne esisteranno due, uno per i pubblici ministeri e un
altro per i giudici. Nascerà poi un terzo organo, l’Alta Corte disciplinare, che
sanzionerà i magistrati per i loro illeciti professionali: prerogativa che al
momento appartiene al Csm. Su tutto questo dovranno esprimersi i cittadini,
chiamati a votare al referendum costituzionale della prossima primavera. Anche
se dovesse vincere il Sì, la riforma non inciderà in alcun modo sulla
celebrazione dei processi, sulla loro velocità, sulla capacità degli
investigatori di compiere le indagini e su quella dei giudici di valutare le
prove.
COSA NON SUCCEDERÀ CON LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE
Nulla dunque impedirà a una procura di riaprire le indagini su fatti di cronaca
nera, come avvenuto appunto su Garlasco. Si può dibattere sull’opportunità di
mettere sotto inchiesta Sempio o su quella di aver chiuso il caso con la
sentenza Stasi, si può discutere sugli evidenti errori commessi nelle indagini
di 18 anni fa, ma sempre avendo ben chiaro un elemento: con la separazione delle
carriere una “vergogna” come quella di Garlasco – qualsiasi fosse il riferimento
di Meloni – si potrà verificare ancora. Anche quando i pm avranno una carriera
separata dai giudici continueranno a esistere i casi irrisolti, quelli risolti
parzialmente e quelli definiti ma in cui le indagini vengono riaperte lo stesso.
Perché dunque Meloni ha citato Garlasco ad Atreju come simbolo dei mali che
saranno spazzati via in caso di vittoria al referendum? Secondo Barbara
Floridia, presidente M5S della Commissione di Vigilanza sulla Rai, la premier ha
dichiarato apertamente “di essere a capo del circo mediatico sul caso Garlasco.
Un caso che non è più cronaca, è cornice narrativa: serve a tenere alta la
tensione, a costruire l’emergenza permanente e a spingere il referendum sulla
separazione delle carriere. Un’operazione che non accelera i processi, non rende
la giustizia più efficiente, non migliora la vita dei cittadini. Serve solo a
fare propaganda, e la propaganda ha bisogno di rumore costante. Per questo ci
martellano giorno e notte con trasmissioni che ne parlano”. Del resto che la
riforma non inciderà in alcun modo sui tempi di accertamento della verità lo
ammettono pure autorevoli esponenti di governo. “Con questa riforma processi più
veloci? Chi parla di questo non conosce il sistema della giustizia in Italia”,
ha detto, per esempio, Andrea Ostellari, sottosegretario alla giustizia della
Lega, il giorno dell’approvazione definitiva del provvedimento. E d’altra parte
a riconoscerlo era stato lo stesso ministro Nordio, nel marzo scorso: “Questa
riforma non influisce sull’efficienza della giustizia“. Qualcuno allora dovrebbe
ricordarlo a Meloni.
L'articolo La bugia di Meloni sulla separazione delle carriere: “Non ci sarà più
una vergogna come il caso Garlasco”. Ma non è vero proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“Qualcuno mi può spiegare come facciamo a difendere la sicurezza degli italiani
se ogni iniziativa che va in questo senso viene sistematicamente annullata da
alcuni giudici?”. Dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni arriva
l’ennesimo affondo contro i magistrati. Questa volta l’occasione è la pronuncia
della Corte di Appello di Torino per la cessazione del trattenimento dell’imam
Mohamed Shahin, espulso dall’Italia dopo aver giustificato il massacro di Hamas
perpetrato il 7 ottobre. fdff
La premier ricorda con un posto sui social che l’imam era “destinatario di un
decreto di espulsione firmato dal Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi”:
“Parliamo di una persona – scrive Meloni – che ha definito l’attacco del 7
ottobre un atto di ‘resistenza’, negandone la violenza. Che, dalle mie parti,
significa giustificare, se non istigare, il terrorismo”. Dopo la decisione della
Corte d’Appello il 47enne di origini egiziane è stato immediatamente liberato. I
magistrati hanno escluso “la sussistenza di una concreta e attuale
pericolosità”. Inoltre hanno sottolineato che Shahin è da vent’anni in Italia ed
è “completamente incensurato”. Fra i “nuovi elementi” che erano stati presentati
dagli avvocati dell’imam figuravano l’archiviazione immediata, da parte della
procura di Torino, di una denuncia per le frasi che l’uomo aveva pronunciato lo
scorso ottobre durante una manifestazione Pro Pal.
Non solo Meloni. Contro l’ordinanza si sono scagliati tutti gli esponenti dei
partiti di destra: da Fratelli d’Italia a Forza Italia e Lega. Per il
vicepremier e leader del Carroccio, Matteo Salvini, “è l’ennesima invasione di
campo di certa magistratura ideologizzata e politicizzata che si vorrebbe
sostituire alla politica”. Per il capogruppo di Fdi alla Camera, Galeazzo
Bignami, “questa vicenda suona come l’ennesima conferma del livello di
politicizzazione di una parte della nostra magistratura, al punto da mettere a
rischio la stessa sicurezza dei cittadini”. Di “decisione irresponsabile e fuori
dalla realtà”, ha parlato il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio
Gasparri. E adesso arriva anche la presa di posizione della premier.
L'articolo Liberazione imam, Meloni contro i magistrati: “Come garantire
sicurezza se giudici annullano ogni iniziativa?” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Alla fine sarà soltanto una legge inutile che ha distratto parte dell’opinione
pubblica da una manovra che ancora si trascina in Parlamento. Parliamo
dell’emendamento alla legge di Bilancio sulla proprietà dell’oro di Bankitalia.
Una norma per dire che le riserve auree iscritte nel bilancio della Banca
d’Italia appartengono al popolo italiano. Ideona dei parlamentari di Fratelli
d’Italia, loro sì pagati a peso d’oro, sulla quale il ministero dell’Economia ha
dovuto rassicurare la presidente della Banca centrale europea, Christine
Lagarde, che davanti alla stampa non ha potuto non prendere la cosa sul serio e
dirsi preoccupata per le finalità poco chiare dell’emendamento e i rischi per
l’indipendenza della banca centrale sancita dai trattati dell’Ue. Le sarebbe
bastata una risata e invece, per settimane, è toccato inscenare un confronto
istituzionale. Il ministro Giancarlo Giorgetti ha dovuto addirittura inviarle
chiarimenti ufficiali per rassicurarla: che si tratta di una norma “simbolica”,
che nessuno si sogna di trasferire la gestione delle riserve auree o permetterne
la vendita per finanziare lo Stato.
Nonostante la manovra abbia dato ben altri pensieri alla maggioranza, il partito
della premier ha pensato bene di perdere altro tempo. Invece di ritirare
l’inutile emendamento ne ha modificato il testo per ribadire il rispetto delle
norme europee, con l’unico risultato di rendere chiaro a chiunque che non c’è
alcuna precettività: non introduce obblighi, divieti o poteri. Insomma, aria
fritta. Incredibile ma vero, il capogruppo di FdI al Senato, Lucio Malan, è
riuscito a dirsi soddisfatto per l’esito della “storica battaglia”: “Abbiamo
posto il tema in Parlamento fin dal 2014 con un’iniziativa di Giorgia Meloni. Se
ora questa battaglia, come sembra, si trasformerà in una legge dello Stato, non
potremo che essere molto soddisfatti”. L’idea dei fratelli d’Italia, infatti,
non è recente. Meloni ci aveva provato anche durante il primo governo Conte, con
una mozione che pretendeva anche il rimpatrio delle scorte depositate all’estero
per comodità contabile. Mozione respinta dalla maggioranza di Lega e Movimento 5
stelle perché ne avevano presentata una loro che chiedeva di “definire l’assetto
della proprietà delle riserve auree detenute dalla Banca d’Italia nel rispetto
della normativa europea” e di “acquisire le notizie” su quelle detenute
all’estero, oltre che sulle “modalità per l’eventuale loro rimpatrio”. Oggi il
M5s parla di “inutile dibattito sull’“oro degli italiani””. Meglio tardi che
mai.
Inutile perché il Trattato sul funzionamento dell’Ue vieta il finanziamento
diretto allo Stato da parte di Bce e banche centrali nazionali, e sancisce
l’indipendenza di queste dagli Stati membri dell’Unione. Indipendenza che
riguarda anche la gestione delle riserve auree, anche se sono iscritte
contabilmente come bene dello Stato. Per essere ancora più chiari, non è
consentito “prelevare” oro per coprire spese, debito o politiche pubbliche.
Cos’è che Meloni e Salvini non capiscono? Il problema è che i testi normativi
europei, il Trattato sul funzionamento dell’Ue ma anche lo statuto del Sistema
Europeo di Banche Centrali, parlano solo della gestione operativa di queste
riserve. Al contrario, le norme Ue non parlano esplicitamente di “proprietari”.
Così la questione della proprietà formale rimane dibattuta e, in tempi di
sovranismo, inutilmente riscoperta. Tanto rumore per nulla e il nulla, alla
fine, è scritto così: “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 123, 127 e
130 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il secondo comma
dell’articolo 4 del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, si
interpreta nel senso che le riserve auree gestite e detenute dalla Banca
d’Italia, come iscritte nel proprio bilancio, appartengono al Popolo Italiano”.
Maiuscole comprese, è questa la riformulazione dell’emendamento presentata da
Giorgetti in commissione Bilancio al Senato. ”Siamo a posto: riteniamo che la
questione si possa ritenere chiusa”, ha detto il ministro. Era ora.
L'articolo Oro di Bankitalia, Giorgetti chiude la sceneggiata di FdI. Ecco come
ha riscritto la norma, che resta inutile proviene da Il Fatto Quotidiano.
Contro la presidente del Consiglio e contro l’editore. Alle prese con la
cessione del gruppo Gedi, le redazioni de La Repubblica e La Stampa tornano a
farsi sentire. La vendita del ramo editoriale di Exor da parte di John Elkann è
diventato anche una vicenda politica, mentre il numero uno della holding
proprietaria dei due quotidiani non ha speso una sola parola mentre nel week end
si è esposto in prima persona per annunciare che la Juventus è incedibile e
quindi è stata rifiutata la proposta di Tether che valutava il club 1,1 miliardi
di euro.
“Ha respinto l’offerta di acquisto della Juventus con un video messaggio e la
precisazione che ‘la squadra, la nostra storia e i nostri valori non sono in
vendita’. Vale per il calcio, ma non per il nostro giornale e i suoi oltre 150
anni di storia. Storia che si può serenamente svendere, senza nemmeno curarsi di
capire a chi”, ha sottolineato il Cdr del quotidiano torinese sottolineando che
con la vendita si va “disgregando, distruggendo valore e valori”. Lo scorso 30
novembre, dopo l’assalto alla redazione, ricorda il Comitato di redazione,
“anche John Elkann ha portato la sua solidarietà” e “si è rivolto ai colleghi e
alle colleghe parlando alla prima persona plurale, con l’inteso che proprietà,
direzione e redazione fossero un tutt’uno”. Si trattava di “menzogne”, attacca
il sindacato interno dei giornalisti, visto che “nemmeno quindici giorni dopo è
arrivata la dichiarazione ufficiale di Exor e la conferma della volontà di
uscire dal settore dell’editoria”.
Si tratta, ricordano, di “posti di lavoro e vite di cui temiamo il governo non
abbia troppa intenzione di farsi carico, almeno a giudicare dal palco di Atreju
di ieri”. Il riferimento è alle parole della presidente del Consiglio Giorgia
Meloni sulla vendita di Gedi, “menzionata giusto il tempo di polemizzare con i
suoi avversari politici, senza dare rassicurazioni sulle sorti di 1.300
lavoratori e lavoratrici”. Sullo stesso punto, attacca anche il Comitato di
redazione di Repubblica, destinata a finire nelle mani del gruppo greco Antenna:
“Invece di occuparsi di una crisi industriale che riguarda 1.300 lavoratrici e
lavoratori e al contempo di fare la propria parte per salvaguardare il
pluralismo dell’informazione, ieri dal palco della sua kermesse la presidente
del Consiglio Giorgia Meloni ha preferito sfoderare l’arma della più bassa
propaganda politica per parlare di Gedi: attaccando un partito di opposizione,
un sindacato e un articolo di Michele Serra su questo giornale che
rappresenterebbe ‘una sinistra isolata e rabbiosa’”.
Parole che – secondo il Cdr – “denotano scarsa attitudine istituzionale, visto
che Meloni in teoria rappresenta tutti i cittadini di questo Paese e non solo i
suoi elettori”. E ancora: “Sono completamente false rispetto a fantasiosi
accordi tra l’attuale editore di Gedi su Stellantis e le interviste fatte dalle
colleghe e dai colleghi nel corso degli anni a Maurizio Landini, segretario
generale della Cgil. Ci risulta piuttosto che Meloni coltivi ottimi rapporti sia
con John Elkann che con il possibile acquirente di Gedi: se proprio ritiene di
potersi rendere utile visto il ruolo che ricopre, e di cui spesso si dimentica,
le suggeriamo di utilizzare la sua influenza per gestire questo delicato
passaggio tutelando non gli interessi — per la gran parte esteri — di grandi e
ricchi imprenditori, ma delle persone che qui vivono del proprio lavoro. Lo
sfregio di Meloni, casualmente, fa il paio con il video nel quale lo stesso
Elkann annuncia il rifiuto a prendere in considerazione l’offerta ricevuta per
l’acquisto della Juventus”.
L'articolo Lo “sfregio” di Meloni e le “menzogne” di Elkann: i Cdr di Repubblica
e La Stampa contro la premier e il loro editore proviene da Il Fatto Quotidiano.
Personalmente, per quel che vale, sono contro i due tiranni, contro il russo
Vladimir Putin e contro l’americano Donald Trump. Però non posso fare a meno di
pensare che Putin non potesse restare fermo mentre la Nato – che non è
un’organizzazione di beneficenza ma un’organizzazione armata offensiva antirussa
che ha già fatto guerre illegali, sanguinose e disastrose in Serbia,
Afghanistan, Iraq, Libia, Siria – cercava di mettere le sue basi militari anche
in Ucraina, dove la Russia è nata. E non riesco neppure a dare torto a Trump che
ha affermato nella recente intervista a Politico che molti leader europei sono
stupidi. Ha ragione: è incredibile quanto i Volenterosi europei siano stupidi.
Tanto stupidi quanto impotenti e masochisti. Meno male che l’Unione Europea è un
condominio di 27 paesi che non riescono a mettersi d’accordo neppure
sull’abolizione (indispensabile!) dell’ora solare.
Altrimenti la Ue ci trascinerebbe in guerra con Mosca. E meno male che sulle
questioni veramente importanti – difesa, sicurezza, guerra e pace, fiscalità,
eccetera – nella Ue si decide solo all’unanimità e non a maggioranza. Così ogni
democrazia europea può prendere le sue decisioni in autonomia.
La questione sorprendente – ma soprattutto tragica – è che gli stupidi leader
europei vogliono spingere Kiev a continuare una guerra che sta già perdendo, che
loro stessi non sono in grado di combattere e nemmeno di finanziare, e che senza
l’aiuto americano – che Trump vuole cessare subito – è già completamente persa.
E’ un po’ come se io pretendessi che il mio amico, peso piuma, continuasse a
finire fino alla morte un combattimento che sta perdendo con Mike Tyson: sarei
un perfetto idiota o un cinico profittatore! La politica europea è tragica per
gli ucraini che, più combattono questa guerra, più perdono terreno e uomini, ma
è disastrosa anche per gli europei.
L’astuto Trump, pur essendo a capo di un esercito ultrapotente, ha capito che
non conviene continuare a combattere inutilmente con la Russia fino a rischiare
una guerra atomica, e corre verso un accordo diretto con Putin, alle spalle
degli ucraini e di Volodymyr Zelensky, l’uomo politico che ha distrutto
l’Ucraina sfidando i russi pur di aderire a una Nato che comunque non lo ha mai
voluto.
Trump ha riconosciuto che la Nato di Joe Biden ha provocato la guerra in Ucraina
minacciando di mettere le basi militari Nato al confine con la Russia e
spingendo l’Ucraina a abbandonare la sua neutralità. Il presidente americano
piuttosto che rischiare una guerra atomica preferisce avviare rapporti pacifici
con Mosca. Al contrario gli europei, che avrebbero tutto l’interesse a
riprendere le forniture russe di gas e di petrolio da Mosca, che non hanno
neppure un esercito, e che quindi non possono pretendere nulla, puntano a una
guerra perpetua con la Russia e a trasformare l’Ucraina in un “porcospino di
acciaio”. Vogliono partecipare alle trattative di pace pur volendo continuare la
guerra. Dio prima rende dementi chi vuole poi mandare in rovina. Così l’Europa
guidata dall’irresponsabile valchiria in miniatura Ursula von der Leyen si
prepara alla guerra con la Russia, prima o seconda potenza atomica mondiale.
Sul piano strategico è ormai chiaro che l’Europa è in una situazione di declino
quasi irreversibile, che è isolata, impotente e arretrata, e che ha disperato
bisogno di amici o almeno di soci: ma gli Usa e la Cina sono troppo potenti per
allearsi con l’Europa, saranno sempre avversari strategici. L’unica grande
potenza che, ovviamente per convenienza, in prospettiva potrebbe esserci amica,
è proprio la Russia, contro cui però gli europei… si stanno armando! Per fortuna
che questa Ue richiede ancora il voto all’unanimità e che l’Italia può staccarsi
dalla follia bellicista della Ue!
Circa l’80% di tutta la legislazione Ue è adottato con voto a maggioranza
qualificata. Su questioni di natura politica e di importanza strategica, come la
difesa e la guerra, il Consiglio Ue deve però votare all’unanimità. Il voto
all’unanimità è oggetto di critica da parte degli europeisti, come il francese
Macron, Mario Draghi, Ursula e lo stesso presidente italiano Sergio Mattarella,
e in generale da parte delle formazioni europeiste di sinistra e di
centrosinistra (come in Italia il Pd). Al contrario i sovranisti, come Giorgia
Meloni e Viktor Orban, vogliono mantenere l’unanimità. Questo è uno dei pochi
casi in cui i cosiddetti sovranisti hanno completamente ragione. Infatti sulle
questioni fondamentali, come la guerra o la pace, ogni popolo deve potere
decidere democraticamente grazie alle sue istituzioni rappresentative.
Dare tutto il potere a Bruxelles sarebbe terribile e antidemocratico! Perfino la
Nato prende le sue decisioni all’unanimità!
L'articolo Per fortuna c’è ancora il voto all’unanimità in Ue: su questo Meloni
e Orban hanno ragione proviene da Il Fatto Quotidiano.
“A breve sentiremo un’altra dose di propaganda da parte della presidente
Meloni”, ma “nonostante la propaganda i dati stessi del governo dicono che la
pressione fiscale è al 42,7%, mai stata così alta. A Meloni si è rotta la
calcolatrice? Da quanto tempo non le capita di andare a fare la spesa? Esca da
palazzo Chigi e vada in qualsiasi alimentari”, vedrà “davanti agli scaffali
famiglie costrette a scegliere tra cose” non superflue ma “necessarie. Il frigo
degli italiani è sempre più vuoto“. Lo ha detto la segretaria del Pd Elly
Schlein all’assemblea del Pd.
L'articolo Schlein attacca Meloni: “Lei festeggia ma intanto il frigo degli
italiani è vuoto” – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
“A sinistra non sono riusciti a gioire sul riconoscimento alla cucina italiana
come patrimonio dell’Unesco. Loro hanno rosicato, è una settimana che mangiano
dal kebabaro“. Lo ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel suo
intervento sul palco di Atreju, la manifestazione di FdI.
L'articolo Meloni: “A sinistra mangiano dal kebabaro da una settimana, rosicano
per la cucina italiana patrimonio dell’Unesco” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“L’alternativa” al governo di Giorgia Meloni c’è ed “è nei fatti che germoglia
l’elaborazione di un programma comune, senza rinunciare alle proprie identità“.
Dall’assemblea del Pd la segretaria Elly Schlein lancia la sfida alla destra. La
leader dem parla quasi in contemporanea all’intervento conclusivo di Meloni dal
palco di Atreju: dalla festa di Fdi la premier non rinuncia a stoccate contro
Schlein puntando il dito sul rifiuto della segretaria Pd a prendere parte alla
kermesse, unica tra i leader del campo progressista ad avere preso questa
scelta.
“La partita delle politiche è apertissima, ci sono le condizioni per mandare a
casa questa destra”, rilancia Elly Schlein ricordando che da quando è segretaria
“solo due regioni si sono spostate, la Sardegna e l’Umbria e le abbiamo vinte
noi”. Per quanto riguarda il Pd “è cresciuto ovunque, dove abbiamo vinto ma
anche dove abbiamo perso”, aggiunge. Gli emendamenti presentati unitariamente
dalle opposizioni alla manovra sono “un’alternativa potente“, sottolinea la
leader dem. “Uniti nella diversità abbiamo indicato al paese una strada
possibile. Confrontiamoci anche aspramente” ma perseguiamo l’obiettivo di
“costruire l’alternativa. È tempo che l’Italia ricominci a sognare e a sperare”,
continua Schlein ricordando che “la somma delle coalizioni è pari“.
La segretaria del Pd punta dritto alle Politiche. “Che sia possibile mandare a
casa questa destra, lo hanno detto loro quando un’ora dopo le regionali hanno
detto che vogliono cambiare la legge elettorale. Non si cambia la legge
elettorale a un anno dal voto per paura di perdere”, replica. Cita la sorella
della premier, Arianna Meloni, che “ieri ci svela le priorità del governo per il
2026: premierato e riforma della legge elettorale. Scusate pensavamo lo fossero
le bollette più care d’Europa, pensavamo lo fossero le persone che prendono 5
euro all’ora, chi con la pensione non arriva alla fine del mese, i 10.000
lavoratori dell’ex Ilva che sono a rischio, i 6 milioni di italiani che non
riescono più a curarsi per le liste d’attesa troppo lunghe. Ma no le priorità
per le sorelle Meloni sono una riforma elettorale e una riforma che indebolisce
i poteri del presidente della Repubblica: giù le mani dalle prerogative del
presidente della Repubblica. Il governo deve risolvere i problemi degli italiani
non i propri attraverso le riforme”, insiste Schlein.
Si rivolge poi direttamente alla premier: “Devo farle una domanda molto
semplice, banale: da quanto tempo non le capita di andare a fare la spesa? Si
immagini per un secondo di prendere un carrello come in un giorno fanno milioni
di madri e di padri in questo Paese e provi a fare i conti scaffale dopo
scaffale di ciò che va rimesso al suo posto perché questa settimana non te lo
puoi più permettere. Esca da Palazzo Chigi – continua Schlein – e faccia un giro
in qualsiasi alimentari di quartiere perché mentre voi ripetete che va tutto
bene, anzi non è mai andato meglio, davanti a questi scaffali le famiglie sono
costrette a scegliere e non più tra le cose superflue ma tra le cose
necessarie”.
Per Schlein nel centrodestra ci sono “divisioni enormi, continuano a litigare
tra di loro tra ricatti e veti incrociati. Davanti a questa destra ossessionata
dal potere che ha aumentato l’austerità e le disuguaglianze”, “l’unità ce la
chiede la gente, non il medico”. Per quanto riguarda il suo stesso partito
“c’era chi scommetteva sulle divisioni nel nostro campo” e invece “non solo ci
siamo ma siamo competitivi e siamo la prima forza di opposizione”, continua la
Segretaria. Parla di un Pd “più unito e compatto che mai” e rivolge un
ringraziamento anche al “presidente Bonaccini perché l’unità non si fa da soli”,
conclude Schlein.
L'articolo Schlein dall’assemblea Pd: “L’alternativa cresce nei fatti”. E sfida
Meloni: “La partita delle politiche è apertissima” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Salta di nuovo sul palco Giorgia Meloni, questa volta non al coro di “chi non
salta comunista è“, ma sfruttando la spinta del popolo di Atreju che esalta la
sua leader prima del discorso conclusivo della kermesse di Fratelli d’Italia. E
dopo averla esaltata come luogo di confronto “aperto a tutti”, elencando i nomi
dei leader delle opposizioni che hanno deciso di partecipare a uno degli
incontri, da Giuseppe Conte a Matteo Renzi, fino a Carlo Calenda e Angelo
Bonelli, ha sfruttato l’occasione per alimentare di nuovo la polemica che ha
preceduto la nove giorni di castel Sant’Angelo: il rifiuto di Elly Schlein a
prenderne parte.
“Questo è il luogo in cui tutte le idee hanno diritto di cittadinanza”, ha
esordito la presidente del Consiglio, qui in veste di leader di partito che
arringa la sua folla. “Questo è il luogo in cui Nietzsche e Marx si danno la
mano – dice citando Antonello Venditti – In cui il valore delle persone si
misura sui contenuti. E chi scappa dimostra di non avere contenuti”. E chi
scappa? La leader del Partito Democratico, sottolinea Meloni: “Voglio
ringraziare anche Elly Schlein che con il suo nannimorettiano ‘mi si nota di più
se vengo e sto in disparte o se non vengo per niente’ ha comunque fatto parlare
di noi. La cosa divertente è che il presunto campo largo l’abbiamo riunito noi e
quella che dovrebbe federarli è l’unica che non si è presentata”. E rincara la
dose: “Ho proposto un confronto a tre (con Schlein e Conte, ndr). Mi hanno detto
di no, ma non perché loro non volessero confrontarsi con me. Ma perché loro non
si volevano confrontare fra di loro e questi vogliono governare la nazione. Come
la governano? Con le lettere degli avvocati?”.
Un attacco che si conclude rivendicando l’unità della destra che, a suo dire, si
è vista proprio in occasione dell’evento annuale di FdI: “Parlano male di Atreju
ed è l’edizione migliore di sempre, parlano male del governo e il governo sale
nei sondaggi – continua – Hanno tentato di boicottare una casa editrice ed è
diventata famosissima. Si portano sfiga da soli, che manco quando ti capita la
carta della pagoda al Mercante in fiera. E allora grazie a tutti quelli che
hanno fatto le macumbe rendendo questa edizione di Atreju la più intensa e
partecipata di sempre”. E rilancia sottolineando che questa destra “non è un
incidente della storia”: “Sono orgogliosa dei miei alleati e di quello che
stiamo facendo insieme. Sono convinta che continueremo a farlo con la stessa
unità, con la stessa determinazione e con la stessa forza per molto tempo
ancora”.
Dopo gli attacchi politici è poi passata a rivendicare le iniziative adottate in
tre anni di esecutivo e i piani per il futuro, come un piano casa per i giovani:
“Abbiamo detto basta a sprechi e plurimiliardarie mance elettorali con cui
qualcuno pensava di compare il consenso” e al posto del “loro superbonus per
ristrutturare ville e castelli con soldi della povera gente noi faremo un piano
casa per alloggi a prezzi calmierati per le giovani coppie. Perché vogliamo
costruire anche una nazione giusta che non regala soldi a chi già ce li ha”.
Meloni prende poi spunto dai recenti scioperi dei giornalisti del gruppo Gedi,
dopo la notizia della vendita del gruppo da parte di John Elkann, per attaccare
gli avversari politici colpevoli, a suo dire, di non essersi spesi con la stessa
forza e lo stesso interesse quando a rischio erano i posti di lavoro degli
operai Stellantis: “Oggi il Pd si indigna perché vogliono vendere il gruppo Gedi
e non ci sarebbero garanzie per i lavoratori. Però quando chiudevano gli
stabilimenti ed erano gli operai a perdere i posti di lavoro, tutti muti. Anche
Landini fischiettava, nelle interviste. Non accettiamo lezioni da chi fa il
comunista con il ceto medio e il turbocapitalista con i centri di potere”.
C’è spazio anche per riferimenti alla politica estera, uno dei campi più
delicati per il governo, impegnato in equilibrismi tra posizioni che non si
distacchino totalmente dall’Unione europea, dove i legami col Partito Popolare
Europeo si stanno sempre più stringendo, e quelle che, invece, le vengono più
naturali e che guardano all’amministrazione Trump: “Ci sono state valutazioni
molto allarmate perché Trump ha detto in maniera più decisa che gli Usa
intendono disimpegnarsi e gli europei devono organizzarsi per difendersi da soli
– ha ricordato – Buongiorno Europa! Per ottant’anni abbiamo appaltato” la nostra
sicurezza “pensando che questo giorno non sarebbe venuto e che fosse gratis”, ma
aveva il prezzo del “condizionamento. Lo dico sempre la libertà ha un prezzo e
noi che al contrario di altri non abbiamo mai amato le ingerenze straniere da
qualsiasi parte arrivino abbiamo sempre preferito una costosa libertà a una
costosissima e apparentemente comoda servitù”.
E proprio in Europa una delle battaglie ingaggiate da Fratelli d’Italia è quella
sui Cpr in Albania. Battaglia sulla quale il governo sta iniziando a ottenere
risultati facilitata dalla volontà bipartisan di esternalizzare la gestione
dell’immigrazione: “L’Ue sta lavorando a un regolamento sui Paesi terzi sicuri
per mettere al riparo le nostre decisioni da sentenze della magistratura
politicizzata. Mi diverte immaginare cosa diranno i giudici visto che l’Ue sta
approvando una lista dove ci sono esattamente i Paesi da dove provengono i
migranti che le loro sentenze ideologiche hanno bloccato. Sta andando
esattamente come vi ho sempre detto, i centri in Albania funzioneranno grazie ai
giudici con un anno e mezzo di ritardo”.
Articolo in aggiornamento
L'articolo Meloni attacca Schlein dal palco di Atreju: “Sono venuti tutti i
leader, solo lei è rimasta a casa. Il loro campo largo lo abbiamo fatto qui”
proviene da Il Fatto Quotidiano.