Trappolone Atreju: Schlein in ritirata, Salvini ci mette il carico e Conte nega di aver fatto da sponda a Meloni

Il Fatto Quotidiano - Saturday, November 29, 2025

La complessa partita a scacchi sull’annuale kermesse dell’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia, Atreju, ha rapidamente degenerato in uno psicodramma politico, soprattutto per l’opposizione. L’invito iniziale, rivolto da FdI alla segretaria del Pd, Elly Schlein, che ha accettato purché si trattasse di un confronto a due con Giorgia Meloni, sembra essersi trasformato in una trappola, dopo la contromossa della premier che ha allargato l’invito anche al leader del M5s, Giuseppe Conte. Perché, ha spiegato, “non spetta a me stabilire chi è il leader opposizione”. E siccome Conte si è detto disponibile, pare proprio che Meloni sia riuscita e mettere il dito nella piaga della questione della leadership del campo largo, sulla quale il centrosinistra non ha ancora trovato la quadra.

A trasformare l’invito di FdI in un guanto di sfida è stata Schlein con la condizione irrinunciabile del vis-à-vis esclusivo con la premier. Per incalzare la presidente del Consiglio, la segretaria dem aveva subito espresso il sospetto che Meloni potesse “scappare” dal confronto, forse per timore dei risultati elettorali ottenuti dall’opposizione alle recenti elezioni regionali. Ma la risposta di Palazzo Chigi non si è fatta attendere, trasformando l’apparente vantaggio di Schlein in un possibile vicolo cieco. Meloni ha accolto la proposta del confronto ad Atreju, che ha sempre rivendicato come una “casa aperta al dialogo”, ma ha ribaltato i termini del duello, ponendo la condizione di allargare il dibattito anche a Conte. Due le ragioni ufficiali: la volontà di non mancare di rispetto al leader del M5s, che in passato aveva già partecipato ad Atreju, anche da Presidente del Consiglio e “senza imporre alcun vincolo”, ha ricordato lui stesso. La seconda e politicamente decisiva è il già citato “non spetta a me stabilire chi debba essere il leader dell’opposizione, quando il campo avverso non ne ha ancora scelto uno”. Punto per Meloni e palla irrimediabilmente nella metà campo avversaria.

In altre parole, sta a voi dirci chi è il leader. Questione che Schlein ha già proposto di risolvere in base al criterio “chi ha più voti” o alle classiche primarie di coalizione. Conte invece non si è ancora pronunciato, limitandosi a rivendicare la sua esperienza di premier, come a dire che in caso di primarie è intenzionato a giocarsela. Perché dunque fare favori a Schlein lasciandola sola sul palco di Atreju a interpretare la leader in pectore? Al contrario, ha dichiarato che confrontarsi è sempre positivo e che non si sarebbe sottratto, neanche in “trasferta”. A precisato di non aver agito da “sponda” per Meloni, esprimendo poi rammarico per il fatto che Schlein, saputo della sua disponibilità, abbia preferito “ritirarsi”. Come se a scappare, alla fine, fosse la segretaria dem. Che ha definito la soluzione di Meloni “ridicola”, ribadendo che Meloni era “scappata un’altra volta dal confronto”. E provando a rilanciare con una provocazione a tutto campo: se Meloni desiderava un “confronto di coalizione”, avrebbe dovuto portare anche Matteo Salvini e Antonio Tajani. A quel punto, l’opposizione avrebbe potuto schierare anche Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Mossa che ha portato il responsabile organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli, a chiudere definitivamente la discussione, sottolineando il dispiacere per il fatto che Schlein abbia declinato l’invito e chiarendo che un confronto diretto tra Meloni e l’opposizione sarà accolto “Quando l’opposizione avrà un leader unico e riconosciuto da tutti”.

Tutto finito? Nemmeno per sogno. L’indomani, venerdì 28 novembre, la polemica si anzi arricchita ulteriormente grazie alle reazioni incrociate tra opposizione e maggioranza. Matteo Salvini non ha perso occasione di dirsi disponibile a confrontarsi con Giuseppe Conte ad Atreju, in particolare per discutere del caso Open Arms e delle passate alleanze politiche di Conte, riferendosi con tutta probabilità al passaggio dal primo governo Conte, quello dell’alleanza tra Lega e M5s, a quello successivo, dove il Movimento si alleò col Pd e votò l’autorizzazione a procedere nei confronti del leader leghista sul caso del sequestro dei migranti. Ribadendo la sua disponibilità, Conte ha lamentato che l’occasione fosse stata persa, impedendo di incalzare Meloni sulle “questioni” reali del Paese, come l’economia stagnante, il Pil vicino allo zero e la pressione fiscale in crescita, temi sui quali le opposizioni avevano anche trovato un’intesa sugli emendamenti alla manovra. Insomma, a restare col cerino in mano pare proprio la segretaria dem e a metterci il carico è stato l’alleato del M5s. Non a caso, il commento più severo è arrivato dall’ex portavoce di Conte, Rocco Casalino, che ha parlato di “errore politico” di Schlein. Che avrebbe sbagliato tutto cercando di “imporsi come leader dell’opposizione”, una leadership che non può essere “autoproclamata”. Secondo Casalino la leader dem avrebbe consolidato l’immagine di un Pd “supponente, radical chic” e avrebbe irritato gli alleati, in particolare per aver accostato Conte, “due volte premier”, a Salvini e per aver ridotto altre forze politiche come AVS a ruoli “accessori”. E così facendo avrebbe fornito a Meloni l’alibi per defilarsi da un dibattito sui numeri reali del governo.

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