Dal caso della famiglia nel bosco emerge oscurantismo e opportunismo

Il Fatto Quotidiano - Sunday, November 30, 2025

A proposito del baccano mediatico sulla famiglia separata dai servizi sociali, giunta dall’Australia per accamparsi nei boschi di Palmoli, in provincia di Chieti, possiamo far finta che il tormentone divisivo non dipenda dal fatto che incombe a breve l’ordalia referendaria sul diritto-dovere della magistratura italiana di svolgere il proprio ruolo senza asservimenti al potere partitico; con relativi regolamenti di conti?

Suggerisco questa operazione mentale perché gli spurghi di risentimento emotivo scatenati dalla vicenda hanno portato alla luce pulsioni e retro-pensieri inconfessati della falange che sta occupando manu militari la struttura istituzionale del nostro Paese. Un singolare mix oscurantismo-opportunismo. A tale scopo prendiamo spunto dal “parlar chiaro” di uno dei nostri massimi pensatori politici contemporanei: Matteo Salvini. Il colosso intellettuale che ha commentato la separazione, per ordine del tribunale abruzzese, di Catherina Birmingham e Nathan Trévaillon dai loro tre figli, fatti vivere in una baracca fatiscente e a rischio di malattie polmonari, finiti all’ospedale per avvelenamento alimentare (il motivo per cui era scattata l’indagine delle strutture sociali sulla situazione a rischio per i minori coinvolti), con una frase perentoria: “hanno rapito bambini”. Cui fa seguito l’assunto decisivo: “non si strappano bambini ai loro papà e mamma”.

Quanto siamo lontani, con questa idealizzazione a prescindere del nucleo familiare, dalla messa in guardia da parte di un filosofo novecentesco non propriamente minore – Bertand Russell – il quale osservava nel lontano 1957 che la genitorialità, proprio per la delicatezza del ruolo, “andrebbe affidata a chi ha superato una prova di idoneità”. In altre parole, come si richiede la patente per guidare, Russell ipotizzava un pubblico esame per chi pretende di educare la prole, in un nucleo familiare che già a quei tempi dava segni di decadenza; oggi acuiti dalla crescente fuga dal ruolo genitoriale (mentre crescono le denunce di molestie paterne verso le figlie e di connivenze materne a tale scempio). Insomma, la famiglia mulino bianco trionfa solo nei deliri comiziali del Salvini rosario-munito.

Questo familismo idealizzato si riafferma nella trimurti meloniana dei capisaldi di destra. Un vero e proprio falso storico. Infatti il propugnatore del combinato “Dio-Patria-Famiglia” non è qualche teorico del Fascismo, bensì niente meno che Giuseppe Mazzini, nel suo aureo libello “Dei doveri dell’uomo” anno di grazia 1860. Comunque il testo di un pensatore retroverso che, con Proudhon, sognava comunità di piccoli artigiani mentre andava affermandosi la società industriale. Visione che Marx considerava tossica per il nascente proletariato di fabbrica, proprio perché ostile a quel conflitto sociale con cui il movimento operaio si conquistò diritti e dignità.

Come depistante risultava e risulta il mito patriottico (per Samuel Johnson “l’estremo rifugio delle canaglie”) con cui mezzo secolo dopo la propaganda bellica convogliò masse, tendenzialmente internazionaliste e pacifiste, verso la mattanza nelle trincee della Grande Guerra sventolando bandiere e intonando canti guerreschi. E qui passiamo dall’oscurantismo all’opportunismo: l’incongruenza tra la mitizzazione sovranista della Nazione e le pratiche di indebolimento dello Stato, presentato come prevaricatore delle istituzioni “naturali” famiglia e comunità. Del resto in evidente contrasto con la statolatria della dottrina fascista; ispirata all’idea di Stato-Etico promossa dal filosofo del regime Giovanni Gentile.

Dove nasce il tradimento meloniano? Semplice: la recezione acritica della propaganda della destra americana anti New Deal all’insegna di un individualismo anarcoide sfrenato. Per cui lo Stato è la bestia da affamare con campagne anti-tasse, finalizzate a sbaraccare le politiche sociali roosveltiane. Propaganda a pronta presa per menti semplici; i votanti della svolta reazionaria oggi al potere in tutto l’Occidente. Quelle menti facilmente manipolabili, non di rado preda delle dottrine New Age e relative sette. Per cui un adepto dei Testimoni di Geova rifiuta trasfusioni di sangue per un ipotetico divieto biblico. Per cui la famiglia neo-rurale di Palmoli rifiutava impianti sanitari ed elettricità ma non Internet. Anche perché così la madre poteva vendere a botte di 100 euro le sue prestazioni di sensitiva, specializzata in recupero di animali.

Insomma un guazzabuglio di dabbenaggine, fanatismo e furberia che la destra nostrana ha sempre cavalcato elettoralmente. Ricordate il “siero Bonifacio”, dal nome del veterinario siciliano che ricavava dall’urina di capra un farmaco antitumorale, osteggiato dalla comunità scientifica? Beh, nell’acceso dibattito che ne seguì, fu l’allora leader della destra post-fascista Gianfranco Fini a propugnare il diritto del popolo di scegliersi la cura preferita. A farsi truffare.

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