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Famiglia nel bosco, così mi immagino i dialoghi (ironici) tra la mamma neo-rurale e il figlio
“Mamma, i miei compagni di gioco hanno la coda e io no! Voglio una coda anche io!” “Ma tu non sei uno scoiattolo amore mio, non puoi avere la coda” “Voglio arrampicarmi sugli alberi anche io come fanno i miei compagni” “Ma amore, ascolta, le tue unghie sono più deboli e poi non hai i cuscinetti plantari, non sei uno scoiattolo, come devo dirtelo!!!” “Mamma, ma allora che caspita ci facciamo nei boschi se non posso essere uno scoiattolo?” “Amore mio, noi viviamo nei boschi perché amiamo e rispettiamo la natura, viviamo con i prodotti del nostro orto, capisci?” “Mamma, l’altro giorno camminando nel bosco ho visto l’etichetta di una cosa che si chiama Nutella, che cos’è?” “Non nominare più quella cosa diabolica!” “Nutella, Nutella, Nutella!” “Vai subito in castigo dietro la betulla!” “Mamma, la betulla no, ti prego!” “Allora non nominare più la Nutella, la Nutella è il diavolo!” “Mamma, perdonami, senti, voglio chiederti un’altra cosa, chi era Walt Disney?” “Chi ti ha insegnato questa parolaccia? Dove l’hai sentita?” “L’altro giorno nel bosco c’era uno strano bambino che stava guardando dentro una tavoletta luminosa una cosa chiamata Bambi” “Ascolta tesoro, quelli si chiamano cartoni animati e sono cose finte, noi amiamo la natura vera, i Bambi veri, capisci la fortuna che hai?” “No mamma, non capisco, a me sembrava bello anche il Bambi finto, mi stava piacendo molto” “Se ti sento nominare ancora Bambi e Nutella lo dico al papà!” “Mamma, ti prego, non farlo” “Figlio mio, non fare arrabbiare chi ti ha messo al mondo” “Mamma, ma il mondo è un bosco?” “Il mondo vero sì, le città sono luoghi di perdizione” “Mamma, ma io voglio perdermi in tutti i mondi che ha il mondo. Ne ho piene le palle delle betulle e di tutti gli altri alberi!” “Ma come parli? Disgraziato!” “Mamma, io voglio i popcorn al caramello!” “Chi ti ha fatto assaggiare queste cose assurde?” “Sempre quel bambino strano, mentre guardava Bambi mi ha fatto assaggiare questi popcorn al caramello, mi piacciono più dei funghi, mammina!” “Tu non sai quello che dici, i popcorn al caramello sono cacca!” “Allora a me piace la cacca!” “Vai subito dietro la betulla, in castigo!” “Mamma, io amo la rivoluzione francese! Voglio essere un cittadino!” “Ma sei matto? Ma dove hai letto queste cose?” “Sempre quel bambino, quel bambino con la tavoletta luminosa, dopo Bambi mi ha parlato di un certo Robespierre” “Ma tu guarda, devi esserti imbattuto in un bambino prodigio, non devi ascoltare quei bambini, sono cattivi!” “Mamma, a me sembrava tanto simpatico quel bambino e mi sembrava felice con i popcorn al caramello, Bambi e Robespierre!” “Ora ti ci porto per le orecchie dietro la betulla!” “Provaci e ti denuncio al telefono azzurro!” “Telefono azzurro? Fammi indovinare, sempre quel bambino maledetto ti ha parlato di questo telefono azzurro?” “Sì, sì, mammina” “Porca miseria, non ci sono più i boschi di una volta!” The end L'articolo Famiglia nel bosco, così mi immagino i dialoghi (ironici) tra la mamma neo-rurale e il figlio proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Famiglia nel bosco, perché non sono d’accordo con la decisione di allontanare i figli
Da settimane la vicenda della famiglia che ha scelto di vivere in un bosco situato nella provincia di Chieti sta infiammando il dibattito sui media e l’opinione pubblica si è spaccata in due fronti contrapposti, tra chi ritiene che la decisione del tribunale di allontanare i figli dai due genitori sia una giusta e sacrosanta applicazione della legge e chi invece sostiene che si tratti di un abuso di potere da parte delle istituzioni. Le motivazioni che hanno indotto i magistrati a togliere la potestà genitoriale alla coppia anglo-australiana collocando i figli in una casa famiglia a Vasto includono vari fattori, tra cui la presunta inadempienza dell’obbligo scolastico e sanitario per i minori che hanno tra i 6 e gli 8 anni, la presunta mancanza di occasioni di socializzazione a cui i bambini sarebbero costretti dalle scelte esistenziali dei genitori e le caratteristiche dell’abitazione, sprovvista delle idonee condizioni igienico-sanitarie. A complicare il quadro, la recente notizia della rinuncia del loro avvocato difensore a proseguire il mandato perché, a suo dire, la coppia avrebbe opposto una serie di dinieghi all’offerta dell’amministrazione comunale e di alcuni privati cittadini intenzionati a concedere loro un’abitazione alternativa in attesa che la cascina nel bosco venga ristrutturata e dotata di adeguati servizi igienici. Una versione che viene completamente smentita dai diretti interessati che, attraverso i nuovi legali subentrati a quello precedente, hanno dichiarato di aver potuto finalmente prendere visione delle richieste delle autorità scritte in lingua inglese e di essere disposti ad un atteggiamento conciliante pur di riabbracciare i propri bambini e ritornare alla vita serena che conducevano prima che i servizi sociali irrompessero nella loro quotidianità, fatta di scelte forse estreme ma sempre consapevoli tra coltivazione di frutta e verdura, fonte principale della propria dieta vegetariana insieme al pane fatto nella cucina a legna, animali da cortile allevati a scopo di compagnia e non di alimentazione, rifiuto dell’energia elettrica e dell’acqua corrente – a loro dire inquinata dal cloro – e di una modernità che non soddisfa per niente il loro concetto di felicità. Perché a mio avviso è proprio di questo che si tratta, del diritto alla felicità, alla libertà e all’autodeterminazione di ogni individuo di poter disporre della propria vita come meglio crede. Soprattutto alla luce di quanto è stato accertato non più di qualche giorno fa, quando dai database della Asl competente e dal Ministero dell’Istruzione sono emersi documenti in cui si attesta che i bambini possiedono regolarmente il libretto sanitario, hanno un medico curante, hanno ricevuto il vaccino esavalente e hanno rispettato l’obbligo scolastico attraverso gli esami che confermano la validità dell’istruzione parentale. Per quel che riguarda il diritto alla socializzazione e alla frequentazione di loro coetanei, la questione è controversa perché – contrariamente a chi afferma che i piccoli sarebbero isolati dal resto del mondo – ci sono parecchie testimonianze di famiglie che abitano nei pressi del bosco che raccontano di come i propri figli abbiano trascorso interi pomeriggi giocando e divertendosi all’aria aperta, proprio con i tre bambini che ora si trovano all’interno della comunità protetta. A questo riguardo possiamo forse affermare che i bambini e i ragazzi che vivono nel comfort e negli agi degli appartamenti nei condomini delle nostre città, spesso chiusi nelle loro camerette chini sugli smartphone o incollati alla playstation, abbiano grandi occasioni di socializzare con altri coetanei? Rimane dirimente la questione della casa rurale sprovvista dei servizi igienici che potrà essere facilmente risolta con la ristrutturazione prevista, ma anche in questo caso perché una persona o un nucleo familiare dovrebbe essere costretto ad adeguarsi alla modernità se il suo stile di vita e le sue convinzioni non lo prevedono? “Vai finalmente a stare in città, là troverai le cose che non hai trovato qui, potrai lavarti in casa senza andar giù nel cortile” diceva un giovane Adriano Celentano al suo alter ego ragazzo della via Gluck, non troppo convinto della scelta di abbandonare la sua vecchia e amata dimora. Non succedeva certo nel medioevo ma solo qualche decennio fa e certamente molti di noi saranno felici di essere nati in tempi più recenti. Ma se l’idea di potersi godere un bel bagno caldo in una vasca idromassaggio a due piazze è un’opzione del tutto lecita e rispettabile, lo è altrettanto quella di chi sceglie di vivere in una casa di pietra in mezzo alla natura. Con il bagno nel bosco. L'articolo Famiglia nel bosco, perché non sono d’accordo con la decisione di allontanare i figli proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Dal caso della famiglia nel bosco emerge oscurantismo e opportunismo
A proposito del baccano mediatico sulla famiglia separata dai servizi sociali, giunta dall’Australia per accamparsi nei boschi di Palmoli, in provincia di Chieti, possiamo far finta che il tormentone divisivo non dipenda dal fatto che incombe a breve l’ordalia referendaria sul diritto-dovere della magistratura italiana di svolgere il proprio ruolo senza asservimenti al potere partitico; con relativi regolamenti di conti? Suggerisco questa operazione mentale perché gli spurghi di risentimento emotivo scatenati dalla vicenda hanno portato alla luce pulsioni e retro-pensieri inconfessati della falange che sta occupando manu militari la struttura istituzionale del nostro Paese. Un singolare mix oscurantismo-opportunismo. A tale scopo prendiamo spunto dal “parlar chiaro” di uno dei nostri massimi pensatori politici contemporanei: Matteo Salvini. Il colosso intellettuale che ha commentato la separazione, per ordine del tribunale abruzzese, di Catherina Birmingham e Nathan Trévaillon dai loro tre figli, fatti vivere in una baracca fatiscente e a rischio di malattie polmonari, finiti all’ospedale per avvelenamento alimentare (il motivo per cui era scattata l’indagine delle strutture sociali sulla situazione a rischio per i minori coinvolti), con una frase perentoria: “hanno rapito bambini”. Cui fa seguito l’assunto decisivo: “non si strappano bambini ai loro papà e mamma”. Quanto siamo lontani, con questa idealizzazione a prescindere del nucleo familiare, dalla messa in guardia da parte di un filosofo novecentesco non propriamente minore – Bertand Russell – il quale osservava nel lontano 1957 che la genitorialità, proprio per la delicatezza del ruolo, “andrebbe affidata a chi ha superato una prova di idoneità”. In altre parole, come si richiede la patente per guidare, Russell ipotizzava un pubblico esame per chi pretende di educare la prole, in un nucleo familiare che già a quei tempi dava segni di decadenza; oggi acuiti dalla crescente fuga dal ruolo genitoriale (mentre crescono le denunce di molestie paterne verso le figlie e di connivenze materne a tale scempio). Insomma, la famiglia mulino bianco trionfa solo nei deliri comiziali del Salvini rosario-munito. Questo familismo idealizzato si riafferma nella trimurti meloniana dei capisaldi di destra. Un vero e proprio falso storico. Infatti il propugnatore del combinato “Dio-Patria-Famiglia” non è qualche teorico del Fascismo, bensì niente meno che Giuseppe Mazzini, nel suo aureo libello “Dei doveri dell’uomo” anno di grazia 1860. Comunque il testo di un pensatore retroverso che, con Proudhon, sognava comunità di piccoli artigiani mentre andava affermandosi la società industriale. Visione che Marx considerava tossica per il nascente proletariato di fabbrica, proprio perché ostile a quel conflitto sociale con cui il movimento operaio si conquistò diritti e dignità. Come depistante risultava e risulta il mito patriottico (per Samuel Johnson “l’estremo rifugio delle canaglie”) con cui mezzo secolo dopo la propaganda bellica convogliò masse, tendenzialmente internazionaliste e pacifiste, verso la mattanza nelle trincee della Grande Guerra sventolando bandiere e intonando canti guerreschi. E qui passiamo dall’oscurantismo all’opportunismo: l’incongruenza tra la mitizzazione sovranista della Nazione e le pratiche di indebolimento dello Stato, presentato come prevaricatore delle istituzioni “naturali” famiglia e comunità. Del resto in evidente contrasto con la statolatria della dottrina fascista; ispirata all’idea di Stato-Etico promossa dal filosofo del regime Giovanni Gentile. Dove nasce il tradimento meloniano? Semplice: la recezione acritica della propaganda della destra americana anti New Deal all’insegna di un individualismo anarcoide sfrenato. Per cui lo Stato è la bestia da affamare con campagne anti-tasse, finalizzate a sbaraccare le politiche sociali roosveltiane. Propaganda a pronta presa per menti semplici; i votanti della svolta reazionaria oggi al potere in tutto l’Occidente. Quelle menti facilmente manipolabili, non di rado preda delle dottrine New Age e relative sette. Per cui un adepto dei Testimoni di Geova rifiuta trasfusioni di sangue per un ipotetico divieto biblico. Per cui la famiglia neo-rurale di Palmoli rifiutava impianti sanitari ed elettricità ma non Internet. Anche perché così la madre poteva vendere a botte di 100 euro le sue prestazioni di sensitiva, specializzata in recupero di animali. Insomma un guazzabuglio di dabbenaggine, fanatismo e furberia che la destra nostrana ha sempre cavalcato elettoralmente. Ricordate il “siero Bonifacio”, dal nome del veterinario siciliano che ricavava dall’urina di capra un farmaco antitumorale, osteggiato dalla comunità scientifica? Beh, nell’acceso dibattito che ne seguì, fu l’allora leader della destra post-fascista Gianfranco Fini a propugnare il diritto del popolo di scegliersi la cura preferita. A farsi truffare. L'articolo Dal caso della famiglia nel bosco emerge oscurantismo e opportunismo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La storia della famiglia nel bosco rivela qualcosa di noi e di un’Italia diversa
La storia dei tre bambini e della famiglia del bosco mi ha profondamente colpito. Forse perché, in qualche modo, mi riporta a certi episodi della mia adolescenza quando bastava vivere “fuori dal coro” per diventare un problema. Forse perché vedere una famiglia unita dividersi all’improvviso tocca corde che non hanno a che fare con la cronaca, ma con ciò che siamo, con ciò che temiamo, con ciò che proteggiamo. Questa vicenda, per me, è prima di tutto una questione culturale. Una lente che ci obbliga a guardare un’Italia che non è una sola, ma tante: urbana e rurale, digitale e contadina, moderna e arcaica. E quando queste Italie si sfiorano senza capirsi, nasce quello spazio di incomprensione in cui tutto diventa più fragile, più confuso, più rumoroso. Non posso ignorare ciò che questa storia rivela di noi: quanto facciamo fatica ad accogliere ciò che non rientra nei modelli dominanti, quanto ci spaventa chi vive seguendo coordinate diverse dalle nostre. E magari la risposta sta proprio qui: imparare a riconoscere che le differenze non sono minacce, ma domande. Domande che ci chiedono ascolto, rispetto, e la capacità di non ridurre tutto a bianco o nero. Dietro ogni vicenda ci sono vite vere, scelte, fragilità e legami che meritano di essere guardati con più umanità e meno fretta. Ed è questo, alla fine, ciò che sento: che al centro non ci sono etichette, schieramenti o teorie. Ci sono tre bambini. E tutte le domande che il loro vuoto lascia sospese. Illustrazione di Diego Cusano L'articolo La storia della famiglia nel bosco rivela qualcosa di noi e di un’Italia diversa proviene da Il Fatto Quotidiano.
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