
La spaccatura su Israele nel mondo Maga dopo l’assassinio di Charlie Kirk pare irreversibile
Il Fatto Quotidiano - Monday, December 1, 2025di Tobia Davico
Dopo l’assassinio dell’attivista Maga Charlie Kirk, si sono spese tante parole per celebrarlo o per condannarlo. I Repubblicani hanno immediatamente santificato Kirk come martire della libertà di parola, mentre parte del mondo Dem gli rinfacciava di aver causato da sé la propria tragica fine, avendo promosso per anni posizioni reazionarie e divisive. Il discorso mainstream – anche in Italia – non è mai andato al di là di questo livello molto superficiale di analisi. La verità è che, se analizzato a fondo, il caso Kirk offre una chiave di lettura per comprendere una spaccatura molto profonda e significativa in atto nel mondo Maga.
La versione ufficiale fornita dall’Fbi vede un unico colpevole, un lone shooter come se ne sono visti tanti nella storia degli omicidi politici in America (vedi il caso Jfk). Non solo, l’accusato Tyler Robinson sarebbe il nemico perfetto per il mondo Maga: proviene da una famiglia conservatrice, da cui però ha preso le distanze; è descritto nella narrazione mediatica come un “estremista di sinistra” radicalizzato online, che convive con un fidanzato queer in fase di transizione. Insomma: ecco il capro espiatorio, caso risolto.
Eppure, una larga maggioranza del mondo trumpiano (ma anche molti “a sinistra” o tra gli indipendenti) non crede a questa versione dei fatti. Le ragioni sono molteplici. Per dirne una: il direttore dell’Fbi, Kash Patel, già non gode di buona fiducia a causa della gestione confusa e contraddittoria del caso Epstein, che ha causato un vero scossone tra i Repubblicani. Basti sapere che c’è ragione di ritenere che Epstein fosse legato al Mossad; e questo è uno dei temi chiave. Ma questo è solo uno degli aspetti di uno smottamento più profondo, uno shift culturale nel mondo repubblicano rispetto alle influenze israeliane sulla politica Usa, in contrasto con l’agenda America First.
Dopo il 7 ottobre, numerose voci molto popolari nell’ecosistema mediatico Maga hanno assunto posizioni nettamente critiche nei confronti di Israele. Due su tutti: Candace Owens e Tucker Carlson. Candace, amica di vecchia data e collaboratrice di Kirk, è stata cacciata dall’outlet sionista The Daily Wire e da Turning Point Usa (Tpusa), dando vita a un proprio show indipendente ora tra i più seguiti al mondo; Carlson, già bandito da Fox News per le sue posizioni anti-interventiste sull’Ucraina, è stato ulteriormente ostracizzato dall’establishment repubblicano. Eppure le loro voci rimangono estremamente influenti. I recenti sondaggi su Israele mostrano un crollo nella base elettorale repubblicana che qualche anno fa era impensabile. Specialmente tra i repubblicani nella fascia under 30, il supporto per Israele è ormai una posizione di netta minoranza.
E qui torniamo al caso Kirk: infatti proprio questo era ed è il pubblico di Tpusa, i giovani conservatori di età universitaria. Nell’ultimo anno Kirk ha percepito ed accolto questa ondata di scetticismo rispetto ai rapporti tra gli Usa e lo stato di Israele. Lo stesso Kirk, che aveva sempre mantenuto una posizione di default pro-israeliana (anche per il suo orientamento cristiano evangelico) aveva nell’ultimo anno iniziato ad assumere sul tema una postura prima solo moderatamente critica e via via sempre più netta. Sul suo show ha più volte messo in dubbio la narrazione sul 7 ottobre, insinuando che il governo di Netanyahu l’abbia volontariamente lasciato accadere per perseguire i propri scopi; e ha sollevato forti dubbi circa il fatto che il supporto americano alla macchina bellica israeliana possa essere sempre giustificato e in linea con i reali interessi americani (certo, è una critica ”da destra”). A giugno, con l’aggressione israeliana ai danni dell’Iran, Kirk ha espresso la sua assoluta contrarietà al coinvolgimento americano su questo fronte; tanto da chiedere con urgenza un incontro con Trump alla Casa Bianca per convincerlo a non farsi ulteriormente trascinare dalle politiche folli di Netanyahu. Tucker Carlson riporta che Trump cacciò Kirk da quell’incontro a male parole.
Quest’estate ha destato scandalo per aver ospitato lo stesso Carlson ad un importante evento di Tpusa in Florida, durante il quale il giornalista ha esplicitamente denunciato il controllo che i sionisti esercitano sulla politica americana, citando fra gli altri temi proprio il caso Epstein. Poco dopo Kirk ha ospitato un dibattito sul tema tra Josh Hammer, noto giornalista filo-israeliano, e Dave Smith, comico e opinionista ebreo anti-sionista. In questa fase, poco prima della sua morte, Charlie Kirk ha denunciato a più riprese di stare ricevendo fortissime pressioni, “bullismo”, minacce da parte dei miliardari sionisti che finanziano Tpusa, che pretendevano facesse marcia indietro su questa “apertura” a posizioni “anti-israeliane”. Candace Owens ha di recente pubblicato messaggi privati in cui Kirk dichiarava di non poter accettare questo tipo di ricatto morale e di sentirsi “costretto ad abbandonare la posizione pro-israeliana”.
La traiettoria di Kirk nell’ultimo anno è molto chiara. E le stranissime reazioni dell’ecosistema mediatico ultrasionista hanno destato nella base Maga (e non solo) molti sospetti di un plausibile coinvolgimento israeliano nel suo omicidio – a partire dalla santificazione di Kirk come fedele difensore della causa israeliana, che lo stesso Netanyahu ha promosso immediatamente dopo l’attentato, ignorando appunto gli evidenti contrasti degli ultimi mesi. Certamente Kirk è più utile da morto che da vivo alla causa sionista.
Al di là degli sviluppi che forse emergeranno da questo caso, resta un fatto cruciale. Vale a dire: questa rottura nella destra americana è in atto e pare irreversibile. Nonostante gli sforzi dell’apparato mediatico di sistema nell’oscurare questa realtà, nell’opinione pubblica statunitense un fronte anti-sionista trasversale a tutto l’arco politico sta prendendo forma. E questo è un fatto epocale.
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