Vent’anni fa, il 22 novembre 2005, Angela Merkel – prima cancelliera donna nella
storia della Germania – inaugurava il suo primo governo. Sarebbe rimasta alla
guida del paese per 16 anni sino all’8 dicembre 2021. Per rendere bene l’idea,
basta considerare che nello stesso periodo in Italia si sarebbero succeduti i
governi Berlusconi III, Prodi II, Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni,
Conte I, Conte II, Draghi.
Il primo passo che l’avrebbe condotta alla cancelleria lo mosse nel 2000, quando
fu eletta segretaria dell’Unione cristiano democratica (Cdu). Un partito
tradizionalmente dominato da uomini, e in quel momento concretamente dominata da
un uomo: Helmut Kohl, anche lui reduce da 16 anni di cancellierato, recentemente
travolto dallo scandalo dei fondi illeciti al partito. Merkel ne aveva fatto
pubblica abiura l’anno prima in un pezzo pubblicato dalla Frankfurter Allgemeine
che le guadagnò le inimicizie di alcuni esponenti di spicco del partito, tra cui
un giovane Friedrich Merz.
L’inevitabile paragone tra le politiche della Cdu dell’era Merkel e i proclami
psicotici dell’attuale governo Cdu a guida Merz sono una catarsi gattopardiana
all’incontrario: sembra che non sia cambiato nulla, e infatti è cambiato tutto.
Su immigrazione, diritti civili, transizione verde etc. nel giro di pochi anni
la Cdu è sostanzialmente diventata un’AfD che ce l’ha fatta.
Ma se c’è un ambito in cui la distanza tra Merkel e Merz è davvero siderale è la
difesa. Nel 2010, con l’appoggio dell’allora ministro della difesa Karl-Theodor
zu Guttenberg (quello che fu poi costretto a ritirarsi per aver scopiazzato la
tesi di dottorato) il governo Merkel approvò la più grande riforma delle forze
armate del dopoguerra riducendo l’organico da circa 250mila a 185mila effettivi
e abolendo la leva obbligatoria. Il successore di Guttenberg, Thomas de Mazière,
abbassò ulteriormente la soglia a 170mila.
Uno dice: grazie, mica c’era la guerra in Ucraina! Ma neanche nel 2014, quando
Putin annesse la Crimea, il governo tedesco ritenne opportuno correre al riarmo:
approvò sanzioni economiche contro la Russia e condannò pubblicamente la mossa
come inaccettabile violazione dell’integrità di uno stato sovrano. Ma allo
stesso tempo, Merkel (che parla russo) sottolineò sempre l’importanza di
mantenere aperto il dialogo con Putin (che parla tedesco). In un’intervista
dell’agosto 2014, rispondendo a un giornalista che le chiedeva se non ci fosse
il rischio che l’annessione venisse sostanzialmente accettata dalla comunità
internazionale, dichiarò: “Dovremo avere pazienza, ma anche la divisone della
Germania durò 40 anni, non fu mai accettata dalla Germania Federale e fu alla
fine superata pacificamente.”
Anche nel giugno 2021, quando si era ormai alla vigilia dell’invasione russa
dell’Ucraina, l’ormai dimissionaria Merkel (con l’appoggio del presidente
francese Hollande) sostenne la necessità di un vertice tra Putin ed Unione
Europea per affrontare il problema del Donbass e del mancato rispetto degli
accordi di Minsk, nella speranza di evitare un’escalation militare. Alle
critiche del premier ultranazionalista polacco Morawiecki che considerava l’idea
“un premio a Putin” fece notare che il dialogo tra capi di stato e di governo
era sempre esistito, persino durante la guerra fredda.
Invece l’incontro non si fece, perché ebbero la meglio Morawiecki e i suoi
colleghi baltici, come ha raccontato solo pochi giorni fa Angela Merkel in
un’intervista a Partisan (un portale indipendente ungherese), scatenando le
reazioni incontrollate di alcuni ministri degli esteri degli stati baltici. I
quali si troveranno certo a loro agio con la novella frenesia militaresca di
Friedrich Merz e del suo governo (di coalizione con la Spd), che è già riuscito
a cambiare la costituzione per allentare i vincoli di bilancio sulle spese
militari, far dichiarare al suo ministro degli esteri che la Russia sarebbe
sempre stata una minaccia per la sicurezza europea, annunciare di voler riarmare
la Germania fino a farle avere l’esercito più grande d’Europa (certi vizietti
sono duri a morire), valutare la reintroduzione della leva obbligatoria, portare
l’educazione alla guerra nelle scuole e, per la prima volta dalla fine della
seconda guerra mondiale, stazionare fino a 4.800 soldati al di fuori del
territorio tedesco. Dove? Proprio in uno stato baltico, la Lituania.
Merz è anche lo stesso che a giugno espresse sincera gratitudine per l’esercito
israeliano che sotto la brillante e coraggiosa guida di Benjamin Netanyahu
avrebbe fatto lo “sporco lavoro” di eliminare Hamas a beneficio di tutti noi.
Assumendo che almeno in quanto a longevità il governo Merz porti avanti la
tradizione della Cdu, se in soli 7 mesi è già riuscito a inanellare una simile
serie di traguardi, viene da chiedersi: dove arriverà nei restanti 15 anni e
mezzo? All’atomica?
L'articolo Dal pacifismo di Merkel al militarismo di Merz: così la Germania è
passata dal dialogo al riarmo in soli vent’anni proviene da Il Fatto Quotidiano.