Tutti pazzi per l’Egitto. La cosiddetta “Egittomania” parte da lontano, toccando
periodi storici che hanno caratterizzato l’Europa, come il Rinascimento, quando
l’opera Hieroglyphica fu scoperta a Firenze nel 1419 e attribuita ad Horapollon,
filosofo greco del V secolo dopo Cristo, nato a Nilopoli in Egitto appunto.
Oppure il furore egizio che accompagnò le conquiste napoleoniche. In pratica da
allora un pizzico di follia per l’Egitto ci ha sempre accompagnati. Solo che
oggi, diversamente da 200 anni fa, l’Antico Egitto e la civiltà che in esso si
sviluppò sono al centro dell’interesse non più solo della comunità scientifica a
vari livelli, ma anche del pubblico, proprio quello che due secoli fa non
esisteva e che oggi invece richiede sempre più di emozionarsi di fronte a un
reperto straordinario a una storia mai raccontata. Ed è per questo che al Cairo
è stato inaugurato il Grand Egyptian Museum, il più grande museo egizio al mondo
e uno dei più grandi musei archeologici esistenti dedicati ad un’unica civiltà.
Ispiratore del nuovo grande museo è Zahi Hawass, l’archeologo ed egittologo
egiziano di fama internazionale, già ministro del Turismo e delle Antichità
d’Egitto. Ilfattoquotidiano.it lo ha incontrato a Firenze, tra i protagonisti di
“Stefano Ricci Explorer Symposium”, incontro esclusivo con i nomi più autorevoli
dell’esplorazione mondiale, organizzato a Palazzo Vecchio. “Io sono colui che
praticamente ha costruito quel museo – afferma Hawass – dopo che nel 2002
ricevetti l’incarico dall’allora ministro della Cultura. Utilizzando i proventi
della mostra dedicata a Tutankhamon è stato finanziato il progetto della nuova
costruzione”. L’ex ministro concede il merito al presidente Al Sisi che ha
investito 2 miliardi di dollari e ha potuto rendere possibile il progetto,
“scelto – sottolinea Hawass – tra gli altri 1600 che avevano risposto al bando
lanciato nel 2002”.
Il museo ha dimensioni colossali – circa 450mila metri quadrati che ospitano
oltre 100mila reperti. Ma quali sono quelli da non perdere assolutamente? “Prima
di tutto la statua di Ramsete II – aggiunge l’archeologo -, e quelle degli altri
re e regine, poi le gallerie, i meravigliosi manufatti, ma più importanti di
tutti i 5mila oggetti del tesoro di Tutankhamon“. Non tutto è in mostra. Quali
altre sorprese può regalare l’Egitto? “Alcune le ho scoperte io. Per esempio la
Città dorata, le aree archeologiche di scavo di Saqqara dove scoprimmo la tomba
reale del figlio di un faraone. E comunque il 2026 sarà l’anno più importante
dal punto di vista archeologico”.
C’è poi il risvolto della medaglia, ovvero l’infinita dispersione dell’immenso
patrimonio dell’Antico Egitto in giro per il mondo. Cosa ne pensa Zahi Hawass?
Sostiene la tesi che gli oggetti provenienti dagli scavi siano diffusi sul
pianeta o è bene concentrare i reperti nei luoghi di rinvenimento? “Dirò due
cose: prima di tutto i musei devono smettere di acquistare reperti dell’Antico
Egitto. La seconda: io vorrei riportare in Egitto tre oggetti molto importanti.
La Stele di Rosetta in mostra al British Museum di Londra. Lo Zodiaco di Dendera
che si trova al Louvre di Parigi e per il quale ho aperto una petizione in
internet: appena sarà giunta a un milione di firme presenterò la formale
richiesta di restituzione alla Francia. E infine un’altra petizione riguarda la
Testa della regina Nefertiti che si trova al Neues Museum di Berlino“.
E se qualcuno ha sì un debole per l’antico Egitto, ma si trova impossibilitato a
recarsi al Cairo? Può intanto cercare soddisfazione nel visitare la grande
mostra Tesori dei Faraoni, in corso alle Scuderie del Quirinale di Roma fino al
3 maggio 2026. Curata da Tarek El Awady, che a suo tempo diresse proprio il
Museo Egizio del Cairo, la mostra propone 130 preziosi reperti, 108 dei quali
provengono dal suindicato Museo Egizio del Cairo, due manufatti giungono dal
Museo di Luxor e 20 sono quelli riportati alla luce durante i recenti scavi
condotti sulla riva occidentale di Luxor, nella cosiddetta “Città d’oro”, grazie
a una missione archeologica egiziana diretta dal suddetto Zahi Hawass. E proprio
quest’ultimo scrive nel bel catalogo che accompagna la mostra che “il più grande
monumento mai costruito dall’Egitto non fu una piramide o un tempio, ma l’idea
stessa di eternità”. E a quale elemento naturale possiamo affidare l’idea di
eternità se non all’oro? Infatti il metallo più prezioso, simbolo del divino e
dell’eternità, è il vero protagonista di questo itinerario nel mondo dell’antico
Egitto. Basta pensare al sarcofago dorato della regina Ahhotep II, per esempio,
alla Collana delle Mosche d’oro, che andava in premio a chi si era distinto in
battaglia, oppure al collare di Psusennes I, tutti oggetti che dimostrano quanto
l’ornamento potesse diventare linguaggio politico e riflesso di una teologia del
potere.
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Dalle mostre temporanee a quelle permanenti: infatti se da un lato gli amanti
dell’arte egizia in ogni momento dell’anno possono visitare i due musei italiani
dove più alta è la concentrazione di reperti appartenenti al polo delle Piramidi
– il Museo egizio di Torino e il Museo Archeologico Nazionale di Firenze -,
anche solo per curiosità vale la pena ricordare ciò che sta avvenendo su un muro
dell’antico complesso monumentale di Sant’Agostino, a Pietrasanta, in Versilia.
Qui un artista di origine siciliana – Tano Pisano – lo scorso luglio collocò un
murale di sei metri per due di altezza dedicato alla guerra israelo palestinese.
Erano settimane durissime e le notizie di continui eccidi e bombardamenti di
innocenti si rincorrevano. L’artista concepì l’opera – dal titolo emblematico
PACE – come un “puzzle” di 48 pannelli in plexiglas dipinti in maniera astratta
o figurativa, che appena un mese dopo la sua presentazione al pubblico iniziò
una lenta, inesorabile trasformazione: infatti un elemento per volta veniva
sostituito con un ritratto e via via così fino a dopo Natale, quando l’opera non
sarà più una costruzione poetica astratta, bensì un murale composto da quasi 50
volti dipinti dall’artista.
In pratica ogni settimana circa, due coloratissimi pannelli dipinti lasceranno
spazio a un numero sempre maggiore di immagini dei “ritratti del Fayyum”,
ispirate cioè ai dipinti straordinariamente realistici che datano tra il I
secolo avanti Cristo e il III dopo Cristo, e ritrovati nella famosa necropoli in
Egitto. Realizzati quando il protagonista era ancora in vita, dopo la sua morte
questi ritratti venivano attaccati ai sarcofagi del defunto e in pratica
rappresentano la “invenzione” dell’immagine del defunto sulla tomba che ancora
oggi viene collocata in alcuni cimiteri.
Da segnalare che già nella “iniziale versione” del murale PACE vi era un
ritratto del Fayyum che nella parte superiore reca le bandiere della Palestina e
di Israele, vicine, affiancate così tanto da non sembrare simboli di popoli in
lotta. Poi i ritratti degli antichi egizi defunti, sono aumentati a dismisura,
chiarendo che tutto ciò è pensato in funzione di una “chiamata alla pace”, da
contrapporre alle troppe “chiamate alle armi” che Tano Pisano – siciliano di
nascita e versiliese d’adozione – percepisce, poiché anche l’artista, come tanti
altri del resto, ammette di essere sopraffatto dalla realtà che rivela una
pericolosa mancanza di spazi mentali di libertà.
L'articolo Egittomania | Dal mega-museo inaugurato al Cairo al murale di
Pietrasanta passando per i tesori dei faraoni alle Scuderie del Quirinale
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