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E’ morto Bruno Paneghini, il pioniere dell’IT che ha creato un polo high-tech (con collezione d’arte) tra le mura di una vecchia fabbrica tessile
Un infarto fulminante ha stroncato, nella notte tra venerdì 28 e sabato 29 novembre, la vita di Bruno Paneghini. L’imprenditore, fondatore, presidente e amministratore delegato di Reti Spa, e figura centrale dell’imprenditoria tecnologica italiana, è morto improvvisamente all’età di 61 anni. La sua scomparsa lascia un vuoto non solo nel mondo dell’IT, ma anche in quello dell’arte e della formazione. A dare la notizia della sua scomparsa è proprio l’azienda, con un comunicato pubblicato sul sito. Nato a Busto Arsizio nel 1964, Paneghini aveva mosso i suoi primi passi professionali in aziende come Olivetti e Fininvest. Ma è nel 1994 che decise di costruire la sua visione, fondando una piccola società di consulenza informatica destinata a diventare in pochi anni Reti S.p.A., uno dei principali player italiani nel settore dell’IT Consulting e della System Integration con collaborazioni con colossi come Microsoft e Cisco. La sua azienda è stata la prima “B-Corp” italiana (società benefit) a quotarsi sul mercato EGM di Borsa Italiana, contando oggi oltre 300 dipendenti. Una crescita esponenziale, sostenuta da una filosofia d’impresa rara nel panorama italiano, che univa tecnologia, benessere, sostenibilità e cultura. La vera incarnazione della sua visione è il Campus Reti a Busto Arsizio, città un tempo nota come la “Manchester d’Italia” per la sua fiorente industria tessile. Paneghini aveva acquistato e recuperato lo storico Cotonificio Venzaghi, n complesso di oltre 20mila metri quadri di archeologia industriale, salvandolo dall’oblio: “Decisi di tornare a Busto Arsizio, terra d’origine dei miei genitori, e acquistai una villa ottocentesca in pieno centro. Quella che diventò la nostra sede e pure la mia abitazione”, ricordava Paneghini parlando degli esordi, prima che il Campus prendesse forma. Nei suoi 20mila metri quadrati, il Campus Reti è diventato un progetto artistico-culturale di grande respiro dove uffici e laboratori convivono con oltre 300 opere d’arte moderna e contemporanea della Collezione Paneghini, costituita insieme alla moglie Ilenia, come lui grande appassionata d’arte. In questo spazio ibrido, che Paneghini condivideva come abitazione con la moglie Ilenia, la Collezione Paneghini è parte integrante dell’esperienza lavorativa. Con oltre 400 opere tra dipinti, sculture e fotografie (che spaziano dai decenni centrali del Novecento all’arte contemporanea), la Collezione è esposta a rotazione in corridoi, uffici e sale riunioni, reinventando la tradizionale separazione tra lavoro e bellezza. Di sé, Paneghini diceva di credere in una cultura di impresa che potesse connettere diversi ambiti: l’obiettivo era “educare lo sguardo per nutrire l’immaginazione, far convivere pensiero tecnico e sensibilità estetica”. Questa visione si traduceva in iniziative pubbliche: il Campus ospita un auditorium che è sede di corsi di formazione, come quelli dell’ITS Incom, e iniziative aperte alla città. Paneghini portava avanti questa filosofia anche attraverso il podcast Reti dell’Arte, lanciato nel 2025 in collaborazione con Il Giornale dell’Arte, un ciclo di racconti dedicati al rapporto tra arte e impresa, dimostrando come la creatività fosse, per lui, il vero motore del successo. Un mecenatismo illuminato, che intendeva educare lo sguardo per nutrire l’immaginazione: “Il bello coniugato all’arte crea innumerevoli connessioni e interpretazioni, allarga gli orizzonti, stimola al dialogo e contribuisce al benessere delle persone“, diceva. La scomparsa del fondatore ha innescato un’immediata procedura di riorganizzazione della governance. Ai sensi di quanto previsto dall’articolo 21.16 dello statuto sociale di Reti, con il venir meno del Presidente e Amministratore Delegato Bruno Paneghini, l’intero Consiglio di Amministrazione si intende automaticamente decaduto. L’attuale CdA rimarrà in carica in regime di prorogatio per gli affari correnti e provvederà a convocare d’urgenza l’assemblea per la nomina del nuovo organo amministrativo. Dipendenti, collaboratori e consulenti di Reti si sono uniti nel ricordare la figura di Paneghini, confermando l’impegno a portare avanti il modello di business dell’azienda, che poggia oggi su basi solide di eccellenza professionale e sostenibilità. Alla comunità di Reti Spa e alla moglie Ilenia, il cordoglio della redazione de Ilfattoquotidiano.it L'articolo E’ morto Bruno Paneghini, il pioniere dell’IT che ha creato un polo high-tech (con collezione d’arte) tra le mura di una vecchia fabbrica tessile proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Egittomania | Dal mega-museo inaugurato al Cairo al murale di Pietrasanta passando per i tesori dei faraoni alle Scuderie del Quirinale
Tutti pazzi per l’Egitto. La cosiddetta “Egittomania” parte da lontano, toccando periodi storici che hanno caratterizzato l’Europa, come il Rinascimento, quando l’opera Hieroglyphica fu scoperta a Firenze nel 1419 e attribuita ad Horapollon, filosofo greco del V secolo dopo Cristo, nato a Nilopoli in Egitto appunto. Oppure il furore egizio che accompagnò le conquiste napoleoniche. In pratica da allora un pizzico di follia per l’Egitto ci ha sempre accompagnati. Solo che oggi, diversamente da 200 anni fa, l’Antico Egitto e la civiltà che in esso si sviluppò sono al centro dell’interesse non più solo della comunità scientifica a vari livelli, ma anche del pubblico, proprio quello che due secoli fa non esisteva e che oggi invece richiede sempre più di emozionarsi di fronte a un reperto straordinario a una storia mai raccontata. Ed è per questo che al Cairo è stato inaugurato il Grand Egyptian Museum, il più grande museo egizio al mondo e uno dei più grandi musei archeologici esistenti dedicati ad un’unica civiltà. Ispiratore del nuovo grande museo è Zahi Hawass, l’archeologo ed egittologo egiziano di fama internazionale, già ministro del Turismo e delle Antichità d’Egitto. Ilfattoquotidiano.it lo ha incontrato a Firenze, tra i protagonisti di “Stefano Ricci Explorer Symposium”, incontro esclusivo con i nomi più autorevoli dell’esplorazione mondiale, organizzato a Palazzo Vecchio. “Io sono colui che praticamente ha costruito quel museo – afferma Hawass – dopo che nel 2002 ricevetti l’incarico dall’allora ministro della Cultura. Utilizzando i proventi della mostra dedicata a Tutankhamon è stato finanziato il progetto della nuova costruzione”. L’ex ministro concede il merito al presidente Al Sisi che ha investito 2 miliardi di dollari e ha potuto rendere possibile il progetto, “scelto – sottolinea Hawass – tra gli altri 1600 che avevano risposto al bando lanciato nel 2002”. Il museo ha dimensioni colossali – circa 450mila metri quadrati che ospitano oltre 100mila reperti. Ma quali sono quelli da non perdere assolutamente? “Prima di tutto la statua di Ramsete II – aggiunge l’archeologo -, e quelle degli altri re e regine, poi le gallerie, i meravigliosi manufatti, ma più importanti di tutti i 5mila oggetti del tesoro di Tutankhamon“. Non tutto è in mostra. Quali altre sorprese può regalare l’Egitto? “Alcune le ho scoperte io. Per esempio la Città dorata, le aree archeologiche di scavo di Saqqara dove scoprimmo la tomba reale del figlio di un faraone. E comunque il 2026 sarà l’anno più importante dal punto di vista archeologico”. C’è poi il risvolto della medaglia, ovvero l’infinita dispersione dell’immenso patrimonio dell’Antico Egitto in giro per il mondo. Cosa ne pensa Zahi Hawass? Sostiene la tesi che gli oggetti provenienti dagli scavi siano diffusi sul pianeta o è bene concentrare i reperti nei luoghi di rinvenimento? “Dirò due cose: prima di tutto i musei devono smettere di acquistare reperti dell’Antico Egitto. La seconda: io vorrei riportare in Egitto tre oggetti molto importanti. La Stele di Rosetta in mostra al British Museum di Londra. Lo Zodiaco di Dendera che si trova al Louvre di Parigi e per il quale ho aperto una petizione in internet: appena sarà giunta a un milione di firme presenterò la formale richiesta di restituzione alla Francia. E infine un’altra petizione riguarda la Testa della regina Nefertiti che si trova al Neues Museum di Berlino“. E se qualcuno ha sì un debole per l’antico Egitto, ma si trova impossibilitato a recarsi al Cairo? Può intanto cercare soddisfazione nel visitare la grande mostra Tesori dei Faraoni, in corso alle Scuderie del Quirinale di Roma fino al 3 maggio 2026. Curata da Tarek El Awady, che a suo tempo diresse proprio il Museo Egizio del Cairo, la mostra propone 130 preziosi reperti, 108 dei quali provengono dal suindicato Museo Egizio del Cairo, due manufatti giungono dal Museo di Luxor e 20 sono quelli riportati alla luce durante i recenti scavi condotti sulla riva occidentale di Luxor, nella cosiddetta “Città d’oro”, grazie a una missione archeologica egiziana diretta dal suddetto Zahi Hawass. E proprio quest’ultimo scrive nel bel catalogo che accompagna la mostra che “il più grande monumento mai costruito dall’Egitto non fu una piramide o un tempio, ma l’idea stessa di eternità”. E a quale elemento naturale possiamo affidare l’idea di eternità se non all’oro? Infatti il metallo più prezioso, simbolo del divino e dell’eternità, è il vero protagonista di questo itinerario nel mondo dell’antico Egitto. Basta pensare al sarcofago dorato della regina Ahhotep II, per esempio, alla Collana delle Mosche d’oro, che andava in premio a chi si era distinto in battaglia, oppure al collare di Psusennes I, tutti oggetti che dimostrano quanto l’ornamento potesse diventare linguaggio politico e riflesso di una teologia del potere. > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da Scuderie del Quirinale (@scuderiequirinale) Dalle mostre temporanee a quelle permanenti: infatti se da un lato gli amanti dell’arte egizia in ogni momento dell’anno possono visitare i due musei italiani dove più alta è la concentrazione di reperti appartenenti al polo delle Piramidi – il Museo egizio di Torino e il Museo Archeologico Nazionale di Firenze -, anche solo per curiosità vale la pena ricordare ciò che sta avvenendo su un muro dell’antico complesso monumentale di Sant’Agostino, a Pietrasanta, in Versilia. Qui un artista di origine siciliana – Tano Pisano – lo scorso luglio collocò un murale di sei metri per due di altezza dedicato alla guerra israelo palestinese. Erano settimane durissime e le notizie di continui eccidi e bombardamenti di innocenti si rincorrevano. L’artista concepì l’opera – dal titolo emblematico PACE – come un “puzzle” di 48 pannelli in plexiglas dipinti in maniera astratta o figurativa, che appena un mese dopo la sua presentazione al pubblico iniziò una lenta, inesorabile trasformazione: infatti un elemento per volta veniva sostituito con un ritratto e via via così fino a dopo Natale, quando l’opera non sarà più una costruzione poetica astratta, bensì un murale composto da quasi 50 volti dipinti dall’artista. In pratica ogni settimana circa, due coloratissimi pannelli dipinti lasceranno spazio a un numero sempre maggiore di immagini dei “ritratti del Fayyum”, ispirate cioè ai dipinti straordinariamente realistici che datano tra il I secolo avanti Cristo e il III dopo Cristo, e ritrovati nella famosa necropoli in Egitto. Realizzati quando il protagonista era ancora in vita, dopo la sua morte questi ritratti venivano attaccati ai sarcofagi del defunto e in pratica rappresentano la “invenzione” dell’immagine del defunto sulla tomba che ancora oggi viene collocata in alcuni cimiteri. Da segnalare che già nella “iniziale versione” del murale PACE vi era un ritratto del Fayyum che nella parte superiore reca le bandiere della Palestina e di Israele, vicine, affiancate così tanto da non sembrare simboli di popoli in lotta. Poi i ritratti degli antichi egizi defunti, sono aumentati a dismisura, chiarendo che tutto ciò è pensato in funzione di una “chiamata alla pace”, da contrapporre alle troppe “chiamate alle armi” che Tano Pisano – siciliano di nascita e versiliese d’adozione – percepisce, poiché anche l’artista, come tanti altri del resto, ammette di essere sopraffatto dalla realtà che rivela una pericolosa mancanza di spazi mentali di libertà. L'articolo Egittomania | Dal mega-museo inaugurato al Cairo al murale di Pietrasanta passando per i tesori dei faraoni alle Scuderie del Quirinale proviene da Il Fatto Quotidiano.
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