di Alberto Minnella
In Sicilia il credito alle PMI non riparte, e non per carenza di risorse nel
sistema. Gli istituti presenti sull’isola mostrano solidità patrimoniale,
raccolta stabile e margini che risentono meno del previsto della discesa dei
tassi. Eppure proprio nel territorio che avrebbe più bisogno di investimenti il
rubinetto resta solo parzialmente aperto. La regione diventa così un banco di
prova di quanto il sistema bancario italiano riesca davvero a sostenere
l’imprenditoria più fragile. Le cifre sono nette: solo il 27% delle microimprese
siciliane ottiene un finanziamento e il 22,8% delle richieste viene respinto,
contro una media nazionale del 13,5%.
Secondo l’ultimo rapporto L’economia della Sicilia (Banca d’Italia, 2025), la
contrazione dei prestiti alle imprese si è attenuata nei mesi estivi fino quasi
ad annullarsi. Un dato positivo, ma ancora ciclico e non strutturale: i flussi
restano deboli e il rimbalzo non modifica il quadro di fondo. La qualità del
credito mostra inoltre un leggero deterioramento, con il tasso di non performing
in crescita dall’1,8 al 2%. Un’evoluzione contenuta ma sufficiente a mantenere
prudente l’offerta bancaria.
Dal lato della domanda, molte PMI rimandano gli investimenti. La combinazione di
margini compressi, costi energetici rigidi e incertezza sugli ordinativi limita
la propensione a indebitarsi. Il ricorso al credito bancario resta basso anche
perché una parte dell’ecosistema produttivo preferisce autofinanziarsi o
ridimensionare i piani di crescita. In diversi comparti—manifatturiero leggero,
filiere agroalimentari, edilizia—la capacità di presentare business plan
bancabili rimane limitata.
Sul piano territoriale il divario è evidente. In Veneto il tasso di rigetto
sotto il 10% supporta un ciclo degli investimenti più stabile, mentre in Sicilia
una richiesta su quattro non supera la fase istruttoria. L’erosione della
presenza fisica degli istituti contribuisce al fenomeno: negli ultimi dieci anni
l’isola ha perso un numero di sportelli superiore alla media italiana. Meno
prossimità significa meno relazione e valutazioni di merito sempre più
quantitative, penalizzando chi non dispone di bilanci storici solidi.
La finanza alternativa potrebbe rappresentare una via d’uscita, ma la diffusione
resta marginale. Private debt, minibond e crowdfunding sono strumenti utilizzati
quasi esclusivamente da imprese strutturate. Le microimprese, che costituiscono
la maggioranza del tessuto produttivo siciliano, continuano a dipendere dal
canale bancario tradizionale e in misura crescente dalle garanzie pubbliche.
La regione si trova quindi davanti a un rischio duale: pochi attori capaci di
competere a livello nazionale e una larga base di piccole imprese che rischia di
rimanere esclusa dal ciclo del credito. Le associazioni imprenditoriali chiedono
un rafforzamento della garanzia pubblica e un coordinamento stabile tra Regione,
Confidi e sistema bancario per aumentare i progetti bancabili. Dal canto loro,
le banche evidenziano che la selettività non deriva da scarsità di liquidità, ma
dall’assenza di piani di investimento sostenibili.
Resta l’incognita più rilevante: se i flussi di credito non tornano a crescere
in modo strutturale, la Sicilia potrà agganciare la ripresa nazionale o resterà
ancorata a un ritmo inferiore al potenziale? La risposta dipenderà dalla
capacità delle imprese di rafforzarsi e da un’azione coordinata che riporti
capitali verso l’economia reale dell’isola.
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L'articolo In Sicilia solo il 27% delle PMI ottiene un prestito: il divario
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