di Cibelle Dardi
Dicembre, stagione di tredicesime e scontrini lunghi, vede la macchina dei
consumi natalizi accelerare a pieno regime. Tra le corsie dei supermercati e le
vetrine online, quest’anno emerge un ospite speciale, non si vede ma si
percepisce ovunque: l’intelligenza artificiale generativa. In pochi anni, i
giocattoli con IA generativa (smart toys) hanno soppiantato il bambolotto con
chip: orsetti che creano storie, robot che memorizzano abitudini e console
perennemente connesse.
La questione non è soltanto tecnologica, è soprattutto economica: il giocattolo
non è più il prodotto finale, ma diventa il terminale di una filiera di raccolta
dati. I report Trouble in Toyland 2025 e Privacy Not Included di Mozilla
evidenziano come, in molti smart toys, sicurezza e tutela dei minori cedano il
passo ai margini di profitto e alle esigenze di lancio sul mercato in tempi
rapidi. Gli smart toys sono giocattoli interattivi connessi via Wi‑Fi o
Bluetooth, equipaggiati con microfoni, fotocamere, geolocalizzazione e sensori:
il bambino non interagisce con un semplice peluche, ma con server remoti che
accumulano dati su comportamenti e voce, sollevando dubbi sulla privacy.
Uno studio dell’Università di Basilea ha valutato 12 smart toys presenti sul
mercato europeo, riscontrando criticità rilevanti di conformità al Gdpr,
dall’assenza di crittografia adeguata nel traffico dati di alcuni dispositivi
alle app che chiedono permessi (microfono, geolocalizzazione) non sempre
necessari al semplice funzionamento del gioco.
Tra i nuovi arrivi sugli scaffali c’è anche Poe l’Orso Peluche Racconta Storie,
distribuito da Giochi Preziosi. Si tratta di un peluche che utilizza l’IA
generativa per creare favole personalizzate, appoggiandosi all’app Plai Ai Story
Creator e a un’infrastruttura cloud per l’elaborazione del linguaggio. Secondo
quanto dichiarato dal produttore nelle Faq di supporto, i dati non vengono
venduti e le informazioni inserite nell’app servono unicamente a personalizzare
la storia; resta il fatto che questo scambio continuo di input abitua il bambino
all’idea che l’accesso all’intrattenimento passi attraverso la condivisione di
dati.
Anche le icone del passato cambiano pelle: il Tamagotchi Uni di Bandai, erede
dell’ovetto anni ’90, oggi si connette al Wi‑Fi per entrare nel Tamaverse,
metaverso proprietario dove si incrociano personaggi, oggetti virtuali ed eventi
globali. Quel che era un circuito chiuso sul piccolo display diventa così un
nodo di rete, aggiornato da remoto e immerso in uno scambio continuo di dati,
che richiede ai genitori molta più attenzione e competenza digitale.
Il quadro è ancora più preoccupante nel segmento low cost, popolato da robot
interattivi che replicano funzioni e design dei modelli di punta – come i cani
robot tipo Dog‑E – e vengono venduti in massa su piattaforme e-commerce. In
questo segmento, il rischio privacy si intreccia con l’opacità di produttori
extra Ue e informative spesso difficili da ricostruire. Le app proprietarie che
gestiscono gli smart toys, come ricordano anche le schede informative del
Garante, tendono spesso a richiedere permessi estesi – per esempio accesso a
microfono, memoria del dispositivo o geolocalizzazione – non sempre
proporzionati alle effettive esigenze di funzionamento del gioco.
In pratica, si regala un giocattolo e si porta in casa un “cavallo di Troia”
digitale, con il rischio che i dati finiscano su server fuori dallo Spazio
economico europeo, dove valgono regole diverse dal Gdpr.
La direzione è chiara: la mercificazione dell’utente parte dalla culla. Se un
robot con IA generativa costa poche decine di euro, il vero margine è nel
profilo digitale del futuro consumatore, costruito sulle sue interazioni. La
cameretta smette di essere rifugio privato e diventa una miniera di dati, dove
l’intimità del gioco si scambia, byte dopo byte, con l’efficienza degli
algoritmi di profilazione.
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L'articolo Giocattoli per bambini con Ai generativa: così gli smart toys
raccolgono dati e sfidano la privacy proviene da Il Fatto Quotidiano.