Rifiuti Urbani 2025 da Ispra: i cassonetti deficienti sono la “zavorra” del
riciclo nonostante la raccolta differenziata (RD) aumenti al 67,7%. La RD
aumenta quindi di più di un punto percentuale, ma il riciclo si ferma quindici
punti indietro perché le RD sono “sporche”, soprattutto se fatte con i
cassonetti stradali, compresi quelli a tessera e/o a calotta.
In questo quadro dove si cerca di imporre i cassonetti “deficienti” (finanziati
addirittura con il Pnrr) aumentano anche i rifiuti (arrivati a 29.900.000
tonnellate e cioè 2,3% in più rispetto al 2023, ben oltre lo striminzito aumento
del Pil allo 0,7%). Vuol dire che non ci sono organiche politiche di prevenzione
dei rifiuti, di riparazione e riuso. A partire dagli imballaggi in plastica che
senza plastic tax crescono in uno scenario in cui molti impianti di riciclo
delle plastiche stanno chiudendo per effetto della sleale concorrenza della
plastica vergine; che in Italia, a differenza di Spagna e Francia, non viene
contrastata e rispetto alla quale, anzi, i cittadini italiani sono chiamati a
pagare salate multe europee per la mancata applicazione del principio di
Responsabilità Estesa del Produttore (Epr).
Paradigma di questo sistema distorto è proprio l’Emilia Romagna che ha la più
alta RD con il 78,9%, ma anche la più alta produzione di rifiuti in assoluto
(oltre 650 kg a testa) “denunciando” che laddove vengono fatte RD con i
cassonetti deficienti (e costosissimi), si possono anche raggiungere elevate
percentuali; ma esse, risultando sporche con oltre il 40% di impurità,
rappresentano un riciclo di almeno 30 punti percentuali in meno. Il porta a
porta è invece (come perseguito in Veneto e in Sardegna) la via maestra per
ottenere alte rese di RD e di riciclo, in quanto le materie raccolte sono pulite
e utili ad applicare l’economia circolare.
L’unica nota positiva è che il sud, da sempre vessato da pregiudizi in ultima
analisi razzisti, non solo produce ben al di sotto della media nazionale dei
rifiuti (507 kg a testa) attestandosi ben sotto (454 kg pro capite) ma
raggiunge, inclusa la Sicilia, il 60% accorciando il divario con il nord, il
maggiore responsabile dell’aumento dei rifiuti.
Gli inceneritori decrescono ancora sia nel numero (da 36 del 2023 a 35 nel 2024)
che nel flusso trattato (circa il 18%) da cui derivano ben 1.415.000 tonnellate
tra scorie speciali e ceneri tossiche. A questo flusso si aggiungono anche se
con peso minore 12 “coinceneritori” (cementifici e centrali termo elettriche).
In proposito dobbiamo respingere senza mezzi termini l’imbarazzante peana
lanciato dal dirigente di Ispra Aprile a favore dell’inceneritore di Roma
imposto con procedure dittatoriali e dei due inceneritori altrettanto imposti
dall’alto in Sicilia (ma che non è detto che riescano a realizzare!).
Le discariche, ormai, ospitano solo circa il 15% dei rifiuti urbani. Adesso ci
attendiamo “criteri di efficienza” (Arera, se ci sei batti un colpo!) che
disincentivino i cassonetti deficienti e favoriscano raccolte porta a porta
sempre più “selettive” anche attraverso l’applicazione delle direttive Ue che
impongono di rimborsare di almeno l’80% le spese sostenute per la RD degli
imballaggi.
Il problema principale sono gli imballaggi plastici, che entro il 2030 l’Ue
vuole che siano diminuiti di almeno il 5% e che invece da noi continuano ad
aumentare. Occorre applicare il Deposit System per lattine e bottiglie in Pet
(c’è già a Malta e a Cipro oltre che in tre quarti di Ue… cosa aspettiamo ad
applicarlo?). Se non facciamo così – magari confrontandoci bene con il dramma
del tessile che aumenta esponenzialmente – e se non applichiamo il “diritto a
riparare” (in Italia si continuano ad incentivare Black Friday e
“rottamazioni”!), nel 2026 (l’anno prossimo) non riusciremo a raggiungere quel
55% di riciclo effettivo che l’Ue ci chiede. E se così fosse (ma noi lavoriamo
perché ciò non avvenga) ci sarebbe oltre il danno la beffa, visto che i
cittadini che pure fanno ottime RD si troverebbero a pagare salate multe europee
a causa della mancanza del raggiungimento dell’obiettivo minimo di riciclo.
Meno discorsi sulla “Italia che ricicla bene” (che in parte è vero, ma grazie ai
cittadini che differenziano e non certo alle imprese e ai governi che fanno di
tutto per non applicare davvero gli oneri derivanti dalla Responsabilità estesa
dei produttori)! Ora sta alla politica e alle imprese fare la propria parte
riducendo a monte i rifiuti.
L'articolo Rapporto Ispra 2025 sui rifiuti urbani: ora sta alla politica e alle
imprese fare la propria parte proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Le montagne di plastica vergine a bassissimo prezzo che arrivano dall’Asia
stanno causando, insieme ad altri fattori, la crisi del riciclo meccanico della
plastica, in Italia e in Europa. Vacilla il mantra “siamo l’eccellenza mondiale
del riciclo”, almeno per la plastica. Perché la verità è che gli impianti,
sommersi di quella vergine, non riescono più a riciclarla (e venderla) e, dopo
mesi di segnalazioni e appelli lanciati al Governo sull’emergenza dell’industria
italiana del riciclo delle materie plastiche, nelle scorse settimane è arrivata
la serrata. Il presidente di Assoripam (l’Associazione nazionale dei riciclatori
e rigeneratori di materie plastiche), Walter Regis, ha annunciato il blocco
degli impianti, segnalando il rischio di un effetto domino sull’intera filiera.
“Se smettiamo di processare i lotti – aveva detto – il sistema di selezione si
bloccherà in poche settimane e non ci sarà più spazio per conferire la plastica
raccolta dai cittadini”. Di fatto, la raccolta differenziata nazionale rischia
di fermarsi: la serrata degli impianti di riciclo sta facendo bloccare a monte
anche quelli di selezione post raccolta. Tra i casi più complessi, quello della
Sicilia, regione che – tra l’altro – non brilla per presenza degli impianti: in
alcuni siti si sta così riducendo o sospendendo il ritiro degli imballaggi e
molti Comuni sono costretti a emanare ordinanze che limitano la raccolta. Così
l’eurodeputato siciliano Giuseppe Antoci (M5S) ha presentato un’interrogazione
alla Commissione europea, chiedendo un intervento. Per ora, si segnalano casi
nel Sud della Sardegna e, a macchia di leopardo, anche in altre aree del Paese.
Il rischio è che, oltre a saltare un servizio essenziale, si manchino anche gli
obiettivi su raccolta differenziata e riciclo.
L’INTERROGAZIONE PRESENTATA ALLA COMMISSIONE UE
“Bruxelles deve essere messa davanti a ciò che sta accadendo e deve dirci quali
iniziative intende prendere per garantire continuità al servizio e impedire che
il costo della crisi ricada sulle famiglie” spiega l’europarlamentare Antoci. E
aggiunge: “Non possiamo chiedere ai cittadini di differenziare e poi lasciarli
soli quando la filiera si inceppa. Se chi immette imballaggi sul mercato non
partecipa ai costi di gestione, il sistema non può funzionare. Servono
investimenti, una filiera nazionale efficiente e regole che valgano per tutti”.
Nel frattempo, la deputata trapanese Cristina Ciminnisi ha presentato
un’interrogazione all’Assemblea regionale siciliana.Il rischio, avverte, è che
senza decisioni rapide molti Comuni si trovino costretti a sospendere la
raccolta, con danni ambientali, economici e di decoro urbano.
LA CRISI DEL SETTORE
Ma sono mesi che Assorimap, che rappresenta il 90 per cento della filiera,
lancia l’allarme con i dati alla mano su utili crollati dell’87 per cento dal
2021 e passati da 150 milioni a una previsione vicina allo zero per il 2025. “Il
fatturato delle aziende, dal 2022, ha perso il 30%. Una crisi condivisa da tutta
la filiera – ha dichiarato Regis – stretta tra i costi dell’energia (i più alti
d’Europa) e la concorrenza insostenibile delle importazioni extra-Ue di plastica
vergine e riciclata a prezzi stracciati”. Diverse le proposte avanzate da
Assorimap al Mase e ancora sul tavolo. Tra queste, c’è anche la richiesta di
anticipare alcune scadenze previste dal Regolamento sugli imballaggi e sui
rifiuti di imballaggio (Ppwr).
IL PARADOSSO: ORA SI CHIEDE DI ACCELERARE SUL CONTENUTO RICICLATO
In primis, i riciclatori della plastica chiedono di anticipare le scadenze sul
contenuto minimo di riciclato. Il Regolamento Packaging and Packaging Waste
Regulation, infatti, impone contenuti minimi di materiale riciclato negli
imballaggi in plastica, con obiettivi crescenti. Target più ambiziosi rispetto a
quelli della Direttiva Sup. Per le bottiglie in Pet si va dall’obiettivo del 30%
nel 2030 al 50% nel 2040, per quelli a contatto con gli alimenti si prevedono
quote tra il 10% e il 35% entro il 2030, mentre per altri imballaggi plastici
bisogna raggiungere il 35% entro il 2030. L’obiettivo, quello di ridurre la
plastica vergine, è più cruciale che mai. Eppure, proprio l’Italia è stato
l’unico Paese a votare contro il regolamento, ripentendo il mantra “siamo
l’eccellenza mondiale del riciclo”. Alla fine, dopo un anno e mezzo di
pressioni, ostacoli e veti, il regolamento – indebolito – è stato approvato ad
aprile 2024. Ora, però, più che mai sembrano necessarie quelle misure che
potrebbero contribuire a creare una domanda di mercato per i polimeri riciclati.
Insieme al Drs (Deposit return system), il deposito cauzionale contro cui
l’Italia ha sempre posto diversi problemi. Funziona così: il consumatore
acquista una bevanda e paga, per il contenitore, una cauzione che viene aggiunta
al prezzo del prodotto e viene restituita quando riporta l’imballaggio al
rivenditore.
IL NODO DEL DEPOSITO SU CAUZIONE
Non a caso la crisi del settore è stata ricordata in tutte le proposte di legge
sul Drs (da quella del Pd a quella del Movimento 5 Stelle), nelle interrogazioni
e negli emendamenti alla legge delega (anche qui del Pd e del Movimento 5
Stelle). Alcuni giorni dopo l’annuncio di Walter Regis sul blocco degli
impianti, è stata presentata la proposta di legge firmata da Silvia Roggiani e
Eleonora Evi (Pd). Non è stata la prima iniziativa legislativa in Parlamento,
soprattutto sulla scia del lavoro svolto negli ultimi anni dalla coalizione A
Buon Rendere, ma una serie di segnali erano senz’altro inediti. Come una certa
apertura mostrata, nelle stesse ore, da Massimo Milani, deputato di Fratelli
d’Italia e segretario della Commissione ambiente. “I tempi sono maturi per il
Drs anche in Italia” ha detto nel corso di un evento organizzato dall’Alleanza
per lo sviluppo sostenibile, nel corso del quale Enrico Giovannini, direttore
scientifico dell’Asvis, ha ribadito che “senza nuovi strumenti” l’Italia non
raggiungerà gli obiettivi di riciclo Ue. In primis quello del riciclo degli
imballaggi in plastica che, entro il 2030, dovrà arrivare al 55%.
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raccolta differenziata in tutta Italia: il caso limite della Sicilia proviene da
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