L’ intero universo e tutti i suoi fenomeni fisici possono essere ricondotti a un
unico modello matematico? C’è stato un tempo in cui ci si illuse che fosse
possibile, quando a Stephen Hawking veniva assegnata la cattedra, che in epoca
moderna era stata di Isaac Newton, all’Università di Cambridge. Nel 1979,
insieme al suo gruppo di ricerca, Hawking lavorava alla teoria del tutto,
chiamata anche TOE (Theory Of Everything). Quello stesso anno, si scatenò una
tempesta improvvisa, che nessuna stazione meteorologica era stata in grado di
prevedere. Nonostante l’attivazione di imponenti operazioni di soccorso, lo
scrittore irlandese James Gordon Farrell perse la vita nella Baia di Bantry. Era
l’autore della cosiddetta Trilogia dell’Impero (1970-1978), una serie di romanzi
sulle conseguenze del colonialismo britannico nel mondo. Qualche mese prima,
Margaret Thatcher vinceva le elezioni e diventava primo ministro del Regno
Unito, incarico che ricoprì per undici anni consecutivi.
Come Hawking, anche Thatcher aveva una sua teoria totalizzante e un metodo per
dimostrarla, ma anche uno scopo ben preciso da raggiungere. La teoria implica
che il capitalismo sia l’unico sistema economico praticabile, al quale non è
possibile contrapporre un’alternativa, ed è sintetizzata nello slogan “There is
no alternative”, contratto in TINA. Il metodo prevede l’attuazione di misure
come le privatizzazioni e il monetarismo, e l’obiettivo era quello di cambiare
la psicologia dei suoi conterranei per portarli a rivivere i grandi fasti del
passato, quando il Regno Unito era la più grande potenza al mondo.
Thatcher intendeva condurre il suo Paese verso il futuro, tornando al passato, e
rafforzare l’orgoglio identitario nazionale attraverso la promozione di una
società atomizzata e individualista. Secondo la sua prospettiva, i cittadini
britannici avrebbero dovuto emanciparsi dall’assistenzialismo statale a partire
dalla questione abitativa: ognuno avrebbe dovuto possedere una casa di proprietà
e questo sarebbe stato possibile attraverso l’erogazione di mutui a tasso
variabile. Nella sua visione, il mondo intero si riconduceva a un unico modello
economico, sociale e politico, secondo i precetti del conservatorismo.
Prometteva di cambiare tutto senza cambiare niente, glorificando le tradizioni e
feticizzando ciò che la storia avrebbe lasciato in eredità al suo popolo.
> Nell’ultima docuserie realizzata per la BBC, Shifty, Curtis mixa filmati
> d’archivio come tracce di un set di musica elettronica, caotico e stordente,
> ripercorrendo gli ultimi vent’anni del Regno Unito, a ridosso del nuovo
> millennio.
Per il giornalista e regista inglese Adam Curtis, Hawking e Thatcher sono due
delle personalità principali connesse dal filo conduttore che percorre gli
ultimi vent’anni del Regno Unito, a ridosso del nuovo millennio. Nell’ultima
docuserie realizzata per la BBC, Curtis mixa filmati d’archivio come tracce di
un set di musica elettronica, caotico e stordente, adottando il tipo di
montaggio caratteristico dei suoi ultimi lavori prodotti per la medesima
emittente. Si intitola Shifty (2025) e condensa in cinque episodi da circa
un’ora molti dei temi cari all’autore, approfonditi in altre produzioni come
HyperNormalisation (2016), il documentario nel quale sostiene che, dagli anni
Settanta in poi, governi, finanzieri e imprenditori dell’industria hi-tech
abbiano progressivamente rinunciato ad affrontare le complessità del reale,
scegliendo di fabbricare un mondo artificiale, più semplice da gestire e
rassicurante da abitare. L’idea di fondo è che la reiterazione di questa
finzione collettiva finisca per trasformarsi in una nuova normalità: un universo
al quale tutti si adeguano, pur di evitare il confronto con il disordine del
presente.
Il concetto di reiterazione (inteso come prassi per rafforzare l’immaginario
egemonico della società dei consumi) è stato indagato anche da Lauren Berlant
nel saggio Cruel Optimism (2011). L’autrice interpreta il presente storico come
un tempo sospeso in cui il desiderio di una “vita buona”, una vita normale, è
paradossalmente condizionato dalla sua impossibilità strutturale di essere
esaudito. L’ottimismo crudele, cifra della condizione neoliberale, nasce proprio
da questo cortocircuito: l’adesione alla normatività e la fede nelle sue
promesse, mantengono i soggetti ancorati a un presente logorante, fatto di
rituali ripetitivi e di speranze differite, come traguardi irraggiungibili e
lontani. In questo senso, sotto la lente di Berlant si teorizza la tenuta del
modello economico capitalistico e la sua forza conservatrice, capace di
perpetuarsi attraverso la produzione di affetti e aspettative.
Semplificare la realtà, ridurla a un’unica interpretazione e creare un
immaginario, una fantasia: è stato esattamente quello che ha prodotto la
leadership di Thatcher, durante l’ascesa e il declino della Lady di ferro,
mostrato in Shifty da Curtis. Quando si producono orizzonti immaginifici, si
manipola anche la realtà, nella sua accezione, più prettamente umana di Storia.
Non a caso, il primo episodio della docuserie è intitolato The land of make
believe, il mondo delle favole, e mette al centro l’illusione politica con la
quale ha incantato i suoi elettori per un decennio. L’episodio si apre con una
breve sequenza, estrapolata dal vastissimo archivio della BBC, che mostra la
Thatcher sull’uscio di una sala da pranzo mentre incoraggia un gruppo di bambini
a entrare nella stanza, assieme a una celebrity discutibile: Jimmy Savile.
> Semplificare la realtà, ridurla a un’unica interpretazione e creare un
> immaginario, una fantasia: è stato esattamente quello che ha prodotto la
> leadership di Thatcher, durante l’ascesa e il declino della Lady di ferro.
Si trattava di un personaggio vicino alla leader dei conservatori, il quale
aveva percorso una parabola che dalle miniere di carbone lo aveva portato a
diventare DJ, conduttore radiofonico e televisivo molto famoso nel Regno Unito.
Solo dopo la sua morte, emersero delle accuse di stupro che intaccarono la sua
memoria. Per molti aspetti, Jimmy Savile incarnava la storia del suo Paese: le
miniere di carbone vennero dismesse a partire dagli anni Ottanta, così come le
fabbriche e le industrie, per essere sostituite da un altro modello economico,
regolato dai mercati finanziari, basato sulla vendita di servizi e sulla
speculazione immobiliare. Era lo stadio germinale del sistema tardocapitalista
nel quale oggi sprofonda l’Occidente, trascinando con sé il resto del mondo.
Curtis mostra agli spettatori il veloce declino politico della storia recente
del suo Paese, ma a differenza dei progetti precedenti, il commento del regista
alle riprese d’archivio non è in voice over, bensì sotto forma di didascalie
narrative. La tesi di fondo del regista è suggerita e mai davvero del tutto
approfondita: sfugge e si dissolve, esattamente come il sistema sociale che
racconta. Ne risulta un vortice caleidoscopico e stordente, accentuato da un
accompagnamento sonoro che va dai Joy Division a Gigi D’Agostino, passando dalla
guerra delle Falkland agli scontri con l’IRA e alla censura della BBC di Relax
(1984) dei Frankie Goes to Hollywood. I cinque episodi di Shifty tengono insieme
house party e storia economica, cultura pop e guerre imperialiste; accennano a
cospirazioni e segreti, massoneria e aristocrazia, nuovi poveri e false
promesse, come quelle di Thatcher ai suoi elettori, ma anche di Tony Blair e
Gordon Brown. Si allude anche alla “Stalker Inquiry”, la commissione
parlamentare istituita per indagare sugli abusi delle forze di polizia
britanniche in Irlanda del Nord, immediatamente archiviata. Dalla visione
dell’intera serie, si potrebbe dedurre che Curtis volesse trasferire al suo
pubblico il comune sentire di quelle due decadi di fine Novecento, sospese verso
un futuro inconsistente, vuoto come le ragioni che spinsero all’edificazione del
Millennium Dome, l’arena polifunzionale che fu costruita a Londra per ospitare
una grande esposizione celebrativa del terzo millennio.
> I cinque episodi di Shifty tengono insieme house party e storia economica,
> cultura pop e guerre imperialiste; accennano a cospirazioni e segreti,
> massoneria e aristocrazia, nuovi poveri e false promesse.
La docuserie è costellata di personalità ambigue, oggetto di scandali, come
Geoffrey Prime, un’ex spia britannica, condannato per abusi sessuali su minori e
per aver rivelato informazioni riservate all’Unione Sovietica. Curtis si
sofferma anche su Cecil Parkinson, segretario di Stato sotto il primo governo
Thatcher, costretto a dimettersi dall’incarico quando la sua relazione
extraconiugale venne a galla. Poi, la corruzione di alcuni esponenti dei Tory,
uno fra tutti Ian Greer, coinvolto in prima persona nel “cash-for-questions
affair” insieme all’imprenditore egiziano Mohamed Al-Fayed, che aveva rilevato
il famoso centro commerciale di lusso Harrods. Curtis si sofferma su Al-Fayed in
diversi episodi di Shifty e nell’ultimo monta un estratto di un’intervista
durante la quale l’imprenditore afferma, senza alcun rimpianto, di aver fatto
affari con Greer semplicemente perché voleva fare soldi. Infine, si autoassolve
e dichiara, con parecchio sdegno, che un grande paese come il Regno Unito si era
ridotto a essere amministrato da un gruppo di delinquenti senza morale né etica.
Oltre agli scandali, le clip selezionate da Curtis raccontano anche i grandi
eventi cardine del suo Paese alla fine del Novecento, come il Big Bang: il boom
dei consumi fondato sul debito e destinato a provocare molto presto l’ennesima
crisi delle borse britanniche. Un’altra tempesta violenta e improvvisa si
scatena sui cieli del Regno Unito, proprio quando la bolla esplode e arriva al
culmine con il Black Monday, uno dei crash finanziari più drammatici del
ventesimo secolo. La transizione verso i nuovi assetti economici e produttivi
non comporta una rivoluzione reale nelle configurazioni del potere, che resta
nelle mani di quelli che lo hanno sempre detenuto. Eppure, rispetto ai rapporti
di forze, Curtis registra un cambiamento di equilibri: è la cultura ad
allontanarsi dal mondo della politica per divenire parte dell’industria del
tempo libero, del lifestyle e dell’intrattenimento. L’arte diventa merce e le
fabbriche sono trasformate in loft dagli imprenditori del mercato immobiliare.
Si gentrifica il sapere così come i quartieri, demolendo ricordi personali e
memoria collettiva per fare spazio alle catene della grande distribuzione
organizzata, come Netto e Tesco.
> Rispetto ai rapporti di forze, Curtis registra un cambiamento di equilibri: è
> la cultura ad allontanarsi dal mondo della politica per divenire parte
> dell’industria del tempo libero, del lifestyle e dell’intrattenimento. Si
> gentrifica il sapere così come i quartieri.
Rispetto al ruolo dell’arte e della cultura, sia indipendente sia mainstream,
Curtis aveva esplorato tematiche affini nella docuserie Can’t Get You Out Of My
Head (2021), in cui l’attenzione si spostava sull’individuo occidentale odierno,
immerso in un mondo privo di grandi narrazioni collettive. L’emancipazione dai
miti, che in passato orientavano il senso di appartenenza al sistema sociale
egemonico, istiga i singoli individui a generare autonarrazioni proprie per
interpretare e condizionare la realtà. Tuttavia, queste storie personali non
sono mai totalmente originali; al contrario, restano intrecciate alle strutture
di potere e ai modelli del passato, mostrando come il soggetto atomizzato
continui a operare entro i limiti dei sistemi che lo trascendono.
Anche in questa docuserie, l’analisi di Curtis si muove a partire da una visione
materialista della storia: le trasformazioni dei rapporti di produzione e delle
dinamiche di potere globali costituiscono lo sfondo su cui si regge l’intero
racconto, articolato in otto ore di filmati d’archivio. Allo stesso tempo, il
regista non riduce la complessità degli ultimi decenni a un’etichetta unica come
“neoliberalismo”, preferendo argomentare come l’intera classe politica abbia
delegato progressivamente all’apparato finanziario il governo della società,
trasformando il denaro nell’unica misura possibile della realtà, anche in campo
artistico e culturale. In questo scenario, gli individui, pur credendo di essere
liberi, sono intrappolati in una gabbia entro la quale tutto è quantificato e
strumentalizzato secondo criteri economici e di utilità.
Dalla fine del Novecento a oggi, molte cose sono cambiate e la gabbia ha
cominciato a farsi sempre più stretta, inadatta a contenere la complessità della
realtà odierna, ossia quella di un mondo globalizzato e iperconnesso. La
frattura nell’immaginario neoliberista in crisi è mostrata nel quarto episodio
di Shifty anche attraverso la messa in discussione della Teoria del tutto
elaborata da Hawking, superata da quella del multiverso. Secondo Curtis si può
evidenziare una corrispondenza dinamica fra le scoperte scientifiche e i sistemi
sociali che le generano: associa la rivoluzione scientifica a quella
industriale, la Theory of everything all’individualismo estremo della
massificazione dei costumi di fine Novecento, mentre la teoria del multiverso
riflette la complessità e la frammentazione del mondo contemporaneo segnato
dall’avvento di Internet.
> La frattura nell’immaginario neoliberista in crisi è mostrata anche attraverso
> la messa in discussione della Teoria del tutto elaborata da Hawking, superata
> da quella del multiverso, in una corrispondenza dinamica fra scoperte
> scientifiche e sistemi sociali.
L’ultimo episodio della serie termina con un estratto di un’intervista a David
Bowie, il quale sosteneva come almeno fino alla metà degli anni Settanta, la
percezione comune fosse quella di essere sotto l’egida di una società modellata
da una cultura di massa, monolitica e univoca. Verso gli anni Novanta, il
paradigma dominante iniziò a sgretolarsi in molteplici narrazioni. Rispetto a
Internet e alla sua diffusione, Bowie lo definì come una “forma di vita aliena”
dal potenziale “inimmaginabile, esaltante e terrificante” allo stesso tempo. Le
parole del Duca bianco si perdono nelle note di Absolute Beginners. La docuserie
termina con una successione di commenti scritti, nella forma di intertitoli, con
i quali il regista si domanda se l’individualismo nel quale la società
occidentale è stata catapultata sarà mai rovesciato dalle persone che
scopriranno un nuovo senso di unità; oppure se aspirare alla rivoluzione possa
essere solamente un retaggio nostalgico, innescato dal loop storico nel quale
oggi si trova l’umanità.
Nonostante l’ampia risonanza ottenuta, una parte della critica britannica ha
espresso giudizi più cauti su Shifty, ritenendola meno originale rispetto ai
lavori precedenti di Curtis. Alcuni hanno osservato che la docuserie non apporta
nuove prospettive, limitandosi a reiterare temi già esplorati. In alcuni
passaggi, la narrazione è risultata persino ingenua, specialmente quando il
regista si lascia andare ad affermazioni improbabili, come quando sentenzia che
le privatizzazioni sono state inventate dai nazisti. Altri interventi critici
più equilibrati hanno riconosciuto il valore estetico e simbolico della serie,
sottolineando la sua capacità di costruire suggestioni visive e sonore, ma ne
hanno comunque evidenziato la difficoltà nel produrre un discorso inedito
rispetto al corpus complessivo delle produzioni precedenti.
L’impressione generale è che Shifty riproponga un universo concettuale già noto
agli spettatori più avvezzi alle sue opere, senza offrire una vera e propria
evoluzione concettuale o teorica. Se non altro, l’ultima docuserie di Curtis ha
il merito di accendere l’attenzione su un tema: il capitalismo non è affatto il
sistema migliore possibile, da auspicare quasi come se fosse una conseguenza
necessaria nella progressione dei fatti storici. Credere che sia il modello più
efficace è semplicemente una credenza, un mito. Per certi aspetti, è esattamente
ciò che sosteneva Mark Fisher quando definiva il capitalismo come una forma di
dominio ideologico, capace di colonizzare ogni aspetto della vita.
> La docuserie di Curtis ha il merito di accendere l’attenzione su un tema: il
> capitalismo non è affatto il sistema migliore possibile, da auspicare quasi
> come se fosse una conseguenza necessaria nella progressione dei fatti storici.
E se persino la storiografia e l’analisi dei fatti storici fosse stata
colonizzata dal pensiero egemonico capitalista? L’antropologo David Graeber e
l’archeologo David Wengrow, autori di L’alba di tutto. Una nuova storia
dell’umanità (2021), riprendono la tesi dello storico delle religioni Mircea
Eliade secondo la quale la concezione lineare del tempo è un’invenzione
relativamente recente, che può essere ricondotta principalmente a due fattori
interconnessi: il pensiero escatologico delle religioni abramitiche residuale
nella concezione evoluzionistica della storia umana di derivazione positivista.
Parafrasando Eliade, Graeber e Wengrow sostengono che la prospettiva temporale
progressiva ha spodestato quella ciclica della filosofia greca antica e delle
“società tradizionali”, con “catastrofiche conseguenze sociali e psicologiche”.
Nella concezione lineare del tempo i fatti storici accadono come rivoluzioni che
irrompono e cambiano il corso degli eventi, come in un dipanarsi di “sequenze
cumulative” necessarie all’evoluzione della civiltà umana: si pensi alla
rivoluzione agricola del Neolitico, a quella scientifica in epoca illuminista o
a quella industriale di fine Ottocento. Descrivere la storia come un susseguirsi
di accadimenti radicali improvvisi ha delle conseguenze. La tesi di Graeber e
Wengrow è che questo tipo di approccio storiografico sia ideologico, per non
dire mitologico, e che abbia delle implicazioni politiche, rendendo l’umanità
meno capace di “affrontare le traversie della guerra, dell’ingiustizia e della
sfortuna, gettandoci invece in un’età di ansia senza precedenti e, a lungo
andare, di nichilismo”. Accettare la logica del dominio e considerare
inevitabile che la civiltà umana tenda verso l’accumulo di ricchezze significa
raccontare la specie umana come “molto meno premurosa, creativa e libera” di
quanto non lo sia.
L’ultimo capitolo del saggio L’alba di tutto si conclude con una serie di
considerazioni a proposito del nichilismo insito nella concezione lineare del
tempo, teso verso un progresso inesauribile. Una tale concezione inibisce la
possibilità di considerare la storia come l’insieme di scelte collettive, lente
e stratificate, attraverso le quali le comunità hanno deciso quali pratiche
adottare nella vita quotidiana e quali confinare alla sperimentazione o al rito.
Ciò che vale per la creatività tecnologica vale, naturalmente, ancora più per la
creatività sociale. Il dominio dell’uomo sulla natura, le società gerarchiche e
l’accumulo di ricchezze o la logica del profitto non erano inevitabili. Non è
affatto corretto sostenere che non esista un’alternativa; semmai, per dirla con
Graeber e Wengrow: “Se qualcosa è andato storto nella storia dell’umanità […]
forse prese a farlo proprio quando gli uomini persero la libertà di immaginare e
di attuare altre forme di esistenza sociale […] al punto che ora alcuni
ritengono che questo particolare tipo di libertà non ci sia mai stato, o non sia
mai stato esercitato, per quasi tutta la storia dell’umanità.”
> Descrivere la storia come un susseguirsi di accadimenti radicali improvvisi ha
> delle conseguenze. La tesi di Graeber e Wengrow è che questo tipo di approccio
> storiografico sia ideologico, per non dire mitologico, e che abbia delle
> implicazioni politiche.
Lo stesso sistema neoliberista che incita al pensiero “out of the box”, che
invita a essere non convenzionali (“Stay hungry, stay foolish”), paradossalmente
impone una reductio ad unum, all’omologazione: “siate diversi tutti allo stesso
modo” è il vero slogan di questi tempi. Ancora, si tratta dello stesso sistema
che continua a ignorare proposte realmente alternative a quelle della narrazione
dominante, come il pensiero tentacolare, lo Chthulucene di Donna Haraway, e che
torna indietro invocando valori reazionari e antiscientifici.
Per uscire dal loop è necessario esercitare la libertà, a partire
dall’immaginazione. La vera domanda è se l’umanità possiede ancora le capacità
per farlo.
L'articolo Shifty. Cos’è andato storto? proviene da Il Tascabile.