La settimana che si chiude venerdì 12 dicembre ha visto eventi e iniziative che
stimolano rinnovati commenti critici su come sono (mal) governate le politiche
culturali dell’Italia: vengono prodotti nuovi dataset numerici – non validati
metodologicamente – per dimostrare la “forza” dimensionale di alcuni settori,
osservati solo dal punto di vista economico… vengono messi in atto “tagli”
assurdi all’intervento dello Stato, in totale assenza di analisi previsionali e
valutazioni d’impatto…
La gestazione della Legge Finanziaria 2026 si conferma irrazionale ed
irragionevole, con una marea di emendamenti frutto per lo più di lobby e
micro-lobby, con un ruolo del Parlamento sempre più marginale, a fronte della
autoreferenzialità del Governo… Efficace un’espressione utilizzata dalla
senatrice Alessandra Maiorino (M5s): la Legge di Bilancio è la dimostrazione di
come l’Italia “sia governata da un consorzio di lobbisti”.
Vale sicuramente per settori come la difesa (quanti sono i Paesi al mondo che
possono vantare un Ministro della Difesa già alla guida dell’Aiad, la lobby dei
produttori di armamenti, qual è il caso di Guido Crosetto?), e come la sanità
(quanti sono i Paesi al mondo che hanno un grande proprietario di cliniche ad
essere anche padrone di tre o quattro testate giornalistiche quotidiane, come
Antonio Angelucci – pure parlamentare di Forza Italia e detentore di un record
storico di assenteismo – che controlla sia il Gruppo San Raffaele-Tosinvest
Sanità sia il Giornale, Il Tempo e Libero?!), ma vale anche per la cultura,
sebbene le lobby di questo settore siano – al confronto – piccine picciò.
Mercoledì 10 e giovedì 11, la storica associazione delle imprese del settore
spettacolo dal vivo, l’Agis, ha celebrato il suo 80esimo compleanno, con
variegati convegni e la presentazione di due volumi, entrambi interessanti (per
gli studiosi di politiche culturali), ma purtroppo entrambi deficitari di un
approccio sistemico, critico e strategico, segnati da una sostanziale rimozione
del tema delle scelte pubbliche di allocazione delle risorse: si tratta di Lo
Spettacolo in Italia. 1945-2025. Ottanta anni di Agis, a cura di Lucio Argano e
Francesco Giambrone, per i tipi de il Mulino, e di Analisi, numeri e prospettive
del settore dello spettacolo dal vivo tra economia, cultura e occupazione,
curato da Alessandro Leon, presidente dell’Associazione per l’Economia della
Cultura (Aec), edito dall’Agis stessa.
Il primo volume interesserà gli storici della politica culturale, ma non
affronta due questioni fondamentali: perché lo Stato italiano continua a
privilegiare il cinema e l’audiovisivo, rispetto al teatro, la musica, la danza,
il circo?! Perché Agis non affronta di petto la decisione assunta ormai dieci
anni fa dal più longevo Ministro della Cultura della Repubblica, il dem Dario
Franceschini, che ha aperto i cordoni della borsa privilegiando il cinema e la
tv, a svantaggio dello spettacolo dal vivo, senza mai esplicitare una ratio di
politica culturale complessiva?!
Nel 2025, il Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo ha avuto un budget di poco meno
di 700 milioni di euro, a fronte dei circa 450 milioni del Fondo Nazionale
Spettacolo dal Vivo (il Fnsv, l’ex Fus ovvero “Fondo Unico dello Spettacolo”):
nel 2026, ci sarà un paradossale riequilibrio, perché il governo ridurrà il
sostegno al cinema da 700 a 550 milioni di euro (che dovrebbero divenire 610 a
seguito di un emendamento dell’esecutivo approvato l’11 dicembre)… Ma nessuno –
dicesi nessuno – ha affrontato, nel corso dell’ultimo decennio, il perché di
queste allocazioni di risorse.
E, a proposito di lobby, venerdì 12 sono scese in campo due associazioni:
l’Associazione dei Produttori Audiovisivi (Apa) e Confindustria Radio
Televisioni (Crtv), che lamentano i tagli al sostegno pubblico, ognuna dal
proprio orticello di interessi. Senza che emerga una visione di sistema o
un’analisi comparativa degli impatti.
L’Apa ha diramato un comunicato piuttosto duro: “Ringraziamo il Governo per il
parziale reintegro delle risorse destinate al Fondo per il Cinema e
l’Audiovisivo, ma segnaliamo che il recupero di 60 milioni è ben lungi dal
garantire la sostenibilità del cinema e dell’audiovisivo. Il taglio residuo,
unito all’impossibilità definita dalla norma di parziale copertura delle
richieste sul budget dell’anno successivo, rappresentano un taglio effettivo per
il settore di 250 milioni. Questa penalizzazione colpisce inoltre, in modo
incomprensibile, le produzioni originali italiane di film, serie, documentari e
animazione, lasciando l’opportunità alle sole produzioni esecutive di opere
internazionali girate in Italia, che saranno le uniche a beneficiare di questa
modalità”.
E che dire di Crtv, che denuncia “un significativo taglio ai fondi destinati
all’emittenza radio-televisiva locale”, la riduzione del “pluralismo
informativo” e finanche “il prelievo colonialistico di risorse da parte degli
Over-The-Top”, invocando finanche l’articolo 21 della Costituzione?! Si tratta –
suvvia – di “soltanto” 20 milioni di euro, sul totale di circa 110 milioni per
il 2025…
Dal canto loro, sia il Pd sia il M5s lamentano le dinamiche in atto: “Aveva
promesso il ripristino dei fondi che non è mai arrivato. Giuli non riesce a
recuperare gli ingenti tagli subiti dal settore e conferma la sua ininfluenza
sul settore. La riduzione dei tagli sono briciole rispetto alle reali necessità.
Così la cultura italiana continua a pagare il prezzo di un governo assente e
incapace. I tagli al cinema sono insostenibili” (Irene Manzi, Pd); “Alessandro
Giuli aveva promesso lo stop ai tagli al cinema in manovra. Invece dopo uno
stillicidio durato settimane e giocato sulla pelle delle professioniste e dei
professionisti di questo settore, veniamo a sapere che quei tagli restano e sono
pesanti. Uno schiaffo in faccia, l’ennesimo, a una intera categoria” (Gaetano
Amato, M5s).
Governo e lobby strumentalizzano i numeri per argomentazioni partigiane e
apodittiche: un allegro mercato delle vacche… Dati utilizzati soltanto per
rafforzare la propria autoreferenzialità… numeri funzionali a dimostrare il
mantra del big is better… processi normativi che tagliano e aggiungono decine di
milioni di euro senza alcun criterio (se non la forza o debolezza della lobby di
turno), e nessuno che si prenda la briga di stimare gli effetti reali, di
valutare le conseguenze dell’intervento della mano pubblica nei vari settori
delle industrie culturali e creative.
Totale assenza di valutazioni ex ante e ex post. Prevale confusione. Assenza di
strategie. Governo nasometrico della cultura, ancora una volta.
L'articolo La Finanziaria 2025? Come il mercato delle vacche: nessuna
valutazione d’impatto per il cine-audiovisivo proviene da Il Fatto Quotidiano.