Mentre la vicina Spagna sceglie la linea dura, facendo rimuovere decine di
migliaia di annunci di affitti brevi non conformi dalle piattaforme, in Italia
la proposta di tassare maggiormente gli host ha sollevato critiche da tutti i
fronti, diventando uno dei nodi più difficili da sciogliere nella nuova legge di
Bilancio. Venerdì sono attesi gli emendamenti e sia Forza Italia sia la Lega
chiederanno di eliminare l’aumento dal 21% al 26% della cedolare secca per chi
affitta anche solo un immobile tramite piattaforme come Airbnb e Booking.com.
L’obiettivo dichiarato della misura è riequilibrare un sistema che, negli ultimi
anni, ha reso più conveniente affittare ai turisti che ai residenti. “Non c’è
intento di punire i proprietari, però bisogna capire se bisogna in qualche modo
premiare le locazioni per abitazione oppure le locazioni per i turisti
stranieri”, come ha riassunto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Per
le realtà che da anni monitorano e tentano di contenere gli effetti dell’aumento
degli affitti brevi nelle città italiane, ritoccare la tassazione è il minimo
indispensabile. Ma di certo non basta.
“Non è sufficiente a frenare Airbnb, basta guardare i dati sull’aumento della
redditività. Ma sarebbe comunque una prima misura pragmatica e necessaria per
razionalizzare il fenomeno”, commenta Francesco Chiodelli, professore associato
dell’Università di Torino, tra i responsabili scientifici della ricerca condotta
da FULL (Future Urban Legacy Lab) del Politecnico di Torino per fotografare la
trasformazione del mercato degli affitti brevi in Italia tra il 2017 e il 2024.
I dati – forniti da AirDna – parlano chiaro: l’offerta di unità abitative sulla
piattaforma è cresciuta del 52% a livello nazionale, e gli host in Italia sono
ormai 350.000 e ciascuno gestisce in media 2,1 appartamenti. A salire è stata
anche la tariffa media giornaliera, cresciuta fino al 50%, arrivando a una media
di 167 euro a notte.
La redditività per unità è aumentata del 124%, portando il rendimento medio
annuo per ogni alloggio a circa 11.700 euro. E il giro d’affari è passato da
circa 2,5 miliardi nel 2017 a 8,8 miliardi nel 2024. Per quanto riguarda invece
la professionalizzazione del settore, i cosiddetti “large host”, gestori che
possiedono più di dieci immobili, hanno visto un incremento del 77%
nell’incidenza, gestendo in media 42 unità ciascuno. Si tratta spesso di agenzie
alle quali i proprietari affittano le proprie case.
Numeri di cui non si tiene conto in un dibattito “molto ideologico”, dice
Chiodelli, concentrato sulla “sacralità della casa, ma solo per i proprietari”.
Mentre “gli affittuari vengono marginalizzati, inascoltati dalle aree politiche
che forse per miopia ignorano i cambiamenti nell’accesso alla casa. Il ceto
medio adesso è composto principalmente da affittuari. La tassazione potrebbe
aiutare a recuperare risorse pubbliche, da investire in altri settori legati
alla casa, come il fondo morosità incolpevole”. Per Chiodelli l’obiettivo non
dovrebbe essere disincentivare, ma governare il settore, tenendo in conto le
differenze territoriali: “Per un fenomeno geograficamente diversificato non
basta una misura nazionale, anzi rischierebbe di compromettere gli effetti
positivi che AirBnb può avere per alcune aree e alcune famiglie. Bisogna agire
anche a livello locale.”
“La proposta sarebbe un ottimo inizio per aggredire il fenomeno, ma da sola non
basta”, conferma Maria Luisa Stabile, portavoce di GRoRAB (Gruppo Romano per la
Regolamentazione degli Affitti Brevi). “Nelle città dove la domanda di affitti
brevi è alta, come nel centro di Roma, a Venezia e in altre città turistiche,
non sarebbe un disincentivo sufficiente. Solo a Roma, attualmente, c’è un
rapporto di 8 a 1 tra l’offerta di affitti brevi rispetto a quella di affitti
lunghi”.
Stabile non ha apprezzato che la Corte dei conti abbia avvertito che aumentare
la cedolare potrebbe spingere verso l’irregolarità, incentivando le locazioni
brevi non dichiarate: “Un organismo costituzionale non dovrebbe passare una
nozione secondo cui il costume degli italiani sarebbe meccanicamente quello di
evadere a fronte di una giusta tassazione. Questo settore negli ultimi sette
anni ha accresciuto il suo fatturato dai 2 ai 9 miliardi circa. Non si può più
continuare a trattarlo come agli inizi della sharing economy, quando si trattava
soprattutto di integrazione del reddito. Non regolamentare significa accettare
che il paese continui a vivere di rendita, una ricchezza basata su un’economia
regressiva”.
Il Gruppo Romano per la Regolamentazione degli Affitti Brevi vorrebbe una legge
nazionale che consenta alle città di definire le soglie di sostenibilità degli
affitti brevi. “Siamo firmatari della proposta di legge scritta dal movimento
civico Alta Tensione Abitativa, ma non sembra che il governo voglia adottarla”,
dice Stabile. “Basti pensare all’opposizione che ha incontrato il Testo Unico
sul Turismo in Toscana. Se il governo non vince il ricorso, sarebbe l’unica
regione con il potere di regolare il fenomeno, insieme alle città di Venezia e
Roma”.
L'articolo Affitti brevi, perché l’aumento della cedolare secca non basta: giro
d’affari a 9 miliardi e ogni casa rende in media 11.700 euro l’anno proviene da
Il Fatto Quotidiano.