I Radiohead sono costretti a rimandare i concerti ad Amsterdam a causa di una
grave infezione alla gola che ha colpito Thom Yorke. La due date verranno
recuperate il 15 e il 16 dicembre. Confermate i due live in Danimarca il 4 e il
5 dicembre. Il tour si chiuderà all’Uber Arena di Berlino. “Ci dispiace dover
rinviare questi due spettacoli con così poco preavviso, ma a Thom è stata
diagnosticata una seria infezione alla gola che gli impedisce di cantare. La
terapia è già iniziata e speriamo che possa tornare sul palco per le ultime date
a Copenaghen e per l’intera serie di concerti a Berlino”.
Andrea Scanzi ha visto la data live a Bologna della band: “Venticinque brani per
due ore e cinque di musica, (18 canzoni più altre sette come bis). La scaletta
cambia ogni data, ma almeno 12/13 brani restano fissi. Pochi fronzoli, zero
chiacchiere (a parte due o tre “tutto bene?” in italiano di Yorke), zero
improvvisazioni. Nessuna contestazione sul tema Palestina: per fortuna e
giustamente”, le sue parole nel pezzo che trovate qui.
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gola” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Grazie Bologna, è stato un piacere”, ha detto Thom Yorke dei Radiohead, poco
prima del gran finale con “Karma Police”, brano cantato a squarciagola dal
pubblico che per tutte e 4 le date italiane (venerdì 14 e sabato 15 novembre,
lunedì 17 e martedì 18 novembre) ha fatto registrare tutto esaurito all’Unipol
Forum di Bologna. FqMagazine vi ha già raccontato il grande evento con la
recensione di Andrea Scanzi, focalizzata in dieci punti per spiegare al meglio
la dimensione artistica della band ad oggi. Qui la cronaca minuto per minuto di
quello che è accaduto il 14 novembre e qualche curiosità che forse non sapevate
ancora.
La band di Oxford è tornata insieme su un palco dopo sette anni dall’ultima
apparizione. Il tour, prima di far tappa a Bologna, è iniziato con quattro show
a Madrid. Il concerto si è aperto con “Planet Telex” suonata su un rotondo palco
posizionato al centro del palazzetto, che ha permesso a tutti di godere di uno
show pensato a 360 gradi. Da “2+2=5” in poi, il muro di led che “isolava” Yorke
e la band si è sollevato, consentendo un contatto visivo diretto col pubblico.
“Sit Down. Stand Up” è stata arricchita da una struggente interpretazione, dal
piano, di Thom Yorke che, unito agli effetti sui led, ha creato una sensazione
di dissolvenza che però, sul finale del brano, ha vissuto la fase “Stand Up”,
con balli e salti da parte di uno scatenato Yorke. Nelle due ore di concerto,
iniziato alle 20:30, è come se si fosse rivissuta l’inquietudine cantata dai
Radiohead sulla modernità e il modo in cui la tecnologia si sta(va) facendo
sempre più largo, soprattutto tra la fine dei ’90 e l’inizio dei duemila. La
quinta traccia suonata è stata “Lucky”, presente in “Ok Computer”, e catapulta
in scenari distopici e allarmanti. In “Ful Stop” Yorke ha preso una pianola e,
suonandola, ha iniziato a muoversi energicamente, spostandosi in ogni
angolazione. Ed è rincuorante vedere artisti che sul palco non si risparmiano,
facendosi trasportare senza aver “timore” di finire in delle clip meme su
TikTok. Certo, è sicuramente un discorso generazionale e, non a caso, erano
pochi i telefoni accesi per delle riprese durante il live.
Con “Videotape” e “Weird Fishes / Arpeggi”, c’è stato un momento “down” ed uno
“up”, con il secondo che si è concluso con un piccolo pogo e con un “battimani”
richiesto da Yorke. La “fase” era di totale immersione nella “selva oscura”
della tecnologia, cioè di un mondo elettronico e digitale che è stato scoperto,
nei testi e nelle composizioni, per sondarne sia le potenzialità che i limiti. I
visual, in “Idioteque”, hanno ritratto Yorke e la band sotto forma di pixel.
Canzone che ha rappresentato, nel live e nella discografia (“Kid A”, 2000), il
momento di maggiore sperimentazione per i Radiohead. Con “A Wolf At the Door”,
il rapporto della band britannica con la tecnologia viene regolato. Da
percepirla come alienante nei primi dischi, col trascorrere dei progetti, i
Radiohead finiranno anche per sperimentarla, salvo poi accettarla tiepidamente.
Album come “Hail To the Thief”, “In Rainbows”, e “A Moon Shaped Pool” hanno
fatto riscoprire l’essere umano come fulcro attorno al quale ricostruire la
trama nelle canzoni. L’uomo al centro e la macchina a margine. “Karma Police” è
stata l’ultima canzone della serata, intonata a squarciagola dal pubblico.
“Karma police, arrest this man; He talks in maths; He buzzes like a fridge; He’s
like a detuned radio” (“Polizia del karma, arrestate quest’uomo; Si esprime con
formule matematiche; Ronza come un frigorifero; È come una radio sintonizzata”),
recita parte del testo.
Finita “Karma Police”, Yorke ha mostrato, fieramente, la sua chitarra elettrica
al pubblico. La band è scesa dal palco per raccogliere una meritata standing
ovation per uno show da zero chiacchiere, nessun cambio abiti ma fatto di tanta,
tanta musica. Ci sono stati accenni politici da parte dei Radiohead nei
confronti di Gaza, dopo le polemiche scatenate nei giorni scorsi su un presunto
appoggio israeliano, salvo poi essere smentito? La band non ha risposto a parole
ma ha fatto scorrere, a fine concerto, il testo della Dichiarazione universale
dei diritti umani.
L’acustica dell’Unipol Arena di Bologna, specialmente ad inizio concerto, non è
stata delle migliori. La scaletta era identica a quella della terza data di
Madrid. In molti nella prima data si aspettavano “Creep” ma, con i Radiohead,
per citare la loro discografia, abbiamo imparato che “2+2” può fare cinque.
Niente è scontato.
(photo credit : Alex Lake INSTA @twoshortdays)
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Bologna, Thom Yorke scatenato senza paura di diventare meme su TikTok, i fan e
la scaletta proviene da Il Fatto Quotidiano.
Ieri ho visto i Radiohead a Bologna. Era la prima delle loro quattro date
italiane (sempre a Bologna). Ogni data è andata subito sold out (14mila persone
a replica). Condiderazioni.
1. Venticinque brani per due ore e cinque di musica, (18 canzoni più altre sette
come bis). La scaletta cambia ogni data, ma almeno 12/13 brani restano fissi.
Pochi fronzoli, zero chiacchiere (o parte due o tre “tutto bene?” in italiano di
Yorke), zero improvvisazioni. Nessuna contestazione sul tema Palestina: per
fortuna e giustamente.
2. La band ha attinto da ognuno dei nove dischi in studio (tranne Pablo Honey, e
non è una novità). I dischi da cui più hanno pescato sono Ok Computer e Hail to
the thief, due capolavori totali.
3. È inevitabile, per una band con un repertorio così sconfinato, che qualche
brano alla fine sia mancato. A titolo personale, ho avvertito l’assenza di Exit
Music (for a film), Street spirit (fade out), How to disappear completely.
Ovviamente sono mancate anche Creep e High and dry, ma questo si sapeva. Da
decenni.
4. Il concerto mi è parso andare a sprazzi. Mi spiego. Ovviamente il livello è
sempre alto, mostruosamente alto, ma parlando dei Radiohead lo do per scontato.
Ci sono stati 6/7 picchi sovrumani, ma anche altrettanti momenti in cui mi sono
proprio disconnesso, perché le canzoni – pur perfette – le ho avvertite
emotivamente algide. E in alcuni casi (3 o 4) mi hanno anche un po’ sfrangiato
certosinamente il glande.
5. Alludo, a proposito di glande sfranto, a momenti tipo Bloom, Ful Stop e
Bodysnatchers.
5 bis. Di contro, i picchi devastanti sono stati: Sit down, stand up (ENORME),
No surprises, There There (MONUMENTALE), Lucky, Fake Plastic Trees (sempre sia
lode), Paranoid Android (momento oltremodo catartico e vero e proprio rito
collettivo) e la conclusiva Karma Police.
5 ter. Molto alti anche altri 6/7 momenti, tra cui di sicuro Videotape. Invece
The National Anthem – che adoro – in questa versione mi ha preso molto meno.
Mannaggia.
6. L’acustica è stata straziante nei primi due brani almeno, vanificando
l’iniziale Planet Telex e ahinoi pure 2+2=5. Non hanno aiutato neanche gli
“schermi” che inizialmente oscurano e coprono la band: gli effetti visivi che ne
derivano sono sontuosi, ma per tutta la prima mezz’ora pensi: “sì, tutto bello,
però adesso me li togli dai cogli**i e mi fai vedere la band, per favore?”.
7. Tecnicamente e musicalmente i Radiohead sono siderali. Hanno inventato un
suono, non sono mai uguali a se stessi, inventano musica da 40 anni, spaziano da
un genere all’altro (si pensi al quasi-rap ipnotico di Wolf at the door) e hanno
codificato un muro del suono personale, lisergico, onirico e personalissimo. E
questo dato – evidente anche ieri – li rende per distacco una delle più
importanti band degli ultimi 3/4 decenni.
8. I Radiohead sono un gruppo che dipende molto dalla fase emotiva e psicologica
che stai passando. Mentre Neil Young o i Led Zeppelin sono eterni, ma pure
Springsteen o i Pink Floyd, i Radiohead – per entrarti veramente dentro – devono
beccarti in un momento in cui ha lo spleen e la saudade (o derivati) in modalità
on a tutto volume. In caso contrario, qua e là ti appaiono più distanti, freddi
e in taluni casi persino (qua e là) noiosetti. Io, che non sono ora in modalità
spleen e/o malinconica, ieri ho vissuto appieno questo aspetto, passando di
continuo dal 9/10 al 6–/6+.
9. Quanto detto al punto 8 non è un difetto: è una caratteristica. I Radiohead
restano pazzeschi, ma perché ti arrivino appieno serve anche la tua propensione
a farti “devastare” da loro. Io li ho amati follemente da The Bends a Hail to
the thief compresi. Poi ho apprezzato parecchio In rainbows, che è un
capolavoro, ma che già mi ha preso meno il cuore. Gli ultimi due dischi, The
King of Limbs e A Moon shaped pool, pur splendidi non li ascolto mai. E ieri ho
capito il perché. Ma son gusti, o per meglio dire sensibilità diverse.
10. Mentre guardavo Thom Yorke, pensavo a Dino Campana: cento anni fa
(tragicamente) uno così sarebbe stato internato, incompreso e relegato in un
manicomio. La diversità faceva (e fa) paura. Yorke non ha (mai avuto) nulla di
umano. Nulla. È palesemente un alieno che vive nel suo mondo e ci racconta – con
voce inaudita – cose che vede solo lui. Un’anima illuminata, inquieta e
fragilissima. Lo capisci anche solo da come si muove, dagli sguardi, dalla sua
costante alienità. Ne deriva per contrasto un carisma infinito, che lo porta a
ipnotizzarti mentre “balla” e saltella di continuo sul palco, caracollando in
maniera insondabile, ostaggio di un malessere tarantolato e profondo che lo
brucia. E al contempo lo ispira.
10 bis. Tanto per scrivere una bischerata (che sarà l’unica cosa che molti
ricorderanno di questo articolo, perché la mente umana è strana parecchio): in
alcuni momenti, nelle immagini che comparivano sugli schermi, Yorke sembrava
Simone Tartarini, il coach di Musetti. E in effetti, come allenatore di Lorenzo,
non lo vedrei mica male.
10 ter. Concludendo. Band eterna. Talento a quintali. Tour storico. Livello
sempre alto e spesso altissimo. Empatia ora fuori scala e ora molto (troppo?)
british. Almeno 6/7 momenti indimenticabili. Chi ha trovato il biglietto se la
goda, perché di gruppi così ne nascono – e nasceranno – pochi pochi. Anzi meno.
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picchi sovraumani, altri momenti in cui mi sono disconnesso. In ogni caso,
gruppi così ne nasceranno pochi. Anzi meno – di Andrea Scanzi proviene da Il
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