Giovanni Sarchioto è il pugile che piace agli addetti ai lavori. Maestri,
manager e suoi colleghi parlano un gran bene del 28enne romano sin dal suo
passaggio al professionismo nel 2021, soprattutto da quando è andato a vincere
per ko a Las Vegas due anni fa. Da allora non è riuscito a conquistare il titolo
italiano dei medi perché, nonostante fosse stato designato ufficialmente
sfidante al titolo, non ha mai trovato avversari che volessero combattere con
lui, se non un paio di un livello inferiore nel ranking. Sabato scorso ha vinto
a Ferrara il mondiale UBO, sigla non di prim’ordine, diciamo sotto le cinque
principali.
Ma il ragazzo aspira, giustamente, a molto di più e lancia così la sfida a Dario
Morello, pugile altrettanto bravo e molto più forte a livello mediatico grazie a
una attività costante sui social e a una personalità che travalica il ring.
Morello frequenta il jet set dello spettacolo, essendo fidanzato con la cantante
Serena Brancale. Riesce a riempire i palazzetti come nessun altro in Italia
(vedi l’ultima serata TAF a Milano). Morello, talento puro soprattutto in fase
difensiva, è attualmente in possesso della cintura EBU Silver, l’ultimo gradino
per arrivare all’Europeo vero. Si farà dunque questo match che gli appassionati
di boxe in Italia vorrebbero tanto vedere, e già sta crescendo il tam tam su
Instagram e Facebook?
Per come sono da sempre le dinamiche della boxe, diverse da qualsiasi altro
sport che non sia da combattimento, potrebbe non farsi: tra le sedici corde non
sempre i migliori si affrontano, non si è obbligati a farlo neanche per
diventare campioni del mondo, soprattutto in un ambiente italiano che non è
economicamente florido come negli anni ’80. Insomma, se uno non vuole
affrontarti e fare un percorso diverso dal tuo lo può fare. Oppure è il manager
che non ti mette contro un determinato avversario perché magari questi si trova
ad un livello diverso dal tuo in carriera. La tendenza poi a evitare le
sconfitte per non rovinare il record ha fatto il resto.
“Voglio fare questo match, per il semplice fatto che io sono disposto da sempre
a battermi con chiunque e siccome lui si definisce il migliore, trovo
inevitabile uno scontro tra noi due per definire appunto chi è il più forte in
Italia e quindi pronto per l’Europeo“, lancia la sfida Sarchioto, intervistato
dal fattoquotidiano.it. “Cosa gli rispondo? Che per me è solo un discorso
economico – dice Morello al fattoquotidiano.it – Io ho solo da perdere in questa
sfida. Ma se mi danno quanto chiedo si può fare anche stasera!”. Morello, che è
il manager di sé stesso, ha dimostrato molta lucidità nelle ultime stagioni nel
costruirsi una carriera che lo ha portato a un passo dall’Europeo.
Sarchioto è fiducioso o comunque la prende con ironia: “Credo che prima o poi si
farà perché Morello sta prendendo fiducia in sé stesso, circa un anno fa o poco
più voleva 50mila euro per fare contro di me, adesso dice che 30 vanno bene. Io
sarei pronto a farlo anche in trasferta a Milano“. Il manager di Sarchioto,
Massimiliano Duran, ha fatto sapere che per 30 mila euro è disposto a
organizzare. Morello, ma lei teme Sarchioto?: “È un buon pugile ma non più forte
di quelli che ho affrontato fino ad ora. Sennò non avrebbe perso il match al WBC
Gran Prix. Il suo ultimo incontro a Ferrara non l’ho neanche guardato ma mi
hanno detto che non è stato nulla di che“.
I due hanno fatto sparring solo una volta, tanti anni fa, quando erano in
Nazionale (Sarchioto da Youth, Morello già Élite). È troppo poco per fare un
pronostico su chi eventualmente vincerebbe. Tra i professionisti non hanno
nemmeno avuto avversari in comune. Sicuramente ne verrebbe fuori un bel match,
anche per le caratteristiche diverse dei due. Sono probabilmente il meglio di
quello che offre la boxe italiana oggi, capitati nella stessa categoria,
prestigiosa, tra l’altro, dei pesi medi. Purtroppo Sarchioto-Morello è facile
che rimanga solo un match di fantaboxe ed è un peccato perché il rilancio di
questo sport passa da questi incontri con i migliori sul ring.
Credit photo Dario Morello: @gretagracegreta (Instagram)
Credit photo Giovanni Sarchioto: @dibiagioandrea (Instagram)
L'articolo Sarchioto-Morello, il match di boxe che in Italia tutti vogliono ma
che probabilmente non si farà: ecco perché proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Boxe
Tiro a segno e pugilato, boxe dentro a un poligono: un binomio insolito fra due
discipline che non hanno nulla in comune (o quasi, come vedremo), e che però è
diventato un caso istituzionale, in grado di scomodare addirittura il genio
militare.
A ottobre, infatti, nella sede Nazionale del Tiro a segno di Milano, era stata
inaugurata una nuova sede della Federazione Pugilistica. L’origine
dell’iniziativa è da ricercarsi nell’unico punto reale di contatto fra le due
discipline, che ha un nome e un cognome: Walter De Giusti, segretario generale
della Federazione Pugilato, ma anche commissario dell’Unione Italiana Tiro a
segno (UITS). Proprio grazie a questo doppio ruolo (che nell’ambiente sportivo
aveva già sollevato perplessità), ha pensato di prendere i classici due piccioni
con una fava. Visto che nell’impianto, a seguito della chiusura di una palestra
e un bar che non avevano titolo per stare lì, si erano liberati degli spazi, ha
pensato di metterli a disposizione di altri atleti di un’altra Federazione
(quella di cui è segretario).
Più facile a farsi che a dirsi: la trovata innovativa del presidente-commissario
non aveva fatto i conti con i militari, per cui le norme vengono prima di tutto.
I campi di tiro sono compresi tra gli immobili demaniali e sono dati in uso, a
titolo gratuito, alle varie sezioni: ciò implica che quest’ultime non possono
subappaltarle, e ne hanno obbligo di custodia, che mal si sposa con l’apertura
agli esterni (quali appunti i tesserati della boxe). I poligoni sono luoghi
sensibili, dove vengono conservate armi e già ci sono stati problemi di
sorveglianza in passato.
Ne è nata una vera e propria guerra a colpi di carte bollate, con una prima
diffida a fine di novembre, i sigilli ai locali e da ultimo addirittura una
lettera che richiede lo sgombero immediato: “In seguito al sopralluogo
effettuato in data 4 dicembre 2025 è stato accertato che, nonostante la diffida,
i locali posti nel seminterrato risultano ancora occupati da un ring, da
attrezzature per la boxe, da un tapis roulant e altri attrezzi per il
cardiofitness e l’allenamento total body”, si legge nel documento firmato dal 3°
Reparto Infrastrutture Ufficio Demanio. “Con la presente si intima lo sgombero
entro il termine di sette giorni”. Non solo: in caso di inottemperanza è
minacciato lo sgombero forzoso, e in ogni caso viene chiesto un indennizzo (che
sarà quantificato dall’Agenzia del Demanio) per l’occupazione in queste
settimane.
In un momento in cui nello sport si parla tanto di accorpamenti e
efficientamento, e le Federazioni perdono tesserati e hanno bisogno di nuova
linfa, la sinergia poteva essere anche una buona idea, ma certo non può nascere
solo dal fatto che alla guida delle due discipline ci sia la stessa persona. In
ogni caso la questione è destinata a non finire qui, perché il
commissario-presidente De Giusti rimane convinto della bontà della sua
iniziativa. Non vuole rinunciare per colpa della burocrazia (come un semplice
ritardo nel protocollo d’intesa fra le due Federazioni, o le altre obiezioni
sollevate) perciò è pronto a rilanciare, proponendo eventualmente anche il
tesseramento dei pugili (in modo che non siano più “esterni”) o eventualmente a
traslocare in un altro spazio (a quel punto il Demanio avrebbe il problema del
rischio di abbandono dell’impianto).
Il caso va contestualizzato nelle tensioni che attraversano l’UITS, già
raccontate dal Fatto. L’ente è stato commissariato a inizio 2025 dopo la
telenovela sulle elezioni dell’ex presidente Vespasiano. Il commissario De
Giusti aveva deciso di congelare le urne, ma il Tar di recente ha stabilito che
si deve andare subito al voto. Sentenza che è stata ottemperata in un modo che
non ha convinto tutti: il commissario ha sì convocato l’assemblea, ma soltanto
per maggio 2026, per completare prima le attività amministrative in sospeso.
Sullo sfondo, rimane la possibile riforma dell’ente, su cui il governo ha
intenzione di intervenire profondamente, separando la parte pubblica (le armi)
da quella sportiva, sul modello di quanto appena fatto con l’Automobil Club. Ma
chissà se si farà a tempo prima delle elezioni, e se ciò potrà avere
ripercussioni sul voto. Il Tiro a segno ha già tante incognite. Forse troppe per
pensare pure al pugilato.
X: @lVendemiale
L'articolo Boxe dentro al poligono di tiro: l’esperimento a Milano scatena il
braccio di ferro con i militari, che minacciano lo sgombero proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Da decenni il professor Mario Ireneo Sturla è un punto di riferimento nel
settore medico della boxe mondiale, ricoprendo ruoli come Coordinatore Sanitario
Nazionale FPI, Presidente della Commissione Nazionale Studi e Ricerche FPI,
Presidente della Commissione Medica Europea EBU e Chairman della Commissione
Medica Mondiale WBC. Il professore è stato a bordo ring in centinaia di titoli
mondiali. È impegnato a livello scientifico nella lotta contro il taglio del
peso, la pratica in cui l’atleta riduce, di solito molto rapidamente, il proprio
peso corporeo per rientrare in una determinata categoria il giorno della
pesatura ufficiale. Dopo il peso, nelle 24-36 ore che precedono il match,
l’atleta si reidrata e si rifocilla, salendo di peso, anche di 10 kg.
Quando è arrivata questa pratica in Italia?
Il taglio del peso in Italia, pratica importata dall’MMA, è arrivato a cavallo
tra il 2019 e il 2020. Hanno dunque iniziato a farlo i pugili di quest’ultima
generazione; molti sono ancora in attività. I danni a lungo termine non sono
ancora arrivati: il conto purtroppo verrà pagato in futuro.
Riesce a farlo capire ai pugili?
Ai pugili prima parlo con la scienza, l’unico luogo che non permette la
democrazia: o sai o non sai. Poi cerco di semplificare il concetto: ‘Attenzione
che ti stai rovinando i reni, il fegato e il cervello per due volte può andarti
bene, ma la terza può essere fatale’. Nel cervello favorisce stati commotivi,
emorragie cerebrali, emorragie subaracnoidee, ematomi sottodurali ed
encefalopatia cronica.
Quale altro tasto può essere toccato perché un pugile lo capisca?
Per esempio che il taglio del peso sul ring è controproducente: la performance
diminuisce del 20% con una perdita di liquidi del 2%.
Viste le condizioni in cui si presentano alcuni pugili sul ring e alcune foto e
video che appaiono sui social nella fase pre-cerimonia del peso, la sua
battaglia sembrerebbe ancora lontana dall’essere vinta. Cosa ha bisogno il mondo
del pugilato?
Nella boxe servono medici specializzati e onesti che lavorino per la tutela
della salute del pugile e che non si stanchino di sensibilizzare tutti gli
addetti ai lavori sui fattori di rischio legati al gesto atletico.
Cosa deve fare il medico?
Il piano dietetico per un pugile deve essere fatto solo da medici specializzati
ed esperti, non da biologi nutrizionisti, i quali non possono conoscere in
maniera approfondita tutte le patologie che un medico ha studiato.
E poi?
Il medico inoltre deve scegliere la categoria di peso ideale anche per i
giovani. Una volta ce n’erano meno; erano 8 quando ho iniziato io.
Paradossalmente, nello squilibrio degli sbalzi di categoria c’era un equilibrio
maggiore: la maggiore differenza di peso tra una categoria e la successiva
rendeva difficile il passaggio da una a un’altra.
Un tempo come funzionava?
Una volta si usavano le saune e tute di gomma, ma idealmente il pugile non
dovrebbe allenarsi nemmeno così e, ovviamente, senza diuretici che oggi sono
giustamente considerati doping. Il pugile ideale dovrebbe allenarsi
esclusivamente in pantaloncini e a torso nudo poiché spesso si confonde la
perdita di peso con la disidratazione.
L'articolo “Taglio del peso? I danni a lungo termine non sono ancora arrivati,
il conto verrà pagato in futuro” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il campione del mondo di kickboxing, Mattia Faraoni, si prepara a difendere il
titolo ISKA a Ostia contro il giapponese Akira Jr. Unemura. Un incontro cruciale
che, in caso di vittoria, potrebbe spalancare al fighter romano le porte della
fase finale del prestigioso torneo K1 in Giappone. A Faraoni, noto al grande
pubblico anche per il successo sui social e le collaborazioni con Cicalone su
YouTube, spetta il difficile compito di dare continuità a questo sport a pochi
giorni dall’addio alle scene di Giorgio Petrosyan, il più grande di tutti,
avvenuto a Milano.
Ora tocca a lei, Faraoni. Come vive questa eredità?
Ha smesso un dio della kickboxing. Un ‘GOAT’ e anche di più. La kickboxing,
comunque, continua a far parlare di sé: i palazzetti sono pieni e le TV
trasmettono i match. Certo, un altro Petrosyan sarà difficile da trovare nel
mondo, anche se di bravi atleti, pure in Italia, ce ne sono.
Come arriva a questo match al Pala Pellicone di Ostia?
Ci arrivo dopo un percorso costruito piano piano. Questo match con il giapponese
è determinante per il mio futuro, per tornare a combattere in Giappone e
disputare uno dei tornei più prestigiosi. Sono concentrato e determinato al
massimo.
Lei è laureato in Tecnica di Radiologia Medica, suo fratello minore Francesco
(pugile a un passo dal titolo italiano) in Statistica. Siete la dimostrazione
che i fighters non sono i ‘brutti, sporchi e cattivi’ di certi cliché?
Basta con questi cliché! Io e mio fratello andiamo nelle scuole a parlare di
bullismo con i ragazzi. I luoghi comuni sui fighters stanno pian piano
scomparendo, ma la cultura non cambia in un solo giorno. Siamo comunque sulla
strada giusta. Servono persone pulite e oneste. Basta anche con il cliché
dell’esaltato che deve redimersi: lo sport va fatto quando hai un obiettivo e il
fuoco dentro, un desiderio profondo e dei progetti, proprio come nella vita.
Lei è stato anche campione italiano dei massimi leggeri nella boxe. Tornerà mai
nella ‘noble art’?
Mai dire mai, ho una doppia identità. Ma ora sono concentrato nella kickboxing,
dove sono più forte, competitivo e con contratti importanti. Mi ha fatto sentire
in ‘Serie A’.
E suo fratello Francesco?
Mio fratello è un talento sia tecnicamente che psicologicamente; non gli pongo
limiti.
Ha mai provato paura quando ha prodotto per YouTube la serie “Quartieri
Criminali” con Simone Cicalone?
Paura no, anche se alcuni contesti erano borderline. È stato bello incontrare
ragazzi come noi, di periferia, che vivono in situazioni difficili. Nelle Vele
di Scampia, per esempio, abbiamo trovato persone accoglienti e affettuose,
impossibile rifiutarsi di prendere un caffè. Abbiamo testimoniato che il bello
c’è ovunque, solo che un contesto diverso può portare le persone ad agire in
maniera illegale. Un ragazzo che vive in un buco con altre quattro persone,
scale pericolanti e magari senza vetri alle finestre cresce con un concetto di
bene e male diverso.
Non crede che Cicalone si sia spinto troppo oltre e che la gestione delle
questioni di sicurezza debba restare di esclusiva competenza delle Forze
dell’Ordine e non di un content creator?
Conosco Cicalone da tantissimi anni. È stato uno dei primi divulgatori a Roma e
non solo della boxe e degli sport da contatto, con la sua ‘Scuola di Botte’ dove
spiegava il pugilato in modo tecnico, ma anche irriverente. Successivamente, si
è specializzato su temi ‘caldi’ della periferia romana, portando all’attenzione
di tutti questioni come il degrado e la microcriminalità, aspetti che, ci tengo
a sottolinearlo, affliggono purtroppo qualsiasi grande area metropolitana
moderna, sia in Italia che all’estero. Il pubblico romano lo segue e lo
apprezza. Ho visto di recente che c’è stato un sit-in con centinaia di romani
che gli hanno dimostrato vicinanza per quanto ha subito nei giorni scorsi. Detto
questo, è chiaro e indiscutibile che gli aspetti di pubblica sicurezza spettano
esclusivamente alle Forze dell’Ordine. Su questo non c’è neppure da discutere.
Tuttavia, è importante ricordare che anche le Forze dell’Ordine raccolgono
segnalazioni di atti criminali da comuni cittadini. Ho notato che Cicalone lo fa
sempre, collaborando (come nell’ultimo caso di cronaca con la Polmetro di
Ottaviano). Il suo essere uno youtuber di inchiesta non sempre valorizza
adeguatamente questo suo impegno civile e la sua collaborazione con le Forze
dell’Ordine.
L'articolo Mattia Faraoni dall’eredità di Petrosyan alla laurea, fino al
rapporto con Cicalone: “Basta con i cliché sui fighters, servono persone pulite
e oneste” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Isaac Johnson, lottatore di Mma, è morto nella notte tra venerdì e sabato dopo
essere collassato sul ring durante un incontro di Muay Thai. L’atleta – 31 anni
– stava partecipando al Matador Fighter Challenge a Cicero, un sobborgo di
Chicago. Johnson è collassato durante il terzo round ed è stato immediatamente
trasportato in ospedale, come dichiarato dall’organizzatore dell’evento Joe
Goytia. È morto poche ore dopo per cause sconosciute, in quanto i risultati
dell’autopsia non sono ancora stati resi noti.
“Non ho parole per esprimere ciò che provo in questo momento. Porgo le mie più
sentite condoglianze alla sua famiglia, ai suoi amici e ai suoi compagni di
squadra”, ha scritto Goytia in un post su Facebook, sottolineando anche che
aveva superato tutte le visite mediche. Johnson stava partecipando al suo primo
incontro di Muay Thai e stava affrontando Corey Newell nella divisione dei pesi
massimi. La polizia di Cicero ha aperto un’indagine.
Secondo il sito web Nbc Chicago, la competizione è stata pubblicizzata come
“l’evento MMA e thailandese per eccellenza, in cui i lottatori locali si
sfideranno in incontri ad alta intensità e ad alto rischio“. Secondo le varie
locandine, Johnson avrebbe dovuto competere nella categoria dei pesi massimi di
Thai Boxing.
L'articolo Si accascia sul ring e muore a 31 anni dopo un “incontro ad alto
rischio”: mistero sul decesso di Isaac Johnson, aperta inchiesta proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Si divide tra la sua palestra a Firenze, aperta da maggio, e gli impegni in giro
per il mondo da tecnico della Nazionale. Leonard Bundu, dopo una grande carriera
da pugile che lo ha visto vincere più volte l’Europeo e combattere anche in
America, rivive oggi da maestro le emozioni del passato trasmettendole ai
giovani atleti a cui insegna i colpi della boxe. È fratello di Antonella,
candidata alla presidenza della Toscana alle ultime regionali.
Come sono i ragazzi di oggi?
Tecnicamente sono bravi, ma forse servirebbe loro un po’ più di grinta. Non sono
passati tanti anni dai miei tempi, ma i ragazzi di oggi sono più ammorbiditi;
hanno meno voglia di scavare fino in fondo alle proprie risorse per arrivare
alla conclusione. Non per forza si deve passare attraverso la sofferenza della
vita, anche se spesso è quella a darti quella “cazzimma” in più. Questo sport
non è semplice, soprattutto per i giovani che per allenarsi e combattere non
fanno la vita dei propri amici.
Lei che infanzia ha avuto?
Fino ai 16 anni ho vissuto in Sierra Leone, dove sono nato. Ho iniziato con la
boxe qui in Italia per socializzare. In Africa ho tirato solo cazzotti tra amici
per strada, la palestra era lontana. In Sierra Leone la boxe piaceva molto, pur
senza esserci una grande tradizione.
Che ricordi ha di quegli anni?
Bei ricordi, una giovinezza libera in mezzo alla natura. Si usciva la mattina e
si tornava alla sera senza troppa preoccupazione da parte dei familiari. Non era
pericoloso allora. Dopo è iniziata una guerra atroce con bambini soldato e siamo
venuti a Firenze. Fu una guerra civile iniziata in Liberia e culminata con un
colpo di stato, c’era grande interesse economico per via dei diamanti. Non sono
più tornato dal 1991, ma prima o poi lo farò.
In Italia ha avuto una lunga carriera da dilettante e poi è passato
professionista, forse troppo tardi?
Sono passato professionista a 31 anni, ma è stato il momento giusto per farlo.
Prima non ero pronto dal punto di vista mentale. Dopo l’Olimpiade del 2000, dove
la medaglia non è arrivata, avevo perso gli stimoli e ho quasi smesso. Ho
cercato di concretizzare il mio percorso passando Pro, con molta serietà,
gareggiando fino a quasi 42 anni.
Ha disputato anche un mondiale WBA Interim in America.
Avevo già 40 anni e stavo bene, ma contro un avversario con 14 anni in meno la
differenza si vede. Con Thurman la differenza c’era. È stata comunque
un’emozione andare a Las Vegas a combattere.
I match con Daniele Petrucci a Roma e poi a Firenze nel 2011 hanno riportato
indietro la boxe di decenni per quanto riguarda l’entusiasmo e l’attenzione
mediatica.
Sì, si respirava un’aria d’altri tempi. Tutti parlavano di questo match, con un
grande coinvolgimento di pubblico e stampa. Io ho sempre avuto tanti tifosi a
Firenze, sono stato molto amato e seguito. Perché? Per il mio modo di fare, di
essere me stesso nel successo e nelle sconfitte, di essere simpatico, sincero,
umile.
Come ha festeggiato dopo la vittoria dell’Europeo con Petrucci?
Sono andato a Cuba con la mia famiglia, dove mi riconoscevano e mi salutavano,
urlandomi “Bunduuuu!”. Contro i loro pugili avevo combattuto da dilettante; mi
hanno fatto sentire a casa.
Sono stati quelli i match più belli?
Il ricordo più bello è legato al match in Inghilterra, la difesa europea con Lee
Purdy. Avevo tutti contro all’inizio: sul ring l’avversario mi diceva che ero
vecchio, ma a 39 anni l’ho messo KO alla dodicesima ripresa, conquistando tutto
il pubblico inglese che inizialmente mi era ostile.
Ha vissuto “cose sporche” nella boxe?
Ingiustizie ci sono se combatti fuori casa o contro una nazionale politicamente
più forte, ma truffe vere e proprie non le ho mai subite. Secondo me ci sono
pugili che si lamentano troppo, fuori e dentro il ring.
Un nuovo Bundu è all’orizzonte?
Magari qualcuno di meglio tecnicamente ci sarà, ma di Bundu ce n’è solo uno. Ed
è giusto che sia così, perché ognuno deve avere le sue caratteristiche.
L'articolo Leonard Bundu: “I ragazzi di oggi sono ammorbiditi. Il più bel
ricordo con Purdy: mi diceva che ero vecchio, l’ho messo ko” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
La leggenda mondiale della kickboxing, Giorgio Petrosyan, atleta nato in Armenia
e cittadino italiano, dà l’addio a questo sport pochi giorni prima di compiere
40 anni. Lo farà sabato 22 novembre all’Allianz Cloud di Milano, affrontando il
fighter portoghese José Sousa nella categoria 70 kg. L’evento sarà il match clou
di “Petrosyanmania – The Last Fight”, una serata con tantissimi incontri che
vedrà esibizioni in tre diverse discipline: kickboxing, muay thai e boxe.
Petrosyan, come ha vissuto i giorni che hanno preceduto questo match?
Cercando di non pensare ad altro al di fuori dell’incontro. So che è l’ultimo e
voglio godermi questi momenti al cento per cento.
Ha paura di quello che succederà dopo?
Combatto da ventitré anni e sto in palestra da ancora più tempo. So che rimarrò
sempre in questo ambiente, portando avanti quello che ho imparato in questi
anni. Ma ci sarà da lavorare mentalmente. È un po’ come per chi ha lavorato
tutta la vita e va in pensione: c’è gente che va in depressione. Io, rimanendo
in palestra e portando i più giovani a combattere, un po’ di adrenalina la
manterrò. Psicologicamente dovrò fare uno sforzo.
Come mai ha preso questa decisione?
Non ho deciso perché farò i 40 anni. Ho avuto tanti infortuni in carriera: ernia
cervicale, mascella, mani… ho subito undici interventi solo sulla mano sinistra.
Anche fare la dieta da tutta la vita comincia un po’ a pesare, quindi questo è
il momento di smettere.
Il Petrosyan di oggi è un atleta diverso rispetto a quello del passato?
Sì, 20 anni fa ero un ragazzino che doveva dimostrare al mondo chi era
veramente. Oggi non ho niente da dimostrare, lo faccio perché mi piace ed è la
mia passione.
Giorgio a 39 anni o Giorgio a 25 anni?
Vincerebbe il venticinquenne. Però il Giorgio a 33 anni è stato il top.
È un caso che il “Last Fight” si disputerà a Milano?
Milano è casa mia, con i tifosi tutti per me. Vivo qui da undici anni, ma ho
sempre combattuto in questa città gli incontri più importanti.
Com’è, invece, il rapporto con l’Armenia?
Sono nato a Yerevan, l’Armenia mi piace. Ci vado da turista 10 giorni all’anno,
ho visto il mondo, ma da ogni parte mi mancava tornare in Italia, che è il mio
Paese. Ho sangue armeno, però mi sento italiano e ho sempre combattuto con la
bandiera italiana.
L’inizio è stato duro in Italia?
I primi anni sono stati durissimi. Ho dormito in stazione a Milano e in stazione
a Torino, ho vissuto in Caritas. Poi mio padre ha ottenuto il permesso di
soggiorno e nel 2014 ho avuto la cittadinanza italiana per meriti sportivi. Fino
ad allora ho avuto problemi ad andare all’estero con il documento “titolo di
viaggio” scritto a mano, che non veniva riconosciuto da tutti.
Anche la conoscenza dell’italiano è ottima.
Ho la terza media, non ho studiato, ma vivendo qui, dove non ci sono tanti
armeni, ho sempre parlato l’italiano.
Si ricorda la prima palestra?
Il mio maestro faceva un corso nella palestra del pugile Paolo Vidoz. Era un
buco di palestra, ma era bellissimo allenarsi lì.
È stato Vidoz a insegnarle l’italiano?
Ahahah, no, lui parlava solo il dialetto!
È una leggenda della kickboxing. A quale altro sportivo si paragonerebbe?
Non mi piace farlo.
È un gioco.
Ho vinto tutto quello che c’era da vincere, quindi mi potrei paragonare a Messi.
Le piacciono altri sport da combattimento?
Quando ero in Armenia guardavo la boxe, mi svegliavo per vedere Tyson. Oggi
nessuno mi fa impazzire.
Un domani potrebbe fare un match esibizione di boxe, come è di moda oggi?
Mai dire mai, questo ho imparato nella vita. Può succedere di tutto. Ora chiudo
la carriera, poi chissà…
Ha raccontato nella sua biografia dei furti fatti nei supermercati per
sopravvivere. Si pente?
Ho rubato del pollo per mangiare quando ero ragazzino e non avevo niente. Non mi
pento, dovevo mangiare. Non ho rubato oro o fatto furti nelle case.
Più tardi avrebbe iniziato a lavorare. Come faceva a coniugare un mestiere
faticoso con la kickboxing?
A 15 anni facevo il muratore, un lavoro pesante che mi formava fisicamente. Lo
facevo con la testa dello sportivo. Lo prendevo come un allenamento, poi andavo
in palestra a fare la parte tecnica. Prima di andare a lavorare, inoltre,
correvo 40 minuti. Se uno ha voglia, si allena; le altre sono solo scuse.
Che ricordi ha dell’Unione Sovietica, dove è nato?
Al lago in estate con nonni e cugini, ricordi belli. Poi l’Armenia è diventata
una repubblica ed è andata in guerra con l’Azerbaijan. Ricordo i soldati e i
carri armati che si preparavano per andare in battaglia, bussavano alle porte
perché non c’era ancora un esercito ufficiale. Mio papà aveva quattro figli e si
è salvato, mentre mio zio è scappato sui tetti. Durante la guerra ricordo la
fila per prendere un pezzo di pane, il gasolio che serviva per fare luce. Io ero
piccolo, ma per i miei genitori sono stati giorni difficili.
Ci sarà a breve un nuovo Petrosyan?
No. Abbiamo un ragazzino bravo in palestra, ma rimane un punto di domanda perché
in Italia temo che questo sport vada in difficoltà una volta che smetto io. Io
vincevo incontri in Giappone e Italia 1 li trasmetteva in diretta. Io sono
conosciuto all’estero, mentre i campioni che abbiamo oggi sono conosciuti solo
in Italia o su Instagram.
Come vede gli altri sport da combattimento?
Rimane forte il pugilato in America e in Gran Bretagna. L’MMA non mi piace, in
Italia non ha sfondato. La boxe a mani nude non mi fa impazzire, ci si fa troppo
male.
L'articolo Come sarà la kickboxing senza Giorgio Petrosyan? “Ho avuto tanti
infortuni, ho subito 11 interventi, fare la dieta inizia a pesare” proviene da
Il Fatto Quotidiano.
Dopo solo quindici secondi dall’inizio del match d’esordio da professionista,
Abbes Mouhiidine con un montante aveva già atterrato il suo avversario,
l’argentino Franco Catena. Poi ha gestito bene i sei round, vincendoli tutti e
portando a casa la vittoria ai punti. Non è il debutto di un pugile qualsiasi:
il campano Mouhiidine da dilettante ha vinto due argenti ai mondiali e un oro
agli europei. Arrivato da favorito ai Giochi Olimpici di Parigi è uscito con un
verdetto discutibile al primo turno con l’uzbeko Lazizbek Mullojonov, che
avrebbe poi vinto la competizione. Quest’estate ha deciso di passare Pro.
Saltato a causa dell’avversario il match a Catania, dove invece ha esordito il
suo collega Salvatore Cavallaro, pochi giorni più tardi è capitata l’occasione
di disputare questo match a Osimo, nella serata in cui Charlemagne Metonyekpon
ha conquistato il titolo IBF International dei Super Leggeri.
Mouhiidine, è soddisfatto?
Mi sento come un bambino, sto a tremila! Ero rilassato e pronto. Ho continuato
ad allenarmi anche dopo che era saltato il match, sapendo che avrei avuto di
fronte un avversario vero.
Dopo l’atterramento dell’avversario la vittoria è arrivata nettamente ai punti.
A me piace fare divertire il pubblico e la preparazione era stata fatta per i 6
round.
Ha riscontrato differenze tra professionismo e dilettantismo?
Non troppe, mi sono spostato sulle gambe ma come provato in allenamento e negli
sparring sono stato più con i piedi per terra per portare i colpi più incisivi.
Ero molto tranquillo come lo sono sempre stato tra i dilettanti. Ovviamente
vanno gestite meglio le risorse e i colpi in tutte le riprese, che qui erano il
doppio di quante sono tra i dilettanti.
Combatte per la Polizia di Stato, con Davide Bianchi come procuratore. Avete già
tracciato un piano per il futuro prossimo?
A febbraio farò un altro match, sarà sempre un incontro vero in modo da scalare
presto la classifica. Facendo tanta attività vogliamo arrivare al titolo
italiano dei cruiser già a metà del 2026.
Ha sperato in una chiamata di qualche organizzazione importante estera?
In America e in Inghilterra spesso puntano sui loro pugili. Probabilmente anche
con la medaglia d’oro olimpica al collo non avrebbe avuto senso andarci. Sì, i
Giochi sono stati una grande delusione, ma i grandi campioni si rialzano.
Quale è il suo sogno?
Di unificare tutte le cinture dei cruiser, anche Usyk è partito da questa
categoria di peso. Sto seguendo i vari Opetaia e Gilberto Ramirez, sia da
appassionato che da diretto interessato. Li punterò tra qualche anno.
La sua carriera sta correndo parallela a quella di Salvatore Cavallaro.
Sono il suo primo tifoso oltre che amico. Da dilettanti abbiamo girato il mondo
insieme, siamo stati uniti nella sofferenza e nei trionfi. Fare sparring con un
peso medio come lui è sempre utile.
A settembre non è stato convocato per i mondiali dilettanti di Liverpool da
Giovanni De Carolis.
La linea guida della nuova gestione va rispettata. Io da casa ho tifato tutti i
ragazzi impegnati a Liverpool. Ora però sono concentrato su questa nuova
avventura.
Prima delle Olimpiadi di Parigi lei era la speranza del pugilato italiano,
considerato il Sinner della boxe che avrebbe trascinato tutto il movimento ai
fasti del passato. È ancora in tempo per farlo?
Il tempo c’è, fatemi lavorare. Già altri stanno facendo un buon lavoro, io
voglio dare quel tocco in più. Ma con l’umiltà di uno che lavora ogni giorno
proprio come Sinner. Voglio essere un esempio per i giovani che mi seguono e
quelli che non mi seguono ma presto lo faranno.
L'articolo “A me piace far divertire il pubblico, lavoro con umiltà ogni giorno,
come Sinner”: l’esordio da sogno nei Pro di Abbes Mouhiidine proviene da Il
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