Sono 4.682 i campioni analizzati tra frutta, ortaggi, cereali, prodotti
trasformati e alimenti di origine animale, con risultati preoccupanti. Perché se
oltre la metà di quelli provenienti da agricoltura convenzionale risulta priva
di pesticidi (50,94%, meno però dell’anno prima, 57,32%), dall’altro il 48%
contiene tracce di uno (il 17,33%) o più fitofarmaci: questi ultimi
rappresentano ben il 30,6% del campione (con un incremento del 14,93% rispetto
all’anno precedente). È quanto emerge dal dossier “Stop pesticidi nel piatto
2025 di Legambiente”, realizzato con il sostegno di AssoBio e Consorzio Il
Biologico.
E proprio sull’effetto “cocktail” si concentra l’allarme degli esperti,
nonostante la percentuale di irregolarità rispetto ai limiti UE appaia bassa
(1,47%). Perché le autorizzazioni sono calcolate sostanza per sostanza, mentre
l’esposizione reale è quasi sempre combinata, con effetti cumulativi su
ecosistemi e salute. “Ciò che desta maggiore allarme”, spiega Fiorella Belpoggi,
direttrice scientifica emerita dell’Istituto Ramazzini,“è il fatto che molti
pesticidi si accumulino. E non è vero che spariscano poi dall’ambiente. Esiste
inoltre l’effetto deriva: a seconda delle condizioni atmosferiche i pesticidi
possono andare anche molto lontano dalla zona in cui ce n’è bisogno: da studi
recenti si è visto che addirittura solo il 10% arriva direttamente sulle piante
trattate e il resto può finire in mezzo alle case, ai giardini dove giocano i
bambini, ai limiti di scuole e ospedali, nelle zone pedonali diserbate. Un
esempio e viene dalle rotaie delle ferrovie che sono pesantemente trattate e si
trovano spesso vicinissime ad abitazioni o a campi destinati al pascolo o a
produzioni agricole”.
AGRUMI E PEPERONI, ALIMENTI PIÙ CONTAMINATI
Il Rapporto analizza in dettaglio gli alimenti più contaminati da insetticidi e
fungicidi come Acetamiprid, Boscalid, Pirimetanil, Azoxystrobin, Fludioxonil, ma
anche molecole tossiche vietate da decenni come il Tetramethrin e il DDT. La
frutta è il comparto più a rischio: tre campioni su 4, ovvero il 75,57%
contengono multiresiduo e il 2,21% risulta non conforme ai livelli di legge. In
particolare, ad essere preoccupanti sono soprattutto i campioni della categoria
agrumi (solo il 13,5% è privo di residui). Vanno meglio i prodotti orticoli,
sempre con residui nel 40,17% dei casi.
Tra gli alimenti più a rischio ci sono il peperone, con solo il 30,07% di
campioni regolari, e i pomodori con il 41,82% di campioni privi di residui.
Vanno meglio i prodotti trasformati (32,89% con residui) e infine il settore
animale, con 88% di campioni totalmente esenti (ma non è inclusa la ricerca di
antibiotici). “Insomma, per dare una sintesi del Rapporto”, spiega Angelo
Gentili, responsabile Legambiente Agricoltura e co-curatore, “possiamo dire che
conferma la situazione che c’era lo scorso anno, con una spinta un po’ più
negativa: abbiamo il 75,5% della frutta e oltre il 40% della verdura contaminate
da uno o più residui, con effetti che si sommano nel nostro organismo. Il danno
è anche per l’ambiente, perché se si aumenta l’uso dei fertilizzanti si crea una
situazione gravissima dal punto di vista della fertilità del suolo, mentre le
piante diventano meno resistenti”.
GLIFOSATO E PESTICIDI ILLEGALI, DUE MOTIVI DI ALLARME
Un capitolo particolarmente delicato riguarda il glifosato. La sua
autorizzazione nell’UE è stata rinnovata fino al 15 dicembre 2033, a seguito di
un procedimento concluso nel 2023, ma le criticità che ne mettono in discussione
la legittimità nel quadro della tutela degli ecosistemi e della salute pubblica
sono numerosi e preoccupanti. In particolare la European Food Safety Authority
(EFSA) e la European Chemicals Agency (ECHA) sono state incaricate dalla
Commissione Europea di valutare nuovi studi, fra cui quelli dell’Istituto
Ramazzini. “Di recente abbiamo pubblicato lo studio di cancerogenesi sul
glifosato, l’erbicida più utilizzato al mondo (Global Glyphosate Study, =GGS) –
spiega la dottoressa Belpoggi – si tratta dello studio tossicologico più
completo mai condotto sul glifosato e sugli erbicidi correlati. Il GGS ha
evidenziato effetti cancerogeni, in particolare sull’insorgenza di leucemia
precoci, anche a dosi oggi considerate ‘sicure’. Auspichiamo che si possa
arrivare a un bando o almeno a un forte contenimento dell’uso del glifosato.
Purtroppo, ci sono comuni come quello di Vercelli ed altri che avevano scelto di
non utilizzarlo più nei luoghi sensibili come scuole, parchi, campi sportivi
dove stazionano bambini e adolescenti, categorie più a rischio, ma dopo il
rinnovo dell’autorizzazione per 10 anni, recentemente hanno deciso di
riutilizzarlo per comodità e vantaggi economici”.
Un altro motivo di allarme è l’aumento preoccupante del commercio di pesticidi
illegali. Dal Rapporto emerge come siano state sequestrate oltre 450 tonnellate
di sostanze illegali destinate all’agricoltura e pericolose per la salute, per
un valore commerciale di circa 15 milioni di euro. Nel 2024, i controlli
sull’uso dei 42 pesticidi in agricoltura sono stati 2.113. Le attività
investigative hanno portato all’accertamento di 407 reati e illeciti
amministrativi (+24,1%), alla denuncia di 341 persone (+13,7%) e a 54 sequestri,
più che raddoppiati rispetto all’anno precedente.
BIOLOGICO: RESIDUI RIDOTTI AL MINIMO
A fronte di questo quadro del tutto diversi sono i dati del settore biologico:
secondo il Rapporto, l’87,7% dei campioni è del tutto privo di residui, il 7,69%
per cento ne contiene uno solo, comunque entro i limiti di legge (il dato si
spiega con il fenomeno della deriva di pesticidi dalle aree limitrofe ai campi).
Per fortuna, inoltre, il biologico cresce, aumentano le superfici certificate e
si consolidano i biodistretti (una forma che mette insieme territorio,
agricoltura, turismo, enti locali, vendita). La superficie agricola utilizzata
(SAU) condotta con metodo biologico raggiunge 2,51 milioni di ettari, +2,4%
rispetto al 2023 e +68% nell’ultimo decennio, avvicinandosi all’obiettivo del
25% fissato dal Green Deal europeo al 2030 (la leadership è del Mezzogiorno,
seguito dal Centro e dal Nord). Crescono i prodotti vegetali ma anche animali:
+31% di bovini biologici in sette anni e quasi un raddoppio degli avicoli
(+97%). Aumentano anche le importazioni di prodotti biologici extra-Ue del 7,1%,
mentre l’export agroalimentare bio italiano raggiunge 3,9 miliardi di euro (+7%
sul 2023).
Il biologico mostra come esistano alternative concrete in chiave agroecologica
all’utilizzo di pesticidi: l’adozione diffusa di tecniche di biocontrollo, con
sostanze naturalmente presenti in natura in grado di eliminare infestanti in
modo alternativo rispetto al Glyphfosate, come l’acido pelargonico, l’adozione
di rotazioni colturali e sovesci (è una pratica agronomica consistente
nell’interramento di materiale vegetale, ndr ), che ripristinano fertilità e
interrompono i cicli di parassiti; la tutela degli insetti impollinatori; la
protezione della biodiversità agricola e naturale. Accanto a questo, l’impiego
di filiere corte e trasparenti e l’abolizione del modello della monocoltura, che
sta creando pesanti criticità di alcuni territori come la zona del Prosecco, le
mele in Trentino o il nocciolo del viterbese.
L’URGENZA DI UN NUOVO PIANO NAZIONALE PESTICIDI
C’è poi il fronte normativo. L’ultima versione del PAN, Piano d’Azione Nazionale
sui pesticidi, risale al 2014 ed è scaduto nel 2019. Il Regolamento SUR, lo
strumento europeo che avrebbe dovuto fissare obiettivi vincolanti al 2030, ha
subito rinvii ancora irrisolti. “Chiediamo l’approvazione urgente del SUR in
Europa e del PAN in Italia”, afferma Gentili, “il potenziamento del
monitoraggio, misure penali chiare contro i pesticidi illegali, il supporto agli
agricoltori nella transizione verso il biologico, come sgravi fiscali e
semplificazioni, un’Iva ridotta sui prodotti bio e sostenibili e una promozione
di mense biologiche in scuole e ospedali”. Purtroppo, mentre la futura PAC
(Politica Agricola Comune) 2028-2034 sembra andare verso una maggiore
flessibilità per i singoli stati, in Europa, “è in discussione un regolamento
Omnibus che sta per liberalizzare i pesticidi ed esiste una raccolta firme di
scienziati indipendenti per fermarlo”, denuncia Belpoggi. “D’altronde
alternative al glifosato ce ne sono a centinaia, ma la produzione è bassa e
quindi i prezzi non scendono”. Le stesse strategie europee Farm to Fork e
Biodiversity 2030 offrono obiettivi chiari da raggiungere entro il 2030: ridurre
del 50% i pesticidi, del 20% i fertilizzanti, del 50% gli antibiotici in
zootecnia, arrivare al 25% di superficie agricola biologica e destinare almeno
il 10% dei terreni agricoli alle infrastrutture verdi e alle aree ad alta
biodiversità.
Cosa si può fare invece livello individuale? Ovviamente la prima leva è
l’acquisto di prodotti biologici, agroecologici e provenienti da filiere che
riducono drasticamente l’uso della chimica di sintesi, imparando a leggere le
etichette. “Scegliendo biologico si va sul sicuro”, spiega Fiorella Belpoggi.
“Poi certo si può togliere la buccia, ma proprio quella contiene polifenoli e
altre sostanze importanti per la nostra salute. E poi faccio l’esempio delle
banane: basta toccare la buccia e poi la banana, magari per darla a un bambino,
per contaminarla”. Ci sono poi le scelte che non si compiono da soli: sostenere
biodistretti, gruppi di acquisto solidale, mercati contadini e reti locali che
promuovono l’agroecologia. “Siamo senza dubbio in una fase molto complessa, in
cui anche i cambiamenti climatici stanno mettendo in seria difficoltà la nostra
agricoltura, generando danni rilevanti, favorendo la proliferazione di
micropatologie e insetti alieni, e causando forti diminuzioni delle rese e del
reddito agricolo”, conclude Gentili. “Ma l’unica strada possibile, non c’è
dubbio, è quella dell’agroecologia”.
L'articolo Il dossier sui pesticidi di Legambiente: frutta e ortaggi ancora a
rischio. Il 48% dei prodotti esaminati contiene uno o più fitofarmaci proviene
da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Pesticidi
Pesticidi e Pfas non solo nell’acqua e nel vino, ma anche nel prosecco. Il
Salvagente ha fatto analizzare 15 bottiglie di marche differenti: in tutti i
campioni sono stati individuati residui di pesticidi (fino a 10 principi attivi
diversi nello stesso campione) e tracce elevate di Tfa (acido trifluoroacetico),
metabolita delle sostanze perfluoroalchiliche, i cosiddetti inquinanti eterni,
alcuni dei quali sono classificati come potenziali cancerogeni, oltre che
interferenti endocrini o legati a patologie cardiovascolari e riproduttive. A
preoccupare, anche gli esperti sentiti nel corso dell’inchiesta è il problema
dell’esposizione cumulativa dovuta al fatto che il Tfa è stato individuato, in
recenti indagini, anche nell’acqua e in molti alimenti. Dalle schede valutative
nessuna bottiglia ha ottenuto un risultato eccellente (sei punti su sei), ottimo
(5 punti) o buono (4 punti). Solo due bottiglie hanno ottenuto un risultato
medio (3 punti su 6), otto hanno ottenuto un risultato mediocre (2 punti su sei)
e cinque un risultato scarso (un solo punto). Per quanto riguarda i Pfas, dato
che per il vino non esiste una soglia, sono stati utilizzati i limiti previsti
per l’acqua potabile: in Unione europea entrerà in vigore nel 2026 la soglia di
100 ng/l per il parametro “somma di Pfas”, che include 20 Pfas (ma non il Tfa).
Per l’acido trifluoroacetico, infatti, è stato però utilizzato come riferimento
il limite di 10mila nanogrammi a litri che, sempre per l’acqua potabile, in
Italia sarà in vigore dal 2027.
RESIDUI DI TFA SOPRA LA SOGLIA INDICATA PER L’ACQUA
Il Tfa è un sottoprodotto di processi industriali e della degradazione di alcune
sostanze fluorurate usate nei gas refrigeranti, nei pesticidi e nei prodotti
farmaceutici. La sostanza è tuttora al vaglio dell’Agenzia europea per le
sostanze chimiche e, secondo studi più recenti, può avere effetti negativi su
fegato, sistema endocrino e riproduttivo, oltre a un impatto ecotossicologico.
Al mensile diretto da Riccardo Quintili, l’esperto di diritto alimentare e di
agricoltura biologica, Roberto Pinton, racconta che “dal 2010 la frequenza delle
rilevazioni di questi metaboliti si è impennata, con i vini delle vendemmie dal
2021 al 2024 che presentano livelli medi di 122mila nanogrammi al litro. Più
aumenta l’utilizzo di pesticidi fluorurati, più aumenta la presenza di residui”.
Avendo riscontrato in tutti i campioni dei residui molto al di sopra della
soglia di 10mila ng/l, nessuna delle bottiglie ha superato la sufficienza,
secondo l’analisi. Tfa a parte, i test sui prosecchi hanno rivelato la presenza
di poche tipologie di Pfas. Per quanto riguarda i pesticidi, invece, nel test
nessuna delle sostanze ha superato i limiti massimi di residui stabiliti dalla
legge. Nel giudizio complessivo, però, ha pesato la presenza di principi attivi
in concentrazioni pari o superiori al limite di quantificazione analitica (0,01
mg/kg) e in dosi superiori a un decimo della soglia massima di concentrazione
consentita. E, come scrive l’autore dell’inchiesta, Lorenzo Misuraca, “trovare
fino a dieci tipi diversi di principi attivi nella stessa bottiglia non è una
buona notizia”.
LA CLASSIFICA SECONDO IL SALVAGENTE
Dalle schede valutative nessuna bottiglia ha ottenuto un risultato eccellente,
ottimo o buono. Le due bottiglie che hanno ottenuto un risultato medio sono
Corderìe Valdobbiadene di Astoria (voto 7) e Valdobbiadene Millesimato 2024 di
Bortolomiol Bandarossa (voto 6,5). Otto bottiglie hanno ottenuto un risultato
mediocre (2 punti su sei): con una votazione di 4,5, Valdobbiadene Millesimato
di Casa Sant’Orsola, Valdobbiadene (Eurospin) della Cantina Viticoltori Meolo,
Prosecco Martini, Valdobbiadene Bernabei, Cuvèe storica Cinzano, Valdobbiadene
La Gioiosa et amorosa, Millesimato 2024 Maschio Valdobbiadene e Valdobbiadene di
Villa Sandi. Infine, 5 bottiglie hanno ottenuto un risultato scarso (un solo
punto): con una votazione di 3,5, Rive di San Piero di Barbozza Valdo
Valdobbiadene, Valdobbiadene di Mionetto, Conegliano Valdobbiadene
Cerpenè-Malvolti, Valdobbiadene Bolla e Coextra Dry 2024 (Lidl) di Allini
Valdobbiadene.
LA REPLICA DELLE AZIENDE AI TEST
Il Salvagente ha contattato le aziende coinvolte nel test. Carpenè-Malvolti
dichiara che i suoi laboratori di riferimento trovano dati diversi di Tfa ed
escludono altri Pfas, sostenendo che “non esistono conferme scientifiche che
collegano i Tfa ai pesticidi”. Sia Lidl (prosecco Allini) che il Gruppo italiano
vini, che produce il Bolla, sottolineano che rispetto alle più recenti
rilevazioni di Tfa sui vini (con una media di 120-130mila nanogrammi per litro e
picchi di 300mila), i risultati del test dimostrerebbero che il prosecco è
soggetto a una contaminazione bassa. Giv ricorda che secondo l’Agenzia
statunitense per la protezione dell’ambiente (Epa) il Tfa non è da considerarsi
un Pfas, ma “una sostanza che si forma durante la degradazione dei Pfas” è la
definizione fornita dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa).
Cantine Maschio ricorda proprio alla quantità giornaliera assumibile fissata da
Efsa, molto maggiore rispetto ai numeri rilevati nel test del Salvagente,
trovando non corretto prendere come riferimento il limite previsto per l’acqua.
Il vino, è l’assunto, viene normalmente consumato in maniera e quantità molto
diversa rispetto a quella dell’acqua.
PFAS, IL NODO DELL’ACCUMULO E DELLA MANCANZA DI LIMITI
Alla luce di queste perplessità, allora, quanto sono preoccupanti i risultati
sui Pfas (e, in modo particolare sul Tfa) riscontrati nei campioni di Prosecco,
compresi tra 38mila e 60mila nanogrammi per litro? Per Carlo Foresta, presidente
della Fondazione Foresta Ets e uno dei massimi esperti internazionali di Pfas,
sono “elevati”, trattandosi di concentrazioni che “eccedono l’obiettivo di
qualità proposto dall’Istituto superiore di sanità nel 2024”. Ossia la soglia
che in Italia diventerà vincolante per l’acqua potabile a partire dal 12 gennaio
2027 e sfiorata nel test “dalle 3 alle 6 volte” da tutti i campioni. Ma non c’è
solo il problema dei limiti alla presenza di Tfa, attualmente inesistenti sia
per il vino che per l’acqua potabile (in Ue e in Italia). Ci sono anche poche
informazioni sull’emivita negli organismi, ossia del tempo che occorre perché la
concentrazione di questa sostanza nel sangue si riduca alla metà del valore
iniziale. E se non è detto che assunzioni occasionali con tali valori producano
automaticamente danni significativi, per lo stesso Foresta il problema è proprio
“l’esposizione ripetuta” non dovuta certo solo al prosecco. Insomma, è vero che
normalmente si beve una quantità di vino – o prosecco – certamente inferiore a
quella di acqua (come sostenuto da alcune aziende), ma diversi esperti ritengono
che occorre valutare non solo la quantità di composto assunto in un bicchiere di
prosecco, ma anche l’accumulo con le altri fonti, dall’acqua agli alimenti, a
maggior ragione se assunte più frequentemente. Tra le indagini più recenti,
quella di Greenpeace, anticipata da ilfattoquotidiano.it e nell’ambito della
quale sono stati analizzati in Germania e in Italia 16 campioni di acqua
minerale (12 contenevano Tfa). Pan Europe, invece, ad aprile scorso, ha
pubblicato un rapporto sulla presenza di Tfa in 49 vini di diverse annate
provenienti da 10 paesi dell’Unione europea (Leggi l’approfondimento), tra cui
Francia, Germania, Spagna, Svezia, Croazia, Austria e Italia. Il risultato ha
evidenziato una crescita esponenziale della contaminazione da Tfa negli ultimi
15 anni.
PESTICIDI SOTTO LA SOGLIA, MA PREOCCUPANO CONCENTRAZIONI (E CONTROLLI IN CALO)
Per quanto riguarda i pesticidi, nel test nessuna delle sostanze ha superato i
limiti massimi di residui stabiliti dalla legge. Tra le sostanze rilevate, il
dimethomorf (trovato in tracce) fungicida dannoso per l’ambiente e il metalaxyl,
considerati dannoso per l’ambiente da alcuni studi, il fenhexamid, fungicida
tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata e il
pyrimethanil (in tracce nel test) associato – secondo l’Ente di protezione
ambientale statunitense) – a una possibile tossicità per fegato, reni, ghiandole
surrenali, vescica e tiroide. Trovati anche due metaboliti dello spirotetramat:
cis enol e glucoside. Dal laboratorio, però, l’inchiesta si sposta anche nelle
vigne venete culla del prosecco. Dove il Salvagente indaga su alcuni fenomeni,
come il calo dei controlli nell’utilizzo di pesticidi e, dati alla mano,
l’utilizzo della chimica di sintesi nelle vigne che continua a crescere. C’è chi
produce senza fitofarmaci, ma la contaminazione dei vigneti non bio è una
minaccia continua contro cui è difficile difendersi.
L'articolo Inquinanti eterni anche nel prosecco. L’indagine: “Tracce elevate di
Tfa nelle bottiglie di 15 marche” proviene da Il Fatto Quotidiano.