AUSTIN REAVES CONTINUA A SORPRENDERE
Più lo vedi giocare, più ti chiedi: come è possibile? Da dove è arrivato questo?
Ma può davvero essere riuscito a fare quel cambio di mano dietro la schiena?
Austin Reaves è il pronostico impossibile che si realizza. È il “non
classificato” che diventa giocatore di alto livello. È il “chissà se riuscirà a
fare la squadra” che si trasforma in uno degli uomini di punta dei Los Angeles
Lakers. In difesa si impegna, ma può fare sicuramente di più. Diciamo che non è
il suo punto di forza. In attacco, badate bene, può essere considerato uno dei
top. Di Los Angeles? No, forse proprio della NBA. Almeno in questa prima parte
di stagione. Sembra non fare nulla in modo eccezionale, proprio per questo è
così temibile. Non è un tiratore, eppure nessuno può osare lasciargli spazio sul
perimetro. Non è un penetratore dal primo passo fulmineo, eppure nessuno può
marcarlo faccia a faccia con tranquillità. Non è un velocista sulle corsie
laterali, eppure se lo servi in contropiede sa essere sempre molto efficace. Non
è un vero e proprio assistman, eppure guai a lasciargli troppe linee di
passaggio aperte. Non è un atleta, un saltatore, eppure se entra in area è
capace di trovare il canestro in traffico con il giusto timing, assorbendo i
contatti con il corpo. Sta segnando 27,8 punti di media, con un 50,3% da campo
degno di nota e un discreto 36,9% da tre (però su tanti tentativi). Non dà veri
punti di riferimento agli avversari. Non sai mai come può colpirti. Eppure,
stanne certo, ti colpirà. Pescato davvero dal nulla, nemmeno scelto al Draft del
2021. Per questo i Lakers sono stati bravi e fortunati.
I THUNDER NON PERDONO MAI!
Titola oggi il Wall Street Journal: gli Oklahoma City Thunder sono la più grande
squadra della storia? Beh, dopo un inizio stagione con una sola sconfitta dopo
25 partite la domanda è più che legittima. Praticamente, non perdono mai.
Nemmeno per sbaglio. Ma la stagione è ancora lunga. Bisogna dimostrare
continuità non solo di risultati, anche emotiva. Soprattutto quando le cose
inizieranno ad andare meno bene. Capita in ogni stagione. È quello che fecero i
Chicago Bulls del 1996. Avevano Michael Jordan, Scottie Pippen, Dennis Rodman,
Ron Harper, Toni Kukoc. Persero solo dieci partite in tutto il campionato.
Stessa cosa i Golden State Warriors del 2015 con Steph Curry e Klay Thompson,
che di sconfitte ne subirono addirittura appena nove. Detto ciò, questi Thunder
sono davvero attrezzati in modo incredibile. E fanno paura perché sono ancora
tutti giovani, motivati, reattivi, arrabbiati, e individualmente miglioreranno
ancora. Shai Gilgeous–Alexander, per dire, lo scorso anno tirava da fuori col
37%. In questo momento la mette col 45,4%. Praticamente, entra in campo in stile
Ray Allen, con tutto quello che già sa fare in avvicinamento a canestro e con la
palla in mano. Se guardate giocare, tra le altre cose, Chet Holmgren in questo
scorcio di stagione, appare sempre più maturo, più pulito nei movimenti, con una
mano migliore dalla media e da fuori, rispetto alla versione 2024-25. Il futuro
è loro, salvo stravolgimenti di roster o infortuni gravi. Forse non saranno
(ancora) la squadra migliore di sempre. Ma al momento per battere il loro
perfetto mix di pericolosità offensiva e grande difesa, serve qualcosa che non è
detto che le altre squadre troveranno mai.
DASMOND BANE È SOPRAVALUTATO?
C’è chi lo ha sempre amato, sin dai tempi di Memphis. Nessuno nega le sue
capacità difensive, condite da una mano da tre molto efficace (quando era ai
Grizzlies…). Però, tutto sommato, anche la nuova avventura a Orlando conferma
che Desmond Bane è un buon giocatore, certo, ma non sarà mai una stella, uno in
grado di cambiare le sorti di una squadra. Tecnicamente, non è mai riuscito a
migliorare fino a poter essere considerato uno dei top della lega. Non dotato di
grande apertura alare (tra le più basse della NBA), cosa che gli crea svantaggio
nelle entrate e in traffico, il giocatore dei Magic non ha mai mostrato un vero
miglioramento al capitolo “trattamento della palla”, tale da permettergli di
agire come eventuale opzione primaria in attacco (anche a tratti). È macchinoso
in traffico, è macchinoso quando vuole prendere iniziative on the ball. Una
scarsa fluidità che, a dirla tutta, si accoppia con una verve per il passaggio
non certo alla Pete Maravich. Sta segnando 19 punti di media, che non è niente
male. Ma con efficienza bassina, 44,8% dal campo. E sta sparacchiando da tre,
perché il suo 34,9% non è una cifra da tiratore scelto. Sopravvalutato?
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.
L'articolo NBA Freestyle | Che sorpresa per i Los Angeles Lakers: Austin Reaves
è il pronostico impossibile che si realizza proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Nba
“Non resteremo a guardare e lasceremo che questo cancro mi uccida senza
combatterlo con tutte le nostre forze”. Jason Collins ha svelato in
un’intervista a Espn la sua decisione di seguire un trattamento innovativo,
attualmente in una clinica di Singapore. L’ex giocatore Nba, celebre per essere
stato il primo atleta professionista di una delle 4 grandi leghe sportive
americane a fare coming out, a settembre aveva rivelato in una breve
dichiarazione di essere in cura per un tumore al cervello. Ora ha spiegato che
si tratta di un glioblastoma al quarto stadio, “una delle forme più letali di
cancro al cervello”.
“È arrivato incredibilmente in fretta“, ha racconto Collins, oggi 47enne,
descrivendo i primi sintomi: perdita di memoria e incapacità di concentrazione.
“Avevo questi strani sintomi da una o due settimane”, ha spiegato, che hanno
raggiunto il punto critico ad agosto. Da lì a poco la tremenda diagnosi. Una
recente Tac ha rivelato l’estensione e la gravità della sua malattia, che ha
definito un glioblastoma “multiforme” che sta crescendo molto rapidamente.
Dopo la grande battaglia contro il tabù dell’omosessualità nello sport, ora
Collins si sente pronto a varcare nuove frontiere anche in campo medico: “Mi
sento di nuovo in quella posizione ora, dove potrei essere la prima persona a
varcare questo muro“, ha detto a Espn. L’ex Nba ha spiegato di aver iniziato un
nuovo trattamento farmacologico, seguito da radioterapia e chemioterapia, con il
supporto del marito, Brunson Green, e di altri amici e familiari.
“Non resteremo a guardare e lasceremo che questo cancro mi uccida senza
combatterlo con tutte le nostre forze. Cercheremo di colpirlo per primi, in modi
che non sono mai stati usati prima: con radioterapia, chemioterapia e
immunoterapia, che sono ancora in fase di studio ma offrono la frontiera più
promettente del trattamento del cancro per questo tipo di tumore”, ha concluso
Collins.
L'articolo “Non resteremo a guardare questo cancro che mi uccide, cercheremo di
colpirlo in modi mai usati prima”: Jason Collins si sottopone a un trattamento
innovativo proviene da Il Fatto Quotidiano.
DOPO I TOP PLAYER EUROPEI, C’È ANTHONY EDWARDS?
Chi sono i migliori giocatori della NBA? A bocce ferme, al momento, sembrano
essere i seguenti: Nikola Jokic, Shai Gilgeous-Alexander, Luka Doncic e Giannis
Antetokounmpo. Bene, uno è serbo, l’altro canadese, il terzo sloveno, mentre
l’ultimo è greco. Qualunque appassionato che negli anni ’90 avesse guardato
questa classifica, avrebbe avuto serie crisi di identità. Nel 2025, invece,
questa è la realtà che si tocca con mano. Back to the Future.
Ma chi è il primo giocatore statunitense dopo i fenomeni del Vecchio Continente?
Per come sta giocando, Anthony Edwards andrebbe preso seriamente in
considerazione. Guardia-ala con due spalle che fanno provincia, costruito come
un bulldog. La stella di Minnesota ha tutto, non gli manca nulla. Compresa
l’età, 24 anni. È veloce, è potente, è rapido sia in campo aperto che negli
spazi stretti. Salta come se sul parquet ci fossero i coccodrilli.
Ricorda Dominique Wilkins per esplosività. Poi, a dire il vero, c’è anche la
maturazione tecnica. E qui siamo messi addirittura meglio. Il ragazzo ha
dimostrato ogni anno di saper migliorare, di riuscire a inserire un tassello in
più per diventare più completo, meno facile da marcare. In questa stagione, per
dire, sta tirando da fuori con il 41,8%. Per uno con il suo primo passo è come
sanguinare davanti a uno squalo.
Ha un palleggio di altissimo livello, fondamentali puliti, e non è il classico
giocatore da “sono efficace solo nelle situazioni dinamiche”, in stile Zion
Williamson. Nell’attacco a metà campo, con la difesa schierata, Edwards sa
crearsi la conclusione in palleggio arresto e tiro con grande efficacia. Segna
quasi 29 punti di media, mica poco, e difende forte. Ecco, forse, dovrebbe
iniziare a creare un po’ di più per gli altri. E non è che i T-Wolves stiano
facendo un inizio di stagione proprio con i fiocchi (sesti a Ovest). Dettagli.
ECCOVI COOPER FLAGG!
Nelle ultime tre partite dei Mavericks si è forse visto cosa potrebbe essere
Cooper Flagg per questa lega. Tre partite coincise con tre vittorie. Segni del
destino. Il rookie che si allunga e si snoda come Mr Fantastic ha tenuto 27
punti di media, con il picco dei 35 punti rifilati in modo pulito e educato ai
disastrosi (e disastrati) Clippers. Lampi di futuro.
Lampi di talento. Fa tutto in modo pulito, Cooper Flagg. Si vede che gli viene
facile questo gioco. E quando si vede in modo così chiaro, vuol dire che sei una
sorta di predestinato. A un certo punto, si è trovato in palleggio contro James
Harden in posizione di guardia, con i Clippers schierati a zona.
Lo ha dribblato con un cambio di mano, facendo finta di sfruttare un blocco, in
modo così liscio, che Harden ha avuto la sensazione di separarsi dalla propria
anima come in Doctor Strange. Poi si è trovato davanti Zubac (non proprio il più
piccino della nidiata…), ulteriore cambio di mano in area, e schiacciata in
testa a due mani, salendo in alto in modo così dolce da sembrare una carezza.
Una carezza in un pugno, direbbe Celentano. Se mette un tiro da tre decente, ne
sentiremo parlare a lungo.
L’ERA DI JALEN BRUNSON A NEW YORK
Prende talmente tanti tiri a partita, che Kobe Bryant sarebbe sembrato “timido”
al suo cospetto. Però, bisogna dirlo, i Knicks sono ormai nella sua era. È l’era
di Jalen Brunson a New York. Come era stata l’era di Patrick Ewing o quella di
Carmelo Anthony. C’è poco da dire. La guardia tiratrice dei Knicks, con un cobra
al posto della mano sinistra, ormai da ben quattro stagioni è il fulcro
dell’attacco, giocatore chiave, uomo copertina.
Se è un bene o un male, decidetelo voi. Tant’è che comunque New York staziona al
secondo posto a Est, senza OG Anunoby (infortunato), con un Josh Hurt in calo
dopo il problema alla mano, un Karl-Anthony Towns che sta tirando in modo poco
efficiente (e con le cifre in discesa…). Ah, si è da poco fatto male pure
Shamet, guardiona che è sempre stata buona, anche se molti se ne erano
dimenticati nelle passate stagioni.
Brunson, che deve trovare ancora un tiro che non gli piaccia, continua a
macinare punti (27,6 di media), isolamenti, uno contro uno e tiri liberi. La
percentuale da tre è scarsina per uno come lui (35%), ma deve ancora nascere il
giocatore in grado di impedirgli la conclusione.
That’s all Folks! Alla prossima settimana.
L'articolo NBA Freestyle | A New York è cominciata l’era di Jalen Brunson, ma
chi sono i top player di oggi? proviene da Il Fatto Quotidiano.
120-120, ultimi secondi di partita. LeBron James riceve palla e anziché tirare,
la scarica all’angolo a Rui Hachimura. Tripla del compagno e vittoria in
trasferta a Toronto dei Los Angeles Lakers. Vittoria emozionante, ma storica. Lo
è perché dopo dopo una striscia di ben 1297 partite con almeno dieci punti
segnati in Nba in regular season, Lebron James ha chiuso con 8 punti a referto.
La striscia di prestazioni consecutive in doppia cifra di LeBron era cominciata
il 6 gennaio del 2007, cioè dopo la penultima gara di regular season della sua
carriera in cui non era riuscito ad arrivare alla soglia dei 10 punti. Era il 5
gennaio del 2007 e nella vittoria 95-86 dei Cleveland Cavaliers a Milwaukee,
Lebron James, ai tempi ancora alla sua quarta stagione in NBA, aveva con 8
punti, 9 assist e 5 rimbalzi.
Una striscia durata 1.297 partite. O se vogliamo declinarlo in altre “unità di
misura”, possiamo dire 18 anni, 11 mesi e 9 giorni o ancora 6.909 giorni o anche
987 settimane. Insomma, la durata della striscia di prestazioni in doppia cifra
di James è semplicemente irreale, tanto più che per comprenderne la portata,
bisogna paragonarla a chi gli sta dietro. La seconda più lunga è quella di
Michael Jordan, che si è fermato a 866.
Una statistica già di per sé davvero impressionante, ma c’è altro: Lebron James
ha giocato più Nba Finals (dieci) che partite con meno di dieci punti (nove).
Numeri che davvero sono sopra ogni logica, che confermano la portata del
giocatore.
L'articolo Più Nba Finals giocate che partite sotto i dieci punti: l’assurda
statistica di Lebron James proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Oggi, con il cuore pieno di gratitudine, annuncio il mio ritiro da una carriera
che ho sempre sognato”, Così Danilo Gallinari ha annunciato sui social il ritiro
dal basket. Il cestita italiano, che per diciassette stagioni ha giocato in Nba,
chiude così la sua carriera con la vittoria del campionato portoricano con i
Vaqueros de Bayamón. “Una carriera costruita attraverso duro lavoro, sacrificio,
vittorie, sconfitte, compagni di squadra diventati fratelli, guida dei miei
allenatori, e, ovviamente, famiglia e amici che mi hanno accompagnato in ogni
passo”, scrive Gallinari nella didascalia del video postato per annunciare il
ritiro.
“È stato un viaggio incredibile pieno di innumerevoli ricordi che porterò con me
per tutta la vita. A chi ha creduto in me, a tutti coloro che mi hanno
sostenuto, e a chi ha condiviso con me ogni momento – grazie, di cuore. Sono più
che emozionato per il prossimo capitolo!”, ha concluso poi il cestista italiano.
L'articolo Danilo Gallinari si ritira, il suo addio al basket: “È stato un
viaggio incredibile” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Solo due anni fa, i Pistons vincevano appena 14 gare in totale. Un disastro
sportivo. Adesso, invece, sono primi a Est. Che storia fantastica. Una risalita
tra le più incredibili della storia. Merito, tra gli altri, sicuramente di uno
spettacolare Cade Cunningham, una sorta di Grant Hill (fenomeno in maglia
Detroit degli anni ’90) ancora più tosto fisicamente. La stella dei Pistons è un
all-aroud dalla tecnica sopraffina, che tratta bene la palla e brilla per
visione di gioco. Tra i migliori giocatori della stagione NBA senza dubbio. Al
momento. Se inizia a lavorare anche sul tiro da tre (un 29,9% non proprio da
tiratore scelto…), si candida anche lui a un possibile dominio della lega per
parecchi anni. Capace di impostare il gioco, di agire come portatore primario,
ma anche di ricevere off-the-ball e prendere le giuste decisioni in termini di
spaziature e distruzione della sfera. Tratta benissimo la palla, ha punti nelle
mani (28,1 di media), e i suoi giochi a due con Jalen Duren sono una delle cose
più belle da vedere nella NBA odierna. Già, Jalen Duren. Esploso anche lui
(quasi 20 punti di media e oltre 11 rimbalzi a partita). Un tempo considerato un
gran fisico capace di imporre una solida presenza difensiva, ma acerbo
offensivamente. Oggi, dopo quattro anni tra professionisti, molto migliorato
tecnicamente e nella comprensione del gioco. Colosso di 2.10, muscolo roccioso,
eccellente rollante in situazioni di pick and roll grazie a ottima velocità di
base, rapidità di piedi e controllo del corpo anche in traffico. A tratti,
insieme a Cunningham, sembrano Jalen Rose e Dikembe Mutombo (compianto) ai tempi
dei Denver Nuggets. Bella realtà.
Jokic sembra Stockton
Il miglior uomo assist dell’attuale NBA? Un centro. Certo, definirlo “centro”
suona ormai addirittura offensivo, anacronistico, irriverente. Ha inventato un
nuovo ruolo, Nikola Jokic: piattaforma di pallacanestro. Dentro ci sono tutti i
ruoli mai codificati sul rettangolo di gioco, ma anche molti altri ruoli che
sfuggono all’immaginario collettivo, che probabilmente devono ancora essere
inventati. Non siamo pronti. Qualcosa che non si era mai visto. Prima della
stella dei Nuggets, in pochi avevano abbracciato in questo modo il basket. In
pochi avevano osato interpretare il gioco con tale approccio totale, basato su
tecnica, visione di gioco e istinti di prim’ordine. Basato su premonizione, su
una perfetta comprensione della propria posizione in campo, ma soprattutto di
quella dei compagni. E non relativamente a “dove si trovano” gli altri con la
stessa maglia, bensì a “dove si troveranno” in base alla mia costruzione, al
flusso del gioco, alla reazione della difesa avversaria, al passaggio di
apertura che ricevo. Vero e proprio profeta dello short-roll, gli assist di
media del serbo sono 11,1 a partita. Ma potrebbero anche essere 20 o 25, vista
la mole di opportunità che Jokic è in grado di creare per sé e per gli altri. Se
poi aggiungiamo anche il fatto che ogni sera flirta con i 30 di media (quinto
nella lega), prende 12,8 rimbalzi (secondo nella lega), e tira da tre con il
43,4%, viene da sorridere quando si pensava a lui come “nuovo Arvidas Sabonis”.
Sabonis era un grande. Jokic è il meglio.
E se Sheppard stesse arrivando?
La fallimentare stagione d’esordio probabilmente era solo un’ipotesi. Era la
classica fase di adattamento al piano di sopra che per alcuni giocatori di
college può risultare più lunga del previsto. Al secondo anno, Reed Sheppard
sembra stia iniziando a prendere seriamente la mira. Il “sembra” è d’obbligo,
visto che abbiamo da poco superato il primo mese di regular season. Per Houston
sarebbe una grande notizia, per quanto questo fosse proprio il motivo per cui la
squadra del Texas lo scorso anno decise di “dedicargli” una terza chiamata
assoluta al Draft. Point-guard tascabile, ordinata, più tosta di quello che
sembra, Sheppard è tiratore in spot-up di quelli che ormai fanno gola in
qualsiasi stato a stelle e strisce. Un 45,5% da tre di grande solidità su oltre
6 tentativi di media a partita, possono descrivere i contorni della prossima
minaccia in uscita dai blocchi della NBA. Sta segnando oltre 14 di media a
partita, addirittura oltre 17 di media se si considerano le ultime dieci gare.
Male ai liberi, però. Il 71% per uno con la sua mano è un insulto vero e
proprio. Aspetta e spera.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.
L'articolo NBA Freestyle | L’incredibile risalita dei Pistons con i giochi a due
tra Cade Cunningham e Jalen Duren proviene da Il Fatto Quotidiano.
TYRESE MAXEY SEMBRA ALLEN IVERSON
Il “piccolo” in maglia Sixers (vintage anni ’90) recupera un pallone nella
propria metà campo. Palleggia veloce sulla corsia sinistra. Cambio di mano
dietro la schiena, si porta la palla sulla mano destra. Esitazione, ulteriore
cambio di mano per superare il difensore in uno contro uno e andare nuovamente a
sinistra per l’appoggio in sottomano. Bello, rapido, veloce. Nell’azione
successiva, la stessa guardia tiratrice con due fulmini al posto dei piedi, va
invece a destra e lancia un floater da centro area – con l’uomo addosso – che si
spegne morbido nella retina. Chiudi gli occhi, senza sapere che sei nel 2025.
Potrebbe pure essere Allen Iverson? Ti chiedi. Forse la cosa più veloce mai
vista su un campo da basket.
Invece è Tyrese Maxey, stella inaspettata di Philadelphia. L’attuale terzo
miglior marcatore della NBA (31,9 di media). Ad Iverson, in effetti, somiglia
molto per quella sua velocità sul primo passo, per la capacità di superare il
difensore dal palleggio e riuscire a trovare la via del canestro all’interno di
una selva di uomini. Leggermente più alto (1.90) di The Answer, Maxey sembra
disegnato dal sarto per il basket odierno. Fisico scolpito nel granito, grande
esplosività, pazzesca velocità di base, eccezionale palleggio.
La mette da tre con buona regolarità (42%), caratteristica che per uno con la
sua capacità di penetrare è come il cacio sui maccheroni. Questa notte, nella
vittoria sui Bucks, il play dei Sixers ne ha messi ben 54, giocando una partita
in cui definirlo “immarcabile” sarebbe risultato riduttivo. Senza Embiid,
Philadelphia se la sta cavando (sono sesti a Est). Merito di Edgecombe. Ma
soprattutto merito di Tyres Maxey. Iverson della Gen Z.
KLAY THOMPSON, È IL CASO DI RITIRARSI?
Un giocatore di basket deve essere in grado di capire quando è ora di dire
basta. Perché? Perché, spesso, in un discorso pubblico uno si ricorda solo
“decollo” e “atterraggio”. La parte inziale e quella finale. Tutto ciò che sta
in mezzo, molto meno. Perché rischi di macchiare una carriera straordinaria,
facendo vedere di te una versione improbabile, inaspettata, incomprensibile.
Purtroppo, gli ultimi anni di Klay Thompson non saranno mai dimenticati.
Ma quello che sta succedendo in questa stagione, oltre che essere triste, l’ex
stella dei Golden State Warriors non se lo merita affatto. L’attuale versione
del giocatore dei Mavericks non è il risultato solo degli anni che passano. Ha
avuto infortuni davvero gravi. Che anni fa, a volte, non ti permettevano neppure
di tornare in campo. Mettiamo da parte le cifre imbarazzanti (sotto i 10 di
media), Thompson non è più in grado di stare in campo. Non riesce a caricare il
tiro in modo rapido.
Non riesce a trovare il corretto bilanciamento nell’arresto sia a due tempi che
a un tempo. Non è più veloce nel caricamento. Non è più lui. E stiamo parlando,
badate bene, di uno dei più grandi tiratori della storia del gioco. Più grande,
nel suo picco di carriera, di gente come Reggie Miller. Un movimento di tiro,
tra l’altro, che sembrava “disegnato” con l’Intelligenza Artificiale, per quanto
fosse perfetto dai piedi fino alle spalle. Dallas lo cederà. Un peccato. Un vero
peccato.
PER L’MVP C’È ANCHE GIANNIS
Adesso è infortunato. Ma occhio perché, da come stava giocando, nella corsa
all’MVP ci sarà anche lui. Come ogni anno. Una delle combinazioni di fisico e
tecnica più allucinanti della storia. Il problema è che questi Milwaukee Bucks
non sembrano affatto da corsa. Rimane attualmente il quarto marcatore della lega
(31,2 punti di media), nonché uno di quei giocatori a cui è quasi impossibile
impedire di segnare, una volta messo il piede in area (62,9%).
Per il resto, Giannis Antetokounmpo è un vero e proprio palleggiatore di 2.11.
Non sa solo semplicemente mettere palla a terra. Ball-handing in velocità, sia
in corsia centrale che laterale. Tratta la palla con entrambe le mani anche se
pressato. Sa cambiare direzione anche in traffico. Sa andare dietro-schiena come
un piccolo. Spettacolare da vedere, come sempre. Rimarrà nella storia del gioco.
Forse non rimarrà a Milwaukee. Un anello al dito già ce l’ha. Ma per un
giocatore di questo calibro, accontentarsi di vivacchiare ai playoff come negli
ultimi anni è davvero troppo poco.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.
L'articolo NBA Freestyle | Maxey ne segna oltre 50: è l’Iverson della Gen Z.
Thompson, è il momento di dire basta proviene da Il Fatto Quotidiano.
Terzo miglior tiratore da tre punti in Nba e percentuali sempre altissime
dall’arco: l’impatto di Simone Fontecchio con la maglia dei Miami Heat è stato
devastante. Il cestista italiano continua a far parlare di sé in America grazie
agli ottimi numeri da tre punti e nel corso della penultima partita contro i New
York Knicks – vinta 115-113 da Miami – ha visto il suo nome storpiato per
l’ennesima volta da un telecronista americano. Ma questa volta la storpiatura ha
subito fatto il giro del mondo.
Dopo due triple consecutive del giocatore italiano, il telecronista americano ha
pensato di creare un gioco di parole con il nome “Simone”. Per sottolineare la
sua ottima capacità di segnare da tre punti, il telecronista lo ha chiamato
“Three-mone”. Una parola che se pronunciata non lascia spazio ad altre
interpretazioni: somiglia a un termine pugliese usato in modo dispregiativo nei
confronti di un’altra persona. Ecco perché sui social si è subito scatenata
l’ironia di tanti. “Cioè in America stanno chiamando Simone Fontecchio come
“Threemone”, per gli amici trmon”, scrive qualcuno.
Lo stesso Fontecchio – dopo aver sentito la gaffe ovviamente involontaria del
telecronista – ha scherzato nelle proprie Instagram Stories, scrivendo:
“Three-mone mi mancava. Non fatelo sapere ai tifosi pugliesi”, ha scritto
Fontecchio nelle storie. Per il cestista italiano è stato così un inizio di
stagione Nba decisamente positivo: gioca tanto, segna tanto e ha un ruolo sempre
più stabile nelle rotazioni di Erik Spoelstra, esperto coach degli Heat. Inizio
di stagione che gli è valso un nuovo soprannome che ha subito scatenato
l’ilarità dei pugliesi (ma non solo) sui social.
> Cioè in America stanno chiamando Simone Fontecchio come “Threemone”, per gli
> amici trmon pic.twitter.com/mLZanDKv5b
>
> — Massiv (@massiv97) November 18, 2025
L'articolo “Three-mone!”: gaffe involontaria di un telecronista americano sul
nome di Fontecchio. Lui scherza: “Non ditelo ai pugliesi” | Video proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Uno sviluppo europeo per un’integrazione sempre più stretta. Le indiscrezioni
degli ultimi mesi prendono forma. “Sappiamo che c’è una lunga storia e una
tradizione molto sentita nel basket europeo, è lo sport in maggior crescita ed è
secondo solo al calcio. Pensiamo di poter accelerare questo sviluppo”, aveva
detto il vice commissioner Mark Tatum nel mese di settembre. Poi sono arrivate
le prime conferme: l’NBA arriva in Europa.
Nulla a che vedere con gli official store o i Global Games. La lega più famosa
del mondo lancerà a ottobre 2027 un nuovo campionato con una formula semi-aperta
da 16 squadre europee. Con il coinvolgimento di Milano e Roma, anche l’Italia
farà parte del nuovo progetto. A dirlo è George Aivazoglou, managing director
della NBA per l’Europa: “Stiamo parlando con alcune squadre di basket già
esistenti. Sappiamo che a Roma c’è una grande base di tifosi, possiamo
rivitalizzare qualche squadra storica oppure crearne una nuova. Milano è la casa
di alcuni dei brand più famosi del mondo. Ci sono due grandi squadre di calcio,
c’è una grande squadra di basket, l’Armani. Ci sono tante conversazioni in corso
con l’ecosistema della città per capire come sarà il club e come sarà l’arena”.
Secondo le previsioni di Aivazoglou, l’Europa dispone di un mercato sportivo da
50 miliardi di dollari. Di questi cinquanta però, i campionati di basket
ricavano meno dello 0,5%. Ecco perché la volontà di integrare due realtà che
porterebbe alla nascita di un ecosistema sempre più globalizzato. Europa e
America insieme per creare nuove opportunità commerciali e sportive. Ma andiamo
con ordine.
NBA EUROPE: IL FORMAT DELLA NUOVA LEGA
Dicevamo di una lega semi-aperta. Il format è semplice e molto chiaro. Ci
saranno dodici squadre fisse e altre quattro che annualmente dovranno
guadagnarsi l’ingresso attraverso meriti sportivi. “Dodici saranno permanenti,
le altre quattro parteciperanno a turno per meriti sportivi: uno slot sarà
assegnato alla vincitrice della Basketball Champions League, il torneo
continentale organizzato dalla nostra partner FIBA; gli altri tre invece
verranno selezionati in base ai risultati nei campionati nazionali“. Un
meccanismo che, secondo Aivazoglou, “può dare la possibilità a tutti di
sognare”. I club permanenti coincidono anche con le sedi che ospiteranno il
torneo: l’Italia (come detto) con Roma e Milano, il Regno Unito con Londra e
Manchester, la Francia con Parigi e Lione, la Spagna con Madrid e Barcellona, la
Germania con Berlino e Monaco, la Grecia con Atene. E la Turchia con Istanbul.
Una League Phase da Champions League o una divisione per Conference come in Nba?
Dovrebbe trattarsi di un girone unico in pieno stile Eurolega. Per ora, solo
ipotesi.
IL PENSIERO E L’ANALISI DI COACH MESSINA
C’è poi chi potrebbe vivere questa nuova dimensione in prima persona. “Noi siamo
aperti a sentire tutte le proposte, poi la proprietà valuterà cosa possiamo
fare”. Parola di coach Ettore Messina, allenatore dell’Olimpia Milano e
presidente delle Basketball Operations. “Che per la Nba sia un obiettivo
importante avere una partecipazione in qualsiasi modo dell’Olimpia è qualcosa
che credo faccia molto piacere alla proprietà e ancora una volta una prova
dell’apprezzamento per l’impegno che la famiglia Armani ha messo nella
pallacanestro e un bel riconoscimento per la città e la sua storia”. Agire con
efficacia e rapidità: il progetto interessa e non poco. “Sicuramente la Nba sta
intervenendo con energia sul piano della comunicazione per far sapere che ha un
piano e lo vuole portare avanti anche in tempi sufficientemente rapidi. La mia
posizione è molto semplice: noi abbiamo nell’Eurolega un prodotto cestistico di
altissimo livello, con partite che sono seconde per intensità, trama e passione
solo ai playoff Nba. Poi però leggi sul giornale che il Real Madrid, il club più
potente al mondo, perde 38 milioni per fare una stagione di Eurolega”. Non è
solo una questione di soldi, a pesare è anche la condizione fisica degli atleti
coinvolti e un numero di infortuni che ogni anno continua a crescere. “Al
problema molto serio dal punto di vista economico e di sostenibilità si aggiunge
quello ormai palese che è bellissimo avere 20 squadre, ma da fine settembre a
ora sono stati già 60 gli infortuni in Eurolega”. Ecco perché un ecosistema
rinnovato potrebbe essere una soluzione a tutti i problemi. “Ciò di cui abbiamo
bisogno è un modello che possa unire i bisogni sia sportivi sia economici, e un
calendario che sia armonizzato. Noi siamo aperti a qualsiasi proposta, spetta ai
proprietari decidere che cosa fare”.
INTER E MILAN INTERESSATE A NBA EUROPE
“La nuova lega sarà composta sia da club che già esistono, che da altri che
ancora non ci sono”. E c’è un’altra novità. “Potrebbero esserci dei club di
calcio che al momento non hanno una squadra di basket che vogliono investire”.
Il costo di iscrizione varia dai 250 ai 500 milioni di dollari. E secondo la
Gazzetta dello Sport proprio Inter e Milan sarebbero tra i club interessati al
progetto. I fondi Oaktree e RedBird – che gestiscono nerazzurri e rossoneri –
hanno dei contatti diretti con la governance NBA: la nuova franchigia milanese
che potrebbe andare a crearsi non avrebbe, ovviamente, alcun legame con
l’Olimpia. Tra gli altri top club europei di calcio che potrebbero aderire
all’iniziativa spuntano i nomi di Real Madrid, Barcellona, PSG, Bayern Monaco,
Manchester City e Fenerbahce.
COSA NE SARÀ DELL’EUROLEGA?
Ma con la nascita di NBA Europe, cosa ne sarà dell’Eurolega? Il vice
commissioner della lega americana Tatum ha annunciato che ci sono già stati
degli incontri tra le parti, ma una vera risposta ancora non c’è. Garantire la
presenza parallela di entrambe le competizioni non è scontato e nemmeno così
certo: alla base di tutto ci deve essere un equilibrio che possa garantire la
convivenza delle due realtà. La rivoluzione di NBA Europe – e del basket europeo
– passa anche da questo.
UNO SGUARDO AL FUTURO
L’ingresso nei confini europei è solo l’inizio di un progetto che ha come scopo
quello di unire due mondi. “In futuro potremmo vedere una nuova competizione che
coinvolga squadre della NBA e di NBA Europe, una sorta di NBA Cup con formazioni
americane ed europee, o persino un torneo sul modello del Mondiale per Club
della Fifa dell’estate scorsa, nell’ambito di un’integrazione sempre più
organica”. Insomma, per una volta è il calcio a suggerire la formula migliore. E
non viceversa. Manca ancora una comunicazione scritta e ufficiale da parte
dell’NBA, ma quella che sembrava solo una suggestione ora può davvero
rappresentare l’inizio di un nuovo modello destinato a durare nel tempo.
L'articolo Come sarà la nuova NBA in Europa: 16 squadre, Milano e Roma
rappresenteranno l’Italia. Il via nel 2027 proviene da Il Fatto Quotidiano.
SHAI GILGEOUS-ALEXANDER, ALTRA ANNATA DA MVP?
Chi dice che Shai Gilgeous-Alexander sia diventato un mistero solo dopo la
scorsa stagione forse è stato congelato dal post Covid in poi o qualcosa di
simile. Sì, ha vinto l’MVP, ma il canadese da quattro anni ormai scollina oltre
i 30 punti di media. Non ci riesci se non sei speciale. Ma i punti, in fin dei
conti, sono solo la punta dell’iceberg per un giocatore che è leader indiscusso
di quella che è la migliore squadra della NBA ormai da un po’. Una point guard
silenziosa in campo, capace di dominare senza cannibalizzare il gioco. Se punta
l’avversario in uno contro uno è in grado di usare mille e più trucchetti (anche
detti “fondamentali”) per creare separazione tra sé e il difensore.
Cambia velocità e ritmo durante la penetrazione, sembra fermarsi, poi riparte,
magari finta e l’avversario è già sbilanciato. I Thunder sono a 12 vinte e 1
persa. Hanno ripreso da dove avevano lasciato. E avevano lasciato con un titolo
NBA. Per il resto, la stella di Oklahoma City è il miglior realizzatore della
lega, senza peraltro fare leva più di tanto su un tiro da tre che va e viene
(35%). Figuratevi se, per puro caso, dovesse iniziare a prendere meglio la mira.
Gioca in modo semplice, lineare, senza troppi fronzoli. MVP perenne.
LUKA DONCIC: MACCHINA DA CANESTRI, BASTERÀ PER VINCERE?
Inizio in chiaroscuro per i Los Angeles Lakers. Alcune partite molto bene,
altre, francamente, sotto le aspettative. Sono a 8 vinte e 4 perse, in positivo,
ma le buone vibrazioni guardandoli giocare vanno e vengono, si accendono e si
spengono come le luci di Natale. Manca LeBron James, ovvio. Ma in ogni caso, nel
frattempo, non è che sia ringiovanito di dieci anni. Luka Doncic è ormai il
padrone di casa. Trattasi di una delle macchine da canestri più letali sulla
piazza. La velocità non è il suo forte, ma non per questo lo fermi. Non puoi
impedirgli di tirare. Non puoi tenerlo sotto i 30 punti usando metodi
convenzionali. Eppure, lo sloveno sembra sempre voler accentrare troppo il
gioco, prendersi troppi tiri fuori ritmo (anche se spesso li mette). Ha una
visione di gioco spettacolare, ma non conosce mezze misure: o tira o cerca
l’assist vincente.
Peccato che nel basket ci sia tutto un mondo in mezzo, molto importante, come
per esempio ribaltare il campo, agevolare il flusso di gioco, provare a servire
il post, ecc… Da fuori, Doncic non è mai stato un mostro di precisione (34,9% in
carriera). Tuttavia, l’attuale 30,8% con 11,4 conclusioni tentate da oltre
l’arco è la percentuale più bassa da quando ha messo piede in NBA. Il supporting
cast, al momento, è senza infamia e senza lode. Ayton non sta demeritando, ma
spesso va in confusione sui cambi difensivi. Marcus Smart in attacco è parecchio
calato rispetto alla versione di Boston, ma in difesa a tratti torna a farsi
notare. Austin Reaves (28,3 punti di media) si conferma micidiale attaccante e
vero terzo violino della squadra. Hachimura è una solida ala dal buon tiro.
Basterà per arrivare fino in fondo? La sensazione è che ci siano squadre molto
più attrezzate.
ANTHONY DAVIS, GIÀ SUL MERCATO?
Ma come? Volete già cedere Anthony Davis? Ma non dovevate essere una contender?
Sono solo voci sui media americani. Ma si sa: qualcuno le voci in giro ce le
mette. E se nessuno si affretta a smentire con fermezza, qualcosa di vero ci
sarà. Fossero reali queste voci (che parlano di cessione anche per Kyrie
Irving), ci sarebbe del clamoroso, soprattutto perché qualche giorno fa Dallas
ha licenziato Nico Harrison, colui che ha mandato Doncic ai Lakers in cambio
proprio di Davis. Che logica avrebbe? In una sola parola: ricostruzione. Tanto,
così come sono, anche con Davis e Irving al massimo superano un turno di
playoff.
Con un paio di mosse, i Mavericks alleggerirebbero il monte salari e
punterebbero a una scelta ancora alta in vista del prossimo Draft. In più,
inizierebbero a costruire la squadra attorno a Cooper Flagg, dandogli una
stagione per poter sbagliare senza pressione e per poter imparare senza troppa
fretta. Anthony Davis, poi, non ha mai dato sicurezza dal punto di vista degli
infortuni. Attualmente è fuori per guai al polpaccio e non è ancora chiara la
data del suo ritorno. Quando è in campo, certo, stiamo parlando di un lungo in
grado di cambiare difensivamente la faccia di qualsiasi squadra, e che in
attacco è un rebus per gli avversari vista la mobilità, la lunghezza e la
rapidità di piedi. Il problema è che è spesso fuori. Siamo sicuri che per Luka
Doncic non si potesse ottenere qualcosa di più “pregiato”? Pensateci.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.
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conosce mezze misure. Anthony Davis già sul mercato? proviene da Il Fatto
Quotidiano.