Sono rimasti chiusi per anni, conservati con cura, quasi intoccabili. Una
catenina con un ciondolo a forma di dente di squalo, alcuni braccialetti — uno
con inciso il nome “Chiara” — l’orologio, una cavigliera. Sono gli oggetti che
Chiara Poggi indossava il giorno in cui venne uccisa, il 13 agosto 2007, nella
villetta di via Pascoli a Garlasco. Oggi, a diciotto anni di distanza, tornano
al centro di una vicenda giudiziaria che non smette di riaprirsi.
A riportarli all’attenzione è Dario Redaelli, criminologo e consulente della
famiglia Poggi, nel corso della trasmissione Quarto Grado condotta da Gianluigi
Nuzzi su Rete 4. “Sono stati conservati come reliquie – ha spiegato – insieme a
tutto ciò che aveva avuto a che fare con quella ragazza quel giorno. Alcuni di
questi oggetti non sono mai stati analizzati e ora per noi diventano
importanti”. Piccoli dettagli, apparentemente muti, che potrebbero ancora
custodire tracce utili a chiarire ciò che accadde in quella casa.
Il ritorno dei reperti personali della 26enne, per si intreccia con l’ennesimo
capitolo giudiziario del caso Garlasco, che torna in aula a Pavia. Giovedì 18
dicembre davanti alla giudice per le indagini preliminari di Pavia, Daniela
Garlaschelli, verrà discussa la perizia firmata dalla genetista Denise Albani:
novanta pagine dedicate al Dna estrapolato da due unghie della vittima e a tutti
gli altri reperti analizzati a partire dallo scorso giugno. Secondo le
conclusioni, il profilo genetico maschile risulterebbe compatibile con quello di
Andrea Sempio, 37 anni, amico del fratello di Chiara e unico indagato nella
nuova inchiesta per concorso in omicidio. Su tutti gli altri reperti invece c’è
solo il Dna di Alberto Stasi e Chiara Poggi. Sugli acetati delle impronte nessun
profilo utile è stato rilevato.
Sempio, che nei giorni scorsi ha incontrato i suoi avvocati a Roma, si dice
sollevato dall’arrivo della perizia. “È stato un grosso peso in questi mesi”, ha
commentato. In un’intervista televisiva ha parlato di interpretazioni “tirate
per i capelli” e ha ribadito di non voler essere interrogato fino alla chiusura
delle indagini, su consiglio dei legali. Intanto, sullo sfondo, resta aperta la
questione dell’impronta 33, rilevata sulla parete delle scale che conducono al
seminterrato della villetta e attribuita dagli inquirenti a Sempio e dalla
difesa Stasi sulla base di un’analisi fotografica.
L'articolo Garlasco – Il ciondolo, l’orologio e la cavigliera di Chiara Poggi. I
consulenti della famiglia: “Mai analizzati, ma per noi importanti” proviene da
Il Fatto Quotidiano.
Tag - Chiara Poggi
La vicenda dell’omicidio di Chiara Poggi, 18 anni dopo e con una sentenza di
condanna passata ormai da tempo “in giudicato”, sta scatenando l’interesse dei
media e della collettività. Le nuove investigazioni si concentrano su un nuovo
indagato.
La nuova indagine, al di là delle tesi partigiane che si contrappongono sui
media e sul web, peraltro assai spesso infettate da argomenti poco aderenti alle
esigenze di logica processuale, sta certificando qualcosa di decisivo per il
processo penale: la scienza al servizio del processo ha radicalmente mutato
veste. Questa mutazione è tanto più evidente e rilevante, tanto maggiore è la
forza scientifica della prova stessa. Il caso paradigmatico, che attiene proprio
a questa indagine, è rappresentato dalla prova genetica o prova del Dna.
L’incidente probatorio, che ha per oggetto le tracce genetiche rinvenute in zona
ungueale (o subungueale) delle dita delle mani destra e sinistra della vittima,
ha offerto un risultato che, a detta dei media ma anche di molti esperti, lascia
aperta ogni interpretazione: da un lato questa porzione biologica può essere
letta come “l’impronta” dell’assassino; dall’altro essa non sarebbe nulla più di
una presenza casuale e dovuta a un contatto fortuito tra la (futura) vittima e
un oggetto, presente nell’appartamento, precedentemente “contaminato” da un
soggetto che nulla ha a che fare con la scena del crimine.
La genetica non è in grado di stabilire il momento in cui una traccia biologica
viene deposta e dunque solamente indici indiretti e interpretabili secondo le
regole di senso comune possono favorire l’interpretazione del dato biologico
ambiguo. Ecco dunque come nasce il dibattito attuale che vede confrontarsi, su
piani contrapposti, coloro che assumono che non sia pensabile attribuire a
ragioni accidentali un dato così psicologicamente forte e coloro che, al
contrario, sottolineano come questa casualità sia tutt’altro che anomala qualora
il titolare di quella traccia sia un frequentatore di luoghi che, in seguito,
divengono il teatro di un delitto.
A supporto della prima interpretazione milita poi la circostanza che, in assenza
di una presenza accertata di materiale biologico del “contaminatore”, detto
assunto diverrebbe una pura ipotesi indimostrata e indimostrabile; sul fronte
opposto, gli interpreti contrari sostengono che il Dna si conserva assai a lungo
sugli oggetti e dunque la contaminazione sia un fatto che accade costantemente e
la cui anomalia non deve stupire per nulla. L’idea è che il nostro corpo e le
nostre mani sarebbero piene di Dna, non solo nostro o delle persone a noi più
vicine, ma anche di individui che non possiamo neppure immaginare di “avere
addosso”. Nel caso di specie si deve aggiungere che la traccia analizzata è
contaminata, degradata, gli esami non sono stati consolidati con adeguate
ripetizioni e, non ultimo, la tipizzazione non ha offerto un profilo genetico
nucleare (la “targa genetica” di ognuno di noi) ma ha svelato esclusivamente una
linea cromosomica maschile della famiglia dell’attuale indagato.
L’insieme di questi accertamenti pone un quesito nuovo e, per certi versi,
controintuitivo: la scienza, per tradizione, offre risultati certi e
incontrovertibili; come può la scienza al servizio della giurisdizione perdere
questa sua forza epistemica, ontologicamente connessa ai suoi principi? Non è il
caso di fare riferimento alla filosofia della scienza e alle parole di Karl
Popper che assume che “la scienza è un cimitero degli errori” oppure che “la
scienza avanza per errori e confutazioni”. Il punto è un altro. Il Dna (cioè la
prova genetica) non ha nulla a che fare con il principio di unicità del genoma e
ciò al di fuori dell’analisi di paternità (e in assenza dei gemelli omozigoti).
L’analisi a fini penalistici, che vive del confronto tra una traccia repertata
su un luogo, un oggetto o un corpo e un profilo genetico di un sospettato, non
può mai avere quelle caratteristiche di certezza che caratterizzano il Dna. Ma
c’è molto di più: le tecniche di rilevazione e analisi sono sempre più
sofisticate e oggi è prassi trovarsi dinnanzi a risultati parziali, contaminati,
degradati, esclusivamente rappresentativi del genoma parentale maschile oppure
del Dna mitocondriale e dunque, come direbbero i genetisti, scientificamente non
affidabili.
Ma la prova penale può vivere questa anomalia, diversamente dalla scienza.
Questo è il punto vero: la giurisprudenza che è cresciuta con il principio
secondo cui la prova del Dna è un indizio che può avere capacità dimostrativa
anche senza altre prove a supporto, figlia del concetto scientifico di Dna, crea
grande confusione e interpretazioni poco affidabili. La prova del Dna non è la
stessa cosa di una fonte di prova biologica. Questo non toglie nulla alla
utilizzabilità processuale di questi dati anche perché il diritto, a differenza
della scienza, vive costantemente il dramma ermeneutico dell’abduzione e
dell’interpretazione. Per questo la logica processuale si è dotata
strutturalmente del metodo per affrontare queste forme di conoscenza “a
geometrie variabili”.
La grande novità della nuova indagine sul fatto omicidiario di Garlasco è quella
di costringere tutti coloro che intendono affrontare seriamente questa questione
complessa ad abbandonare il lessico mitologico che impone di trattare come prova
del Dna questa fonte conoscitiva che deve essere riqualificata come “prova
biologica” e che dunque può racchiudere al suo interno dati chimici, fisici,
genetici, anatomici, fisiologici, biochimici e biostatistici. Il diritto è
preparato a questo salto e la normativa sulla prova indiziaria è la fonte
migliore per evitare dibattiti pseudoscientifici e fuorvianti in campo
processuale.
L'articolo Con la nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi tramonta il mito
della prova del Dna proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dopo le pronunce di diversi tribunali, in diversi gradi, compresa la Cedu, al
caso sul delitto di Garlasco mancava un rinvio alla Consulta. Ed è l’ipotesi che
l’avvocato Liborio Cataliotti, legale di Andrea Sempio, ventila nel caso la
procura di Pavia procedesse con una imputazione a carico del solo 37enne. Come è
noto c’è già un condannato in via definitiva per l’omicidio di Chiara Poggi ed è
Alberto Stasi. Gli inquirenti di Pavia per aprire la nuova inchiesta a carico di
Sempio hanno per questo dovuto formulare un capo di imputazione per Sempio in
concorso con Alberto Stasi o ignoti. Un guazzabuglio giuridico che potrebbe
quindi richiedere un intervento della Corte costituzionale.
“Se venisse elevata un’imputazione monosoggettiva per il reato ipotizzato, senza
che prima sia stata presentata e accolta un’istanza di revisione, verrebbe
inevitabilmente sollevata un’eccezione di incostituzionalità” dichiara
Cataliotti lasciando la clinica Genomica di Roma dove si è riunito il pool
difensivo. Secondo Cataliotti, la posizione del 37enne rischierebbe di collidere
con la struttura definitiva delle sentenze già pronunciate nel procedimento
Poggi e con il principio del ne bis in idem, aprendo un fronte potenzialmente
destinato alla Corte costituzionale qualora si procedesse a formulare una nuova
imputazione isolata in assenza di un previo giudizio di revisione.
LAVORI IN CORSO SULLA PERIZIA GENETICA
Avvocati e consulenti della difesa hanno lavorato presso il laboratorio Genomica
per finalizzare la relazione e predisporre le domande relative alla perizia
genetica elaborata dalla biologa forense Denise Albani nell’ambito
dell’incidente probatorio in corso a Pavia. In vista dell’udienza del 18
dicembre, la genetista Marina Baldi e il criminologo forense Armando Palmegiani,
insieme ai difensori Angela Taccia e Liborio Cataliotti, hanno al vaglio ogni
elemento della traccia genetica attribuita ad Andrea Sempio. Al centro
dell’analisi vi è l’aplotipo Y riconducibile alla linea paterna della famiglia
Sempio, un risultato che – osserva la difesa – non è “consolidato” né
sufficiente a costituire prova diretta. La stessa Albani, citata dai consulenti,
ha sottolineato l’impossibilità di datarne la presenza e il fatto che il Dna
potrebbe essere frutto di un contatto indiretto: un oggetto toccato in un
diverso momento da Sempio e solo successivamente manipolato dalla vittima. Per
la difesa, questo scenario è perfettamente compatibile con le frequentazioni di
Andrea Sempio presso la casa dei Poggi, dovute alla sua amicizia con Marco,
fratello di Chiara. Il valore attribuito ai fini della formazione di una prova
viene considerato pari a “zero”
NESSUNA IMPRONTA RICONDUCIBILE ALL’INDAGATO
Il quadro complessivo dell’incidente probatorio rafforza, secondo i difensori,
la fragilità dell’ipotesi accusatoria: nessuna delle sessanta impronte digitali
rilevate nell’abitazione, né quelle estrapolate dai sacchi della spazzatura, è
risultata attribuibile all’indagato. Le uniche tracce sono state ricondotte alla
vittima e ad Alberto Stasi. “Stiamo esaminando la perizia Albani riga per riga.
Mancano venti pagine, ma per ogni affermazione annotiamo se è pienamente
condivisibile, parzialmente condivisibile o se richiede approfondimenti”, spiega
Cataliotti ai cronisti. “Abbiamo predisposto una decina di domande, tutte
formulate in modo pacato e tecnico, volte esclusivamente a chiarire i punti meno
definiti”.
Più netto il giudizio sul valore probatorio del reperto genetico: “Quando la
perizia venne disposta, veniva presentata come la prova che avrebbe inchiodato
l’assassino: l’ultimo contatto tra la vittima e il suo aggressore”, spiega
Cataliotti. “Con il senno di oggi, quella che veniva definita una pistola
fumante si è rivelata una pistola ad acqua. Non è una prova utile all’accusa, né
una prova a favore: è semplicemente acqua che scorre sotto i ponti”. Palmegiani
conferma la medesima impostazione: “La tipologia di Dna è incompleta, degradata
e parziale. Non vi è modo di stabilire se vi sia stato un contatto diretto o
mediato, né da quanto tempo la traccia fosse presente”.
VERSO L’UDIENZA DEL 18 DICEMBRE
L’esito dell’udienza sarà cruciale per comprendere se il dossier genetico potrà
assumere un ruolo nell’eventuale evoluzione del procedimento. Ma la difesa
appare già orientata a una linea chiara: la traccia non è qualificabile come
prova, l’ipotesi di partecipazione di Sempio non trova riscontri ulteriori e
qualsiasi contestazione specifica elevata senza passare da un giudizio di
revisione aprirebbe un fronte costituzionale.
L'articolo Delitto di Garlasco, l’ipotesi della difesa Sempio sul conflitto alla
Consulta senza la revisione del processo a Stasi proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Andrea Sempio, indagato nella nuova inchiesta della Procura di Pavia per
l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco e per cui è
stato condannato in via definitiva Alberto Stasi, non si sottoporrà a
interrogatorio da parte dei pubblici ministeri fino alla chiusura delle attuali
indagini. L’avvocato Liborio Cataliotti, succeduto a Massimo Lovati dal qualche
settimana, ha sottolineato con La Provincia pavese che si tratta di un diritto
previsto dal codice e di un “vantaggio che vogliamo custodire gelosamente”.
Secondo il legale, al momento non è stata ancora chiarita la linea dell’accusa,
e Sempio non intende fornire dichiarazion”i.
La difesa non ha inoltre intenzione di chiedere al momento una perizia
sull’impronta nota come “33”, rinvenuta su una parete in cima alle scale che
conducono alla cantina della villa di via Pascoli, nel punto in cui è stata
trovata morta Chiara. Cataliotti ha spiegato: “Non ha senso chiedere una perizia
su questa impronta prima che ci vengano comunicati gli esiti della nuova analisi
Bpa, cioè lo studio scientifico delle tracce ematiche repertate sulla scena del
crimine”.
IL CASO DELL’IMPRONTA 33
La traccia 33 già nel 2007 fu ritenuta “non utile” dal Ris dei carabinieri
perché risultata negativa ai test. L’impronta – che risultava già parziale
perché mancavano le “creste” – era stata sottoposta a un doppio test per
rilevare la presenza di sangue: il primo aveva dato esito incerto (combur test)
quello più specifico (Obti test che rileva sangue umano) aveva restituito
appunto un “esito negativo”. L’impronta del palmo della mano era stata rilevata
sul muro delle scale che portano in taverna, vicino al luogo dove era stata
trovata massacrata Chiara Poggi. Poco più c’erano anche un’impronta del fratello
– che era in montagna da giorni – e anche di uno degli investigatori.
Perché quella traccia poteva essere importante per gli inquirenti nella
ricostruzione della pista alternativa degli inquirenti di Pavia? Perché il corpo
della 26enne fu trovato su quelle quelle scale dopo essere stato lanciato dalla
soglia. Le sentenze che hanno condannato Alberto Stasi a 16 anni come l’autore
del delitto di Garlasco avevano cristallizzato una ricostruzione che ha
stabilito che il killer aveva trascinato il corpo della vittima e lo aveva
lanciato. Nell’ipotesi dei pm di Pavia quella impronta sarebbe stata lasciata
dall’assassino proprio senza scendere gli scalini.
La famiglia Poggi – che da sempre ha partecipato a tutti gli atti istruttori
–aveva fatto svolgere a propri consulenti un approfondimento e le analisi dei
consulenti hanno stabilito la “estraneità dell’impronta alla dinamica
omicidiaria” e la non “attribuibilità della stessa ad Andrea Sempio”. Gli
avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, alla luce di questi risultati,
avevano chiesto ai pm di “sollecitare” un incidente probatorio proprio su questa
impronta. Istanza che, però, è stata “rigettata” dai pm. I legali ricordavano
come la notizia di un’impronta fosse data con ampia eco dal TG1 (come avvenuto
oggi, ndr) “mediante immagini quantomai suggestive” perché si intravedeva un
rossore che poi si è compreso fosse relativo al reagente chimico – ninidrina –
usato dagli investigatori per rilevare le impronte e che restituisce un colore
rosso-violaceo. La scorsa estate c’è stato uno scontro aperto tra parte civile e
procura sul rigetto dell’istanza dei Poggi.
Adesso a pochi giorni dall’udienza del 18 dicembre si capirà come si muoveranno
e cosa chiederanno le parti alla giudice per le indagini preliminari.
L'articolo Garlasco. l’avvocato di Sempio: “Non ha senso chiedere perizia su
impronta 33”. Nessun interrogatorio in vista per l’indagato proviene da Il Fatto
Quotidiano.
La nuova perizia genetico-forense depositata nell’ambito dell’incidente
probatorio sul delitto di Garlasco ha innescato le diverse reazioni alle
conclusioni, Il documento sarà discusso il 18 dicembre, ma già le prime reazioni
delineano fronti contrapposti.
LA DIFESA DI STASI: “ASSENZA TOTALE DI DNA” E “PRIMO PUNTO FERMO”
A esprimersi per prima è l’avvocata Giada Bocellari, legale di Alberto Stasi,
condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara
Poggi. La professionista sottolinea come la nuova relazione “cristallizza
l’assenza totale di Dna di Stasi, che viceversa non era stato escluso” dal
professor Francesco De Stefano nel processo d’appello bis del 2014. Per
Bocellari, la perizia rappresenta “finalmente un primo punto fermo in questa
nuova indagine”. L’avvocata ricorda inoltre che “dal 2014 fino a oggi si diceva
che il Dna sulle unghie di Chiara Poggi fosse degradato e non confrontabile”. La
nuova analisi – prosegue – “confermando integralmente quella della Procura di
Pavia e quelle della difesa Stasi, supera queste conclusioni e, pur considerando
le caratteristiche di questo dna Y”, che sono state “più volte ribadite anche
dai consulenti di parte”, giunge a “una concordanza forte e moderatamente forte
con l’aplotipo Y di Andrea Sempio su due unghie di due mani diverse della
vittima”.
LA DIFESA DI SEMPIO ATTACCA: DATI “NON CONSOLIDATI” E “POSSIBILMENTE ARTEFATTI”
Ovviamente opposta la lettura dell’avvocato Liborio Cataliotti (nella foto), che
assiste Andrea Sempio insieme alla collega Angela Taccia. Il legale mette in
discussione la solidità tecnica delle conclusioni degli esperti: “Le valutazioni
statistiche sono state fatte su risultati non consolidati, possibilmente
‘artefatti’ (cioè erronei), che attestano Dna di più persone, che non si sa se
depositato in seguito a contatto diretto o con una stessa superficie. Non si sa
oltretutto quando.” Secondo Cataliotti, “queste le premesse della perizia, che,
in tutta evidenza, svalorizzano le conclusioni statistiche su quei dati”. La
genetista Denise Albani, pur riconoscendo che la traccia genetica trovata sulle
unghie della vittima è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio – il
cromosoma Y non identifica una sola persona – conclude che “in questo caso si
tratta di aplotipi misti parziali per i quali non è possibile stabilire con
rigore scientifico” se la traccia è “sotto o sopra le unghie della vittima”, se
l’origine “è per contaminazione, per trasferimento diretto o mediato” e “quando”
è stato lasciato il materiale biologico. Alla domanda quanto peso ha la perizia
contro Sempio, la risposta del difensore è netta: “Zero“.
LA PARTE CIVILE: “L’UNICO DATO CERTO” È IL DNA DI STASI SULLA SCENA”
Anche i legali della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna,
intervengono criticando la lettura proposta dalla difesa di Stasi. A loro
giudizio “l’unico dato certo ed infatti trascurato” della nuova perizia è “il
rinvenimento di Dna del condannato Stasi e di Chiara sui reperti che
testimoniano gli ultimi momenti di vita della vittima”. Gli avvocati si
riferiscono in particolare agli oggetti trovati nella spazzatura della villetta
di via Pascoli: “la cannuccia dell’Estathè, le coperture del Fruttolo e il
sacchetto di cereali”. Per i legali della parte civile, la “lettura delle
conclusioni della perizia svolta con serietà e riserbo” evidenzia che “nulla di
nuovo è emerso a carico del signor Sempio rispetto a quanto già noto”. Per
questo si augurano “che tutto venga alla fine valutato con la dovuta attenzione”
e con il “rispetto che si devono alla sentenza coperta dal giudicato” che ha
condannato Stasi. Tizzoni e Compagna denunciano inoltre l’impatto mediatico
della riapertura dell’inchiesta: “Sono trascorsi ormai oltre nove mesi” e “con
cadenza quotidiana, la famiglia Poggi viene esposta ad un massacrante gioco
mediatico i cui fini non sono noti”.
IL LEGALE DI VENDITTI: “PROCURA AL SERVIZIO DI UN CONDANNATO”
Durissime anche le parole dell’avvocato Domenico Aiello, difensore dell’ex pm
Mario Venditti, ora in pensione e imputato per corruzione in atti giudiziari con
l’ipotesi di avere preso denaro per favorire Sempio nel 2017. Aiello – che ha
ottenuto tre annullamenti di perquisizioni e sequestri da parte del Tribunale
del Riesame di Brescia – accusa apertamente l’operato degli inquirenti: “I
vertici della Procura al servizio di un condannato, assassino riconosciuto con
sentenza passata in giudicato. La Procura di Pavia sta violando il principio di
‘intangibilità del giudicato’, manca oramai da mesi la richiesta di revisione”.
Secondo il legale, la stessa “prova tecnica su una frazione di Dna contaminata
sarà un fallimento, inservibile e inutile ab origine”.
In un successivo intervento, Aiello ribadisce che la nuova inchiesta “va a
tutelare gli interessi privati di una persona che è stata condannata in via
definitiva, sbandierata dalla difesa dell’assassino come un avvento di
giustizia, come se l’indagato fosse già stato condannato e i cinque gradi del
precedente processo siano già stati messi in archivio come un’insignificante
pantomima”. E conclude con un affondo: “Se fossi in loro rientrerei nei ranghi
della professione abbandonando la carriera da comparsa in palcoscenici molto
inginocchiati. Dipende però da dove costoro ricevono i maggiori vantaggi”.
L'articolo Garlasco, scontro sulla perizia tra le difese. I legali di Stasi:
“Primo punto fermo”. Gli avvocati di Sempio: “Valore zero” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Acquisiti i dati finali dei test sulle unghie di Chiara Poggi, la genetista
della Polizia di stato Denise Albani ha redatto le conclusioni anche su tutti
gli altri reperti come da richiesta della giudice per le indagini preliminari,
Daniela Garlaschelli, nell’ambito dell’incidente probatorio. Come è ormai noto,
su gli altri reperti è stato rilevato il Dna di Chiara Poggi e Alberto Stasi,
l’allora fidanzato poi condannato in via definitiva.
Sugli “acetati” delle impronte rinvenute sulla “scena del crimine”, una
sessantina in tutto, non è stato trovato sangue, né sono stati estrapolati
profili genetici utili per comparazioni. Dagli accertamenti sui reperti della
“pattumiera” di casa Poggi, poi, sono venuti a galla solo i Dna di Chiara e di
Alberto Stasi e sul “tappetino del bagno” è stato individuato materiale genetico
sempre della studentessa, uccisa a Garlasco nel 2007, e del padre Giuseppe. Così
come le analisi sui “tamponi” non hanno fornito elementi utili alle nuove
indagini su Andrea Sempio.
Anche questi dati, già emersi nel corso del lungo incidente probatorio andato
avanti per mesi, sono riportati nel dettaglio nella perizia genetica di Denise
Albani, depositata ieri e messa oggi a disposizione delle parti.
In particolare, si legge, sul fondo di un “piattino di plastica” è stato
“estrapolato un profilo genetico parziale severamente degradato caratterizzato
dalla presenza della componente allelica, ancorché parziale” di Chiara. Su una
“cannuccia di Estathè” è stato trovato Dna “parziale severamente degradato
caratterizzato dalla presenza della componente allelica, ancorché parziale” di
Stasi. Dalle “coperture di Fruttolo” sono stati rintracciati “altrettanti
profili genetici parziali degradati caratterizzati dalla presenza della
componente allelica, ancorché parziale” delle 26enne.
E ancora dal “bordo interno” del “sacchetto cereali” è stato estrapolato un
“profilo genetico misto parziale leggermente degradato caratterizzato dalla
presenza della componente allelica” della studentessa “e di un’ulteriore
componente allelica non utile a fini interpretativi”. Due, poi, le tracce
genetiche riconducibili a Chiara Poggi trovate sul tappetino del bagno e un
profilo “ancorché parziale, verosimilmente attribuibile all’aplotipo di Poggi
Giuseppe (e di tutti i soggetti imparentati con lo stesso per via
patrilineare)”.
Nell’elaborato si dà conto pure degli esiti dei prelievi sulla “garza utilizzata
in sede autoptica come tampone orale”. Si tratta dell’ormai noto “ignoto 3”, che
era spuntato ad un certo punto come l’ennesima svolta nel caso. Le analisi
riportano le contaminazioni nell’autopsia, già venute a galla, con tracce
genetiche di un’altra persona morta e del medico legale.
L'articolo Delitto di Garlasco, sugli tutti gli altri reperti Dna di Alberto
Stasi e Chiara Poggi. Sugli acetati delle impronte nessun profilo utile proviene
da Il Fatto Quotidiano.
Una compatibilità genetica, come già emerso nei giorni scorsi, ma non
un’identificazione. È questo il cuore della nuova perizia depositata
nell’incidente probatorio sul delitto di Garlasco, in cui la genetista forense
Denise Albani ha analizzato il materiale biologico rinvenuto sotto le unghie di
Chiara Poggi, la giovane uccisa il 13 agosto 2007. Quel Dna “misto, incompleto e
non attribuibile” come già definito dalla genetista non potevano che portare
all’impossibilità di una identificazione individuale. Una evidenza che Albani
aveva già chiarito.
COMPATIBILITÀ DI LINEA PATERNA, NON IDENTITÀ INDIVIDUALE
Secondo i calcoli biostatistici eseguiti da Albani – calcoli che valutano la
probabilità che un profilo genetico appartenga a una specifica linea familiare –
il Dna recuperato presenta un “supporto moderatamente forte/forte e moderato”
all’ipotesi che provenga dalla linea maschile della famiglia Sempio. Dunque,
compatibile con Andrea Sempio e con qualunque altro parente maschio legato a lui
per via paterna. Si tratta però di un’analisi basata sull’aplotipo del cromosoma
Y, un segmento ereditato esclusivamente lungo la linea maschile diretta. Per
questo motivo, chiarisce la perita, “non è possibile addivenire a un esito di
identificazione di un singolo soggetto”. Il cromosoma Y, infatti, non permette
di distinguere tra individui imparentati: tutti gli appartenenti alla stessa
linea maschile condividono lo stesso aplotipo. Albani sottolinea inoltre che
l’identificazione individuale non sarebbe possibile nemmeno se i profili
genetici fossero “completi, consolidati e attribuibili a una singola fonte”. È
una caratteristica intrinseca dell’analisi del cromosoma Y, non un limite dei
dati specifici del caso.
TRACCE MISTE, PARZIALI E SCIENTIFICAMENTE NON DATABILI
Il materiale biologico analizzato è definito dalla perita come costituito da
“aplotipi misti parziali”: tracce incomplete, composte da più contributi
genetici e alterate dalle condizioni del campionamento. La quantità esigua e il
deterioramento del Dna non consentono, spiega Albani, di ottenere un risultato
“certamente affidabile”. La perizia esclude in modo netto la possibilità di
rispondere a tre domande chiave nell’ambito forense: come, quando e perché quel
materiale genetico sia finito sotto le unghie della vittima. Secondo le attuali
conoscenze internazionali – e gli standard scientifici validati – non è
possibile determinare: se il Dna fosse depositato sopra o sotto le unghie; da
quale dito esattamente provenga, nell’ambito della stessa mano;
la modalità di deposizione (contatto diretto, trasferimento secondario tramite
oggetto, contaminazione ambientale); il momento in cui la deposizione è
avvenuta. Le ipotesi formulabili, dunque, restano “suggestive” e non
dimostrabili senza un contesto informativo più ampio o dati sperimentali
“granitici”, oggi non disponibili.
IL PESO DELLE NUOVE ANALISI NEL QUADRO PROCESSUALE
Le conclusioni di Albani si fondano sulle analisi biostatistiche condotte sui
dati documentali raccolti dal precedente perito, il professor Francesco De
Stefano, nominato nella fase dell’appello bis ad Alberto Stasi. L’indagine
dell’incidente probatorio mirava proprio a verificare la solidità scientifica di
quelle tracce genetiche spesso al centro del dibattito difensivo. Ora la perizia
riconosce una compatibilità con la linea maschile della famiglia Sempio, ma
conferma – con nettezza – l’impossibilità di trasformare quella compatibilità in
una prova individualizzante.
Il documento depositato ieri alla giudice per le indagini preliminari Daniela
Garlaschelli consegna quindi alla magistratura un quadro tecnico, che delimita
con precisione ciò che la scienza può dire e ciò che, allo stato delle
conoscenze, non è possibile affermare. Un tassello importante in un caso che, a
oltre 17 anni dall’omicidio, continua a oscillare tra nuove piste e vincoli
oggettivi posti dalla prova scientifica che, in assenza di un match, non può
portare oltre le ipotesi della procura di Pavia. Senza contare che tutti gli
altri test su i diversi reperti non hanno trovato riscontro su Andrea Sempio.
Che come è noto, essendo amico del fratello della vittima, frequentava la
villetta di via Pascoli, dove i ragazzi si trovavano per giocare anche con il
computer usato dalla 27enne uccisa il 13 agosto del 2007 e per cui è stato
condannato in via definitiva Alberto Stasi.
L'articolo Delitto di Garlasco, la perizia sul Dna sulle unghie di Chiara Poggi:
“Nessuna identificazione individuale” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un vecchio hard disk dimenticato nel cassetto per 18 lunghi anni. Poi la
scoperta: al suo interno erano conservate le foto scattate il 13 agosto 2007
all’esterno della villetta in cui è stata uccisa Chiara Poggi. Un materiale
rimasto inedito per 18 anni, fino a quando non è stato condiviso sul web pochi
giorni fa. A diffondere gli scatti è stata la youtuber e streamer Francesca
Bugamelli, conosciuta online con il nome di BugalallaCrime, durante il suo “TG
Crime”, la trasmissione da lei condotta su Twitch. È stata la creator 34enne a
mostrare per la prima volta le immagini che ritraggono Andrea Sempio a via
Pascoli alcune ore dopo l’omicidio di Chiara.
“Due sere fa, mentre la fotografa guardava con il marito la mia diretta,
cominciano a chiedersi se avevano quel vecchio hard disk con fotografie di
scarto – spiega la streamer a IgnotoX, su La7 -. Sono andati alla ricerca di
questo hard disk, lo hanno trovato, e poi hanno deciso di mandarmi le foto. Io e
la mia redazione abbiamo deciso di suggerire loro di depositarle in Procura,
così hanno fatto. Non ci sono complotti né misure strane”, spiega ancora
Bugamelli. Gli scatti mostrano le ore successive al ritrovamento del cadavere
della 26enne di Garlasco. Si vedono infatti le Forze dell’Ordine e la pm
dell’epoca, Rosa Muscio, i familiari della vittima – la zia Maria Rita Poggi e
le sue figlie, le gemelle Paola e Stefania Cappa -, e, infine, un giovanissimo
Andrea Sempio. Che nelle foto compare prima da solo, a bordo della sua auto, e
poi in compagnia del padre Giuseppe.
La creator, dunque, riceve le foto e le gira alla sua redazione per verificarne
i metadati. “Una volta confermata l’autenticità, le ho condivise – rivela invece
a La Repubblica -. Quando ho visto quei file ho capito che non potevano restare
chiusi in un cassetto per altri diciotto anni”. Le immagini diventano quindi
virali e c’è chi nutre qualche sospetto circa le tempistiche della diffusione.
Ma, secondo la streamer, non ci sarebbe assolutamente nulla di strano:
“All’epoca Sempio non era considerato rilevante. Quelle immagini furono
giudicate poco utili e sono finite nel dimenticatoio. Solo ascoltandomi in
diretta, la coppia si è resa conto che potevano avere ancora un peso”, conclude
Bugamelli.
ROBERTA BRUZZONE VERSO L’ADDIO A “ORE14”: “VOLEVA TRATTARE GARLASCO SOLO DI
POMERIGGIO”. LA CRIMINOLOGA: “È FALSO”
Intanto, proprio mentre il dibattito sul caso Garlasco si riaccende, i rapporti
tra Roberta Bruzzone e Ore14, la trasmissione di Milo Infante in onda su Rai2,
si sarebbero definitivamente incrinati. È da diversi giorni, infatti, che
l’esperta non compare in studio, nonostante fosse diventata nel tempo una
presenza fissa del programma. La sua assenza aveva alimentato varie ipotesi, tra
cui l’idea che un battibecco in diretta con il conduttore potesse aver influito
sulla decisione della criminologa di non prendere parte alle puntate successive.
A chiarire il quadro era poi intervenuta la stessa Bruzzone, che aveva lasciato
intendere di voler concentrare le proprie energie su nuovi obiettivi
professionali: “Giunti a questo punto della mia carriera, ritengo doveroso
concentrarmi su ciò che davvero merita di essere divulgato: informazione
corretta, strumenti utili, analisi serie”, aveva scritto sui social.
Secondo quanto riportato da Fanpage, che cita persone vicine al programma, però,
sarebbe stata Bruzzone a porre alcune condizioni poi respinte dalla redazione di
Ore14. In particolare, sostiene il sito, la criminologa avrebbe chiesto di non
trattare più il caso Garlasco o, quantomeno, di trattarlo in una specifica
fascia oraria, cioè quella pomeridiana. Un aut-aut che il programma non avrebbe
accolto: “Una trasmissione non è un taxi su cui una persona decide di cosa e con
chi parlare”, è la frase attribuita a chi, in quelle ore, avrebbe assistito alle
discussioni in redazione. Da qui la presunta decisione del team del programma di
non invitare più la criminologa.
Sulla vicenda è intervenuta la stessa Bruzzone, che ha smentito questa
ricostruzione tramite un lungo comunicato stampa: “Le versioni fornite da “Ore
14” circa una presunta trattativa, un mio presunto veto sugli orari o
addirittura una mia richiesta di essere invitata ‘solo al pomeriggio’ sono
totalmente false, destituite di ogni fondamento e smentite dai fatti e dai
documenti in mio possesso. Non è mai esistita alcuna trattativa. Non ne ho mai
aperta una. Non ne ho mai voluta una. E non ho mai avuto alcun interesse ad
averne. Qualsiasi narrazione diversa da questa è semplicemente falsa. A conferma
di ciò, basti un dato oggettivo: ieri ero in diretta su Rai1, a “La Vita in
Diretta”, a parlare del caso Garlasco insieme all’Avv. De Rensis, senza alcun
‘problema’, senza limiti di collocazione oraria e senza alcuna interferenza.
Questo è un fatto. Il resto è propaganda mediatica costruita per coprire
responsabilità interne che non mi riguardano”, ha precisato la criminologa.
L'articolo “Le foto di Sempio davanti a casa Poggi? Non potevano stare in un
cassetto altri 18 anni”: parla BugalallaCrime. Bruzzone smentisce l’addio a
“Ore14”: “Io non voglio più trattare Garlasco? Falso” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“Ma lo sentite quanto è ragionevole dubitare che sia stato Alberto Stasi a
uccidere Chiara Poggi?”. È questa la domanda che si pone Stefano Vitelli, il
giudice che nel 2009 giudicò Alberto Stasi non colpevole per l’omicidio di
Chiara Poggi, in una lunga intervista a “Lo Stato delle Cose”. Nel corso della
trasmissione, in onda su Rai 3 lo scorso 1 dicembre, Vitelli spiega i motivi che
lo portarono ad assolvere l’allora fidanzato della vittima, che sarebbe poi
stato condannato nel 2015 con sentenza passata in giudicato. A distanza di oltre
17 anni dall’omicidio, il giudice ripercorre la storia giudiziaria del caso, che
ora è stato riaperto dalla Procura di Pavia con le nuove indagini su Andrea
Sempio, l’amico del fratello della vittima che secondo gli investigatori si
sarebbe trovato a casa di Chiara quel 13 agosto 2007.
“Ho assolto Alberto Stasi perché le criticità erano molte e l’approfondimento
che abbiamo fatto in primo grado le ha evidenziate – rivela il giudice -. Quanto
all’alibi informatico, è stato provato che Stasi fosse a casa sua tra le 9.35 e
le 12.20. Rimaneva quindi una finestra temporale più probabile di soli 23
minuti, che sono piuttosto pochi”. A fronte di queste considerazioni ed altre
verità giudiziarie emerse durante il processo, per il giudice la risposta poteva
essere soltanto l’assoluzione: “Abbiamo una serie di elementi che non portano
oltre ogni ragionevole dubbio ad affermare che fosse stato davvero Alberto Stasi
ad uccidere Chiara Poggi. E quando ti trovi di fronte a un’obiettiva incertezza
hai il dovere morale di assolvere per non correre il rischio di mettere in
galera un innocente. Meglio un colpevole fuori che un innocente dentro”,
ribadisce.
Intervistato dal conduttore Massimo Giletti, Vitelli svela i dettagli della sua
analisi sulle prove. In particolare, il giudice si è concentrato sul possibile
movente che avrebbe potuto scatenare l’azione omicida: “Stasi era un
appassionato di pornografia adulta. Chiara sapeva di questa passione e lo aveva
confidato a una delle cugine (le gemelle Paola e Stefania Cappa, ndr). Ma non è
emersa una sofferenza di questo tipo nelle chat, né in altro modo. Ci sono dei
video intimi che i due ragazzi si sono fatti su iniziativa di Alberto, ma non
emerge nessuna sofferenza o fastidio. Tant’è vero che Stasi aveva condiviso con
Chiara questi video intimi e Chiara li aveva messi sul suo computer protetti da
una password”. Durante le indagini, Vitelli ricorda anche di aver ipotizzato una
possibile divulgazione di quel materiale ad altri amici, che magari Chiara lo
avesse scoperto e da lì sarebbe nato un grosso litigio, ma il giudice ha poi
escluso questa ipotesi: “Lo abbiamo verificato e la risposta è stata negativa:
Alberto Stasi aveva condiviso quei video intimi solo con la diretta interessata
in un rapporto di complicità e di esuberanza reciproca di due ragazzi”.
Secondo il giudice ci sarebbe potuto essere, però, un altro aspetto che avrebbe
potuto scatenare un conflitto tra i due fidanzati: “La possibilità che Chiara
potesse aver visto immagini pedopornografiche (sul computer di Stasi, ndr).
Stasi non era un appassionato di pedopornografia, però, com’era stato detto dai
periti, quando tu sei un grande appassionato di pornografia adulta, può
capitarti anche casualmente che ti finiscano delle immagini di pedopornografia,
sporadici, senza averli cercati né inseriti in cartelle apposite. Il problema è
che Chiara Poggi non era un giudice né un ingegnere, quindi se avesse visto
un’immagine pedopornografica, di impatto si sarebbe disgustata di questo”. Anche
questa ipotesi, secondo Vitelli, andrebbe però scartata: “Abbiamo verificato se
Chiara potesse aver visto immagini pedopornografiche. E sicuramente non le ha
viste. Su questo c’è l’accordo dei periti con tutti i consulenti tecnici di
parte. Queste immagini pedopornografiche, proprio perché Stasi non ne era un
fruitore, erano in memorie del computer non accessibili né da Stasi né da
Chiara”, sottolinea. Così come andrebbe escluso, almeno limitatamente alla
figura di Stasi, un presunto legame con il Santuario delle Bozzole: “Il movente
era indirizzato su Stasi perché Stasi era imputato. E Stasi non era un
frequentatore del Santuario, che non rientrava nel fuoco delle investigazioni”.
Per giungere alla sua conclusione, Vitelli aveva tentato di analizzare anche
altri aspetti. Tra cui il rapporto tra i due fidanzati a ridosso del 13 agosto
2007. Poche settimane prima di quella data, infatti, Stasi si trovava a Londra
e, in uno scambio di messaggio con Chiara, le rivela che al suo ritorno avrebbe
dovuto concentrarsi su un colloquio di lavoro e sulla stesura della sua tesi di
laurea: “Insomma le dice ‘Staremo insieme, ma devi avere un po’ di pazienza’. A
parte che poi i genitori di Stasi rimasero qualche giorno in più e quindi non
poteva stare tanto con lei anche per questa ragione – sottolinea Vitelli -. Si
evidenzia questo profilo molto razionale, molto attento ai suoi scopi ai suoi
obiettivi di studio e di lavoro. E di Chiara invece si vede questa cosa un po’
misteriosa. Chiara dice: ‘Se ho paura di dormire da sola, ti posso chiamare?’.
Lui dice di sì. Se Chiara avesse paura di stare da sola in una villetta verso
Ferragosto perché teme l’azione di ladri, o se fosse invece una sorta di
presentimento, questo resta chiaramente un mistero”, aggiunge ancora il giudice.
Nonostante l’assoluzione stabilita da Vitelli, Stasi è stato condannato in via
definitiva nel 2015. Il caso Garlasco, però, è stato ufficialmente riaperto
dalla Procura di Pavia con l’iscrizione nel registro degli indagati di Andrea
Sempio, la cui posizione di sospettato fu inizialmente archiviata già nel 2017.
Secondo gli investigatori, però, a carico del 37enne ci sarebbero una serie di
indizi che potrebbero indicarne la colpevolezza. Tra questi vi sarebbero alcune
tracce di DNA, riscontrate sulle unghie della vittima, che sarebbero
riconducibili alla linea maschile della famiglia Sempio: “Faccio una premessa
importante: il DNA è un elemento importante ma non è decisivo. Bisogna inserire
la questione insieme a tutti gli altri elementi delle indagini tradizionali”,
spiega Vitelli a Giletti. Secondo il giudice, dunque, “Se davvero vi è sulle
unghie di Chiara un DNA compatibile con l’amico del fratello della vittima,
bisogna fare due considerazioni: rispetto al nuovo indagato massima prudenza
perché c’è il sacrosanto diritto di difesa e appunto il DNA va poi letto e
valutato in rapporto agli altri elementi nella dialettica processuale”. Quanto
invece alla seconda considerazione, “però, ci troviamo sulle unghie della
vittima, che sarebbe stata uccisa verosimilmente nella prima parte della
mattinata, non il DNA di Stasi, ma quello di un’altra persona. Ma lo sentite
quanto è ragionevole dubitare che sia stato Alberto Stasi a uccidere Chiara
Poggi?”, conclude il giudice Vitelli.
L'articolo “Sulle unghie della vittima abbiamo il DNA di un’altra persona. Lo
sentite quanto è ragionevole dubitare che sia stato Alberto Stasi a uccidere
Chiara Poggi?”: parla il giudice Stefano Vitelli proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Le indagini scientifiche hanno bisogno di tempo, di specificità e certezze. I
calcoli biostatistici sulla possibilità di corrispondenza fra le tracce
genetiche sulle unghie di Chiara Poggi e il profilo Y di Andrea Sempio sono
stati effettuati per esempio su una banca dati di oltre 39mila aplotipi nella
popolazione dell’Europa occidentale come apprende LaPresse sulle tabelle inviate
ieri dalla perita dell’incidente probatorio, Denise Albani, ai consulenti della
difesa, Marina Baldi e Armando Palmegiani, della Procura di Pavia, Carlo
Previderè e Pierangela Grignani, della famiglia Poggi, Marzio Capra, e al
genetista della difesa Stasi, Ugo Ricci. “Non potrò mai dire, e ci tengo a
sottolinearlo, che quel profilo è di Tizio, perché è proprio concettualmente
sbagliato essendo un aplotipo, a prescindere dal caso specifico”, aveva già
spiegato l’esperta alla scorsa udienza del 26 settembre.
Per calcolare la maggiore probabilità di origine del profilo che identifica una
linea paterna maschile, parziale e mista, trovato sul quinto dito della mano
destra e sul primo della mano sinistra della 26enne uccisa a Garlasco il 13
agosto 2007, la perita ha utilizzato il database di riferimento per la ricerca
degli aplotipi in ambito forense denominato YHRD (Y-STR Haplotype Reference
Database) che è il più completo archivio esistente. A livello mondiale
(“Worldwide”) contiene 349.750 profili mentre il database nazionale “Italia” è
composto da “soli” 5.638 profili. Un numero ritenuto troppo basso – anche dai
consulenti dei pm di Pavia Napoleone-Civardi – per effettuare l’indagine
statistica.
La perita della polizia scientifica ha effettuato il calcolo di probabilità sul
database denominato “Western European Metapopulation”, composto da 39.150
profili provenienti da cittadini dell’Europa occidentale. Con questo sistema è
stato ritenuto più probabile che le tracce sulle unghie di Chiara Poggi siano
state generate da Sempio e da un secondo soggetto di sesso maschile sconosciuto,
che non da altri due soggetti ignoti senza legami o correlazioni con Sempio.
Rispetto alle tabelle e ai calcoli inoltrati ieri alle parti e non corredati da
commenti o conclusioni, la gip di Pavia, Daniela Garlaschelli, ha scritto una
mail ai difensori della nuova indagine sul delitto di Garlasco per informarli
del diritto di presentare “relazioni scritte” o “osservazioni” in vista
dell’ultima udienza del 18 dicembre. Albani invece depositerà il suo elaborato
finale, incluse le conclusioni, entro il 5 dicembre”.
L'articolo Analisi del Dna sulle unghie di Chiara Poggi: oltre 39mila aplotipi
europei per i calcoli biostatistici proviene da Il Fatto Quotidiano.