Sono rimasti chiusi per anni, conservati con cura, quasi intoccabili. Una
catenina con un ciondolo a forma di dente di squalo, alcuni braccialetti — uno
con inciso il nome “Chiara” — l’orologio, una cavigliera. Sono gli oggetti che
Chiara Poggi indossava il giorno in cui venne uccisa, il 13 agosto 2007, nella
villetta di via Pascoli a Garlasco. Oggi, a diciotto anni di distanza, tornano
al centro di una vicenda giudiziaria che non smette di riaprirsi.
A riportarli all’attenzione è Dario Redaelli, criminologo e consulente della
famiglia Poggi, nel corso della trasmissione Quarto Grado condotta da Gianluigi
Nuzzi su Rete 4. “Sono stati conservati come reliquie – ha spiegato – insieme a
tutto ciò che aveva avuto a che fare con quella ragazza quel giorno. Alcuni di
questi oggetti non sono mai stati analizzati e ora per noi diventano
importanti”. Piccoli dettagli, apparentemente muti, che potrebbero ancora
custodire tracce utili a chiarire ciò che accadde in quella casa.
Il ritorno dei reperti personali della 26enne, per si intreccia con l’ennesimo
capitolo giudiziario del caso Garlasco, che torna in aula a Pavia. Giovedì 18
dicembre davanti alla giudice per le indagini preliminari di Pavia, Daniela
Garlaschelli, verrà discussa la perizia firmata dalla genetista Denise Albani:
novanta pagine dedicate al Dna estrapolato da due unghie della vittima e a tutti
gli altri reperti analizzati a partire dallo scorso giugno. Secondo le
conclusioni, il profilo genetico maschile risulterebbe compatibile con quello di
Andrea Sempio, 37 anni, amico del fratello di Chiara e unico indagato nella
nuova inchiesta per concorso in omicidio. Su tutti gli altri reperti invece c’è
solo il Dna di Alberto Stasi e Chiara Poggi. Sugli acetati delle impronte nessun
profilo utile è stato rilevato.
Sempio, che nei giorni scorsi ha incontrato i suoi avvocati a Roma, si dice
sollevato dall’arrivo della perizia. “È stato un grosso peso in questi mesi”, ha
commentato. In un’intervista televisiva ha parlato di interpretazioni “tirate
per i capelli” e ha ribadito di non voler essere interrogato fino alla chiusura
delle indagini, su consiglio dei legali. Intanto, sullo sfondo, resta aperta la
questione dell’impronta 33, rilevata sulla parete delle scale che conducono al
seminterrato della villetta e attribuita dagli inquirenti a Sempio e dalla
difesa Stasi sulla base di un’analisi fotografica.
L'articolo Garlasco – Il ciondolo, l’orologio e la cavigliera di Chiara Poggi. I
consulenti della famiglia: “Mai analizzati, ma per noi importanti” proviene da
Il Fatto Quotidiano.
Tag - Alberto Stasi
Dopo le pronunce di diversi tribunali, in diversi gradi, compresa la Cedu, al
caso sul delitto di Garlasco mancava un rinvio alla Consulta. Ed è l’ipotesi che
l’avvocato Liborio Cataliotti, legale di Andrea Sempio, ventila nel caso la
procura di Pavia procedesse con una imputazione a carico del solo 37enne. Come è
noto c’è già un condannato in via definitiva per l’omicidio di Chiara Poggi ed è
Alberto Stasi. Gli inquirenti di Pavia per aprire la nuova inchiesta a carico di
Sempio hanno per questo dovuto formulare un capo di imputazione per Sempio in
concorso con Alberto Stasi o ignoti. Un guazzabuglio giuridico che potrebbe
quindi richiedere un intervento della Corte costituzionale.
“Se venisse elevata un’imputazione monosoggettiva per il reato ipotizzato, senza
che prima sia stata presentata e accolta un’istanza di revisione, verrebbe
inevitabilmente sollevata un’eccezione di incostituzionalità” dichiara
Cataliotti lasciando la clinica Genomica di Roma dove si è riunito il pool
difensivo. Secondo Cataliotti, la posizione del 37enne rischierebbe di collidere
con la struttura definitiva delle sentenze già pronunciate nel procedimento
Poggi e con il principio del ne bis in idem, aprendo un fronte potenzialmente
destinato alla Corte costituzionale qualora si procedesse a formulare una nuova
imputazione isolata in assenza di un previo giudizio di revisione.
LAVORI IN CORSO SULLA PERIZIA GENETICA
Avvocati e consulenti della difesa hanno lavorato presso il laboratorio Genomica
per finalizzare la relazione e predisporre le domande relative alla perizia
genetica elaborata dalla biologa forense Denise Albani nell’ambito
dell’incidente probatorio in corso a Pavia. In vista dell’udienza del 18
dicembre, la genetista Marina Baldi e il criminologo forense Armando Palmegiani,
insieme ai difensori Angela Taccia e Liborio Cataliotti, hanno al vaglio ogni
elemento della traccia genetica attribuita ad Andrea Sempio. Al centro
dell’analisi vi è l’aplotipo Y riconducibile alla linea paterna della famiglia
Sempio, un risultato che – osserva la difesa – non è “consolidato” né
sufficiente a costituire prova diretta. La stessa Albani, citata dai consulenti,
ha sottolineato l’impossibilità di datarne la presenza e il fatto che il Dna
potrebbe essere frutto di un contatto indiretto: un oggetto toccato in un
diverso momento da Sempio e solo successivamente manipolato dalla vittima. Per
la difesa, questo scenario è perfettamente compatibile con le frequentazioni di
Andrea Sempio presso la casa dei Poggi, dovute alla sua amicizia con Marco,
fratello di Chiara. Il valore attribuito ai fini della formazione di una prova
viene considerato pari a “zero”
NESSUNA IMPRONTA RICONDUCIBILE ALL’INDAGATO
Il quadro complessivo dell’incidente probatorio rafforza, secondo i difensori,
la fragilità dell’ipotesi accusatoria: nessuna delle sessanta impronte digitali
rilevate nell’abitazione, né quelle estrapolate dai sacchi della spazzatura, è
risultata attribuibile all’indagato. Le uniche tracce sono state ricondotte alla
vittima e ad Alberto Stasi. “Stiamo esaminando la perizia Albani riga per riga.
Mancano venti pagine, ma per ogni affermazione annotiamo se è pienamente
condivisibile, parzialmente condivisibile o se richiede approfondimenti”, spiega
Cataliotti ai cronisti. “Abbiamo predisposto una decina di domande, tutte
formulate in modo pacato e tecnico, volte esclusivamente a chiarire i punti meno
definiti”.
Più netto il giudizio sul valore probatorio del reperto genetico: “Quando la
perizia venne disposta, veniva presentata come la prova che avrebbe inchiodato
l’assassino: l’ultimo contatto tra la vittima e il suo aggressore”, spiega
Cataliotti. “Con il senno di oggi, quella che veniva definita una pistola
fumante si è rivelata una pistola ad acqua. Non è una prova utile all’accusa, né
una prova a favore: è semplicemente acqua che scorre sotto i ponti”. Palmegiani
conferma la medesima impostazione: “La tipologia di Dna è incompleta, degradata
e parziale. Non vi è modo di stabilire se vi sia stato un contatto diretto o
mediato, né da quanto tempo la traccia fosse presente”.
VERSO L’UDIENZA DEL 18 DICEMBRE
L’esito dell’udienza sarà cruciale per comprendere se il dossier genetico potrà
assumere un ruolo nell’eventuale evoluzione del procedimento. Ma la difesa
appare già orientata a una linea chiara: la traccia non è qualificabile come
prova, l’ipotesi di partecipazione di Sempio non trova riscontri ulteriori e
qualsiasi contestazione specifica elevata senza passare da un giudizio di
revisione aprirebbe un fronte costituzionale.
L'articolo Delitto di Garlasco, l’ipotesi della difesa Sempio sul conflitto alla
Consulta senza la revisione del processo a Stasi proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Raffaele Sollecito, assolto in via definitiva nel 2015 per l’assassinio di
Meredith Kercher avvenuto il 2 novembre di 18 anni fa, è tornato con un video
sui social in cui, di nuovo, paragona il suo caso a quello di Alberto Stasi, a
oggi unico condannato per il caso Garlasco, cioè la morte di Chiara Poggi.
“Essere innocente in un processo mediatico ti mette davanti a una scelta. Negli
ultimi trent’anni in Italia il mio è stato l’unico caso mediatico conosciuto da
tutti a essersi risolto con una soluzione piena, l’unica volta in cui la realtà
ha vinto su una narrazione“. Spiegando di essersi ormai rifatto una vita, come
“architetto del cloud”, e sottolineando di aver lasciato “che i risultati
tecnici parlassero” per lui, Sollecito sottolinea di non aver “mai smesso di
documentarmi”. “Per questo guardo con attenzione i casi come quello di Alberto
Stasi, un altro innocente in carcere. Rivedo lo stesso errore metodologico: il
DNA usato come prova regina, invece di essere contestualizzato con rigore”,
prosegue ancora. “Un singolo errore scientifico, quando entra in un’aula di
giustizia, può distruggere e cancellare una vita. Ma io racconto tutto questo
per cercare qualcosa. Lo faccio perché ho imparato quanto sia fragile
l’equilibrio tra verità e narrazione”, insiste, dicendo di aver ormai imparato a
riconoscere “quando un sistema fallisce” e “quando lo vedo in un’aula di
tribunale non posso rimanere in silenzio”.
L'articolo Raffaele Sollecito torna sul caso Garlasco: “Con Stasi stesso errore
metodologico, il Dna usato come prova regina” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Andrea Sempio, indagato nella nuova inchiesta della Procura di Pavia per
l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco e per cui è
stato condannato in via definitiva Alberto Stasi, non si sottoporrà a
interrogatorio da parte dei pubblici ministeri fino alla chiusura delle attuali
indagini. L’avvocato Liborio Cataliotti, succeduto a Massimo Lovati dal qualche
settimana, ha sottolineato con La Provincia pavese che si tratta di un diritto
previsto dal codice e di un “vantaggio che vogliamo custodire gelosamente”.
Secondo il legale, al momento non è stata ancora chiarita la linea dell’accusa,
e Sempio non intende fornire dichiarazion”i.
La difesa non ha inoltre intenzione di chiedere al momento una perizia
sull’impronta nota come “33”, rinvenuta su una parete in cima alle scale che
conducono alla cantina della villa di via Pascoli, nel punto in cui è stata
trovata morta Chiara. Cataliotti ha spiegato: “Non ha senso chiedere una perizia
su questa impronta prima che ci vengano comunicati gli esiti della nuova analisi
Bpa, cioè lo studio scientifico delle tracce ematiche repertate sulla scena del
crimine”.
IL CASO DELL’IMPRONTA 33
La traccia 33 già nel 2007 fu ritenuta “non utile” dal Ris dei carabinieri
perché risultata negativa ai test. L’impronta – che risultava già parziale
perché mancavano le “creste” – era stata sottoposta a un doppio test per
rilevare la presenza di sangue: il primo aveva dato esito incerto (combur test)
quello più specifico (Obti test che rileva sangue umano) aveva restituito
appunto un “esito negativo”. L’impronta del palmo della mano era stata rilevata
sul muro delle scale che portano in taverna, vicino al luogo dove era stata
trovata massacrata Chiara Poggi. Poco più c’erano anche un’impronta del fratello
– che era in montagna da giorni – e anche di uno degli investigatori.
Perché quella traccia poteva essere importante per gli inquirenti nella
ricostruzione della pista alternativa degli inquirenti di Pavia? Perché il corpo
della 26enne fu trovato su quelle quelle scale dopo essere stato lanciato dalla
soglia. Le sentenze che hanno condannato Alberto Stasi a 16 anni come l’autore
del delitto di Garlasco avevano cristallizzato una ricostruzione che ha
stabilito che il killer aveva trascinato il corpo della vittima e lo aveva
lanciato. Nell’ipotesi dei pm di Pavia quella impronta sarebbe stata lasciata
dall’assassino proprio senza scendere gli scalini.
La famiglia Poggi – che da sempre ha partecipato a tutti gli atti istruttori
–aveva fatto svolgere a propri consulenti un approfondimento e le analisi dei
consulenti hanno stabilito la “estraneità dell’impronta alla dinamica
omicidiaria” e la non “attribuibilità della stessa ad Andrea Sempio”. Gli
avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, alla luce di questi risultati,
avevano chiesto ai pm di “sollecitare” un incidente probatorio proprio su questa
impronta. Istanza che, però, è stata “rigettata” dai pm. I legali ricordavano
come la notizia di un’impronta fosse data con ampia eco dal TG1 (come avvenuto
oggi, ndr) “mediante immagini quantomai suggestive” perché si intravedeva un
rossore che poi si è compreso fosse relativo al reagente chimico – ninidrina –
usato dagli investigatori per rilevare le impronte e che restituisce un colore
rosso-violaceo. La scorsa estate c’è stato uno scontro aperto tra parte civile e
procura sul rigetto dell’istanza dei Poggi.
Adesso a pochi giorni dall’udienza del 18 dicembre si capirà come si muoveranno
e cosa chiederanno le parti alla giudice per le indagini preliminari.
L'articolo Garlasco. l’avvocato di Sempio: “Non ha senso chiedere perizia su
impronta 33”. Nessun interrogatorio in vista per l’indagato proviene da Il Fatto
Quotidiano.
La nuova perizia genetico-forense depositata nell’ambito dell’incidente
probatorio sul delitto di Garlasco ha innescato le diverse reazioni alle
conclusioni, Il documento sarà discusso il 18 dicembre, ma già le prime reazioni
delineano fronti contrapposti.
LA DIFESA DI STASI: “ASSENZA TOTALE DI DNA” E “PRIMO PUNTO FERMO”
A esprimersi per prima è l’avvocata Giada Bocellari, legale di Alberto Stasi,
condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara
Poggi. La professionista sottolinea come la nuova relazione “cristallizza
l’assenza totale di Dna di Stasi, che viceversa non era stato escluso” dal
professor Francesco De Stefano nel processo d’appello bis del 2014. Per
Bocellari, la perizia rappresenta “finalmente un primo punto fermo in questa
nuova indagine”. L’avvocata ricorda inoltre che “dal 2014 fino a oggi si diceva
che il Dna sulle unghie di Chiara Poggi fosse degradato e non confrontabile”. La
nuova analisi – prosegue – “confermando integralmente quella della Procura di
Pavia e quelle della difesa Stasi, supera queste conclusioni e, pur considerando
le caratteristiche di questo dna Y”, che sono state “più volte ribadite anche
dai consulenti di parte”, giunge a “una concordanza forte e moderatamente forte
con l’aplotipo Y di Andrea Sempio su due unghie di due mani diverse della
vittima”.
LA DIFESA DI SEMPIO ATTACCA: DATI “NON CONSOLIDATI” E “POSSIBILMENTE ARTEFATTI”
Ovviamente opposta la lettura dell’avvocato Liborio Cataliotti (nella foto), che
assiste Andrea Sempio insieme alla collega Angela Taccia. Il legale mette in
discussione la solidità tecnica delle conclusioni degli esperti: “Le valutazioni
statistiche sono state fatte su risultati non consolidati, possibilmente
‘artefatti’ (cioè erronei), che attestano Dna di più persone, che non si sa se
depositato in seguito a contatto diretto o con una stessa superficie. Non si sa
oltretutto quando.” Secondo Cataliotti, “queste le premesse della perizia, che,
in tutta evidenza, svalorizzano le conclusioni statistiche su quei dati”. La
genetista Denise Albani, pur riconoscendo che la traccia genetica trovata sulle
unghie della vittima è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio – il
cromosoma Y non identifica una sola persona – conclude che “in questo caso si
tratta di aplotipi misti parziali per i quali non è possibile stabilire con
rigore scientifico” se la traccia è “sotto o sopra le unghie della vittima”, se
l’origine “è per contaminazione, per trasferimento diretto o mediato” e “quando”
è stato lasciato il materiale biologico. Alla domanda quanto peso ha la perizia
contro Sempio, la risposta del difensore è netta: “Zero“.
LA PARTE CIVILE: “L’UNICO DATO CERTO” È IL DNA DI STASI SULLA SCENA”
Anche i legali della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna,
intervengono criticando la lettura proposta dalla difesa di Stasi. A loro
giudizio “l’unico dato certo ed infatti trascurato” della nuova perizia è “il
rinvenimento di Dna del condannato Stasi e di Chiara sui reperti che
testimoniano gli ultimi momenti di vita della vittima”. Gli avvocati si
riferiscono in particolare agli oggetti trovati nella spazzatura della villetta
di via Pascoli: “la cannuccia dell’Estathè, le coperture del Fruttolo e il
sacchetto di cereali”. Per i legali della parte civile, la “lettura delle
conclusioni della perizia svolta con serietà e riserbo” evidenzia che “nulla di
nuovo è emerso a carico del signor Sempio rispetto a quanto già noto”. Per
questo si augurano “che tutto venga alla fine valutato con la dovuta attenzione”
e con il “rispetto che si devono alla sentenza coperta dal giudicato” che ha
condannato Stasi. Tizzoni e Compagna denunciano inoltre l’impatto mediatico
della riapertura dell’inchiesta: “Sono trascorsi ormai oltre nove mesi” e “con
cadenza quotidiana, la famiglia Poggi viene esposta ad un massacrante gioco
mediatico i cui fini non sono noti”.
IL LEGALE DI VENDITTI: “PROCURA AL SERVIZIO DI UN CONDANNATO”
Durissime anche le parole dell’avvocato Domenico Aiello, difensore dell’ex pm
Mario Venditti, ora in pensione e imputato per corruzione in atti giudiziari con
l’ipotesi di avere preso denaro per favorire Sempio nel 2017. Aiello – che ha
ottenuto tre annullamenti di perquisizioni e sequestri da parte del Tribunale
del Riesame di Brescia – accusa apertamente l’operato degli inquirenti: “I
vertici della Procura al servizio di un condannato, assassino riconosciuto con
sentenza passata in giudicato. La Procura di Pavia sta violando il principio di
‘intangibilità del giudicato’, manca oramai da mesi la richiesta di revisione”.
Secondo il legale, la stessa “prova tecnica su una frazione di Dna contaminata
sarà un fallimento, inservibile e inutile ab origine”.
In un successivo intervento, Aiello ribadisce che la nuova inchiesta “va a
tutelare gli interessi privati di una persona che è stata condannata in via
definitiva, sbandierata dalla difesa dell’assassino come un avvento di
giustizia, come se l’indagato fosse già stato condannato e i cinque gradi del
precedente processo siano già stati messi in archivio come un’insignificante
pantomima”. E conclude con un affondo: “Se fossi in loro rientrerei nei ranghi
della professione abbandonando la carriera da comparsa in palcoscenici molto
inginocchiati. Dipende però da dove costoro ricevono i maggiori vantaggi”.
L'articolo Garlasco, scontro sulla perizia tra le difese. I legali di Stasi:
“Primo punto fermo”. Gli avvocati di Sempio: “Valore zero” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Acquisiti i dati finali dei test sulle unghie di Chiara Poggi, la genetista
della Polizia di stato Denise Albani ha redatto le conclusioni anche su tutti
gli altri reperti come da richiesta della giudice per le indagini preliminari,
Daniela Garlaschelli, nell’ambito dell’incidente probatorio. Come è ormai noto,
su gli altri reperti è stato rilevato il Dna di Chiara Poggi e Alberto Stasi,
l’allora fidanzato poi condannato in via definitiva.
Sugli “acetati” delle impronte rinvenute sulla “scena del crimine”, una
sessantina in tutto, non è stato trovato sangue, né sono stati estrapolati
profili genetici utili per comparazioni. Dagli accertamenti sui reperti della
“pattumiera” di casa Poggi, poi, sono venuti a galla solo i Dna di Chiara e di
Alberto Stasi e sul “tappetino del bagno” è stato individuato materiale genetico
sempre della studentessa, uccisa a Garlasco nel 2007, e del padre Giuseppe. Così
come le analisi sui “tamponi” non hanno fornito elementi utili alle nuove
indagini su Andrea Sempio.
Anche questi dati, già emersi nel corso del lungo incidente probatorio andato
avanti per mesi, sono riportati nel dettaglio nella perizia genetica di Denise
Albani, depositata ieri e messa oggi a disposizione delle parti.
In particolare, si legge, sul fondo di un “piattino di plastica” è stato
“estrapolato un profilo genetico parziale severamente degradato caratterizzato
dalla presenza della componente allelica, ancorché parziale” di Chiara. Su una
“cannuccia di Estathè” è stato trovato Dna “parziale severamente degradato
caratterizzato dalla presenza della componente allelica, ancorché parziale” di
Stasi. Dalle “coperture di Fruttolo” sono stati rintracciati “altrettanti
profili genetici parziali degradati caratterizzati dalla presenza della
componente allelica, ancorché parziale” delle 26enne.
E ancora dal “bordo interno” del “sacchetto cereali” è stato estrapolato un
“profilo genetico misto parziale leggermente degradato caratterizzato dalla
presenza della componente allelica” della studentessa “e di un’ulteriore
componente allelica non utile a fini interpretativi”. Due, poi, le tracce
genetiche riconducibili a Chiara Poggi trovate sul tappetino del bagno e un
profilo “ancorché parziale, verosimilmente attribuibile all’aplotipo di Poggi
Giuseppe (e di tutti i soggetti imparentati con lo stesso per via
patrilineare)”.
Nell’elaborato si dà conto pure degli esiti dei prelievi sulla “garza utilizzata
in sede autoptica come tampone orale”. Si tratta dell’ormai noto “ignoto 3”, che
era spuntato ad un certo punto come l’ennesima svolta nel caso. Le analisi
riportano le contaminazioni nell’autopsia, già venute a galla, con tracce
genetiche di un’altra persona morta e del medico legale.
L'articolo Delitto di Garlasco, sugli tutti gli altri reperti Dna di Alberto
Stasi e Chiara Poggi. Sugli acetati delle impronte nessun profilo utile proviene
da Il Fatto Quotidiano.
“Ma lo sentite quanto è ragionevole dubitare che sia stato Alberto Stasi a
uccidere Chiara Poggi?”. È questa la domanda che si pone Stefano Vitelli, il
giudice che nel 2009 giudicò Alberto Stasi non colpevole per l’omicidio di
Chiara Poggi, in una lunga intervista a “Lo Stato delle Cose”. Nel corso della
trasmissione, in onda su Rai 3 lo scorso 1 dicembre, Vitelli spiega i motivi che
lo portarono ad assolvere l’allora fidanzato della vittima, che sarebbe poi
stato condannato nel 2015 con sentenza passata in giudicato. A distanza di oltre
17 anni dall’omicidio, il giudice ripercorre la storia giudiziaria del caso, che
ora è stato riaperto dalla Procura di Pavia con le nuove indagini su Andrea
Sempio, l’amico del fratello della vittima che secondo gli investigatori si
sarebbe trovato a casa di Chiara quel 13 agosto 2007.
“Ho assolto Alberto Stasi perché le criticità erano molte e l’approfondimento
che abbiamo fatto in primo grado le ha evidenziate – rivela il giudice -. Quanto
all’alibi informatico, è stato provato che Stasi fosse a casa sua tra le 9.35 e
le 12.20. Rimaneva quindi una finestra temporale più probabile di soli 23
minuti, che sono piuttosto pochi”. A fronte di queste considerazioni ed altre
verità giudiziarie emerse durante il processo, per il giudice la risposta poteva
essere soltanto l’assoluzione: “Abbiamo una serie di elementi che non portano
oltre ogni ragionevole dubbio ad affermare che fosse stato davvero Alberto Stasi
ad uccidere Chiara Poggi. E quando ti trovi di fronte a un’obiettiva incertezza
hai il dovere morale di assolvere per non correre il rischio di mettere in
galera un innocente. Meglio un colpevole fuori che un innocente dentro”,
ribadisce.
Intervistato dal conduttore Massimo Giletti, Vitelli svela i dettagli della sua
analisi sulle prove. In particolare, il giudice si è concentrato sul possibile
movente che avrebbe potuto scatenare l’azione omicida: “Stasi era un
appassionato di pornografia adulta. Chiara sapeva di questa passione e lo aveva
confidato a una delle cugine (le gemelle Paola e Stefania Cappa, ndr). Ma non è
emersa una sofferenza di questo tipo nelle chat, né in altro modo. Ci sono dei
video intimi che i due ragazzi si sono fatti su iniziativa di Alberto, ma non
emerge nessuna sofferenza o fastidio. Tant’è vero che Stasi aveva condiviso con
Chiara questi video intimi e Chiara li aveva messi sul suo computer protetti da
una password”. Durante le indagini, Vitelli ricorda anche di aver ipotizzato una
possibile divulgazione di quel materiale ad altri amici, che magari Chiara lo
avesse scoperto e da lì sarebbe nato un grosso litigio, ma il giudice ha poi
escluso questa ipotesi: “Lo abbiamo verificato e la risposta è stata negativa:
Alberto Stasi aveva condiviso quei video intimi solo con la diretta interessata
in un rapporto di complicità e di esuberanza reciproca di due ragazzi”.
Secondo il giudice ci sarebbe potuto essere, però, un altro aspetto che avrebbe
potuto scatenare un conflitto tra i due fidanzati: “La possibilità che Chiara
potesse aver visto immagini pedopornografiche (sul computer di Stasi, ndr).
Stasi non era un appassionato di pedopornografia, però, com’era stato detto dai
periti, quando tu sei un grande appassionato di pornografia adulta, può
capitarti anche casualmente che ti finiscano delle immagini di pedopornografia,
sporadici, senza averli cercati né inseriti in cartelle apposite. Il problema è
che Chiara Poggi non era un giudice né un ingegnere, quindi se avesse visto
un’immagine pedopornografica, di impatto si sarebbe disgustata di questo”. Anche
questa ipotesi, secondo Vitelli, andrebbe però scartata: “Abbiamo verificato se
Chiara potesse aver visto immagini pedopornografiche. E sicuramente non le ha
viste. Su questo c’è l’accordo dei periti con tutti i consulenti tecnici di
parte. Queste immagini pedopornografiche, proprio perché Stasi non ne era un
fruitore, erano in memorie del computer non accessibili né da Stasi né da
Chiara”, sottolinea. Così come andrebbe escluso, almeno limitatamente alla
figura di Stasi, un presunto legame con il Santuario delle Bozzole: “Il movente
era indirizzato su Stasi perché Stasi era imputato. E Stasi non era un
frequentatore del Santuario, che non rientrava nel fuoco delle investigazioni”.
Per giungere alla sua conclusione, Vitelli aveva tentato di analizzare anche
altri aspetti. Tra cui il rapporto tra i due fidanzati a ridosso del 13 agosto
2007. Poche settimane prima di quella data, infatti, Stasi si trovava a Londra
e, in uno scambio di messaggio con Chiara, le rivela che al suo ritorno avrebbe
dovuto concentrarsi su un colloquio di lavoro e sulla stesura della sua tesi di
laurea: “Insomma le dice ‘Staremo insieme, ma devi avere un po’ di pazienza’. A
parte che poi i genitori di Stasi rimasero qualche giorno in più e quindi non
poteva stare tanto con lei anche per questa ragione – sottolinea Vitelli -. Si
evidenzia questo profilo molto razionale, molto attento ai suoi scopi ai suoi
obiettivi di studio e di lavoro. E di Chiara invece si vede questa cosa un po’
misteriosa. Chiara dice: ‘Se ho paura di dormire da sola, ti posso chiamare?’.
Lui dice di sì. Se Chiara avesse paura di stare da sola in una villetta verso
Ferragosto perché teme l’azione di ladri, o se fosse invece una sorta di
presentimento, questo resta chiaramente un mistero”, aggiunge ancora il giudice.
Nonostante l’assoluzione stabilita da Vitelli, Stasi è stato condannato in via
definitiva nel 2015. Il caso Garlasco, però, è stato ufficialmente riaperto
dalla Procura di Pavia con l’iscrizione nel registro degli indagati di Andrea
Sempio, la cui posizione di sospettato fu inizialmente archiviata già nel 2017.
Secondo gli investigatori, però, a carico del 37enne ci sarebbero una serie di
indizi che potrebbero indicarne la colpevolezza. Tra questi vi sarebbero alcune
tracce di DNA, riscontrate sulle unghie della vittima, che sarebbero
riconducibili alla linea maschile della famiglia Sempio: “Faccio una premessa
importante: il DNA è un elemento importante ma non è decisivo. Bisogna inserire
la questione insieme a tutti gli altri elementi delle indagini tradizionali”,
spiega Vitelli a Giletti. Secondo il giudice, dunque, “Se davvero vi è sulle
unghie di Chiara un DNA compatibile con l’amico del fratello della vittima,
bisogna fare due considerazioni: rispetto al nuovo indagato massima prudenza
perché c’è il sacrosanto diritto di difesa e appunto il DNA va poi letto e
valutato in rapporto agli altri elementi nella dialettica processuale”. Quanto
invece alla seconda considerazione, “però, ci troviamo sulle unghie della
vittima, che sarebbe stata uccisa verosimilmente nella prima parte della
mattinata, non il DNA di Stasi, ma quello di un’altra persona. Ma lo sentite
quanto è ragionevole dubitare che sia stato Alberto Stasi a uccidere Chiara
Poggi?”, conclude il giudice Vitelli.
L'articolo “Sulle unghie della vittima abbiamo il DNA di un’altra persona. Lo
sentite quanto è ragionevole dubitare che sia stato Alberto Stasi a uccidere
Chiara Poggi?”: parla il giudice Stefano Vitelli proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Il dna sulle unghie di Chiara Poggi, la vittima. L’impronta 33, cioè una parte
del palmo della mano, rimasta su una parete delle scale che portano nel
seminterrato. Le telefonate anomale a casa Poggi nei giorni precedenti al
delitto. Il biglietto del parcheggio di Vigevano presentato come alibi, non
richiesto da nessuno. Sullo sfondo la presunta corruzione dell’ex procuratore
facente funzioni Mario Venditti per l’archiviazione dell’inchiesta del 2017.
Corre lungo questi paletti il filo che raccoglie al momento l’insieme di indizi
che la Procura di Pavia rafforzano la propria ipotesi accusatoria nei confronti
di Andrea Sempio come vero responsabile del delitto di Garlasco. Di tutte queste
circostanze si è scritto in lungo e in largo: saranno sufficienti per sostenere
un processo davanti alla Corte d’Assise o addirittura, prima, ottenere il rinvio
a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare? Quello che si sa è che entro
la primavera del 2026 la Procura è intenzionata a chiedere di mandare a processo
il commesso di 37 anni, amico d’infanzia di Marco Poggi, fratello della vittima.
La domanda è se davvero il quadro dell’accusa si poggia su questi elementi –
alcuni dei quali almeno contestabili dalle difese e, per la linea avuta fin qui,
anche dalle parti civili – o se ce ne sono altri rimasti finora coperti che
eventualmente avrebbero bisogno di queste altre circostanze diventate note – il
dna, il biglietto, l’impronta sul muro – solo per rafforzare la ricostruzione
dei magistrati in questa inchiesta a distanza di 18 anni dal fatto. E in questa
direzione andrebbero anche la nuova “Bpa“, l’analisi delle tracce di sangue
effettuata con le più moderne tecnologie, e la consulenza medico legale che la
Procura ha affidato da una delle esperti più autorevoli nel suo campo, Cristina
Cattaneo.
Quello che è possibile “fermare” è che il dna non può essere la prova regina,
anzi forse è scorretto chiamarla anche prova: è un fatto che è il risultato
dell’incidente probatorio – quindi col contraddittorio tra le parti – e verrà
portata come tale dentro l’eventuale dibattimento, ma è probabile che il
dibattito che ne nascerà è “come” quel dna è finito sulle unghie di Chiara Poggi
perché la difesa già solleva la questione della contaminazione da contatto. Ad
ogni modo la perita del tribunale Denise Albani ha fissato un concetto rispetto
alle sue analisi sulle unghie: quel dna è di un individuo maschile del ramo
paterno della famiglia Sempio: padri, zii, cugini. Il problema è che nessuno dei
familiari di Andrea Sempio è mai stato nella villetta di Garlasco, ad eccezione
del giovane che al momento è l’unico iscritto (noto) nel registro degli
indagati. I legali della famiglia Poggi insistono che si tratta di “un dato
scientifico non attendibile” e di valori “non consolidati” perché non
replicabili. Gli avvocati di Sempio sostengono già da tempo che il giovane
frequentava la villetta assiduamente e la vittima può aver toccato un oggetto
con cui Sempio era entrato in contatto in precedenza. Un argomento che i pm e i
carabinieri che conducono l’indagine sarebbe smentito dalla circostanza che
sulle stesse unghie non ci fosse materiale genetico né dei familiari stretti né
dell’allora fidanzato di Chiara Alberto Stasi, che è stato con lei sicuramente
fino alla sera prima ed è oltretutto condannato in via definitiva per quel
delitto e quindi – per la giustizia italiana – unico responsabile.
Ora indiscrezioni dei giornali parlano anche della ricostruzione del possibile
movente del delitto. I passaggi da qui alla conclusione delle indagini (che
potrebbe essere all’inizio dell’anno) riguardano altri accertamenti della
Procura di Brescia sul filone della corruzione del magistrato che chiese
l’archiviazione, Venditti. E dall’altra parte, quasi a specchio, proseguirà la
raccolta di testimonianze di persone informate dei fatti a Pavia: il carabiniere
Silvio Sapone è già stato sentito due volte, sono stati ascoltati gli avvocati
di Sempio nel 2017 (Massimo Lovati, Federico Soldani e Simone Grassi), è stato
verbalizzato il racconto dell’ex pm Giulia Pezzino (che era co-titolare del
fascicolo di 8 anni fa). Ora toccherà a Laura Barbaini, la ex sostituta pg della
Corte d’appello di Milano che al processo di secondo grado chiese e ottenne la
condanna di Stasi e che dovrà chiarire per quale motivo inviò carte riservate
alla Procura di Brescia e due memorie dettagliate a Venditti che era in procinto
di chiudere le indagini.
L'articolo Garlasco | Il dna sulle unghie, l’impronta sul muro, lo scontrino, le
telefonate: quali sono (ad oggi) gli indizi contro Sempio proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Un Dna “compatibile” con la linea maschile della famiglia Sempio, ma si tratta
di un “aplotipo parziale misto, degradato e di bassa intensità” il cui risultato
“non è consolidato”. Sono queste le conclusioni, non scritte, a cui – da quanto
risulta all’Adnkronos – arriva la perita Denise Albani incaricata dal Tribunale
di indicare se sulle unghie di Chiara Poggi, uccisa a Garlasco il 13 agosto
2007, c’è la traccia genetica di Andrea Sempio, indagato per l’omicidio in
concorso della ventiseienne.
Alle parti, in una mail di posta certificata, ha fornito – come anticipato da
alcuni giornali – la spiegazione di come ha proceduto all’analisi biostatistica
e ha fornito tabelle su quella che potrebbe essere la percentuale statistica
rispetto alla banca dati. Ha fornito la soglia utilizzata per la comparazione e
dati tecnici da far leggere alle parti in vista dell’udienza del 18 dicembre. La
relazione e le conclusioni saranno depositate a inizio dicembre. I primi
risultati confermano quanto già detto a chiare lettere dalla perita nell’udienza
del 26 settembre scorso.
“Non potrò mai dire, e ci tengo a sottolinearlo, che quel profilo è di Tízio,
perché è proprio concettualmente sbagliato essendo un aplotipo”, dunque la sola
deduzione “che si può andare a evidenziare è un contesto familiare di
appartenenza, ma sicuramente non va a individuare una singola persona”, furono
le parole in aula di Denise Albani. Già allora, nel suo intervento ribadì più
volte quello che è un concetto che è la base da cui parte l’incidente
probatorio: il materiale trovato sulle unghie della vittima è un “aplotipo
parziale misto non consolidato” e si tratta di “un dato oggettivo”. Una
corrispondenza parziale che se ripetuta non fornisce lo stesso risultato, a
differenza di quanto accaduto sulla contaminazione sulla garza.
L'articolo Caso Garlasco, la perita del tribunale: “Dna sulle unghie di Poggi
compatibile con quello dei Sempio” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Proseguono le indagini difensive nell’ambito dell’inchiesta della procura di
Pavia sul delitto di Garlasco in cui Andrea Sempio è indagato. Oggi Sempio, che
è stato ospite a Porta a Porta, èa Roma con il suo team al Laboratorio di
Genomica di Roma. “Un confronto per avere ulteriori certezze? Quello è
l’obiettivo” ha dichiarato ai giornalisti a Sempio, accompagnato dall’avvocata
Angela Taccia, dove si è riunito con il resto del team legale che lo assiste.
“Ho già detto tutto ieri sera”, ha detto ancora il 37enne, indagato per
l’omicidio di Chiara Poggi per cui è stato condannato in via definitiva Alberto
Stasi.
“Sogno forse l’oblio, di cercare di tornare alla normalità, ma vedremo quanto
sarà possibile. Finché si tratta di lanciare suggestioni o buttare fango la
macchina dei media si impegna parecchio…Se non fosse per l’assalto dei media io
non ho paura, non mi vergogno di girare per strada. È un peso avere gli occhi
addosso, ma io non ho nulla per cui io mi devo nascondere”. Come è noto dopo una
doppia archiviazione, da qualche mese è di nuovo sotto i riflettori ma la sua
versione non cambia.
E fuori dall’incidente probatorio ancora in corso – nessuna impronta trovata
nella villetta di via Pascoli è riconducibile all’indagato – l’elemento di
novità investigativo è l’impronta 33 trovata sulla parete destra della scala
dove fu gettato il corpo della vittima. Una traccia priva di sangue che la
procura di Pavia attribuisce a Sempio e per cui la parte civile ha chiesto di
procedere con l’incidente probatorio, però negato dalla Procura. “Ho molti dubbi
che sia attribuibile a me. L’abbiamo fatta controllare più volte (dai
consulenti, ndr) e ho dubbi. Anche fosse non trattandosi di una traccia
insanguinata, ma semplicemente di un’impronta sul muro può essere, non mi
stupirebbe. Non andavo spesso in cantina ma penso di esserci stato 3-4 volte”
ricorda. Per Sempio, che continua a proclamarsi estraneo, quello di Chiara Poggi
è stato, per le modalità, “un delitto passionale, un delitto d’impeto”, quanto a
Stasi – che la Cassazione indica come il solo assassino della giovane – “tutta
la sua vicenda è stata giudicata da persone più competenti di me“.
Gli elementi contro di lui, sentito per la prima volta subito dopo il delitto
(come tutti gli amici del fratello della vittima), poi nel 2008 quando consegna
lo scontrino del parcheggio di Vigevano sono sempre gli stessi dal 2017 quando
le indagini difensive di Alberto Stasi, l’allora fidanzato della ventiseienne
condannato in via definitiva a 16 anni per il delitto, puntano su lui. “Quello
che mi stupisce è che non sono l’unico che ha portato qualcosa” quando viene
sentito dai carabinieri. “C”è chi ha portato altri scontrini, c’è chi ha portato
il passaporto, chi le timbrature del lavoro, chi i movimenti del bancomat” ha
spiegato a Bruno Vespa ricordando di aver conservato il tagliando vista
l’attenzione intorno all’omicidio. Sulle tre telefonate fatte una settimana
prima sul fisso di casa Poggi, il 38enne le spiga una per una. Quella che dura
due secondi è un errore, nella seconda – non riuscendo a contattare Marco in
vacanza con i genitori in Trentino – telefona “per sapere se c’era e mi viene
detto di no. Riprovo a contattare Marco e non riesco, a quel punto il giorno
dopo chiamo consapevolmente casa Poggi e chiedo quando sarebbe tornato. Da lì in
poi non chiamo più. Quello che ho fatto io l’ha fatto anche un amico di Giuseppe
Poggi”.
L'articolo Garlasco, Sempio e il suo team al Laboratorio Genomica di Roma:
“Impronta 33? Siamo tranquillissimi” proviene da Il Fatto Quotidiano.