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Garlasco – Il ciondolo, l’orologio e la cavigliera di Chiara Poggi. I consulenti della famiglia: “Mai analizzati, ma per noi importanti”
Sono rimasti chiusi per anni, conservati con cura, quasi intoccabili. Una catenina con un ciondolo a forma di dente di squalo, alcuni braccialetti — uno con inciso il nome “Chiara” — l’orologio, una cavigliera. Sono gli oggetti che Chiara Poggi indossava il giorno in cui venne uccisa, il 13 agosto 2007, nella villetta di via Pascoli a Garlasco. Oggi, a diciotto anni di distanza, tornano al centro di una vicenda giudiziaria che non smette di riaprirsi. A riportarli all’attenzione è Dario Redaelli, criminologo e consulente della famiglia Poggi, nel corso della trasmissione Quarto Grado condotta da Gianluigi Nuzzi su Rete 4. “Sono stati conservati come reliquie – ha spiegato – insieme a tutto ciò che aveva avuto a che fare con quella ragazza quel giorno. Alcuni di questi oggetti non sono mai stati analizzati e ora per noi diventano importanti”. Piccoli dettagli, apparentemente muti, che potrebbero ancora custodire tracce utili a chiarire ciò che accadde in quella casa. Il ritorno dei reperti personali della 26enne, per si intreccia con l’ennesimo capitolo giudiziario del caso Garlasco, che torna in aula a Pavia. Giovedì 18 dicembre davanti alla giudice per le indagini preliminari di Pavia, Daniela Garlaschelli, verrà discussa la perizia firmata dalla genetista Denise Albani: novanta pagine dedicate al Dna estrapolato da due unghie della vittima e a tutti gli altri reperti analizzati a partire dallo scorso giugno. Secondo le conclusioni, il profilo genetico maschile risulterebbe compatibile con quello di Andrea Sempio, 37 anni, amico del fratello di Chiara e unico indagato nella nuova inchiesta per concorso in omicidio. Su tutti gli altri reperti invece c’è solo il Dna di Alberto Stasi e Chiara Poggi. Sugli acetati delle impronte nessun profilo utile è stato rilevato. Sempio, che nei giorni scorsi ha incontrato i suoi avvocati a Roma, si dice sollevato dall’arrivo della perizia. “È stato un grosso peso in questi mesi”, ha commentato. In un’intervista televisiva ha parlato di interpretazioni “tirate per i capelli” e ha ribadito di non voler essere interrogato fino alla chiusura delle indagini, su consiglio dei legali. Intanto, sullo sfondo, resta aperta la questione dell’impronta 33, rilevata sulla parete delle scale che conducono al seminterrato della villetta e attribuita dagli inquirenti a Sempio e dalla difesa Stasi sulla base di un’analisi fotografica. L'articolo Garlasco – Il ciondolo, l’orologio e la cavigliera di Chiara Poggi. I consulenti della famiglia: “Mai analizzati, ma per noi importanti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Con la nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi tramonta il mito della prova del Dna
La vicenda dell’omicidio di Chiara Poggi, 18 anni dopo e con una sentenza di condanna passata ormai da tempo “in giudicato”, sta scatenando l’interesse dei media e della collettività. Le nuove investigazioni si concentrano su un nuovo indagato. La nuova indagine, al di là delle tesi partigiane che si contrappongono sui media e sul web, peraltro assai spesso infettate da argomenti poco aderenti alle esigenze di logica processuale, sta certificando qualcosa di decisivo per il processo penale: la scienza al servizio del processo ha radicalmente mutato veste. Questa mutazione è tanto più evidente e rilevante, tanto maggiore è la forza scientifica della prova stessa. Il caso paradigmatico, che attiene proprio a questa indagine, è rappresentato dalla prova genetica o prova del Dna. L’incidente probatorio, che ha per oggetto le tracce genetiche rinvenute in zona ungueale (o subungueale) delle dita delle mani destra e sinistra della vittima, ha offerto un risultato che, a detta dei media ma anche di molti esperti, lascia aperta ogni interpretazione: da un lato questa porzione biologica può essere letta come “l’impronta” dell’assassino; dall’altro essa non sarebbe nulla più di una presenza casuale e dovuta a un contatto fortuito tra la (futura) vittima e un oggetto, presente nell’appartamento, precedentemente “contaminato” da un soggetto che nulla ha a che fare con la scena del crimine. La genetica non è in grado di stabilire il momento in cui una traccia biologica viene deposta e dunque solamente indici indiretti e interpretabili secondo le regole di senso comune possono favorire l’interpretazione del dato biologico ambiguo. Ecco dunque come nasce il dibattito attuale che vede confrontarsi, su piani contrapposti, coloro che assumono che non sia pensabile attribuire a ragioni accidentali un dato così psicologicamente forte e coloro che, al contrario, sottolineano come questa casualità sia tutt’altro che anomala qualora il titolare di quella traccia sia un frequentatore di luoghi che, in seguito, divengono il teatro di un delitto. A supporto della prima interpretazione milita poi la circostanza che, in assenza di una presenza accertata di materiale biologico del “contaminatore”, detto assunto diverrebbe una pura ipotesi indimostrata e indimostrabile; sul fronte opposto, gli interpreti contrari sostengono che il Dna si conserva assai a lungo sugli oggetti e dunque la contaminazione sia un fatto che accade costantemente e la cui anomalia non deve stupire per nulla. L’idea è che il nostro corpo e le nostre mani sarebbero piene di Dna, non solo nostro o delle persone a noi più vicine, ma anche di individui che non possiamo neppure immaginare di “avere addosso”. Nel caso di specie si deve aggiungere che la traccia analizzata è contaminata, degradata, gli esami non sono stati consolidati con adeguate ripetizioni e, non ultimo, la tipizzazione non ha offerto un profilo genetico nucleare (la “targa genetica” di ognuno di noi) ma ha svelato esclusivamente una linea cromosomica maschile della famiglia dell’attuale indagato. L’insieme di questi accertamenti pone un quesito nuovo e, per certi versi, controintuitivo: la scienza, per tradizione, offre risultati certi e incontrovertibili; come può la scienza al servizio della giurisdizione perdere questa sua forza epistemica, ontologicamente connessa ai suoi principi? Non è il caso di fare riferimento alla filosofia della scienza e alle parole di Karl Popper che assume che “la scienza è un cimitero degli errori” oppure che “la scienza avanza per errori e confutazioni”. Il punto è un altro. Il Dna (cioè la prova genetica) non ha nulla a che fare con il principio di unicità del genoma e ciò al di fuori dell’analisi di paternità (e in assenza dei gemelli omozigoti). L’analisi a fini penalistici, che vive del confronto tra una traccia repertata su un luogo, un oggetto o un corpo e un profilo genetico di un sospettato, non può mai avere quelle caratteristiche di certezza che caratterizzano il Dna. Ma c’è molto di più: le tecniche di rilevazione e analisi sono sempre più sofisticate e oggi è prassi trovarsi dinnanzi a risultati parziali, contaminati, degradati, esclusivamente rappresentativi del genoma parentale maschile oppure del Dna mitocondriale e dunque, come direbbero i genetisti, scientificamente non affidabili. Ma la prova penale può vivere questa anomalia, diversamente dalla scienza. Questo è il punto vero: la giurisprudenza che è cresciuta con il principio secondo cui la prova del Dna è un indizio che può avere capacità dimostrativa anche senza altre prove a supporto, figlia del concetto scientifico di Dna, crea grande confusione e interpretazioni poco affidabili. La prova del Dna non è la stessa cosa di una fonte di prova biologica. Questo non toglie nulla alla utilizzabilità processuale di questi dati anche perché il diritto, a differenza della scienza, vive costantemente il dramma ermeneutico dell’abduzione e dell’interpretazione. Per questo la logica processuale si è dotata strutturalmente del metodo per affrontare queste forme di conoscenza “a geometrie variabili”. La grande novità della nuova indagine sul fatto omicidiario di Garlasco è quella di costringere tutti coloro che intendono affrontare seriamente questa questione complessa ad abbandonare il lessico mitologico che impone di trattare come prova del Dna questa fonte conoscitiva che deve essere riqualificata come “prova biologica” e che dunque può racchiudere al suo interno dati chimici, fisici, genetici, anatomici, fisiologici, biochimici e biostatistici. Il diritto è preparato a questo salto e la normativa sulla prova indiziaria è la fonte migliore per evitare dibattiti pseudoscientifici e fuorvianti in campo processuale. L'articolo Con la nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi tramonta il mito della prova del Dna proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Stia zitto, ma perché le devo ricordare che è un maleducato?”: scintille a “Quarto Grado” sul Delitto di Garlasco tra il generale Garofano e l’avvocato Gallo
Botta e risposta tra il generale Luciano Garofano e l’avvocato Fabrizio Gallo a Quarto Grado. Ad accendere i toni della discussione è stata la divergenza di opinioni sulla perizia Albani e sulla qualità del lavoro di indagine scientifica svolto nel 2007 sugli oggetti presenti a casa di Chiara Poggi. Durante il programma condotto da Gianluigi Nuzzi, andato in onda venerdì 12 dicembre su Rete 4, gli animi si sono scaldati, fino al punto che il generale Garofano si è alzato dalla sua postazione per chiarire la vicenda con Gallo: “La vuole finire di interrompere o continua in questo modo maleducato? La prego di stare zitto”, ha detto il biologo. Il primo momento di scontro tra i due riguarda la perizia pubblicata dalla genetista Denise Albani, che ha individuato nelle tracce di DNA riscontrate sulle unghie di Chiara una compatibilità “moderatamente forte” e “forte” con la linea paterna della famiglia Sempio. Un risultato sostanzialmente diverso da quello ottenuto nel 2014 dal genetista Francesco De Stefano, che nella sua perizia dell’epoca sostenne di non avere acquisito risultati consolidati sul materiale genetico analizzato sulle unghie e, quindi, non validi scientificamente. Una tesi che Garofano sembra appoggiare: “Non credo alla contaminazione. Dobbiamo partire da un presupposto, quello che ha analizzato De Stefano era il residuo di quanto aveva già prelevato il RIS, che non aveva trovato materiale maschile tanto da arrivare a un profilo interpretabile. Come De Stefano, era stato trovato solo il profilo della vittima”, sostiene il generale. Ma Gallo lo interrompe: “Se De Stefano non avesse trovato niente perché ha chiamato Stasi per il confronto?”. Garofano non ci sta e risponde all’avvocato: “No, no, Gallo lei stia zitto. Ma perché le devo ricordare che è un maleducato?”, afferma il biologo. Che poi aggiunge: “Non è una critica alla dottoressa Albani, ha fatto un grande lavoro, il calcolo è però sbagliato perché quel profilo può essere il risultato di artefatti”. Ma questa volta è l’avvocato di Massimo Lovati a chiudere con una risposta piccata: “Menomale che ha fatto un bel lavoro, ha ammazzato la (perizia, ndr) Albani”. L’alterco verbale tra i due opinionisti non si esaurisce al commento sulla perizia Albani. Poco più tardi, quando la conversazione si sposta sugli elementi analizzati dagli inquirenti nel 2007, gli animi si scaldano nuovamente. In particolare, è il commento di Dario Redaelli, criminalista e consulente della famiglia Poggi, ad introdurre l’argomento: “Ho fatto da poco delle indagini per conto della famiglia sui vestiti e accessori che Chiara indossava il giorno dell’omicidio, sono stati conservati come se fossero delle reliquie e così tutto quello che aveva a che fare con la ragazza”. A quel punto, Nuzzi osserva: “Questo porta a smentire un’accusa fatta spesso alla famiglia di Chiara, che si dice sia soddisfatta della presenza di Stasi in carcere perché deve coprire qualcosa”, commenta il conduttore, che poi chiede a Garofano perché non fossero stati analizzati all’epoca. Il nostro lavoro risale a 18 anni fa. Allora avevamo dei limiti analitici che sono cambiati, risponde il generale. Un commento a cui però Gallo risponde con una sua puntualizzazione: “Non li avete proprio fatti, avete fatto un errore. La risposta non piace al generale e il confronto di fatto degenera. “Avvocato, credo che lei abbia una malattia che la spinge alla parola. In una scena del crimine, che forse l’avvocato Gallo non conosce, non si prende tutto e si analizza, si valutano i reperti che possono essere importanti”, risponde ancora Garofano. Ma il legale precisa: “La cavigliera era sulla gamba della parte offesa”. A questo punto, il generale si alza dalla sua postazione e si avvicina a Gallo con tono minaccioso: “La vuole finire di interrompere o continua in questo modo maleducato? La prego di stare zitto”. Lo stesso avvocato commenta sorpreso, ma non si tira indietro: “Ma che fa minaccia? Se vuole mi alzo anche io”. È però Nuzzi a placare gli animi, rimproverando Gallo sulle continue interruzioni, ma anche Garofano per la reazione avuta: “Così passa dalla parte del torto. Nessuno si alza e si avvicina agli altri opinionisti in questo studio. C’è modo e modo, non condivido la sua presa di posizione”, dice il conduttore. Il generale può quindi concludere il suo discorso: “Si prende quello che può essere utile all’indagine. Una catenina o un oggetto che indossava la vittima restituisce il suo DNA, allora, oggi sarebbe diverso. La cavigliera, non la ricordo, probabilmente era intrisa di sangue, quindi era talmente contaminata da non poter essere guardata. Non si analizzano 100 reperti, solo quelli su cui speri di avere un risultato”. Ancora una volta, però, Gallo non ci sta: “Se una ragazza viene trascinata dai piedi, chiaramente l’assassino può lasciare le sue impronte, non avere analizzato la cavigliera per me è stato un orrore. Non si può non analizzare qualcosa che sta attaccato al corpo. È Garofano però ad avere l’ultima parola: “Faremo tesoro dei suoi insegnamenti”, commenta piccato il generale. L'articolo “Stia zitto, ma perché le devo ricordare che è un maleducato?”: scintille a “Quarto Grado” sul Delitto di Garlasco tra il generale Garofano e l’avvocato Gallo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Delitto di Garlasco, l’ipotesi della difesa Sempio sul conflitto alla Consulta senza la revisione del processo a Stasi
Dopo le pronunce di diversi tribunali, in diversi gradi, compresa la Cedu, al caso sul delitto di Garlasco mancava un rinvio alla Consulta. Ed è l’ipotesi che l’avvocato Liborio Cataliotti, legale di Andrea Sempio, ventila nel caso la procura di Pavia procedesse con una imputazione a carico del solo 37enne. Come è noto c’è già un condannato in via definitiva per l’omicidio di Chiara Poggi ed è Alberto Stasi. Gli inquirenti di Pavia per aprire la nuova inchiesta a carico di Sempio hanno per questo dovuto formulare un capo di imputazione per Sempio in concorso con Alberto Stasi o ignoti. Un guazzabuglio giuridico che potrebbe quindi richiedere un intervento della Corte costituzionale. “Se venisse elevata un’imputazione monosoggettiva per il reato ipotizzato, senza che prima sia stata presentata e accolta un’istanza di revisione, verrebbe inevitabilmente sollevata un’eccezione di incostituzionalità” dichiara Cataliotti lasciando la clinica Genomica di Roma dove si è riunito il pool difensivo. Secondo Cataliotti, la posizione del 37enne rischierebbe di collidere con la struttura definitiva delle sentenze già pronunciate nel procedimento Poggi e con il principio del ne bis in idem, aprendo un fronte potenzialmente destinato alla Corte costituzionale qualora si procedesse a formulare una nuova imputazione isolata in assenza di un previo giudizio di revisione. LAVORI IN CORSO SULLA PERIZIA GENETICA Avvocati e consulenti della difesa hanno lavorato presso il laboratorio Genomica per finalizzare la relazione e predisporre le domande relative alla perizia genetica elaborata dalla biologa forense Denise Albani nell’ambito dell’incidente probatorio in corso a Pavia. In vista dell’udienza del 18 dicembre, la genetista Marina Baldi e il criminologo forense Armando Palmegiani, insieme ai difensori Angela Taccia e Liborio Cataliotti, hanno al vaglio ogni elemento della traccia genetica attribuita ad Andrea Sempio. Al centro dell’analisi vi è l’aplotipo Y riconducibile alla linea paterna della famiglia Sempio, un risultato che – osserva la difesa – non è “consolidato” né sufficiente a costituire prova diretta. La stessa Albani, citata dai consulenti, ha sottolineato l’impossibilità di datarne la presenza e il fatto che il Dna potrebbe essere frutto di un contatto indiretto: un oggetto toccato in un diverso momento da Sempio e solo successivamente manipolato dalla vittima. Per la difesa, questo scenario è perfettamente compatibile con le frequentazioni di Andrea Sempio presso la casa dei Poggi, dovute alla sua amicizia con Marco, fratello di Chiara. Il valore attribuito ai fini della formazione di una prova viene considerato pari a “zero” NESSUNA IMPRONTA RICONDUCIBILE ALL’INDAGATO Il quadro complessivo dell’incidente probatorio rafforza, secondo i difensori, la fragilità dell’ipotesi accusatoria: nessuna delle sessanta impronte digitali rilevate nell’abitazione, né quelle estrapolate dai sacchi della spazzatura, è risultata attribuibile all’indagato. Le uniche tracce sono state ricondotte alla vittima e ad Alberto Stasi. “Stiamo esaminando la perizia Albani riga per riga. Mancano venti pagine, ma per ogni affermazione annotiamo se è pienamente condivisibile, parzialmente condivisibile o se richiede approfondimenti”, spiega Cataliotti ai cronisti. “Abbiamo predisposto una decina di domande, tutte formulate in modo pacato e tecnico, volte esclusivamente a chiarire i punti meno definiti”. Più netto il giudizio sul valore probatorio del reperto genetico: “Quando la perizia venne disposta, veniva presentata come la prova che avrebbe inchiodato l’assassino: l’ultimo contatto tra la vittima e il suo aggressore”, spiega Cataliotti. “Con il senno di oggi, quella che veniva definita una pistola fumante si è rivelata una pistola ad acqua. Non è una prova utile all’accusa, né una prova a favore: è semplicemente acqua che scorre sotto i ponti”. Palmegiani conferma la medesima impostazione: “La tipologia di Dna è incompleta, degradata e parziale. Non vi è modo di stabilire se vi sia stato un contatto diretto o mediato, né da quanto tempo la traccia fosse presente”. VERSO L’UDIENZA DEL 18 DICEMBRE L’esito dell’udienza sarà cruciale per comprendere se il dossier genetico potrà assumere un ruolo nell’eventuale evoluzione del procedimento. Ma la difesa appare già orientata a una linea chiara: la traccia non è qualificabile come prova, l’ipotesi di partecipazione di Sempio non trova riscontri ulteriori e qualsiasi contestazione specifica elevata senza passare da un giudizio di revisione aprirebbe un fronte costituzionale. L'articolo Delitto di Garlasco, l’ipotesi della difesa Sempio sul conflitto alla Consulta senza la revisione del processo a Stasi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Secondo la difesa il DNA di Sempio sembra fosse dappertutto”: botta e risposta tra Rinaldi e Cassese a Ignoto X. L’ex Carabiniere: “Nel 2007 questi elementi erano sconosciuti”
Il computer di Chiara Poggi torna al centro del dibattito mediatico sul caso Garlasco. È proprio sull’importanza di quel PC che si ragiona durante l’ultima puntata di Ignoto X, andata in onda giovedì 11 dicembre, il programma di La7 condotto da Pino Rinaldi . Il conduttore ospita in trasmissione Gennaro Cassese, l’ex comandante dei Carabinieri di Vigevano che il 13 agosto 2007 fu uno dei primi a entrare nella villa Poggi. Rinaldi, dunque, si concentra su quanto fu trovato in quella casa per risalire al possibile movente di chi ha commesso l’omicidio, tentando di ricostruire insieme all’ospite i momenti successivi alla scoperta del corpo di Chiara. “Ero lì. Le prime fotografie furono fatte dal brigadiere Pennino della stazione di Garlasco. Poi siamo arrivati noi della compagnia di Vigevano e il nostro repertatore ha iniziato a fare un fascicolo fotografico. Subito dopo è arrivato il personale del reparto operativo di Pavia, che intervengono nei casi di reati più gravi, e hanno fatto tutto il repertamento. Hanno sequestrato alcuni oggetti, come il portavaso, poi tutto l’appartamento è stato sottoposto a sequestro per permettere l’intervento dei RIS che ha proceduto a una dettagliata valutazione degli oggetti ritenuti importanti”, sostiene Cassese. Sulla base di quanto visto una volta giunto sul posto, l’ex carabiniere osserva che “la scena del crimine trasmetteva” la “crudeltà estrema che la persona aveva avuto contro la povera Chiara”: “C’era sangue dappertutto, c’era stata una violenza quasi inaudita. A mio avviso, dato che aveva aperto la porta in pigiama, era una persona che conosceva molto bene e comunque una così massiva violenza, ma è una mia valutazione, la riporta a persone che erano coinvolte da una sfera affettiva”. A giocare un ruolo centrale, secondo il conduttore, potrebbe essere il PC della vittima, all’interno del quale sarebbero stati trovati dei “video intimi di Chiara con Alberto”: “Quel computer viene utilizzato da Marco Poggi e dagli amici di Marco Poggi. La difesa di Sempio dice che se il Dna è arrivato sulle unghie di Chiara Poggi è perché magari ha toccato gli stessi tasti che Sempio aveva utilizzato magari il pomeriggio prima. Per cui quel computer è al centro di tutto quanto. Questa pista, alla luce di quanto sta avvenendo fuori da quel computer, l’avrebbe seguita, mettendo da parte Alberto Stasi?”, chiede Rinaldi. Secondo l’ex Carabiniere, allora non fu possibile stabilire la presenza sulla scena del crimine del 37enne, che ad oggi è accusato dalla Procura di Pavia per l’omicidio di Chiara Poggi: “Noi avremmo seguito tutte le piste – risponde Cassese -. Il problema è che per la figura di Andrea Sempio io devo dare una risposta contestualizzandola al 2007. Allora per la procura e per noi investigatori dell’epoca non avevamo nulla che collocasse Sempio sulla scena del crimine. Adesso si parla di questa famosa impronta 33 ma nel 2007 era sconosciuta”. Alcuni elementi, come anche il Dna trovato sulle unghie della vittima, riporta Cassese, sarebbero stati riscontrati solo successivamente. Ma su questo punto comincia il botta e risposta tra Rinaldi e il suo ospite: “Se lei mi ha alzato la palla io non posso non scacciare – interviene il conduttore -. Il Dna di Sempio sembra, secondo la difesa di Sempio, essere dappertutto. Dopo il delitto, cominciate a fare le analisi e non si trova il Dna di Sempio, non viene rintracciato, eppure quella casa era frequentata da lui e dagli amici. Se non una l’altra: cos’è successo in quei giorni? Perché ci sono questi muri enormi?”, è la domanda del conduttore. A cui però Cassese risponde spiegando che il Dna di Sempio “nel 2007 per noi era totalmente sconosciuto”, sostiene l’ex Carabiniere. Che poi aggiunge: “Lei ha fatto la schiacciata e io difendo. Per quanto riguarda il RIS, fa una relazione in cui dice che non c’è Dna. Questi elementi di cui oggi parlate non li conoscevamo proprio”, conclude. L'articolo “Secondo la difesa il DNA di Sempio sembra fosse dappertutto”: botta e risposta tra Rinaldi e Cassese a Ignoto X. L’ex Carabiniere: “Nel 2007 questi elementi erano sconosciuti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Il DNA di Sempio sulle unghie di Chiara Poggi vale zero. stiamo predisponendo una nostra perizia sui possibili punti di contatto indiretto”: parla l’avvocato Liborio Cataliotti
“Non ho mai voluto mancare di rispetto alla dottoressa Albani. Apprezzo la sua perizia, ma quella comparazione, dal mio punto di vista, vale zero”. Sono queste le parole di Liborio Cataliotti, uno degli avvocati che difende Andrea Sempio dalle accuse per l’omicidio di Chiara Poggi, nel corso di una lunga intervista a “Lo Stato delle Cose”. Intervenuto durante la trasmissione condotta da Massimo Giletti, nella puntata in onda lunedì 8 dicembre, il legale risponde a una serie di interrogativi circa la strategia difensiva adottata dal team del 37enne. LA PERIZIA ALBANI: “APPREZZO LA PERIZIA ALBANI, MA LA COMPARAZIONE VALE ZERO” Il focus, in particolare, è sulla perizia pubblicata negli scorsi giorni dalla dottoressa Denise Albani, che ha riscontrato la compatibilità delle tracce di DNA trovate sulle unghie della vittima con la linea paterna della famiglia Sempio. “Non ho voluto mancare di rispetto al perito Albani, apprezzo la sua perizia al punto che difficilmente muoverò serie critiche, domande, polemiche in sede d’incidente probatorio. Il mio approccio non è quello del genetista, ma è quello del giurista”, esordisce Cataliotti. L’avvocato, a sostegno della sua tesi, legge dunque la perizia, sottolineando un passaggio in cui la dottoressa Albani spiega che “Non è possibile considerare le tre sessioni di tipizzazione relative a ciascun margine ungueale come repliche, ma è opportuno prenderle in considerazione come risultanze indipendenti”. In sostanza, sostiene Cataliotti, “il professor De Stefano (perito della Corte d’Assise d’appello del processo Stasi, ndr) fece più repliche non con lo stesso quantitativo, non dettero lo stesso risultato, è improprio dal punto di vista scientifico ed è improprio definirle tecnicamente repliche”, riporta il legale. L’avvocato, quindi, afferma: “La Cassazione dice che quando non ci sono repliche in senso proprio quella comparazione vale zero, dal mio punto di vista vale zero”. A quel punto, il conduttore interroga l’ospite su un aspetto da lui ritenuto particolarmente interessante: “Sull’unica unghia che non è stata toccata e analizzata dai Ris all’epoca, è stato trovato molto DNA riconducibile alla linea familiare di Andrea Sempio”, rivela infatti Giletti sostenendo che si tratti di una sua indiscrezione. Ma l’avvocato schiva la domanda, precisando che “quando l’indiscrezione diventa la prova, io ragionerò su questa prova”. IL DNA RICONDUCIBILE ALLA FAMIGLIA SEMPIO: “VERIFICHEREMO POSSIBILI PUNTI DI CONTATTO INDIRETTO” Sul perché ci sia un DNA riconducibile alla linea maschile dei Sempio sulle mani della vittima, l’avvocato ribadisce di voler tenere in considerazione qualsiasi ipotesi: “Noi del pool difensivo non ci siamo fermati al dato giuridico, abbiamo voluto prendere in considerazione l’ipotesi che quella valutazione, sia pure non replicata, un valore ce l’abbia, sia pur come prova o indizio che ci sia stato un contatto – non sappiamo di quale natura – fra una superficie toccata da Chiara Poggi e una superficie toccata da Andrea Sempio”. Proprio per fare luce su questo aspetto, Cataliotti rivela che il team difensivo di Sempio sta “predisponendo una nostra perizia sui possibili punti di contatto indiretto”. L’avvocato ammette che Sempio “non è mai entrato in quella casa senza Marco Poggi”, ma sostiene anche il DNA “su una superficie può rimanere 27 anni”: “Ammesso che Chiara possa essersi lavata le mani, che è altamente verosimile, può essere venuta a contatto con superfici che fossero usualmente toccate, sia pur non in tempi immediatamente precedenti, dal nostro cliente – aggiunge ancora -. Questo è l’esercizio che abbiamo fatto dotandoci della planimetria dell’immobile e comparando quello che Sempio ci ha detto stragiudizialmente con quelle che sono le risultanze processuali. Il mio perito sta ipotizzando 15 forse 20 punti di contatto”, le parole del legale. Interrogato sul punto da Giletti, che si chiede perché non si trovi il DNA di Stasi ma solo quello riconducibile alla famiglia Sempio, l’avvocato precisa che “il reperto di DNA trovato sulle mani di Chiara Poggi è un aplotipo Y misto, cioè lasciato da più persone. Vi era un reperto più facilmente isolabile, che poi è stato comparato con Stasi, Sempio e altri frequentatori della casa e quello parrebbe forse riconducibile alla famiglia Sempio. E ciò non esclude che quello più degradato fosse riconducibile ad altri. Questa è la vera risposta”, replica Cataliotti. LO SCONTRINO DEL PARCHEGGIO DI VIGEVANO: “SE FOSSE UN PROCESSO NON SAREBBE UN ALIBI” L’avvocato, infine, dice la sua sull’ormai noto scontrino del parcheggio di Vigevano – datato 13 agosto 2007 con orario di inizio fissato alle 10:18 – di cui Sempio aveva parlato agli inquirenti per supportare la versione secondo la quale si trovasse in una città diversa da Garlasco il giorno del delitto: “Io so che l’originale di quello scontrino non è mai stato sequestrato. So che ne parlò il 4 ottobre 2008 sentito come testimone, non so se gli sia stata chiesta espressamente la consegna perché la domanda venne rappresentata con l’acronimo adr (a domanda risponde, ndr). Se fosse un processo non sarebbe un alibi perché non indica la targa né il nome di chi quell’auto la utilizzò quella mattina. È evidente che se quell’affermazione venisse provato che fosse falsa, un rilievo sia pur indiziario lo verrebbe ad avere”, ammette Cataliotti. L'articolo “Il DNA di Sempio sulle unghie di Chiara Poggi vale zero. stiamo predisponendo una nostra perizia sui possibili punti di contatto indiretto”: parla l’avvocato Liborio Cataliotti proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Cucina
“Chiara Poggi era innamoratissima di Stasi, ma Alberto le mentiva. Una volta l’abbiamo seguito e l’abbiamo visto andare verso l’autostrada”: le rivelazioni di Oggi
“Chiara era innamoratissima del suo fidanzato”. “Alberto mentiva a Chiara”. È un ritratto in chiaroscuro quello che emerge dalle testimonianze dell’epoca del delitto di Garlasco, messe assieme dal settimanale Oggi, che ha deciso di passare in rassegna le parole di parenti, amici, vicini, colleghi e conoscenti di Chiara Poggi – morta il 13 agosto del 2007 – e di Alberto Stasi, condannato a 16 anni per il suo omicidio. L’obiettivo? “Sapere chi fosse Chiara, come vivesse, cosa notasse o avesse a cuore, cosa l’avrebbe scandalizzata, colpita, messa in allarme, e cosa no”, spiega la giornalista Paola Manciagli, che ha provato ad analizzare nel dettaglio il rapporto tra i due fidanzati e alcuni aspetti controversi della loro storia. DELITTO DI GARLASCO, IL “RITRATTO INEDITO” DI CHIARA E ALBERTO Dalle testimonianze dell’epoca, si scopre qualcosa in più su Chiara Poggi e Alberto Stasi. A cominciare dal carattere della ragazza, descritta come “dolce” ma al tempo stesso sapeva “essere aggressiva se stuzzicata in aspetti che la interessavano”. Lo racconta una vicina di casa, all’epoca poco più che adolescente: “Ad esempio, ricordo una volta che entrando a casa mia vide un pacchetto di sigarette e subito mi disse se i miei lo sapevano altrimenti avrebbe provveduto lei. Ricordo testualmente che disse ‘Se non la smetti lo dico a tuo padre’. Non aveva paura di affrontare di petto gli argomenti scomodi e anche di manifestare la sua opinione andando dritta al punto”. Di Stasi invece si scopre che era “un maniaco della pulizia”, come riferì un’amica: “‘Infatti la riprendeva quando per cucinare sporcava qualcosa o metteva in disordine. Lui immediatamente puliva e rimetteva in ordine’. Per accontentare il ragazzo, cercava anche di essere più disinibita di quanto non le sarebbe venuto spontaneo: lo testimonia lo stesso Alberto”. LE LITI TRA I DUE FIDANZATI E LE BUGIE DI STASI Uno dei passaggi della ricostruzione di Oggi riguarda poi le voci che giravano a Garlasco secondo le quali Stasi a volte mentiva a Chiara, alla quale diceva di dover restare a casa a studiare e “invece se ne andava chissà dove”. Alcune persone durante le indagini raccontarono alcuni fatti accaduti nella primavera del 2007 e anche l’anno prima: “Una volta l’abbiamo seguito e l’abbiamo visto andare verso l’autostrada”. Chiara era venuta a sapere di queste voci e “si era irritata”, ma in seguito aveva raccontato loro “‘di aver chiesto ad Alberto dove fosse andato’, comunicandogli che era stato visto in giro; ma lui le aveva risposto che c’era stato per forza uno sbaglio, ‘che era impossibile in quanto era a casa a studiare’, e pare ci fossero state discussioni. Tanto che, continuano i testimoni, a un certo punto avevano smesso di riferire a Chiara questi avvistamenti perché ‘serviva solo a farli litigare’”. Stasi invece raccontò che tra di loro non c’erano mai stati litigi, una versione confermata dalla “gran parte di conoscenti e familiari di entrambi”. “Gli unici motivi di discussione erano legati al fatto che io a volte non l’accompagnavo a fare shopping perché dovevo studiare ma poi passava tutto. Io non ero geloso; Chiara un pochino cioè Chiara diceva che io ero un po’ troppo estroverso”. LA POGGI “INNAMORATISSIMA” DI STASI Sempre dal ritratto di Oggi, emergono altri dettagli sul rapporto tra i due. I colleghi di Chiara Poggi, ad esempio, raccontarono che lei era “era innamoratissima del suo fidanzato Alberto”. “La ragazza parlava poco di sé, ma emergeva chiaramente questo “forte legame con il suo fidanzato, infatti lo aiutava negli studi, gli preparava ricerche utili per gli esami universitari”. Nonostante rimarcasse il fatto che Stasi le dedicava poco tempo perché impegnato negli studi, specialmente in periodo d’esame, la Poggi “gli stava vicino in ogni modo, anche cercando di fargli superare lo scoglio di quella laurea alla Bocconi (lei si era laureata a Pavia con il massimo dei voti)”. Poi però emerge un’altra incongruenza, quando si parla della vacanza studio di Alberto Stasi in un college a Londra: “Chiara raccontava a tutti con entusiasmo che l’avrebbe raggiunto per un fine settimana. I ragazzi della piccola Garlasco si erano stupiti quando avevano saputo che Alberto non era ‘neanche’ andato a prenderla all’aeroporto. Ma Chiara, agli occhi di tutti, era tornata felice da Londra, e piena di progetti per quei giorni assieme che stavano per iniziare. La sua vita sarebbe finita di lì a poco”. L'articolo “Chiara Poggi era innamoratissima di Stasi, ma Alberto le mentiva. Una volta l’abbiamo seguito e l’abbiamo visto andare verso l’autostrada”: le rivelazioni di Oggi proviene da Il Fatto Quotidiano.
Crime
Delitto Garlasco
Garlasco. l’avvocato di Sempio: “Non ha senso chiedere perizia su impronta 33”. Nessun interrogatorio in vista per l’indagato
Andrea Sempio, indagato nella nuova inchiesta della Procura di Pavia per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco e per cui è stato condannato in via definitiva Alberto Stasi, non si sottoporrà a interrogatorio da parte dei pubblici ministeri fino alla chiusura delle attuali indagini. L’avvocato Liborio Cataliotti, succeduto a Massimo Lovati dal qualche settimana, ha sottolineato con La Provincia pavese che si tratta di un diritto previsto dal codice e di un “vantaggio che vogliamo custodire gelosamente”. Secondo il legale, al momento non è stata ancora chiarita la linea dell’accusa, e Sempio non intende fornire dichiarazion”i. La difesa non ha inoltre intenzione di chiedere al momento una perizia sull’impronta nota come “33”, rinvenuta su una parete in cima alle scale che conducono alla cantina della villa di via Pascoli, nel punto in cui è stata trovata morta Chiara. Cataliotti ha spiegato: “Non ha senso chiedere una perizia su questa impronta prima che ci vengano comunicati gli esiti della nuova analisi Bpa, cioè lo studio scientifico delle tracce ematiche repertate sulla scena del crimine”. IL CASO DELL’IMPRONTA 33 La traccia 33 già nel 2007 fu ritenuta “non utile” dal Ris dei carabinieri perché risultata negativa ai test. L’impronta – che risultava già parziale perché mancavano le “creste” – era stata sottoposta a un doppio test per rilevare la presenza di sangue: il primo aveva dato esito incerto (combur test) quello più specifico (Obti test che rileva sangue umano) aveva restituito appunto un “esito negativo”. L’impronta del palmo della mano era stata rilevata sul muro delle scale che portano in taverna, vicino al luogo dove era stata trovata massacrata Chiara Poggi. Poco più c’erano anche un’impronta del fratello – che era in montagna da giorni – e anche di uno degli investigatori. Perché quella traccia poteva essere importante per gli inquirenti nella ricostruzione della pista alternativa degli inquirenti di Pavia? Perché il corpo della 26enne fu trovato su quelle quelle scale dopo essere stato lanciato dalla soglia. Le sentenze che hanno condannato Alberto Stasi a 16 anni come l’autore del delitto di Garlasco avevano cristallizzato una ricostruzione che ha stabilito che il killer aveva trascinato il corpo della vittima e lo aveva lanciato. Nell’ipotesi dei pm di Pavia quella impronta sarebbe stata lasciata dall’assassino proprio senza scendere gli scalini. La famiglia Poggi – che da sempre ha partecipato a tutti gli atti istruttori –aveva fatto svolgere a propri consulenti un approfondimento e le analisi dei consulenti hanno stabilito la “estraneità dell’impronta alla dinamica omicidiaria” e la non “attribuibilità della stessa ad Andrea Sempio”. Gli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, alla luce di questi risultati, avevano chiesto ai pm di “sollecitare” un incidente probatorio proprio su questa impronta. Istanza che, però, è stata “rigettata” dai pm. I legali ricordavano come la notizia di un’impronta fosse data con ampia eco dal TG1 (come avvenuto oggi, ndr) “mediante immagini quantomai suggestive” perché si intravedeva un rossore che poi si è compreso fosse relativo al reagente chimico – ninidrina – usato dagli investigatori per rilevare le impronte e che restituisce un colore rosso-violaceo. La scorsa estate c’è stato uno scontro aperto tra parte civile e procura sul rigetto dell’istanza dei Poggi. Adesso a pochi giorni dall’udienza del 18 dicembre si capirà come si muoveranno e cosa chiederanno le parti alla giudice per le indagini preliminari. L'articolo Garlasco. l’avvocato di Sempio: “Non ha senso chiedere perizia su impronta 33”. Nessun interrogatorio in vista per l’indagato proviene da Il Fatto Quotidiano.
Delitto Garlasco
Giustizia
Alberto Stasi
Chiara Poggi
Garlasco, scontro sulla perizia tra le difese. I legali di Stasi: “Primo punto fermo”. Gli avvocati di Sempio: “Valore zero”
La nuova perizia genetico-forense depositata nell’ambito dell’incidente probatorio sul delitto di Garlasco ha innescato le diverse reazioni alle conclusioni, Il documento sarà discusso il 18 dicembre, ma già le prime reazioni delineano fronti contrapposti. LA DIFESA DI STASI: “ASSENZA TOTALE DI DNA” E “PRIMO PUNTO FERMO” A esprimersi per prima è l’avvocata Giada Bocellari, legale di Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi. La professionista sottolinea come la nuova relazione “cristallizza l’assenza totale di Dna di Stasi, che viceversa non era stato escluso” dal professor Francesco De Stefano nel processo d’appello bis del 2014. Per Bocellari, la perizia rappresenta “finalmente un primo punto fermo in questa nuova indagine”. L’avvocata ricorda inoltre che “dal 2014 fino a oggi si diceva che il Dna sulle unghie di Chiara Poggi fosse degradato e non confrontabile”. La nuova analisi – prosegue – “confermando integralmente quella della Procura di Pavia e quelle della difesa Stasi, supera queste conclusioni e, pur considerando le caratteristiche di questo dna Y”, che sono state “più volte ribadite anche dai consulenti di parte”, giunge a “una concordanza forte e moderatamente forte con l’aplotipo Y di Andrea Sempio su due unghie di due mani diverse della vittima”. LA DIFESA DI SEMPIO ATTACCA: DATI “NON CONSOLIDATI” E “POSSIBILMENTE ARTEFATTI” Ovviamente opposta la lettura dell’avvocato Liborio Cataliotti (nella foto), che assiste Andrea Sempio insieme alla collega Angela Taccia. Il legale mette in discussione la solidità tecnica delle conclusioni degli esperti: “Le valutazioni statistiche sono state fatte su risultati non consolidati, possibilmente ‘artefatti’ (cioè erronei), che attestano Dna di più persone, che non si sa se depositato in seguito a contatto diretto o con una stessa superficie. Non si sa oltretutto quando.” Secondo Cataliotti, “queste le premesse della perizia, che, in tutta evidenza, svalorizzano le conclusioni statistiche su quei dati”. La genetista Denise Albani, pur riconoscendo che la traccia genetica trovata sulle unghie della vittima è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio – il cromosoma Y non identifica una sola persona – conclude che “in questo caso si tratta di aplotipi misti parziali per i quali non è possibile stabilire con rigore scientifico” se la traccia è “sotto o sopra le unghie della vittima”, se l’origine “è per contaminazione, per trasferimento diretto o mediato” e “quando” è stato lasciato il materiale biologico. Alla domanda quanto peso ha la perizia contro Sempio, la risposta del difensore è netta: “Zero“. LA PARTE CIVILE: “L’UNICO DATO CERTO” È IL DNA DI STASI SULLA SCENA” Anche i legali della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, intervengono criticando la lettura proposta dalla difesa di Stasi. A loro giudizio “l’unico dato certo ed infatti trascurato” della nuova perizia è “il rinvenimento di Dna del condannato Stasi e di Chiara sui reperti che testimoniano gli ultimi momenti di vita della vittima”. Gli avvocati si riferiscono in particolare agli oggetti trovati nella spazzatura della villetta di via Pascoli: “la cannuccia dell’Estathè, le coperture del Fruttolo e il sacchetto di cereali”. Per i legali della parte civile, la “lettura delle conclusioni della perizia svolta con serietà e riserbo” evidenzia che “nulla di nuovo è emerso a carico del signor Sempio rispetto a quanto già noto”. Per questo si augurano “che tutto venga alla fine valutato con la dovuta attenzione” e con il “rispetto che si devono alla sentenza coperta dal giudicato” che ha condannato Stasi. Tizzoni e Compagna denunciano inoltre l’impatto mediatico della riapertura dell’inchiesta: “Sono trascorsi ormai oltre nove mesi” e “con cadenza quotidiana, la famiglia Poggi viene esposta ad un massacrante gioco mediatico i cui fini non sono noti”. IL LEGALE DI VENDITTI: “PROCURA AL SERVIZIO DI UN CONDANNATO” Durissime anche le parole dell’avvocato Domenico Aiello, difensore dell’ex pm Mario Venditti, ora in pensione e imputato per corruzione in atti giudiziari con l’ipotesi di avere preso denaro per favorire Sempio nel 2017. Aiello – che ha ottenuto tre annullamenti di perquisizioni e sequestri da parte del Tribunale del Riesame di Brescia – accusa apertamente l’operato degli inquirenti: “I vertici della Procura al servizio di un condannato, assassino riconosciuto con sentenza passata in giudicato. La Procura di Pavia sta violando il principio di ‘intangibilità del giudicato’, manca oramai da mesi la richiesta di revisione”. Secondo il legale, la stessa “prova tecnica su una frazione di Dna contaminata sarà un fallimento, inservibile e inutile ab origine”. In un successivo intervento, Aiello ribadisce che la nuova inchiesta “va a tutelare gli interessi privati di una persona che è stata condannata in via definitiva, sbandierata dalla difesa dell’assassino come un avvento di giustizia, come se l’indagato fosse già stato condannato e i cinque gradi del precedente processo siano già stati messi in archivio come un’insignificante pantomima”. E conclude con un affondo: “Se fossi in loro rientrerei nei ranghi della professione abbandonando la carriera da comparsa in palcoscenici molto inginocchiati. Dipende però da dove costoro ricevono i maggiori vantaggi”. L'articolo Garlasco, scontro sulla perizia tra le difese. I legali di Stasi: “Primo punto fermo”. Gli avvocati di Sempio: “Valore zero” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Delitto Garlasco
Giustizia
Alberto Stasi
Chiara Poggi
Delitto di Garlasco, sugli tutti gli altri reperti Dna di Alberto Stasi e Chiara Poggi. Sugli acetati delle impronte nessun profilo utile
Acquisiti i dati finali dei test sulle unghie di Chiara Poggi, la genetista della Polizia di stato Denise Albani ha redatto le conclusioni anche su tutti gli altri reperti come da richiesta della giudice per le indagini preliminari, Daniela Garlaschelli, nell’ambito dell’incidente probatorio. Come è ormai noto, su gli altri reperti è stato rilevato il Dna di Chiara Poggi e Alberto Stasi, l’allora fidanzato poi condannato in via definitiva. Sugli “acetati” delle impronte rinvenute sulla “scena del crimine”, una sessantina in tutto, non è stato trovato sangue, né sono stati estrapolati profili genetici utili per comparazioni. Dagli accertamenti sui reperti della “pattumiera” di casa Poggi, poi, sono venuti a galla solo i Dna di Chiara e di Alberto Stasi e sul “tappetino del bagno” è stato individuato materiale genetico sempre della studentessa, uccisa a Garlasco nel 2007, e del padre Giuseppe. Così come le analisi sui “tamponi” non hanno fornito elementi utili alle nuove indagini su Andrea Sempio. Anche questi dati, già emersi nel corso del lungo incidente probatorio andato avanti per mesi, sono riportati nel dettaglio nella perizia genetica di Denise Albani, depositata ieri e messa oggi a disposizione delle parti. In particolare, si legge, sul fondo di un “piattino di plastica” è stato “estrapolato un profilo genetico parziale severamente degradato caratterizzato dalla presenza della componente allelica, ancorché parziale” di Chiara. Su una “cannuccia di Estathè” è stato trovato Dna “parziale severamente degradato caratterizzato dalla presenza della componente allelica, ancorché parziale” di Stasi. Dalle “coperture di Fruttolo” sono stati rintracciati “altrettanti profili genetici parziali degradati caratterizzati dalla presenza della componente allelica, ancorché parziale” delle 26enne. E ancora dal “bordo interno” del “sacchetto cereali” è stato estrapolato un “profilo genetico misto parziale leggermente degradato caratterizzato dalla presenza della componente allelica” della studentessa “e di un’ulteriore componente allelica non utile a fini interpretativi”. Due, poi, le tracce genetiche riconducibili a Chiara Poggi trovate sul tappetino del bagno e un profilo “ancorché parziale, verosimilmente attribuibile all’aplotipo di Poggi Giuseppe (e di tutti i soggetti imparentati con lo stesso per via patrilineare)”. Nell’elaborato si dà conto pure degli esiti dei prelievi sulla “garza utilizzata in sede autoptica come tampone orale”. Si tratta dell’ormai noto “ignoto 3”, che era spuntato ad un certo punto come l’ennesima svolta nel caso. Le analisi riportano le contaminazioni nell’autopsia, già venute a galla, con tracce genetiche di un’altra persona morta e del medico legale. L'articolo Delitto di Garlasco, sugli tutti gli altri reperti Dna di Alberto Stasi e Chiara Poggi. Sugli acetati delle impronte nessun profilo utile proviene da Il Fatto Quotidiano.
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