Centinaia di persone hanno manifestato ieri nella capitale tunisina contro il
governo con lo slogan “l’opposizione non è un crimine“, chiedendo il rilascio
degli attivisti incarcerati. La manifestazione a Tunisi è stata indetta dopo i
recenti arresti di tre esponenti dell’opposizione condannati per “cospirazione”
contro lo Stato. Decine di critici di Saied sono stati perseguiti o incarcerati,
anche con accuse legate al terrorismo e in base a una legge promulgata dal
presidente nel 2022 per vietare la “diffusione di notizie false”. I manifestanti
hanno esposto i ritratti di molti di loro.
L'articolo Tunisia, protesta contro il governo dopo l’arresto di tre attivisti:
“L’opposizione non è un crimine” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Nel 2023, il presidente tunisino Kais Saied definì i politici “traditori e
terroristi”. Fedele a quella dichiarazione, ha avviato quella che l’opposizione
ha definito una “purga politica”. Come parte di questa fitta trama, sabato 29
novembre le forze di polizia hanno arrestato Chaima Issa, figura di spicco
dell’opposizione, durante una manifestazione nella capitale. Un video
dell’arresto, subito diventato virale sui social, mostra Issa circondata da
agenti in uniforme nera mentre viene portata via, visibilmente scossa. Secondo i
suoi avvocati, l’arresto è stato eseguito “per dare esecuzione” a una condanna a
20 anni di carcere. Il giorno precedente, la Corte d’Appello aveva confermato
condanne pesantissime per 37 persone — tra oppositori politici, avvocati,
imprenditori e giornalisti — con pene comprese tra 5 e 45 anni, con le accuse di
“cospirazione contro la sicurezza dello Stato” e “appartenenza a un gruppo
terroristico”.
Ventuno di questi condannati risultano in carcere o detenuti da tempo, altri —
circa venti — sono fuggiti all’estero e sono stati condannati in contumacia.
Secondo quanto riporta Middle East Eye, tra i condannati figurano, oltre a
Chaima Issa, altri esponenti noti dell’opposizione: ad esempio Ahmed Najib
Chebbi, leader del Fronte di salvezza nazionale, la principale coalizione che
sfida Saied, condannato a 12 anni, e Ayachi Hammami, che ha ricevuto 5 anni.
Altri nomi citati tra i condannati sono Khayyam Turki, che ha ricevuto una pena
di 35 anni, e l’imprenditore Kamel Ltaif, condannato a 45 anni. L’attivista
femminista Bochra Belhaj Hmida e l’intellettuale francese Bernard-Henri Levy,
processati in contumacia, hanno visto confermate in appello le loro condanne a
33 anni.
Il processo è stato descritto da gruppi internazionali per i diritti umani come
una “farsa giudiziaria”. Secondo Human Rights Watch, le accuse si basano su
“prove fragili e deposizioni anonime”, senza che fosse garantito un giusto
processo. Amnesty International ha parlato di “strumentalizzazione della
giustizia per eliminare il dissenso politico”, richiedendo l’annullamento
immediato delle condanne e la liberazione di tutti gli imputati. Anche l’Onu ha
condannato la purga politica per bocca dell’Alto Commissario delle per i diritti
umani, Volker Turk, che ha denunciato “violazioni della legge che sollevano
serie preoccupazioni circa le motivazioni politiche”.
Il cosiddetto “caso di cospirazione”, infatti, non si concretizza nel vuoto:
dalla sospensione del Parlamento da parte del presidente Kais Saied nel luglio
del 2021 e dalla concentrazione dei poteri esecutivi nelle sue mani, la Tunisia
ha assistito a una progressiva erosione delle garanzie democratiche.
Organizzazioni indipendenti e gruppi per i diritti civili sono stati
ripetutamente sospesi o sottoposti a misure restrittive. Solo nelle ultime
settimane, ad esempio, gli uffici dell’Organizzazione mondiale contro la tortura
e l’Associazione delle donne democratiche sono stati chiusi, nell’ambito di una
repressione sistematica della società civile.
Nonostante la repressione, la popolazione tunisina continua a mobilitarsi contro
il crescente autoritarismo di Saied. Negli ultimi mesi, migliaia di cittadini
sono scesi in piazza a Tunisi e in altre città per denunciare la repressione
politica e rivendicare il ripristino dei diritti civili. Le manifestazioni
riflettono un’opposizione popolare in crescita, con slogan contro l’ingiustizia
e a favore della libertà politica, a dimostrazione di una società civile
determinata a resistere anche di fronte a un regime sempre più autoritario. Il
22 novembre, migliaia di persone, vestite di nero e con fischietti e nastri
rossi, hanno marciato per le strade di Tunisi, scandendo slogan che ricordano i
primi giorni della rivoluzione dei gelsomini del 2011, tra cui Il popolo vuole
la caduta del regime e Nessuna paura, nessun terrore, la strada appartiene al
popolo. “Tutti i progressi degli ultimi 14 anni sono stati vanificati”, ha
dichiarato all’Associated Press Ayoub Amara, uno degli organizzatori delle
mobilitazioni.
L'articolo Tunisia, in migliaia in piazza contro il regime e Saied arresta gli
oppositori: in carcere anche la leader Chaima Issa proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“Continuavano a colpire la nostra barca di legno con lunghi bastoni appuntiti,
l’hanno bucata… C’erano almeno due donne e tre neonati senza giubbotti di
salvataggio. Li abbiamo visti annegare e poi non abbiamo più visto i corpi. Non
ho mai avuto così tanta paura”.
“Siamo arrivati nella zona di confine con la Libia verso le sei del mattino… Un
ufficiale tunisino ha detto: ‘Andate in Libia, là vi uccideranno’. Un altro ha
aggiunto: ‘O nuotate o correte verso la Libia’. Ci hanno restituito un sacco
pieno dei nostri telefoni distrutti…”.
“Ci hanno presi uno per uno, ci hanno circondati, ci hanno fatto sdraiare, ci
hanno ammanettati… Ci picchiavano con tutto ciò che avevano: mazze, manganelli,
tubi di ferro, bastoni di legno… Ci hanno costretti a ripetere più volte
‘Tunisia mai più, non torneremo mai più’. Ci colpivano e prendevano a calci
ovunque.”
Queste sono solo alcune delle testimonianze raccolte in un rapporto di Amnesty
International sulle violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità
tunisine nei confronti di persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate.
Leggendole, si comprende fino a che punto l’Unione europea sia disposta a
chiudere occhi e orecchie pur di ridurre le partenze irregolari verso l’Europa.
Il Memorandum di cooperazione tra Unione europea e Tunisia, firmato nel 2023,
ignora volutamente le conseguenze devastanti della cooperazione con la Libia
(con la quale l’Italia ha appena accettato rinnovare il Memorandum del 2017).
Incuranti dello spregio del diritto internazionale in nome del controllo delle
migrazioni, funzionari europei parlano di un successo, citando la diminuzione
degli arrivi via mare di persone provenienti dalla Tunisia.
La cooperazione tra Unione europea e Tunisia è stata avviata proprio mentre le
autorità locali avevano iniziato progressivamente a smantellare le tutele per le
persone rifugiate, richiedenti asilo e migranti – in particolare per quelle
provenienti dall’Africa subsahariana – adottando pericolose prassi di polizia
razziste.
Galvanizzate dalla retorica razzista di esponenti politici, primo tra tutti il
presidente Kais Saied, le autorità tunisine hanno effettuato arresti e
detenzioni su base razziale, maltrattamenti e torture (compresi gli stupri),
intercettamenti in mare pericolosi e sconsiderati ed espulsioni collettive di
decine di migliaia di persone rifugiate e migranti verso l’Algeria e la Libia.
Il tutto, accompagnato dalla repressione contro gli organismi che forniscono
assistenza alle persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate.
A partire dal maggio 2024, le autorità hanno arrestato almeno otto operatori di
ong e due ex funzionari locali che avevano collaborato con esse. La prossima
udienza del processo al personale di una di queste, il Consiglio tunisino per i
rifugiati, è fissata tra una settimana.
Amnesty International ha indagato su 24 intercettamenti in mare e ha raccolto le
testimonianze di 25 persone rifugiate e migranti che hanno descritto
comportamenti pericolosi, sconsiderati e violenti da parte della guardia
costiera tunisina: speronamenti, manovre ad alta velocità che hanno rischiato di
far capovolgere le imbarcazioni, colpi inferti a persone e imbarcazioni con
manganelli, lancio di gas lacrimogeni da distanza ravvicinata e la mancata
valutazione individuale delle necessità di protezione al momento dello sbarco.
Nonostante le persistenti preoccupazioni per la mancanza di trasparenza nei dati
sugli intercettamenti, nel 2024 le autorità tunisine hanno smesso di pubblicare
statistiche ufficiali dopo aver istituito, con il sostegno dell’Unione europea,
una zona di ricerca e soccorso marittimo. In precedenza, avevano riferito un
aumento significativo degli intercettamenti. Dal giugno 2023 in poi le autorità
tunisine hanno avviato espulsioni collettive di decine di migliaia di persone
rifugiate e migranti, perlopiù provenienti dall’Africa subsahariana, dopo
arresti su base razziale o intercettamenti in mare. Amnesty International ha
accertato che, tra giugno 2023 e maggio 2025, sono state effettuate almeno 70
espulsioni collettive, che hanno riguardato oltre 11.500 persone.
Le forze di sicurezza tunisine hanno sistematicamente abbandonato persone
migranti, richiedenti asilo e rifugiate – anche donne incinte e bambini – in
aree remote e desertiche ai confini con la Libia e l’Algeria, senza acqua né
cibo, spesso dopo aver loro confiscato telefoni, documenti d’identità e denaro,
esponendole così a gravi rischi per la vita e la sicurezza. Dopo la prima ondata
di espulsioni, tra giugno e luglio del 2023, almeno 28 persone migranti sono
state trovate morte lungo il confine libico-tunisino e 80 risultano disperse.
Amnesty International ha inoltre documentato 14 casi di stupro o altre forme di
violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza tunisine, alcuni dei quali
avvenuti durante perquisizioni corporali o denudamenti forzati condotti in modo
umiliante, tali da configurare tortura.
Ogni giorno in cui l’Unione europea continua a sostenere l’offensiva della
Tunisia contro i diritti delle persone migranti e rifugiate e di chi le difende,
senza una revisione sostanziale della cooperazione in corso, i leader europei
rischiano di rendersi complici.
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