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Hamas e Israele contro il report Amnesty. I miliziani negano i crimini di guerra, l’ong conferma che Tel Aviv ha ucciso suoi cittadini
Protestano sia Hamas che Israele dopo la pubblicazione del rapporto di Amnesty International intitolato Prendere di mira i civili: omicidi, prese di ostaggi e altre violazioni da parte di gruppi armati palestinesi in Israele e Gaza. Protestano perché entrambi vorrebbero che le informazioni contenute nelle 177 pagine prodotte dalla ong rispecchiassero maggiormente i contenuti delle proprie propagande: il partito armato palestinese nega le responsabilità che gli vengono attribuite dal 7 ottobre 2023, mentre Israele ritiene le accuse contro il Movimento islamico di resistenza troppo morbide. E pure il riconoscimento dell’utilizzo del protocollo Hannibal non sarà certo piaciuto a Tel Aviv. LE ACCUSE DI HAMAS E ISRAELE AL RAPPORTO AMNESTY Nel documento, Amnesty accusa Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi di crimini di guerra e contro l’umanità, per l’orrore inflitto ai civili israeliani: violenze sessuali, torture, rapimenti e omicidi contro persone inermi, nelle loro case, senza pietà per bambini e anziani. Eppure Hamas sostiene di non aver ucciso civili nell’eccidio del 7 ottobre 2023, né commesso violenze su persone senza divisa. Anzi attribuisce la morte di molti israeliani indifesi al fuoco amico dell’esercito di Tel Aviv. “Amnesty diffonde menzogne israeliane”, l’accusa lanciata da Hamas dopo la pubblicazione del rapporto sui crimini della milizia islamista. La miglior smentita alle accuse di Hamas contro l’ong arriva proprio da Tel Aviv che non ha apprezzato il rapporto. Ma per motivi opposti: “È molto lontano dal riflettere l’intera portata delle atroci violenze di Hamas”, ha scritto su X il portavoce del ministero degli Esteri, Oren Marmorstein, definendo “di parte” l’organizzazione per i diritti umani. L’ECCIDIO DEL 7 OTTOBRE E IL PROTOCOLLO HANNIBAL: ALMENO 15 ISRAELIANI VITTIME DI FUOCO AMICO Attaccata da ambo i lati, Amnesty lascia parlare i dati e gli indizi raccolti. Ingenti, nel caso dei crimini commessi da Hamas e altri gruppi islamisti della a Gaza, dal 7 ottobre 2023 ad agosto 2025. Le sigle terroristiche coinvolte nelle violenze sono le Brigate Al-Quds e le Brigate dei martiri di Al-Aqsa. Ma all’eccidio del 7 ottobre, scrive Amnesty, hanno partecipato anche “uomini armati palestinesi in abiti civili”, compiendo “saccheggi diffusi di case e proprietà in comunità residenziali di Israele. Alcuni hanno partecipato anche a omicidi, distruzione di proprietà, rapimenti e altre violazioni gravi”. Giova ricordare i numeri del 7 ottobre: 1200 persone sono state uccise. Altre 251 – per lo più civili – sono state rapite e tenute in ostaggio a Gaza: in 36 casi, le persone sequestrate “erano già morte al momento della cattura”. Secondo Amnesty, “nella grande maggioranza dei casi, i responsabili delle uccisioni erano combattenti palestinesi”. Tuttavia il rapporto conferma vittime civili per mano dell’esercito israeliano, anche a causa del protocollo Hannibal: un codice militare che mette a rischio le stesse forze armate di Tel Aviv, pur di evitare il rapimento di un soldato Idf. “In alcuni casi, civili israeliani sono stati effettivamente uccisi dalle forze israeliane in caso di errata identificazione e/o nell’applicazione della direttiva Hannibal”, si legge nel rapporto. Amnesty cita i due attacchi a Be’eri e Nahal Oz: “Sono state uccise dal fuoco militare israeliano fino a 12 persone e tre persone rispettivamente, secondo le indagini militari israeliane”. Ma è bene ricordare la responsabilità delle milizie palestinesi, il 7 ottobre. Anche perché, “l’esercito israeliano non era presente quando sono avvenute la maggior parte delle uccisioni”. IL CATALOGO DEGLI ORRORI DEL 7 OTTOBRE Il rapporto di Amnesty smentisce la narrazione di Hamas, secondo cui i miliziani avrebbero commesso violenze solo contro i soldati. “Combattenti pesantemente armati di fucili d’assalto, mitragliatrici, granate e granate a propulsione a razzo hanno compiuto attacchi sistematici e deliberati contro la popolazione civile”, si legge nel rapporto. Più di 3 mila combattenti palestinesi hanno superato il muro che separa Gaza da Israele, dopo che migliaia di razzi furono lanciati contro i civili israeliani, uccidendo e ferendo “diverse persone civili, per lo più minori”. Poi le violenze indiscriminate contro “i kibbutz di Be’eri, Holit, Kfar Azza, Magen, Nahal Oz, Re’im e Sufa, il moshav di Netiv HaAsara, le città di Ofakim e Sderot, la spiaggia di Zikim e il sito del festival musicale Nova”. A Be’eri, Amnesty conta 101 civili uccisi,” tra cui 10 minori, la più giovane dei quali Mila Cohen, di nove mesi, uccisa tra le braccia della madre nella stanza di sicurezza della famiglia”. Molte famiglie hanno contemplato l’orrore. Come “le due sorelle Yahel e Noiya Sharabi, di 13 e 16 anni, uccise insieme alla madre Lianne Brisley-Sharabi, 48 anni, nella loro casa a nord-ovest del kibbutz, dopo aver assistito alla cattura del padre, Eli Sharabi, 51 anni, da parte di combattenti delle Brigate Al-Qassam”. Il papà Eli, ostaggio a Gaza per 16 mesi, ha saputo dello sterminio di moglie e figlie solo al momento del rilascio. Rotem Matthias, sedicenne del villaggio di Holit, “ha raccontato ad Amnesty International che degli uomini armati palestinesi hanno lanciato una granata nella stanza di sicurezza della sua casa di famiglia, uccidendo sua madre, Schahar Matthias, 50 anni, e suo padre, Sholmi Matthias, 47 anni”. Rotem ha detto di essersi salvato perché “sua madre lo ha fatto sdraiare sul pavimento in uno spazio piccolo tra il letto e il muro, e si è sdraiata sopra di lui, proteggendolo e salvandogli la vita”. I residenti di Kfar Azza hanno raccontato l’assalto alle case di israeliani disarmati, per un bilancio di 57 civili uccisi. Tra le vittime, gli ingneri trentenni “Hadar Rosenfeld e suo marito, Itay Berdichesky, uccisi a colpi di arma da fuoco nella loro abitazione, lasciando i loro gemelli di 10 mesi. Il cugino di Hadar, Yahav Winner, attore e regista di 36 anni, è stato ucciso nella sua casa mentre sua moglie è fuggita con la loro bambina di tre settimane e si è nascosta per ore fino a quando non sono state salvate. Neppure gli anziani e i migranti sono stati risparmiati. A Sderot “vi era un gruppo di 13 civili, la maggior parte pensionati provenienti da aree vicine, uccisi a colpi di arma da fuoco a una fermata dell’autobus nelle prime ore del mattino, mentre si accingevano a partecipare a una gita di un giorno verso il Mar Morto”. La violenza si è scagliata anche contro i lavoratori stranieri. Amnesty ha documentato l’omicidio di 14 lavoratori agricoli thailandesi tra Re’im e Nir Oz. In quest’ultima località i terroristi palestinesi hanno ucciso 10 studenti agricoli nepalesi. Una violenza cieca che non distingue più neppure la nazionalità. L’eccidio al Festival Nova, scrive Amnesty, non era neppure pianificato ma del tutto casuale: “Hanno sparato in aree piene di persone civili, hanno preso di mira civili terrorizzati che cercavano di fuggire e hanno dato la caccia ad altri nei luoghi dove cercavano di nascondersi – in rifugi antiaerei, bagni pubblici, fossi e cespugli”. GLI OSTAGGI Dei 251 ostaggi, solo 27 erano soldati, mentre “la stragrande maggioranza delle restanti 224 persone erano civili: 124 uomini, 64 donne e 36 bambini”. Tra le persone sequestrate c’era la pacifista Shoshan Haran, fondatrice e presidente dell’Ong israeliana Fair Planet. I miliziani hanno preso in ostaggio anche i tre figli e due suoi nipoti, dalla loro casa a Be’eri. Ecco il racconto di Shoshan ad Amnesty: “Uno dei terroristi ha urlato in inglese: ‘Donne, bambini, prendere. Uomini, boom-boom’”. Solo dopo 50 giorni di “terrificante prigionia”, la donna ha scoperto l’uccisione di suo marito. L'articolo Hamas e Israele contro il report Amnesty. I miliziani negano i crimini di guerra, l’ong conferma che Tel Aviv ha ucciso suoi cittadini proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Hamas colpevole di crimini contro l’umanità. Stupri, omicidi e torture”. Il report di Amnesty
Amnesty International accusa per la prima volta Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi di crimini contro l’umanità durante e dopo il 7 ottobre 2023. L’associazione a tutela dei diritti umani sottolinea inoltre come Hamas abbia “continuato a commettere violazioni e crimini di diritto internazionale trattenendo e maltrattando gli ostaggi israeliani e trattenendo i corpi sequestrati”. Tra i delitti di Hamas e degli altri gruppi islamisti: lo stupro, la tortura, l’omicidio. Le accuse sono contenute in un lungo report di 173 pagine. Una “ricerca approfondita” per documentare come “le violazioni della legge umanitaria internazionale”, “i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità commessi da Hamas e da altri gruppi armati durante e dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023“. Un documento che arriva dopo che l’organizzazione “ha ampiamente documentato come Israele abbia commesso e continui a commettere un genocidio contro i palestinesi di Gaza, nonostante il cessate il fuoco, e come il suo attuale sistema di apartheid costituisca un crimine contro l’umanità”. La ricerca, spiega Amnesty, “documenta gli abusi perpetrati da Hamas (…) contro il sud di Israele e il trattamento riservato alle persone sequestrate e tenute prigioniere nella Striscia di Gaza occupata”. Il report “conclude che la stragrande maggioranza dei civili deceduti è stata uccisa da combattenti palestinesi e che tutti coloro che erano detenuti a Gaza sono stati trattenuti illegalmente come ostaggi”. Il documento di Amnesty accusa i gruppi islamisti di praticare lo stupro come arma di guerra. Il testo cita “prove che alcune delle persone catturate sono state sottoposte a violenza fisica e sessuale e altre sono state uccise dai loro rapitori”. Tra i crimini di guerra e contro l’umanità, i gruppi islamisti si sarebbero macchiati di “omicidio e tortura”. L'articolo “Hamas colpevole di crimini contro l’umanità. Stupri, omicidi e torture”. Il report di Amnesty proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Droni colpiscono un asilo in Sudan: almeno 50 morti, tra cui 33 bimbi
Un nuovo, devastante capitolo della guerra in Sudan si è consumato giovedì nella città di Kalogi, nello Stato del Kordofan, dove un attacco con droni ha colpito un asilo nido uccidendo almeno 50 persone, tra cui 33 bambini. Lo riporta la BBC, citando l’organizzazione Rete dei Medici Sudanesi e l’esercito sudanese, secondo i quali a compiere l’attacco sarebbero state le Forze di Supporto Rapido (RSF), il potente gruppo paramilitare in conflitto con le forze armate regolari dal 2023. Le comunicazioni nella zona sono state interrotte per ore, rendendo difficile ricostruire con precisione la dinamica e il bilancio delle vittime. L’episodio si inserisce in una fase di intensificazione degli scontri, sempre più concentrati nelle regioni petrolifere del Kordofan, dove entrambe le parti cercano di ottenere vantaggi strategici. Le RSF, da parte loro, respingono ogni responsabilità e accusano l’esercito sudanese di aver compiuto un attacco simile il giorno successivo, colpendo un mercato e un deposito di carburante nella regione del Darfur, nei pressi del valico di frontiera di Adre con il Ciad. Anche in questo caso non è ancora chiaro il numero delle vittime. Mentre le accuse tra le due forze armate si moltiplicano, Amnesty International nei giorni scorso ha pubblicato un nuovo rapporto da cui emerge la gravità delle violenze commesse nel Paese. Secondo l’organizzazione, le RSF si sarebbero rese responsabili di crimini di guerra durante l’attacco al campo per sfollati di Zamzam, nel Darfur settentrionale, avvenuto ad aprile. L’assalto, durato diversi giorni, ha comportato l’uccisione di civili, prese di ostaggi e la distruzione sistematica di moschee, scuole, cliniche e abitazioni. Il campo di Zamzam era uno dei più grandi del Sudan, con una popolazione di fino a 500.000 sfollati. L’attacco lo ha quasi completamente svuotato. Secondo Amnesty, tra le vittime vi erano almeno 47 persone uccise mentre si nascondevano nelle loro case, in cliniche o in moschee. Testimoni e sopravvissuti hanno raccontato episodi di omicidi, torture, violenze sessuali e saccheggi diffusi. La crisi umanitaria in Sudan continua così a peggiorare, con milioni di persone in fuga, infrastrutture civili sistematicamente prese di mira e nessuna prospettiva concreta di cessate il fuoco tra le parti. L’attacco all’asilo di Kalogi rappresenta soltanto l’ultimo di una serie di episodi che confermano come il conflitto stia precipitando verso una spirale di violenze sempre più indiscriminate. L'articolo Droni colpiscono un asilo in Sudan: almeno 50 morti, tra cui 33 bimbi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La Tunisia viola i diritti di migranti e rifugiati grazie all’Unione europea
“Continuavano a colpire la nostra barca di legno con lunghi bastoni appuntiti, l’hanno bucata… C’erano almeno due donne e tre neonati senza giubbotti di salvataggio. Li abbiamo visti annegare e poi non abbiamo più visto i corpi. Non ho mai avuto così tanta paura”. “Siamo arrivati nella zona di confine con la Libia verso le sei del mattino… Un ufficiale tunisino ha detto: ‘Andate in Libia, là vi uccideranno’. Un altro ha aggiunto: ‘O nuotate o correte verso la Libia’. Ci hanno restituito un sacco pieno dei nostri telefoni distrutti…”. “Ci hanno presi uno per uno, ci hanno circondati, ci hanno fatto sdraiare, ci hanno ammanettati… Ci picchiavano con tutto ciò che avevano: mazze, manganelli, tubi di ferro, bastoni di legno… Ci hanno costretti a ripetere più volte ‘Tunisia mai più, non torneremo mai più’. Ci colpivano e prendevano a calci ovunque.” Queste sono solo alcune delle testimonianze raccolte in un rapporto di Amnesty International sulle violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità tunisine nei confronti di persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate. Leggendole, si comprende fino a che punto l’Unione europea sia disposta a chiudere occhi e orecchie pur di ridurre le partenze irregolari verso l’Europa. Il Memorandum di cooperazione tra Unione europea e Tunisia, firmato nel 2023, ignora volutamente le conseguenze devastanti della cooperazione con la Libia (con la quale l’Italia ha appena accettato rinnovare il Memorandum del 2017). Incuranti dello spregio del diritto internazionale in nome del controllo delle migrazioni, funzionari europei parlano di un successo, citando la diminuzione degli arrivi via mare di persone provenienti dalla Tunisia. La cooperazione tra Unione europea e Tunisia è stata avviata proprio mentre le autorità locali avevano iniziato progressivamente a smantellare le tutele per le persone rifugiate, richiedenti asilo e migranti – in particolare per quelle provenienti dall’Africa subsahariana – adottando pericolose prassi di polizia razziste. Galvanizzate dalla retorica razzista di esponenti politici, primo tra tutti il presidente Kais Saied, le autorità tunisine hanno effettuato arresti e detenzioni su base razziale, maltrattamenti e torture (compresi gli stupri), intercettamenti in mare pericolosi e sconsiderati ed espulsioni collettive di decine di migliaia di persone rifugiate e migranti verso l’Algeria e la Libia. Il tutto, accompagnato dalla repressione contro gli organismi che forniscono assistenza alle persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate. A partire dal maggio 2024, le autorità hanno arrestato almeno otto operatori di ong e due ex funzionari locali che avevano collaborato con esse. La prossima udienza del processo al personale di una di queste, il Consiglio tunisino per i rifugiati, è fissata tra una settimana. Amnesty International ha indagato su 24 intercettamenti in mare e ha raccolto le testimonianze di 25 persone rifugiate e migranti che hanno descritto comportamenti pericolosi, sconsiderati e violenti da parte della guardia costiera tunisina: speronamenti, manovre ad alta velocità che hanno rischiato di far capovolgere le imbarcazioni, colpi inferti a persone e imbarcazioni con manganelli, lancio di gas lacrimogeni da distanza ravvicinata e la mancata valutazione individuale delle necessità di protezione al momento dello sbarco. Nonostante le persistenti preoccupazioni per la mancanza di trasparenza nei dati sugli intercettamenti, nel 2024 le autorità tunisine hanno smesso di pubblicare statistiche ufficiali dopo aver istituito, con il sostegno dell’Unione europea, una zona di ricerca e soccorso marittimo. In precedenza, avevano riferito un aumento significativo degli intercettamenti. Dal giugno 2023 in poi le autorità tunisine hanno avviato espulsioni collettive di decine di migliaia di persone rifugiate e migranti, perlopiù provenienti dall’Africa subsahariana, dopo arresti su base razziale o intercettamenti in mare. Amnesty International ha accertato che, tra giugno 2023 e maggio 2025, sono state effettuate almeno 70 espulsioni collettive, che hanno riguardato oltre 11.500 persone. Le forze di sicurezza tunisine hanno sistematicamente abbandonato persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate – anche donne incinte e bambini – in aree remote e desertiche ai confini con la Libia e l’Algeria, senza acqua né cibo, spesso dopo aver loro confiscato telefoni, documenti d’identità e denaro, esponendole così a gravi rischi per la vita e la sicurezza. Dopo la prima ondata di espulsioni, tra giugno e luglio del 2023, almeno 28 persone migranti sono state trovate morte lungo il confine libico-tunisino e 80 risultano disperse. Amnesty International ha inoltre documentato 14 casi di stupro o altre forme di violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza tunisine, alcuni dei quali avvenuti durante perquisizioni corporali o denudamenti forzati condotti in modo umiliante, tali da configurare tortura. Ogni giorno in cui l’Unione europea continua a sostenere l’offensiva della Tunisia contro i diritti delle persone migranti e rifugiate e di chi le difende, senza una revisione sostanziale della cooperazione in corso, i leader europei rischiano di rendersi complici. L'articolo La Tunisia viola i diritti di migranti e rifugiati grazie all’Unione europea proviene da Il Fatto Quotidiano.
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