Il medico che eseguì nel 2020 la colonscopia sull’allora boss latitante Matteo
Messina Denaro non deve andare in carcere. Il tribunale del Riesame ha infatti
confermato la decisione del gip, respingendo la richiesta di arresto avanzata
dalla Dda nei confronti del medico gastroenterologo di Marsala Sebastiano
Bavetta, indagato per favoreggiamento aggravato. Secondo la Procura di Palermo
sarebbe stato consapevole che il paziente fosse il capomafia. Di avviso opposto
il giudice per le indagini preliminari e il Riesame. Il medico, sentito dai pm,
ha ammesso di aver eseguito l’esame, ma ha sostenuto di aver saputo solo dopo la
cattura che il paziente in realtà era il superlatitante.
Era il 3 novembre di 5 anni fa quando lo specialista diagnosticò al capomafia il
cancro al colon attraverso una colonscopia. Il boss di Castelvetrano si sarebbe
presentato con l’identità di Andrea Bonafede ed era arrivato al medico tramite
Giovanni Luppino, l’autista di Messina Denaro arrestato insieme a lui il 16
gennaio del 2023 nei pressi di una clinica “La Maddalena” di Palermo. Nel covo
del boss di Cosa Nostra, a Campobello di Mazara, erano stati trovati i referti
compilati da Bavetta e intestati a Bonafede.
“È dimostrato che Bavetta abbia mostrato una speciale sollecitudine e abbia
garantito un trattamento di favore diverso rispetto a quello riservato agli
altri pazienti. È parimenti emerso che abbia ricevuto da Messina Denaro
corrispettivi in denaro di entità superiori agli onorari ordinariamente
praticati”, scriveva lo scorso luglio il gip nell’ordinanza, come riporta
Livesicilia. Il giudice precisava però che “ciò che resta indimostrato è il dato
della consapevolezza della reale identità del paziente che si era presentato con
la falsa generalità di Andrea Bonafede”. Le motivazione del Riesame, invece, non
sono state ancora depositate.
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che diagnosticò il tumore a Matteo Messina Denaro proviene da Il Fatto
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Tag - Tribunale del Riesame
Ennesimo annullamento da parte del Tribunale del Riesame di Brescia del
sequestro dei dispositivi informatici dell’ex procuratore di Pavia Mario
Venditti accusato di corruzione in atti giudiziari nel caso Garlasco. Dopo le
perquisizioni e sequestri di telefoni e pc del 26 settembre – nell’ambito
dell’inchiesta che vede Venditti sospettato di aver favorito nel 2017
l’archiviazione di Andrea Sempio, nuovamente indagato per l’omicidio in concorso
di Chiara Poggi – c’era stato già un primo annullamento lo scorso 17 ottobre. A
questi si aggiunge un altro annullamento da parte del Riesame bresciano – il 7
novembre scorso – del decreto di sequestro degli stessi dispositivi che aveva
riguardato la tranche d’indagine su Venditti ed altri per il cosiddetto “sistema
Pavia” dove è indagato per corruzione e peculato.
Quello di oggi è, pertanto, il secondo provvedimento legato al delitto di 18
anni fa. I giudici del Riesame (presidente Giovanni Pagliuca) hanno annullato,
come si legge nel dispositivo, “il decreto di sequestro probatorio” emesso dalla
Procura bresciana il 24 ottobre, dopo l’annullamento del precedente
nell’inchiesta che vede indagato anche Giuseppe Sempio, padre di Andrea. La
decisione di annullare il decreto riguarda anche i dispositivi degli ex
carabinieri pavesi Giuseppe Spoto e Silvio Sapone, i cui legali avevano fatto
ricorso. I giudici hanno ordinato per tutti e tre la “restituzione” di “tutti i
beni sequestrati, unitamente ai dati eventualmente già estrapolati”.
Gli 11 dispositivi informatici di Venditti (3 telefoni, 2 pc, 2 Ipad, 2 hard
disk e 2 chiavette usb) però resteranno ancora in mano a pm e investigatori
della Gdf bresciana, perché la Procura aveva deciso di effettuare un
accertamento irripetibile per le copie forensi e l’estrazione dei dati, ma la
difesa, poi, ha chiesto al gip che eventualmente si proceda con incidente
probatorio, nominando un perito terzo. il legale dell’ex procuratore, Domenico
Aiello, in particolare, aveva fatto notare che, oltre all’assenza di gravi
indizi di colpevolezza per procedere con perquisizioni e sequestri, la Procura
anche nel secondo decreto sul caso Garlasco, con motivazioni più ampie, non
aveva indicato parole chiave per effettuare le analisi sui dispositivi, volendo
portare avanti una ricerca a tappeto e, tra l’altro, estesa a livello temporale
per 11 anni, dal 2014 – quando il magistrato divenne procuratore aggiunto a
Pavia – fino a quest’anno.
I due parametri, ovvero delimitazione del periodo temporale di estrazione e
individuazione delle parole chiave, sono “prescritti dalla norma e dalla
Cassazione“, ha precisato Aiello. Tra l’altro, dopo l’udienza al Riesame del 14
novembre, ossia la terza in poche settimane (l’annullamento sul “sistema Pavia”
aveva riguardato anche i dispositivi dell’ex pm pavese, ora a Milano, Pietro
Paolo Mazza), c’era stato uno scontro, fatto di dichiarazioni, tra difesa e pm.
Il difensore aveva lamentato che la Procura bresciana non si era nemmeno
presentata in aula, mentre i pm con una nota avevano parlato di “attacchi sopra
le righe”. Non è escluso che dopo le motivazioni la Procura guidata dal
procuratore capo Prete possa far ricorso in Cassazione contro la decisione del
Riesame.
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e cellulari dell’ex procuratore di Pavia Mario Venditti proviene da Il Fatto
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