“Sono un medico: cosa posso fare con l’intelligenza artificiale?”, “Quali sono i
punti di forza dell’AI per lo psicologo?”, “Come posso utilizzare l’AI da
commercialista?”, “Cosa fa l’AI per l’avvocato?”, “Quali sono i vantaggi dell’AI
per i notai?”. C’è un nuovo libro – con possibilità di lettura interattiva – in
cui sono gli stessi professionisti a spiegare come l’AI può già essere utile (e
quanto lo sarà in futuro) nei rispettivi ambiti. Si chiama “Supervisor, i
professionisti dell’AI”, opera di Filippo Poletti, top voice di LinkedIn, dove
dal 2017 cura una rubrica quotidiana dedicata al lavoro. Nel libro ci sono gli
interventi di 70 esperti, tra cui i presidenti nazionali di 9 ordini
professionali e di istituzioni pubbliche a partire dall’AgID. Qui di seguito,
l’intervista di Poletti a Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale
degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), estratta dal
libro (376 pagine, 28.50 euro) edito da Guerini e Associati.
*****
Presidente Anelli, come vede evolversi il mestiere del medico? In particolare,
quali opportunità potranno emergere dall’adozione dell’intelligenza artificiale?
“La professione medica è oggi al crocevia di cambiamenti epocali, che
coinvolgono non solo la sfera scientifica e tecnologica, ma anche quella etica,
sociale e normativa. In questo scenario, l’intelligenza artificiale rappresenta
l’innovazione dirompente per eccellenza in ambito medico. La disponibilità di
una mole di dati praticamente illimitata, insieme alla capacità di elaborarli
con grande rapidità, apre scenari un tempo impensabili, soprattutto in ambito
predittivo: diagnostica precoce, terapie personalizzate, monitoraggio in tempo
reale, sviluppo di farmaci, ma anche ottimizzazione dei processi amministrativi
e formazione clinica avanzata sono solo alcuni dei campi di applicazione.
L’impatto dell’intelligenza artificiale nella professione medica è profondo e
multiforme, trasformando molti aspetti della fornitura di cure mediche, della
ricerca e dell’amministrazione. Tra le aree sulle quali l’AI ha maggior impatto,
l’imaging, la diagnosi precoce, i piani di trattamento e terapie personalizzate;
e, ancora, la progettazione di nuovi farmaci, tramite modelli predittivi; il
monitoraggio dei pazienti in tempo reale; i compiti amministrativi e
burocratici, quali la gestione degli appuntamenti o l’aggiornamento delle
cartelle cliniche; la formazione, tramite modelli di simulazione avanzati; il
coinvolgimento dei pazienti e l’aderenza alle terapie; la sorveglianza delle
malattie e la previsione di epidemie e pandemie. In particolare, in ambito
sanitario l’intelligenza artificiale sta automatizzando molti compiti
amministrativi, come la pianificazione degli appuntamenti, la gestione delle
cartelle cliniche dei pazienti e l’elaborazione delle richieste di
assicurazione. Ciò riduce l’onere amministrativo per i professionisti della
sanità, consentendo loro di concentrarsi maggiormente sull’assistenza ai
pazienti”.
Nell’ottica della trasformazione consapevole della vostra professione, quali
sono le sfide critiche che occorre presidiare nell’integrazione dell’AI?
“L’AI nella professione medica non solo sta migliorando l’efficienza e
l’accuratezza dei servizi sanitari, ma sta anche aprendo la strada a soluzioni
sanitarie più innovative, personalizzate e accessibili in tutto il mondo. L’AI,
tuttavia, non è priva di criticità e come tutti gli strumenti può prestarsi a un
utilizzo improprio. La diffusione massiva e sistemica di applicazioni di AI
impone la necessità di una regolamentazione chiara e condivisa in linea con
l’Europa, oltre a sollevare tutta una serie di questioni etiche, legali e
formative. Tra queste, il rischio di una disumanizzazione del rapporto di cura,
la responsabilità legale in caso di errore indotto dall’algoritmo,
l’interpretazione corretta delle informazioni, l’accentuazione delle
disuguaglianze nell’accesso alle cure, la privacy dei dati, la sicurezza
informatica.
Tra i rischi paventati, ci sono anche quelli legati a un approccio
eccessivamente centrato sull’efficienza, che potrebbe ridurre l’interazione
umana e ridimensionare l’interazione medico-paziente. L’AI potrebbe, inoltre,
non essere in grado di considerare adeguatamente la complessità del contesto
clinico del singolo paziente, influenzato anche da fattori socioeconomici e da
convinzioni o preferenze personali. Ancora, gli algoritmi potrebbero
rispecchiare i pregiudizi umani nelle scelte decisionali o diventare il
“magazzino” dell’opinione medica collettiva. Ad esempio, l’analisi di patologie
in cui venga sistematicamente sospesa la cura perché ritenute a esito infausto
potrebbe portare alla conclusione che siano comunque incurabili: una profezia
che si autoconferma. Infine, ma non certo ultimo per importanza, gli algoritmi
potrebbero perseguire obiettivi non etici. Il conflitto etico potrebbe crearsi
per le differenze di intenti e obiettivi tra chi finanzia e realizza un
algoritmo e chi lo utilizza.
Per mitigare questi rischi è essenziale trovare un equilibrio tra l’efficienza
offerta dall’AI e la necessità di considerare l’individualità e il contesto
clinico di ciascun paziente. Gli operatori sanitari dovrebbero essere coinvolti
attivamente nella gestione e nella supervisione dei sistemi di AI, garantendo
che la tecnologia sia utilizzata come strumento complementare e non come
sostituto delle competenze umane. Normative e linee guida chiare sono
fondamentali per garantire un utilizzo etico e sicuro dell’AI in ambito medico”.
Quali sono le competenze che i medici dovranno sviluppare nei prossimi anni?
“È stato detto, e non potrei essere più d’accordo, che in futuro la competizione
non sarà tra medico e macchina ma tra medici che sapranno usare le nuove
tecnologie e medici che non saranno in grado di farlo. E per utilizzare bene
l’intelligenza artificiale in medicina non bastano le competenze tecnologiche:
occorre la capacità di governarla, integrando tali competenze con quelle mediche
e anche con le skill non prettamente tecniche, date da intuito, esperienza
clinica, capacità di ascolto del paziente e di interpretazione dei dati.
L’AI da sola, come già detto, potrebbe non essere in grado di considerare
adeguatamente il contesto clinico complesso di ciascun paziente, come le
variabili socio-economiche, le preferenze personali e altri fattori che possono
influenzare le decisioni di cura. E un focus esclusivo sull’efficienza immediata
potrebbe trascurare la necessità di valutare l’efficacia a lungo termine delle
decisioni di cura, con potenziali ripercussioni sulla salute a lungo termine del
paziente.
Non vogliamo che i sistemi digitali si trasformino in surrogati del medico, come
accaduto in Gran Bretagna con chatbot che hanno sostituito il primo contatto tra
il medico e il paziente. Al contrario, gli algoritmi devono essere strumenti
fondamentali, volti a potenziare la precisione diagnostica e l’efficacia
terapeutica, senza erodere la relazione umana.
Il medico, dunque, pur mantenendo il suo ruolo centrale, dovrà essere in grado
di integrare i suggerimenti dell’AI nelle decisioni, rispettando e valorizzando
il punto di vista del paziente. La formazione dei professionisti sanitari, di
pari passo, dovrà evolversi includendo competenze digitali, in modo da preparare
i medici a lavorare in sinergia con le nuove tecnologie, ma anche competenze in
ambito comunicativo, per spiegare l’utilizzo dell’AI ai pazienti e rafforzare
l’interazione umana. I medici di domani dovranno imparare a dedicare tempo al
paziente, ad ascoltarlo, a rivalutare la singolarità dell’individuo utilizzando
la complessità degli strumenti a disposizione, tra cui l’AI, per giungere a una
diagnosi e per definire una terapia.
Prendersi cura della persona significa rispettare l’altro come individuo che a
noi si affida, preservare la sua dignità, rendere esigibili – grazie alle nostre
competenze – i suoi diritti.
È un cambiamento che presuppone una profonda modifica anche dei percorsi
formativi, in grado di preparare un medico che possa utilizzare lo strumento
della comunicazione come l’atto più importante per la cura del paziente, e le
nuove tecnologie come ausilio prezioso per migliorare i percorsi di diagnosi e
di cura, senza mai sovrastare o, peggio ancora, sostituire il clinico”.
Da ultimo, in termini di governance della professione, quali iniziative la
Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri sta
progettando e portando avanti per supportare gli iscritti in questa fase storica
caratterizzata da grandi innovazioni tecnologiche?
“L’utilizzo delle nuove tecnologie, tra le quali l’intelligenza artificiale ha
un ruolo da protagonista, è una delle quattro direttrici sulle quali si sta
sviluppando la revisione del Codice di Deontologia medica, la cui edizione
vigente risale al 2014. Le altre sono i “nuovi” diritti, come
l’autodeterminazione, il pluralismo culturale, la libertà della ricerca e della
scienza; la comunicazione, intesa come rapporto medico paziente, con le altre
professioni, e con l’esterno; e la responsabilità, autonomia e rischio clinico,
che riguarda, tra le altre cose, il conflitto di interesse e il rapporto tra il
Codice e la legge. Si tratta di tematiche che riguardano non solo i medici, ma
l’intera società civile. Per questo abbiamo voluto ampliare il confronto,
affiancando alla Consulta deontologica un board di esperti – medici, giuristi,
giornalisti, filosofi della medicina, ingegneri clinici – per condividere le
linee su cui intervenire. Tra i componenti, in quanto esperti di questa
tematica, Carlo Casonato, professore ordinario di Diritto costituzionale
comparato all’università di Trento e Lorenzo Leogrande, past president
dell’Associazione Italiana Ingegneri Clinici e docente all’Università Cattolica
di Roma, che all’intelligenza artificiale ha dedicato, tra l’altro, uno dei
nostri podcast “Salute e sanità”, che raccontano le innovazioni in medicina.
In questo percorso, grande è stato l’apporto del Gruppo di lavoro dedicato alle
nuove tecnologie informatiche. Mentre il Comitato Centrale, il 4 marzo 2025, ha
approvato all’unanimità un documento sull’AI che sancisce un principio chiaro:
l’AI deve essere usata esclusivamente a supporto del medico, garantendo
trasparenza, spiegabilità e qualità dei dati; il medico rimane responsabile
delle scelte cliniche, mentre il paziente deve essere informato attivamente
sull’uso di algoritmi, potenzialità e rischi. Dal punto di vista formativo,
all’AI sono stati dedicati convegni e corsi di formazione, ultimo, nel mese di
maggio del 2025, quello realizzato a Roma in occasione dell’Assemblea dei Medici
Ospedalieri Europei (AEMH) e dedicato all’impatto sulla professione medica di
intelligenza artificiale, realtà aumentata e metaverso.
Quelli delle innovazioni tecnologiche e della tutela dei dati sensibili sono,
del resto, temi cari alla FNOMCeO, che ha intitolato loro diversi articoli del
vigente Codice di Deontologia medica e che ulteriormente li svilupperà, alla
luce delle innovazioni tecnologiche, scientifiche e legislative, e del contesto
di digitalizzazione e di circolazione dei dati anche a livello internazionale,
nel nuovo testo in corso di revisione.
Rinnovare il Codice di Deontologia Medica rappresenta sempre una sfida per la
professione, giacché comporta una profonda riflessione sulla natura dell’essere
medico e sul ruolo che i medici, attraverso quest’antica arte professionale,
svolgono nella nostra società nell’assicurare la salute, nel curare le malattie
e nel lenire le sofferenze.
Questo è tanto più vero oggi: nei suoi primi undici anni di vita, il Codice
vigente ha attraversato vere e proprie rivoluzioni scientifiche, tecnologiche,
sociali, bioetiche, passando attraverso una pandemia, l’uso sempre più diffuso
dell’intelligenza artificiale, la crisi del Servizio sanitario nazionale, che
vede vacillare – sotto i colpi dei tagli economici e delle ragioni di bilancio –
i principi fondanti di universalismo e uguaglianza. Ecco allora la necessità di
una revisione profonda, che non veda la professione ripiegarsi su sé stessa, ma
che parta da un confronto con la società civile e arrivi a un cambio di passo,
un cambio di paradigma, intendendo per questo la necessità di rivedere la
definizione del ruolo del medico, ossia il passaggio da un professionista oggi
preparato per curare la malattia a un medico capace e formato per curare la
persona.
Si tratta di un cambio di prospettiva radicale, capace di intercettare i bisogni
della nostra società, legati anche a una maggiore esigibilità da parte dei
cittadini dei propri diritti, ma anche di adeguare la professione medica ai
cambiamenti in atto derivanti dalla rivoluzione digitale e dalla necessità di
preservare la natura e l’ambiente che ci circonda.
Il punto d’arrivo dovrà essere un Codice che indichi chiaramente ai medici di
domani che devono imparare a dedicare tempo al paziente, ad ascoltarlo, a
rivalutare la singolarità dell’individuo, utilizzando la complessità degli
strumenti a disposizione per giungere a una presa in carico della persona nella
sua interezza, perché il medico debba non solo curare le malattie attraverso la
diagnosi e la terapia ma essere sempre più il medico della persona”.
L'articolo “Supervisor, i professionisti dell’AI”: un libro per inquadrare
potenzialità e sfide dalla medicina all’avvocatura proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Tag - Medici
Possibili novità per pazienti e medici. Nel disegno di legge sulle
semplificazioni, approvato nei giorni scorsi ma non ancora in vigore, sono
previsti certificati di malattia “da remoto” e prescrizioni valide anche per 12
mesi per i malati cronici. Sarà quindi possibile sostenere una televisita, a
dispetto dell’obbligatorietà prevista fino ad ora di una visita in presenza
nello studio medico o a domicilio. È importante sottolineare che per rendere
operative queste due nuove misure – richieste espressamente dalla Fimmg, il
sindacato dei medici – bisognerà aspettare ancora un po’ di tempo.
Fimmg precisa che per quanto riguarda le visite telematiche, si attende un
accordo nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni. Fino a quel momento
resteranno obbligatorie le regolari visite e in atto le pene per i lavoratori
che ricevono e i medici che rilasciano certificati falsi o non validi. Pene che
rimarranno invariate anche nel caso di introduzione del nuovo sistema. Il
sindacato – tramite il segretario generale Silvestro Scotti – precisa:
“L’articolo 58 del provvedimento equipara la certificazione effettuata da
remoto, attraverso la telemedicina, a quella tradizionale in presenza. Quando
accadrà? Non immediatamente. La legge rinvia ad un successivo accordo che sarà
assunto in Conferenza Stato-Regioni, senza indicare nessuna precisa scadenza: in
questa sede, su proposta del ministro della Salute, saranno definiti i casi e le
modalità del ricorso alla telecertificazione. Fino ad allora resteranno in
vigore le regole attuali: il medico deve accertare di persona le condizioni del
paziente. Resta ferma la tutela contro i certificati falsi, con pene severe per
i lavoratori e i medici che li rilasciano, sia in presenza che in modalità
telematica”.
Per quanto concerne, invece, la nuova durata delle prescrizioni potrebbe bastare
l’attesa di 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto, fissata al 18
dicembre. La novità è contenuta nell’articolo 62 del decreto e nello specifico
riguarda la possibilità da parte dei medici di prescrivere farmaci per patologie
croniche fino a 12 mesi, senza ripetere continuamente le ricette. Il medico
dovrà indicare nella ricetta la posologia (ovvero il numero delle dosi) e il
numero di confezioni dispensabili per massimo un anno, e potrà sospendere la
prescrizione o modificare la terapia qualora fosse necessario per gli esiti di
salute del paziente. Possibili, quindi, tempi brevi. La Fimmg conferma: “Entro
90 giorni a partire dal 18 dicembre, quando entrerà in vigore la legge, previo
decreto attuativo del ministro della Salute, di concerto con il ministro
dell’Economia, che definirà le modalità di attuazione della norma”.
Sarà possibile “ottenere i farmaci prescritti anche con documentazione di
dimissione ospedaliera o referti del pronto soccorso, senza dover attendere una
seconda prescrizione da parte del medico di famiglia. Il farmacista, ricevuta la
ricetta” – conclude il sindacato dei medici di medicina generale – “informerà
l’assistito sulla corretta modalità di assunzione dei medicinali prescritti e
consegnerà un numero di confezioni sufficiente a coprire 30 giorni di terapia in
relazione alla posologia indicata e dovrà trasmettere la consegna al paziente
del farmaco al rispettivo medico di famiglia nell’ottica di una vera
collaborazione interprofessionale nell’ambito delle cure territoriali”.
Scotti, infine, spiega che la possibilità di prolungare le ricette “deve essere
bilanciata con la necessità di controllo, da parte del medico, dell’evoluzione
di malattia e dell’aderenza alla terapia”. I medici stanno sviluppando strumenti
informatici per individuare i pazienti che possono ricevere prescrizioni in tal
senso, e la collaborazione digitale estesa alle farmacie permetterebbe di
monitorare l’effettivo utilizzo dei farmaci. La prescrizione prolungata “non può
significare abbandono del paziente perché c’è un progetto complessivo”, ma deve
seguire criteri clinici e i Pdta (Percorsi diagnostico-terapeutici
assistenziali”, conclude il segretario generale.
L'articolo Certificati di malattia “da remoto” e prescrizioni prolungate: cosa
cambierà per pazienti e medici proviene da Il Fatto Quotidiano.
di Angelo Bianco
Caro ministro Schillaci,
A qualcuno, certo non a Lei, non deve essere chiaro capire che anche il medico
ha un badge da timbrare, perché anche noi abbiamo un contratto da rispettare e
prevede un orario di lavoro, sono sei ore e venti per sei giorni lavorativi. Io,
per esempio, faccio il chirurgo, mi divido tra corsia, sala operatoria e
ambulatorio e non sono mai solo sei ore e venti perché, come usava dire un mio
antico primario, “ricordatevi sempre che noi non siamo ragionieri, siamo
chirurghi, noi non abbiamo un orologio, si va via dall’ospedale solo quando è
tutto finito”.
A qualcuno altro poi, ma mai a Lei, deve essere più oscuro capire che anche un
medico ha una famiglia e una vita privata, che occupano la sua vita un secondo
dopo che il badge ha suonato la fine delle attività quotidiane ospedaliere. Io,
per esempio, ho tre bambine piccole, una moglie e mi piace giocare a tennis
anche se il ginocchio comincia a “scricchiolare”, l’età avanza.
A tutti invece, meno ancora che sempre a Lei che è stato un medico, è proprio
davvero impossibile capire che noi, uno o più giorni al mese, possiamo scegliere
di sottrarre un paio d’ore alla nostra famiglia, ai nostri hobby o anche solo a
raccogliere margherite dal prato e dedicarli alla nostra attività di libera
professione. Io, per esempio, ho un’ora di intramoenia, ogni martedì, e la mia
visita specialistica di chirurgo proctologo, frutto di 12 anni di studi e
aggiornamento costante, vale 120 € lorde, io ne intasco il 35%, mica tutti –
come a tutti non è chiaro.
Cari tutti, meno ancora che Lei, ovvio, sig. ministro, questa è la vita di un
medico, a noi è facile capirne ogni passaggio, l’abbiamo scelta noi.
Io, per esempio, vivo così da 25 anni, tra santi tirati giù quando squilla il
telefono in piena notte per un’emergenza chirurgica, e madonne quando c’è una
denuncia.
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Mancano dieci anni alla mia pensione e di santi ne fanno uno al mese, c’è tanta
gente buona che muore e merita il paradiso, io ne avrei avuti ancora a
sufficienza per arrivare al fondo, magari passeggiando sempre più stancamente
tra le macerie di quel che resta della nostra dignità, oggetto di una campagna
di distruzione identitaria e di diffamazione professionale, tra Covid, no vax e
Google, per la quale siamo a turno “complottisti”, “assassini”, “ignoranti”. Mai
avrei pensato, però, di ritrovarmi un m giorno anche tra i “mercenari” ed è
proprio Lei, sig. ministro, a buttare scelleratamente questa nuova definizione
tra le fauci affamate del popolino, dichiarando di voler sospendere
l’intramoenia, adducendola a causa della lungaggine delle liste d’attesa, così
che, adesso, la nostra avidità è la principale di tutte le ragioni del disastro
del Ssn.
Lei ha chiuso il cerchio diffamatorio perché se la visita della qualunque ti è
prescritta a babbo morto, in fondo, è anche colpa dello specialista che invece,
privatamente, è prenotabile ieri: la gogna è servita, lo schema Covid si ripete.
Io non ci sto, adesso davvero basta. Sia chiaro a tutti, a Lei compreso signor
ministro, che la misura della pazienza è ormai colma. Da oggi anche io non
capisco più se, difronte a tanta reiterata ignoranza sui nostri diritti e
soprattutto a Lei che vuole cambiare i patti, ho ancora voglia di rispettare un
contratto, virgola oraria per virgola di diritto, di perseverare ad anteporre
l’ospedale alla mia famiglia e di rinunciare a praticare i miei hobby per non
averne il tempo, piuttosto che per la paura di una protesi.
Sia chiaro a tutto, in primis a me, che anche io sono tanto, tanto buono ma non
più mica tanto, tanto fesso. Io, per esempio, mi chiamo Angelo ma non ho
l’aureola, non ho ambizione di santità né tantomeno quella di “missionario”, che
è la sola definizione nella quale mi sono riconosciuto da sempre. Io da oggi,
per esempio, lavoro come un ragioniere, 6 ore e 20, tutti i giorni,
rigorosamente, come recita il contratto, poi dritto a casa e, una volta ogni
tanto, a giocare a padel. Ricordatevelo, tutti!
IL BLOG SOSTENITORE OSPITA I POST SCRITTI DAI LETTORI CHE HANNO DECISO DI
CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DE ILFATTOQUOTIDIANO.IT, SOTTOSCRIVENDO L’OFFERTA
SOSTENITORE E DIVENTANDO COSÌ PARTE ATTIVA DELLA NOSTRA COMMUNITY. TRA I POST
INVIATI, PETER GOMEZ E LA REDAZIONE SELEZIONERANNO E PUBBLICHERANNO QUELLI PIÙ
INTERESSANTI. QUESTO BLOG NASCE DA UN’IDEA DEI LETTORI, CONTINUATE A RENDERLO IL
VOSTRO SPAZIO. DIVENTARE SOSTENITORE SIGNIFICA ANCHE METTERCI LA FACCIA, LA
FIRMA O L’IMPEGNO: ADERISCI ALLE NOSTRE CAMPAGNE, PENSATE PERCHÉ TU ABBIA UN
RUOLO ATTIVO! SE VUOI PARTECIPARE, AL PREZZO DI “UN CAPPUCCINO ALLA SETTIMANA”
POTRAI ANCHE SEGUIRE IN DIRETTA STREAMING LA RIUNIONE DI REDAZIONE DEL GIOVEDÌ –
MANDANDOCI IN TEMPO REALE SUGGERIMENTI, NOTIZIE E IDEE – E ACCEDERE AL FORUM
RISERVATO DOVE DISCUTERE E INTERAGIRE CON LA REDAZIONE. SCOPRI TUTTI I VANTAGGI!
L'articolo Ora per il ministro Schillaci l’avidità di noi medici è la principale
colpa del disastro del Ssn: ora basta! proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il medico che eseguì nel 2020 la colonscopia sull’allora boss latitante Matteo
Messina Denaro non deve andare in carcere. Il tribunale del Riesame ha infatti
confermato la decisione del gip, respingendo la richiesta di arresto avanzata
dalla Dda nei confronti del medico gastroenterologo di Marsala Sebastiano
Bavetta, indagato per favoreggiamento aggravato. Secondo la Procura di Palermo
sarebbe stato consapevole che il paziente fosse il capomafia. Di avviso opposto
il giudice per le indagini preliminari e il Riesame. Il medico, sentito dai pm,
ha ammesso di aver eseguito l’esame, ma ha sostenuto di aver saputo solo dopo la
cattura che il paziente in realtà era il superlatitante.
Era il 3 novembre di 5 anni fa quando lo specialista diagnosticò al capomafia il
cancro al colon attraverso una colonscopia. Il boss di Castelvetrano si sarebbe
presentato con l’identità di Andrea Bonafede ed era arrivato al medico tramite
Giovanni Luppino, l’autista di Messina Denaro arrestato insieme a lui il 16
gennaio del 2023 nei pressi di una clinica “La Maddalena” di Palermo. Nel covo
del boss di Cosa Nostra, a Campobello di Mazara, erano stati trovati i referti
compilati da Bavetta e intestati a Bonafede.
“È dimostrato che Bavetta abbia mostrato una speciale sollecitudine e abbia
garantito un trattamento di favore diverso rispetto a quello riservato agli
altri pazienti. È parimenti emerso che abbia ricevuto da Messina Denaro
corrispettivi in denaro di entità superiori agli onorari ordinariamente
praticati”, scriveva lo scorso luglio il gip nell’ordinanza, come riporta
Livesicilia. Il giudice precisava però che “ciò che resta indimostrato è il dato
della consapevolezza della reale identità del paziente che si era presentato con
la falsa generalità di Andrea Bonafede”. Le motivazione del Riesame, invece, non
sono state ancora depositate.
L'articolo Il Riesame respinge la richiesta di arresto per il gastroenterologo
che diagnosticò il tumore a Matteo Messina Denaro proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Cinque notti al mese di guardia attiva, in cui sia medici che infermieri
affrontano turni di 12 ore, completamente in piedi, senza alcun tipo di
possibilità di riposo. Settimane lavorative che superano le cinquanta ore
effettive, in condizioni di grande stress, con riposi saltati e rientri
all’ultimo momento. E alle pesanti responsabilità professionali, si aggiungono
le pressioni psicologiche. Come quella di doversi interfacciare quotidianamente
con la perdita di dignità delle persone, accampate per giorni in barella nei
corridoi dei pronto soccorso, in attesa del ricovero. Le evidenze scientifiche
sono chiare: lavorare nell’Emergenza-Urgenza ha un impatto serio sulla salute
dei professionisti. Compromette le prestazioni cognitive, velocizza
l’invecchiamento cellulare, causa insonnia e aumenta il rischio d’insorgenza di
patologie oncologiche e cardiovascolari. Eppure, nonostante ci siano tutte le
prerogative, ancora il lavoro di medici e infermieri di pronto soccorso non è
riconosciuto come usurante. I professionisti si attendevano che l’estensione
venisse inserita nella prossima legge di Bilancio. Ma tra gli oltre 5mila
emendamenti depositati in Senato non ce n’è traccia.
“Da anni chiediamo che il nostro lavoro venga riconosciuto come usurante. Ma
ancora una volta la nostra richiesta è stata ignorata. È un’assurdità
anacronistica e penalizzante”, commenta a ilfattoquotidiano.it Alessandro
Riccardi, presidente Simeu, la società italiana medicina d’emergenza urgenza, e
direttore del pronto soccorso dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure. “La
priorità è rendere più attrattiva la professione, anche per invogliare i giovani
a scegliere questa carriera – prosegue -. Ma per il momento si è intervenuti
solo sull’aspetto economico, attraverso indennità e vantaggi contrattuali. Per
quanto utili, queste misure non possono essere risolutive senza l’estensione dei
criteri per il lavoro usurante per i medici e gli infermieri impegnati in pronto
soccorso e nell’emergenza preospedaliera”. Il presidente chiarisce che non si
tratta di istanze sindacali, ma di richieste basate su elementi scientifici e su
posizioni giuridiche consolidate.
Come stabilito nel 2022 dalla Cassazione, si definisce usurante un lavoro che
induce uno sfruttamento anormale, eccessivo, sproporzionato e doloroso delle
energie; che provoca l’instaurarsi o l’aggravarsi di uno stato patologico; che
determina un grave pregiudizio della residua efficienza fisica; che logora
l’organismo. “Queste definizioni – spiega Riccardi – sono una fotografia esatta
della quotidianità di medici ed infermieri che lavorano nei pronto soccorso e
sui mezzi del 118. L’emergenza-urgenza non è una carriera gravosa solo a
intermittenza. Lo è per sua natura intrinseca, sempre. Per 24 ore al giorno, 7
giorni su 7, 365 giorni l’anno”.
Per questo Simeu chiede che ai professionisti del settore venga riconosciuta
l’estensione per il lavoro usurante, come prevista dal decreto legislativo n. 67
del 2011. “Aiuterà a contenere gli abbandoni e a favorire l’ingresso di
professionisti nell’Ssn”, commenta Riccardi. In assenza di figure specializzate,
per mantenersi in vita il sistema rischia di doversi affidare ancora
all’esternalizzazione dei servizi. Ovvero, al ritorno dei dispendiosi
gettonisti, “con costi spropositati e qualità ben inferiori”. Per questo
l’appello di Simeu si rivolge a tutti i parlamentari, senza distinzione di
colore politico, che nelle prossime settimane dovranno varare la legge di
Bilancio 2026: “È una questione che non può essere rimandata anche quest’anno.
Deve essere inserita con un emendamento nella discussione parlamentare di questa
Manovra – conclude Riccardi -. Serve un’analisi senza pregiudizi, responsabile e
corretta. È l’unico modo per evitare il collasso del sistema
dell’emergenza-urgenza”.
L'articolo “Essere medici e infermieri in pronto soccorso è un lavoro usurante,
va riconosciuto”: l’appello alla politica per un emendamento alla Manovra
proviene da Il Fatto Quotidiano.