Il rimpallo delle responsabilità durante gli interrogatori di garanzia dei
cinque ragazzini arrestati per aver brutalizzato e reso in valido un 22enne per
una rapina da 50 euro, hanno colpito i genitori della vittima che hanno affidato
a una nota i loro sentimenti sull'”azione vigliacca” subita dal figlio che il 12
ottobre scorso è stato accoltellato e picchiato anche quando ormai era a terra
inerme. Le “immagini della brutale aggressione che ha subito il nostro ragazzo
ci hanno fatto rivivere il dramma e le angosce che da oltre un mese stiamo
cercando tutti insieme di razionalizzare. L’accanimento del branco sul corpo
accasciato e le espressioni irridenti e sprezzanti nei confronti della vittima,
con le quali i responsabili commentavano la loro impresa nella sala d’attesa del
Commissariato, ci lasciano turbati e indignati per la disumana indifferenza
degli autori del misfatto e l’assoluta assenza di valori e senso morale. Siamo
increduli – scrivono i due genitori – che ancora ieri, dopo oltre un mese
dall’aggressione, al cospetto del GIP, si siano affidati a banali e strumentali
giustificazioni e frasi di circostanza, senza esprimere alcun sentimento di
consapevolezza e resipiscenza sulla gravità e le conseguenze della azione
compiuta”.
Durante gli interrogatori ai giudici c’è chi ha dato che è “distrutto“, chi di
essere “preoccupato” per la vittima, chi che aveva il coltello perché “sono
stato aggredito in passato”. A contrasto di queste dichiarazioni le immagini
delle telecamere di sorveglianza e le intercettazioni ambientali in Questura,
ormai note, che riproducono quasi delle confessioni spontanee e anche l’augurio
che la vittima muoia. Tra le frasi registrate: “Bro, io ho fatto così”, mimando
il gesto delle coltellate, o “Non so se si vede il video dove lo scanniamo”.
“Ringraziamo il Gip, il Pubblico Ministero e le forze dell’Ordine per la estrema
diligenza, professionalità e tempestività e siamo fiduciosi che l’operato della
Giustizia faccia il suo corso anche nella tutela dei diritti della vittima e
possa esercitare una efficace funzione dissuasiva. Auspichiamo che questi
ragazzi responsabili dell’aggressione, influenzati dalla diffusa cultura della
violenza, possano avere l’opportunità di riflettere sulla insensatezza del male
arrecato ad un coetaneo che avrà da convivere ogni giorno con le conseguenze
della loro azione vigliacca. A noi resta il compito di pregare e sperare per la
salute di nostro figlio”
L'articolo “Azione vigliacca, banali giustificazioni durante gli interrogatori”:
lo sfogo dei genitori dello studente massacrato per 50 euro proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Tag - Tentato Omicidio
C’è chi dice che è “distrutto“, chi di essere “preoccupato” per la vittima, chi
che aveva il coltello – che reso invalido un ragazzo poco più grande di loro –
perché “sono stato aggredito in passato”. Si sono svolti gli interrogatori di
garanzia per i cinque giovani arrestati per la rapina e il tentato omicidio di
uno studente di 22 anni, avvenuta il 12 ottobre a Milano. Gli interrogatori, tra
carcere di San Vittore e carcere minorile Beccaria, sembrano evidenziare una
sorta di rimpallo di responsabilità tra i due maggiorenni e i tre minorenni
coinvolti nell’aggressione. Quel branco, che secondo i gip che hanno firmato le
ordinanze di custodia cautelare, hanno agito con “modalità da braco” portando a
termine “una feroce aggressione”. un “pestaggio brutale” con una “disumana
indifferenza”-
Davanti alla giudice per le indagini preliminari Chiara Valori, l’avvocata Elena
Patrucchi ha spiegato che il suo assistito, un 18enne accusato di aver fatto da
“palo”, è “davvero preoccupatissimo e sconvolto” per le condizioni della
vittima. Il giovane ha manifestato la volontà di scrivere una lettera di scuse
allo studente e alla sua famiglia, ribadendo di non aver compreso inizialmente
la gravità dell’episodio. La difesa ha chiesto alla giudice un’attenuazione
della misura cautelare, proponendo gli arresti domiciliari, decisione che Valori
dovrà valutare nei prossimi giorni. Secondo quanto emerso, il 18enne ha
sostenuto di essere rimasto “lontano dagli altri” e di essere stato
“assolutamente convinto che fosse solo una zuffa di poco conto”. Solo
successivamente ha scoperto che era stato utilizzato un coltello, rimanendo
“sconvolto” dalla violenza dell’aggressione.
L’altro maggiorenne interrogato a San Vittore, accusato di aver materialmente
inferto le due coltellate che hanno provocato lesioni permanenti allo studente,
ha raccontato di essere intervenuto solo quando la rissa era già in corso e di
non essersi reso conto dell’entità del danno provocato. Difeso dall’avvocato
Giovanni Giovanetti, anche lui ha dichiarato di essere “molto dispiaciuto” per
la vittima. Le difese dei due maggiorenni puntano a dimostrare l’assenza di
volontà di uccidere, tentando di ridurre l’accusa da tentato omicidio a
responsabilità meno grave, e a far cadere il concorso morale nella vicenda per
quanto riguarda gli altri giovani coinvolti. La vittima, aggredita anche a calci
e pugni quanto era a terra “inerme”, ha subito danni permanenti ed rimasto
paraplegico.
Gli altri tre ragazzi, tutti 17enni, interrogati nel carcere minorile Beccaria,
hanno confermato il loro dispiacere per quanto accaduto. L’avvocato Gaetano
Della Valle ha spiegato che uno dei minorenni era “distrutto, preoccupato e
dispiaciuto” e ha risposto a tutte le domande del gip. Al momento non è stata
avanzata alcuna istanza di modifica della misura cautelare per i minorenni. Gli
elementi a carico dei cinque giovani sono supportati da telecamere di
sorveglianza e da intercettazioni ambientali in Questura, ormai note, che
riproducono quasi delle confessioni spontanee e anche l’augurio che la vittima
muoia. Tra le frasi registrate: “Bro, io ho fatto così”, mimando il gesto delle
coltellate, o “Non so se si vede il video dove lo scanniamo”.
L'articolo Il rimpallo di responsabilità del branco per il pestaggio del 22enne
a Milano. Uno degli arrestati: “Non c’ho visto più” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Dopo due giorni di carcere, il clamore e la condanna unanime, forse tra i
ragazzini, arrestati per aver pestato brutalmente un studente per rapinarlo a
Milano, comincia a farsi largo un po’ di consapevolezza. “Nessuno di noi aveva
compreso la gravità del fatto” ripete in carcere, come riporta l’Ansa, uno dei
due 18enni arrestati il 18 novembre, assieme a tre 17enni, per il tentato
omicidio nella zona della movida milanese di corso Como. La vittima, uno
studente bocconiano di 22 anni, pestato con violenza e poi accoltellato, ha
lesioni permanenti.
Il ragazzo poco più che maggiorenne, italiano e con genitori di origine
egiziana, accusato di aver fatto da “palo” e detenuto come l’amico a San
Vittore, ha incontrato in carcere il suo difensore, l’avvocata Elena Patrucchi.
“Ha ripetuto più volte – ha spiegato la legale – che lui era lontano dagli altri
e che era assolutamente convinto che fosse solo una zuffa di poco conto. Quando
ha saputo, invece, dopo del tempo, che era stato usato il coltello, è rimasto
sconvolto ed è sconvolto anche ora. Ha detto ancora – ha aggiunto la legale –
che secondo lui nessuno aveva compreso la gravità del fatto”. Secondo l’accusa
il giovane sarebbe stato una sorta di palo e avrebbe partecipato quindi
all’azione. Inoltre che la vittima fosse grave emerge chiaramente dalle
intercettazioni in cui il branco di augurava la morte del ragazzo.
L’indagato risponderà venerdì alle domande della giudice per le indagini
preliminari Chiara Valori, che in mattinata a San Vittore interrogherà anche
l’altro maggiorenne, difeso da Giovanni Giovanetti, mentre i tre 17enni, anche
loro tutti residenti a Monza, assistiti dai legali Gaetano Della Valle e Luca
Favero e detenuti nel carcere minorile Beccaria, saranno sentiti dal gip del
Tribunale per i minorenni. Qualcuno degli arrestati, da quanto si è saputo, sta
pensando anche di scrivere una lettera alla famiglia della vittima
dell’aggressione.
L’altro maggiorenne, stando alla ricostruzione nelle indagini della Polizia e
del pm Andrea Zanoncelli – passata per le analisi delle telecamere, ma anche per
intercettazioni ambientali che sono, in pratica, delle confessioni – ha inferto
materialmente quelle due coltellate, che hanno causato le lesioni polmonari e
spinali al 22enne, “rimasto paraplegico”.
I tre minori, invece, sono accusati di aver sferrato calci e pugni, anche quando
il giovane era inerme a terra, ma tutti e cinque gli arrestati rispondono del
tentato omicidio. In quattro per concorso “morale”, perché avrebbero
“rafforzato” il proposito dell’accoltellatore. Anzi, si legge negli atti, non
solo hanno “abbandonato” lo studente “sanguinante” in strada, ma hanno
“proseguito la loro serata”. Nessuno “è apparso turbato” per quelle violenze
culminate “nell’accoltellamento”, manifestando così, scrivono i magistrati,
“adesione alla condotta criminosa”.
Ridevano, poi, come evidenziato sempre nelle ordinanza, quando dicevano, tra le
altre cose, che il 22enne sarebbe rimasto “paralizzato” e che speravano morisse,
con una “ilarità” che dimostra tutta la loro “disumana indifferenza”. E non
basta perché, come risulta soprattutto dalle intercettazioni ambientali in
Questura dopo le perquisizioni di fine ottobre, erano anche pronti a “cimentarsi
nuovamente”, scrive la gip Valori, nello “sfogare” quella loro violenza
“gratuita” per portarsi a casa la prossima volta più di una banconota da 50
euro.
L'articolo “Nessuno di noi aveva compreso la gravità del fatto”, uno dei ragazzi
in carcere per il pestaggio dello studente si dice “sconvolto” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Al di là dell’antica cascina a far da simbolico decumano, tutt’attorno si
osservano banche e negozi, una piscina comunale, campi da tennis e ogni
possibile servizio che si possa immaginare per un quartiere residenziale. Nulla
che ricordi i blocchi popolari delle periferie. Qui al quartiere Triante, uno
dei più noti della città di Monza sono cresciuti i cinque ragazzi arrestati per
quell’aggressione da Arancia meccanica che la notte del 12 ottobre, a furia di
botte e coltellate, ha lasciato a terra un ragazzo di 22 anni, studente
universitario, dopo averlo derubato di 50 euro. Tre minorenni e due maggiorenni,
separati per età da qualche mese. Differenza minima che per i due poco più che
18enni può segnare la strada verso una condanna a doppia cifra. L’accusa:
tentato omicidio.
Ma al di là di ciò che saranno indagini, processo e responsabilità individuali,
quel che vale e resterà per sempre è la tetra diagnosi della vittima. La
leggiamo tutta d’un fiato per come la scrive il giudice nella sua ordinanza
cautelare: “Persona offesa rimasto paraplegico all’esito delle lesioni arrecate
e con apparati urologico, intestinale e sessuale definitivamente compromessi”.
Chissà se quei ragazzi avranno letto queste poche righe.
Chissà se oggi, dopo gli arresti, si fermeranno un istante a domandarsi il
perché? Una risposta che allo stato sfugge visto che nulla, a spulciare nelle
loro esistenze, emerge a spiegazione. Cinque ragazzi, quattro italiani e uno di
origine egiziana. Cinque famiglie, per dirla nel gergo del bravo questurino,
“normo-integrate”. Genitori senza alcun precedente penale, come invece tanti se
ne trovano nei quartieri dormitorio di Milano. Donne e uomini con mestieri
normali, chi bancario, chi impiegato, chi funzionario comunale. Fratelli
maggiori diplomati e avviati al mondo universitario. Insomma un’esistenza che
all’apparenza scorre limpida con poche e scontate increspature: un divorzio, due
delle cinque famiglie lo sono, qualche inciampo a scuola, materie a settembre,
un anno da ripetere. Ma che vuoi che sia quando la vita ha appena 17 anni.
Per questo risulta complicato spiegare questa voragine. Complicato lo è stato
certamente per i genitori, i quali, quando i figli, dopo essere stati
perquisiti, sono stati chiamati a Milano al commissariato Garibaldi-Venezia,
davanti ai poliziotti e al dirigente Angelo De Simone non hanno saputo darsi
pace. Lacrime compulsive di madri e padri hanno avuto bisogno di un supporto
psicologico a mitigare quella che a tutti gli effetti è una colpa, perché altro
non può essere per questi genitori. Di quale tipo sia la colpa è altro tema. Di
certo, viene spiegato da chi questa indagine lampo l’ha seguita, ci si trova
davanti a ragazzi che ben poco sono in grado di discernere il virtuale dal
reale, il reel di Instagram dai tonfi sordi dei pugni e dal calore del sangue
che resta sul marciapiede. Il gesto mandato in loop come le immagini dei
cellulari che sgravano dalla fatica del tempo. Osservarsi da fuori come
sdoppiati. Tanto che durante la lunga intercettazione ambientale in
commissariato che raccoglie in presa diretta il racconto degli aggressori, uno
dei tre minori dice: “Voglio vedere il video, voglio vedere se ho picchiato
forte”, ricevendo conforto da un amico: “Tu l’hai picchiato così”.
È il tempo che esce dal ticchettio normale, che si fa selfie esistenziale, come
immortalare il verbale di perquisizione: “Eh raga – dice un minore – , però io
voglio mettere la storia! Sì metto la storia del foglio, censuro i nomi e scrivo
che si vede solo l’articolo”. Il ricorrere “alla violenza fisica in modo del
tutto immotivato, quasi come una forma di divertimento”, lo scrive il giudice
per le indagini preliminari. Un gesto assurdo da ripetere come in un videogioco.
Fino ad arrivare a dire, in quel momento quando l’arresto è ormai vicino, “frà
la prossima volta ci bardiamo”. Perché tutto si scrolla, va avanti e torna
indietro. Una frase che fa pensare che già altre volte, altre aggressioni sono
passate. Perché di certo quel sabato notte non era la prima volta che da Monza
il “branco” calava lungo i bordi della movida di Milano.
Del resto il riconoscimento degli aggressori è avvenuto anche dal confronto con
alcuni loro fotosegnalamenti. Ecco allora un altro punto che incrina e complica
la visione manichea da bianco o nero: famiglie normali non equivale sempre a
figli per bene. Sono maranza non sono maranza? Forse lo sono se la bestiale
etichetta giornalistica corrisponde al significato di disagio. Perché la
spiegazione è il disagio, certamente in questo caso criminale, se quella notte i
cinque hanno colpito e non sono scappati e anzi, scrive il giudice, “hanno
continuato a intrattenersi nella nota zona, frequentata da clienti di locali
notturni, proseguendo la loro serata tra amici”.
Il giudice poi mette in fila comportamenti purtroppo comuni a molti ragazzi.
Comportamenti che però non sempre sfociano nei fatti del 12 ottobre. Secondo il
giudice del Tribunale dei minori quei ragazzi sono risultati “privi di qualunque
forma di empatia rimanendo assolutamente indifferenti rispetto alla sofferenza
della vittima” e “non hanno dimostrato di avere compreso la gravità della
condotta”, manifestando “una disumana indifferenza”. E così la microspia nella
penombra della sala d’attesa del commissariato registra l’ennesimo colpo
d’accetta alla voragine, quando un minore ricorda il commento lasciato a un
video su Tik Tok della europarlamentare della Lega Silvia Sardone rispetto sei
accoltellamenti in una notte: “Hai visto? Sai il video su Tiktok della Sardone?
Ha detto che a Milano ci sono stati sei accoltellamenti in una notte, io nel
commento le ho scritto il settimo non l’hanno ancora scoperto, te l’ho pure
mandato”.
Mancanza di empatia e indifferenza, dunque. Vale qua e ora nel caso di tentato
omicidio, ma vale in generale. È un binomio che spesso i genitori intuiscono
nascere e crescere. Una devianza che puzza di senso di colpa e come ogni senso
di colpa è molto meglio nasconderlo dietro a una vita di lavoro e di normalità
apparente che poi produce “quell’assenza di una benché minima resipiscenza per i
comportamenti assunti”. Perché non c’è senso morale in frasi del genere: “Dalle
telecamere hanno ricostruito l’accaduto, però non so se si vede il video dove lo
scanniamo (…). Magari quel coglione è ancora in coma, domani schiatta (…). Ma
speriamo bro’, almeno non parla!! Te non hai capito, io gli stacco tutti i
cavi”. E’ un deserto di coscienza, oltre al quale resta solo la tetra di
diagnosi della vittima, e che ora mette sotto accusa il sistema: quello della
giustizia minorile e civile, e quello dei servizi sociali.
L'articolo I ragazzi del branco di Milano, il ritratto dei 5 giovani “feroci”
che hanno reso invalido uno studente. Nessuna distinzione tra reale e virtuale
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Volevano uccidere. E sono stati autori di una “feroce aggressione” con “modalità
da branco“. Un “gruppo sopraffattore che ha portato avanti un pestaggio brutale
ben oltre il fine si assicurarsi il profitto del reato di rapina, infierendo
sulla vittima riversa a terra”. Un “brutale pestaggio” con l'”evidente
indifferenza rispetto alla vita”. Sono alcuni concetti espressi nelle due
ordinanza di custodia cautelare, quella disposta per i tre 17enni e quella per i
due 18enni, che ha portato agli arresti per l’aggressione allo studente
bocconiano a Milano.
Certo è non è solo la brutalità dei colpi, non è soltanto il coltello che
affonda più volte mentre la vittima, un ragazzo appena adulto, è già a terra. La
parte più inquietante di questa storia è appunto “l’indifferenza”. È anche la
risata dopo. È la noncuranza totale verso un corpo che lotta per restare vivo. È
la convinzione, quasi divertita, che la vita altrui valga meno di una banconota
da 50 euro. Senza contare la riflessione sul video di TikTok in cui si parlava
di sei accoltellamenti in una notte: “Io nel commento le ho scritto il settimo
non l’hanno ancora scoperto”.
I cinque sono stati intercettati mentre ridono, si vantano, parlano
dell’aggressione come di una bravata riuscita, probabilmente non la prima visto
che in un altro momento parlano di “badarsi” la prossima volta. Uno dice di
voler rivedere il video “per vedere se ho picchiato forte”. Un altro spera che
la vittima muoia: “Così almeno non parla”. E mentre il ragazzo lotta tra la vita
e la morte, loro si chiedono se valga la pena andare a trovarlo in ospedale.
“Sai che possiamo fare che è un bel gesto? lo andiamo a trovare almeno i giudici
... (incomprensibile) … tutti uguale così la … (incomprensibile) … giuro,
andiamo! … ” dice uno e l’altro “Bene, andiamo. si gli diciamo “ci dispiace,
siamo pentiti, ma … (bisbigliando dice) “a me in realtà non me ne frega”
L'articolo “L’indifferenza del branco”, i gip che hanno ordinato gli arresti a
Milano: “Aggressione feroce” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Scene da un’aggressione: il rumore, la paura, il sangue. Nei verbali delle due
ragazze che hanno assistito alla brutale aggressione a Milano allo studente
bocconiano rimasto invalido, si trova il film dell’assalto subito dal 22enne
che, come ha dichiarato il medico del pronto soccorso del Fatebenefratelli agli
agenti, “È stato a un passo dal decesso”.
LA RAPINA E L’AGGRESSIONE
Le due amiche erano uscite dal Play Club, in zona corso Como, per acquistare
delle sigarette alle 2.45 di domenica 12 ottobre. È un racconto in crescendo,
quello delle due ragazze, che hanno visto in azione il branco dei cinque
ragazzini — due 18enni e tre 17enni — prima molestare, poi accerchiare la
vittima inerme a terra, e infine lasciarla lì, nel sangue. “Notavamo un ragazzo,
con dei capelli ricci, indossante una felpa con dettagli verdi, seduto
all’esterno di un altro locale. Parlava con un gruppo di cinque ragazzi; lui mi
sembra alterato da sostanze alcoliche, mentre i ragazzi mi davano l’impressione
di importunarlo ponendogli delle domande. Notavo la scena che i ragazzi si erano
di fatto un po’ allontanati e il ragazzo con i capelli ricci correre in loro
direzione. Una volta raggiunti, si sarebbero spinti più volte e i ragazzi gli
avrebbero detto: ‘Vattene, calmati'”.
Il 22enne stava cercando di recuperare i 50 euro che gli erano stati strappati
di mano. Una rapina che poi si è trasformata in un tentato omicidio sotto i
portici di via Rosales. “Abbiamo sentito un forte tonfo… ci siamo affacciate al
porticato e abbiamo notato il ragazzo riccio per terra, seduto, e il gruppo si
allontanava lungo la via”. Le due giovani si fecero coraggio e si avvicinarono:
“I suoi vestiti risultavano intrisi di sangue… abbiamo pensato che fosse stato
accoltellato”.
“ERO IMPAURITA”
Anche l’altra testimone descrive la scena agli investigatori: “Il ragazzo per
terra ricordo che aveva i capelli lunghi castani e ricci, e non era molesto,
anzi tranquillissimo. I ragazzetti prima citati avevano lanciato qualcosa in
direzione del ragazzo seduto, credo un tappo o comunque un oggetto piccolino”.
Il gruppo si dirige verso piazza XXV Aprile, seguito dal ragazzo riccioluto che
sembrava voler reclamare qualcosa: “Non sentivo cosa di preciso proferisse…
mentre io e S. ci fermavamo per acquistare le sigarette”. Poi un rumore che
attira il loro sguardo: “Sentivo provenire da via Rosales un rumore molto forte,
come di una ‘mazza’ che sbatteva per terra… vedevo il ragazzo con i capelli
ricci che era seduto per terra sotto i portici con una copiosa perdita ematica
nella parte posteriore del corpo”. L’altra ragazza, spaventata, chiede aiuto a
quattro adulti di passaggio: “Ero impaurita… uno di questi ha chiamato prima un
buttafuori del Play, che però diceva che non poteva intervenire, e poi credo
abbia chiamato l’ambulanza. Il ragazzo da sotto i portici è andato a nascondersi
sotto un ponteggio… mi ha dato l’impressione di essere molto spaventato e che
volesse nascondersi”.
L'articolo “Un rumore fortissimo, poi l’ho visto a terra, sanguinava molto”, il
racconto delle due ragazze che hanno assistito all’aggressione a Milano proviene
da Il Fatto Quotidiano.