Armi e cocaina. Radio malavita gracchia forte: “Con la mitraglietta ho otto
caricatori da 36, sai che significa? Trecento colpi, e andiamo!”. “Bamba,
bamba!”. Un bel cocktail che oggi a Milano, nonostante i tanti decreti sicurezza
sbandierati dal governo, va di gran moda. Al bancone lo servono organizzazioni
sempre più robuste che spacciano grammi ad avvocati, giudici, politici e che nei
blocchi di cemento della periferia raccolgono consenso sociale alimentando i
testi di giovani trapper. A far da timone, a partire dal 2023, le indagini sulla
banda del quartiere Barona. Ultima in ordine temporale quella sulla Super
Mamacita Katia Adragna, narco-madrina legata al gruppo di Nazzareno e Luca
Calajò. Un clan che ricorda, per forza e ramificazioni, quello della Magliana e
che come la banda romana sembra una matrioska.
E così il gioco delle bambole mostra oltre al gruppo sovrano della Barona altre
batterie di trafficanti che tengono in mano la città. L’ultima e inedita
controlla lo storico quartiere del Giambellino, quello del Cerutti Gino cantato
da Giorgio Gaber. Ma qui oggi non è più tempo di nebbia e romanticherie, qui il
sapore è quello metallico delle armi e dello spaccio en plein air. Con i
“cavallini” che, cresciuti alla scuola di Katia Adragna e dei grandi boss,
sognano di indossare abiti da trafficanti. Massimo Caivano è un milanese di 47
anni. Al Giambellino tra i civici 64 e 59 è il ras. Dice: “Prima di tutto
comando io, sempre e comunque”. Ne parla con Giovanni Licausi, giovane siciliano
di 32 anni, il quale dopo aver lavorato per Katia Adragna vuole mettersi in
società con Caivano: “Ma se io dovessi venire a lavorare pure, perchè voglio
portare persone”. In batteria poi ci sono i fratelli Simula, Davide e Francesco
che qualche problema lo hanno con Tony Faraci, trapezzista della cocaina tra il
Giambellino e il cuore della Barona, ma soprattutto pistolero dal grilletto
facile.
Armi, dunque. Per difendersi e attaccare. Armi da guerra, bombe a mano,
mitragliette. E sì perché seguendo i neofiti del Giambellino style si incappa in
una Santabarbara che dovrebbe allarmare politica e Comune di Milano. Invece
nulla. E così liberamente, fino a pochi giorni prima di finire in carcere
assieme alla mamacita e altri manager della coca, Toni Faraci, bolognese
trapiantato sotto al Duomo, si permetteva di scendere dall’auto pistola in pugno
e colpo in canna. Perché le microspie oltre alle parole ascoltano anche i
rumori. Così negli atti si legge: “La registrazione fornisce la prova
inequivocabile che Faraci sia in possesso di una pistola visto che, quando lui
esce dall’autovettura, scarrella la pistola per inserire il colpo in canna,
generando in tal modo il tipico rumore causato dalla predetta operazione”.
A Faraci, stando agli atti d’indagine, la mosca al naso salta non di rado. Anche
per stupidaggini come un caricatore del cellulare che non gli vogliono prestare:
“Adesso ti ammazzo! Ti sparo ti giuro! Se mi arrestano ti ammazzo! Vai su,
infame!”. Finisce così che il gruppo del Giambellino più che organizzato sembra
comporsi da “indiani metropolitani” pronti a tutti. I fratelli Simula, vista la
loro vicinanza con Martina M. che tempo addietro aveva avuto un relazione con
Faraci, temono ritorsioni e si preparano alla guerra: “Ah bè, io devo vivere con
la paura che tu mi vieni a sparare?! Eh?! Ma che cazzo me ne fotte a me di lui!!
Se troviamo i colpi della Glock gli do due colpi in testa!! M’ha cagato la
minchia. La pistola ce l’abbiamo a casa, nell’armadietto. Mi mancano i
proiettili della Glock, chiama chi cazzo vuoi e trovaci i proiettili della
Glock!!”. Faraci del resto viene definito dagli inquirenti come “soggetto di
elevato spessore criminale, che pure si ritiene sia in possesso di diverse armi
clandestine e relativo munizionamento”. Una di queste, la mitraglietta, per un
po’ l’ha tenuta come foto profilo su Whatsapp fino a quando un amico gli ha
consigliato di toglierla.
Quali siano queste è comunque lo stesso Faraci a raccontarcelo intercettato in
auto con due amici. E così il Giambellino style diventa far west metropolitano:
“Pensa se mi trovavano le armi (…). Una 38, una Glock, menomale che le ho
portate qua. Una 38, una 9×21, una mitraglietta, ho la 857 magnum. Otto
caricatori, la mitraglietta! Da trentasei! Sai che significa? Trecento colpi! E
andiamo! La guerra faccio solo con quello! Mi chiamo John Rambo. Aspetta aspetta
dopodomani mi arrivano quattro ananas, le bombe a mano! Così me le metto
addosso! Con le catenelle! Venite, venite!”. Corrono le parole come corre la
Fiat Punto lungo le strade dal Giambellino alla Barona.
L'articolo Giambellino a mano armata, il nuovo clan dello spaccio nel quartiere
cantato da Gaber: “Ho 300 colpi, faccio la guerra” proviene da Il Fatto
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