Mentre le tensioni con il Venezuela raggiungono l’apice – con l’ultimo sequestro
della petroliera Skipper al largo del Paese sudamericano – Donald Trump torna a
minacciare il presidente colombiano, Gustavo Petro, denunciando che “la Colombia
produce molta droga” ed è “meglio che si svegli o sarà la prossima”, dopo
Caracas s’intende, già nel mirino del Dipartimento di Stato perché
presumibilmente “governata dal Cartel de los Soles“. Ma non solo. Trump parla di
“fabbriche“, dice che la Colombia vende direttamente la cocaina agli Usa e dice
che Petro “avrà seri problemi se non se ne rende conto”, accusandolo di essere
piuttosto ostile. Nulla di nuovo sotto il sole, bensì la piena continuità delle
operazioni anti-narcos lanciate lo scorso 21 agosto, con raid nei Caraibi che
hanno provocato più di 80 vittime e “minacce di operazioni di terra” a tutela
del territorio federale.
IL DOPPIO STANDARD
Ma c’è qualcosa che non torna nelle operazioni anti-narcos di Trump, ora
intitolate South Spear: vi è un massiccio apparato militare dispiegato contro
governi non allineati – come il Venezuela e la Colombia – compensato da un
atteggiamento accomodante nei confronti delgoverno conservatore del Perù, il
secondo produttore di cocaina al mondo – oltre 54.655 ettari produttivi -,
ritenuto “il granaio del sud”, con “laboratori clandestini in fase di
moltiplicazione”, e della Bolivia, ora sotto il governo di Rodrigo Paz, che nel
2023 ha battuto il record di sequestri di carichi pari a oltre 32,9 tonnellate.
Trump tace anche sulla situazione in Ecuador, non di certo migliorata sotto il
governo del suo delfino Daniel Noboa, dove passa il 70% della cocaina che
circola a livello mondiale. Le stesse autorità venezuelane hanno più volte
chiesto agli Stati Uniti di porre più attenzione sulla droga che esce da Quito
attraverso il Pacifico. Tuttavia, qualche settimana fa, alla vigilia del
referendum sulle basi militari Usa in Ecuador, il segretario di Stato Usa, Marco
Rubio, ha speso parole di elogio nei confronti di Noboa definendolo “un esempio
nella lotta al narcoterrorismo”.
L’EX PRESIDENTE “NARCO”, MA AMICO
Ma non c’è soltanto l’accondiscendenza nei confronti degli Stati amici. Il
doppio standard dell’amministrazione Trump nella presunta lotta al narcotraffico
si svela anche in interventi diretti nei Paesi da conquistare, anche
condizionandone il voto, com’è il caso dell’Honduras. Poco prima dell’apertura
dei seggi a Tegucigalpa, Trump ha concesso la grazia all’ex-presidente
honduregno Juan Orlando Hernández, condannato nel 2024 da un Tribunale federale
per aver favorito il traffico di droga negli Stati Uniti. Trump ha giustificato
la sua scelta incolpando Joe Biden di aver messo in pratica “un’orribile caccia
alle streghe” e di aver trattato troppo male Hernández. In fondo, però,
l’intenzione era quella di favorire il candidato conservatore Nasry Tito Asfura,
candidato presidenziale del Patito nazionale dell’Honduras – lo stesso di
Hernández – paradossalmente definito dal tycoon “l’unica alternativa al
narcoterrorismo“.
A questo punto c’è un cortocircuito nella logica anti-narcos di Trump, criticato
anche sul fronte repubblicano, con il senatore Bill Cassidy che si è chiesto:
“Perché diamo la grazia a Hernández e poi perseguitiamo Maduro per il traffico
di droga negli Stati Uniti?”. Sulla stessa sponda il senatore Thom Tillis ha
aggiunto: “È confuso dire, da una parte, che dovremmo valutare pure l’invasione
del Venezuela per il traffico di droga e, dall’altra, rilasciare qualcuno” già
condannato per narcotraffico.
IL RIASSETTO DEL CONTINENTE
In assenza di criteri oggettivi nella lotta ai narcos, che si sta dimostrando
selettiva a seconda dell’interlocutore, c’è chi comincia a mostrarsi sempre più
critico nei confronti dell’amministrazione Usa. “La missione antinarcotici, per
lo meno in termini di narrazione, sembra molto più selettiva e motivata da
ragioni politiche”, afferma Rebecca Bill Chávez, Ceo di Inter-American Dialogue.
Più critico ancora Christopher Sabatini, senior fellow per l’America Latina
presso Chatam House, per il quale “non si tratta della guerra contro le droghe”,
ma di “partitismo” e “alleati” al fine di “forzare gli altri governi della
regione” perché sostengano Trump. Pur nella consapevolezza generale, le
organizzazioni internazionali non si mostrano in grado di contrastare lo
strapotere trumpiano, il cui ritorno alla Dottrina Monroe è messo nero su
bianco. Qualche timido accenno è stato fatto mercoledì dall’Alto commissario Onu
per i diritti umani, Volker Türk, che ha chiesto una “de-escalation” fra Caracas
e Washington.
Vi è anche una coincidenza sospetta con gli eventi di Oslo, dove è stato
consegnato il Premio Nobel per la Pace a María Corina Machado. Il presidente del
Comitato del Nobel, Jørgen Watne Frydnes, ha invitato apertamente, forse per la
prima volta nella storia del riconoscimento, un capo di Stato a dimettersi,
incassando le proteste di circa 21 associazioni pacifiste vicine al premio.
Droga o meno, qualcuno ha deciso di smuovere le carte in America Latina: dal
Venezuela, raccontato come “grande malato”, al resto del continente.
L'articolo La lotta alla droga di Trump? Colpisce solo i governi non allineati e
grazia gli amici: dal Venezuela al Perù, il doppio standard Usa proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Tag - Droga
“Il protossido di azoto deve essere considerato uno stupefacente”, ha detto
stamattina Gérald Darmanin su BFM TV. Il ministro della Giustizia “auspica” una
rapida iscrizione della sostanza nella lista delle sostanze stupefacenti e
propone un divieto esplicito di consumo al volante, con la possibilità di
sequestro dell’auto in caso di violazione. Parigi prepara dunque una stretta
sulla regolamentazione del cosiddetto gas esilarante.
Proprio ieri, Darmanin è andato a Lille a incontrare la madre di Mathis, il
giovane di 19 anni morto il primo novembre scorso dopo essere stato investito su
un asse principale della città da un automobilista che fuggiva un controllo
della polizia: l’uomo era risultato positivo al protossido di azoto. L’avvocato
della famiglia di Mathis, Antoine Régley, ha chiesto al governo un intervento
urgente, limitando la “vendita e l’acquisto del protossido di azoto ai soli
professionisti autorizzati per decreto, su presentazione di apposita
documentazione, da rivenditori specializzati”.
L’allarme legato all’uso ricreativo del gas cresce in Francia dopo diversi
episodi drammatici. Nella notte del 3 dicembre scorso tre ragazzi, di 14, 15 e
19 anni, sono morti ad Alès, nel Gard, in un incidente stradale: il giovane che
era al volante ha mancato una curva e l’auto è finita nella piscina di
un’abitazione privata. Rimasti intrappolati all’interno del veicolo, i tre
giovani sono morti annegati e sono stati ritrovati solo al mattino. Nel mezzo
sono state rinvenuto diverse bombole di protossido di azoto e il conducente è
risultato positivo al test.
Usato legalmente in cucina come propellente, ad esempio nelle bombolette di
panna montata, e in medicina come anestetico e analgesico, il protossido di
azoto, un gas incolore e quasi inodore, è teoricamente vietato ai minori in
Francia dal 2021. La legge prevede una multa di 3.750 euro per chi lo vende
illegalmente a un minore e di 15.000 euro per chi ne incita il consumo. Ne è
anche vietata la vendita dal tabaccaio e nei bar. Di fatto è sempre più diffuso
e popolare tra i giovani, anche giovanissimi, che riescono a procurarselo
facilmente sui social. Inoltre, costa poco e l’effetto euforico è di breve
durata: elementi per cui viene percepito, a torto, come “sostanza sicura”. Da
parte loro, le agenzie sanitarie regionali (Ars) segnalano effetti che vanno dal
disorientamento alle allucinazioni, dall’oscuramento della vista alla perdita di
conoscenza fino a danni neurologici.
I dati statistici sono rari. L’ultimo studio di Santé Publique France, del 2022,
indicava che il 14% dei giovani tra i 18 e i 24 anni aveva già inalato il gas e
che oltre il 3% lo usava con gli amici per sballarsi. Un recente sondaggio Ipsos
indica che in Francia un giovane di meno di 35 anni su dieci ne ha fatto uso “a
scopi ricreativi”, in discoteca o con gli amici, e la metà mentre era al
volante. La percezione del rischio resta bassa: il 10% dei giovani tra i 16 e i
24 anni non ritiene pericoloso respirarlo prima o durante la guida. A fine
ottobre la Fondazione Vinci Autostrade ha avviato una campagna di prevenzione
sul consumo del gas esilarante sulle strade, rivelando che “sempre più bombole
vengono trovate lungo gli assi autostradali e sulle aeree di sosta”.
In Europa, dove il fenomeno cresce ovunque, l’Olanda ha vietato dal 2023 la
vendita e la detenzione del protossido di azoto, inserendolo nella lista delle
sostanze vietate dalla legge sugli stupefacenti. In Francia, benché il Paese sia
tra i più esposti, la legislazione avanza più lentamente, ma qualcosa si sta
muovendo. A marzo il Senato ha adottato un progetto di legge “volto a rafforzare
la lotta contro gli usi impropri del protossido di azoto”, presentata dal
senatore del partito radicale di sinistra (Prg) Ahmed Laouedj. Il testo prevede
il divieto di vendita durante le ore notturne, una multa di 1.500 euro per chi
abbandona cartucce o bombole sulla via pubblica e un inasprimento delle sanzioni
in caso di violazione del divieto di vendita ai minorenni. Ma il provvedimento
non si spinge fino a vietare la vendita ai privati. Dovrà ora essere esaminato
dall’Assemblea nazionale.
Nel frattempo, anche in vista delle feste di fine anno, si moltiplicano le
iniziative locali. In diverse città, Cannes, Bayonne, Grenoble, Colmar, Rodez,
Lille, Orléans o ancora Nancy, i comuni e le prefetture locali hanno adottato
ordinanze che vietano la detenzione, il trasporto e il consumo del protossido di
azoto, sanzionando l’abbandono di bombole e cartucce negli spazi pubblici. La
stampa regionale ha segnalato a metà agosto il sequestro di quasi 350 bombole in
un minimarket di Digione. In questo contesto, la ministra delegata agli Interni,
Marie-Pierre Vedrenne, è stata a Mions, vicino a Lione, dove i casi di utilizzo
improprio del gas sono in forte aumento, per partecipare a una serie di incontri
centrati sulla prevenzione, il rafforzamento degli interventi sul territorio e
il sostegno di politiche di educazione rivolte ai più giovani.
L'articolo Francia, la nuova droga dello sballo è il gas esilarante: il ministro
Darmanin propone di inserirlo nella lista degli stupefacenti proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Paura per Andy Dick. Come mostrato in un filmato pubblicato sui social da TMZ,
l’attore della saga di Zoolander è stato ritrovato privo di sensi per strada. La
causa del malessere è un’overdose da oppioidi. La star di Hollywood è stata
soccorsa da alcuni passanti che lo hanno scosso e sollevato con la forza. Le
persone hanno chiamato il 911 e hanno chiesto l’aiuto dei paramedici. Questi
ultimi hanno somministrato a Dick una dose di Narcan, un farmaco che inverte gli
effetti degli oppiacei assunti dall’attore. Dopo essersi ripreso, il 60enne ha
rifiutato di essere trasportato in ospedale. Intervistato telefonicamente da
TMZ, Andy Dick ha dichiarato di essere sollevato di stare bene, senza aggiungere
dettagli riguardo la sua situazione.
LE DIPENDENZE E I PROBLEMI CON LA LEGGE
Negli Stati Uniti Andy Dick è tanto conosciuto per la stand-up comedy quanto per
i suoi reati. L’uomo è stato più volte accusato di molestie e aggressioni. Come
confessato nel 2011 a WTF, programma condotto da Marc Maron, l’attore si è
pentito di aver esagerato con l’alcol: “Avrei più successo nel settore se non
bevessi. Non mi pento di bere, ma a volte mi pento di bere troppo e mi pento di
alcuni momenti di blackout: sono troppi per poterli contare”. Troppi momenti
complicati che hanno portato Dick ad altrettanti casi mediatici tra cui
l’arresto nel 2008 per le molestie su una minorenne e un secondo fermo per
violenze domestiche nel 2021. Nel 2017, come raccontato dal sito People,
l’attore fu cacciato dal set della commedia “Vampire dad” per comportamenti
scorretti.
> Former comedian Andy Dick has fallen from grace so completely. TMZ has a video
> of him overdosing on drugs. I hope he gets the help he needs. This is just so
> sad to see. pic.twitter.com/QOiIQxMimi
>
> — Ian Miles Cheong (@ianmiles) December 10, 2025
L'articolo L’attore Andy Dick trovato a terra in mezzo alla strada privo di
sensi: “È vivo solo grazie alla prontezza di alcuni passanti” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
Le Nazioni Unite con il rapporto intitolato “Myanmar Opium Survey 2025
Cultivation, Production, and Implications” certificano che il Paese birmano ha
superato l’Afghanistan nella produzione mondiale di oppio, in quella che viene
definita “coltura della sopravvivenza”. “Il Myanmar si trova in un momento
critico – ha dichiarato Delphine Schantz, responsabile dell’Ufficio delle
Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) per il Sud-est asiatico e il
Pacifico. “Questa importante espansione della coltivazione – afferma la
funzionaria – dimostra fino a che punto l’economia dell’oppio si sia ristabilita
negli ultimi anni e indica un potenziale di ulteriore crescita in futuro”.
L’Unodc ha sviluppato il dossier nell’ambito del programma che mira a tenere
sotto osservazione i Paesi più coinvolti nella produzione di stupefacenti. Si
tratta di Bolivia, Perù e Colombia, e per quel che riguarda la produzione di
papavero da oppio l’ufficio delle Nazioni Unite valuta i dati di Messico,
Afghanistan e Myanmar. Agli analisti appare evidente la connessione tra il
conflitto armato e l’aumento della produzione di oppio perchè proprio nella
regione di Sagaing, dove più forti sono gli scontri tra esercito e oppositori
dopo il golpe militare del 2021, è stata registrata la presenza di 552 ettari di
papaveri. Seguono le regioni di East Shan, dove la coltivazione è aumentata del
32 %, nel Chin (26 %) e in South Chan, che resta l’area principale con il 44% di
campi di papavero.
Sono questi i dati che spingono le Nazioni Unite a dichiarare che Myanmar ha
superato l’Afghanistan, dove il regime talebano ha imposto il divieto della
coltivazione di papavero per la produzione di oppio e l’attività è crollata del
95%. “Si stima che la produzione totale di oppio ammonterà a circa 1.010
tonnellate nel 2025, ovvero più del doppio dell’attuale livello
dell’Afghanistan”, scrivono le Nazioni Unite sul proprio sito.
Per quel che riguarda il traffico di eroina legato alla produzione di oppio le
cifre sono esplicite: secondo il rapporto nel 2025 si stima che in Myanmar siano
state consumate circa 5,8 tonnellate di eroina, per un valore di circa 64
milioni di dollari. Tra le 65 e le 116 tonnellate di eroina sono state
potenzialmente esportate, per cifre comprese tra 525 e 935 milioni di dollari.
Il valore lordo dell’intera economia degli oppiacei – compreso sia il valore del
consumo interno che le esportazioni di oppio ed eroina – in Myanmar nel 2025 è
stimato tra 641 milioni e 1,05 miliardi di dollari, pari a circa lo 0,9-1,4% del
Pil nazionale rilevato l’anno precedente. Per quel che riguarda il valore della
produzione, dalla fattoria fino all’esportazione oltre confine, varia tra 341 e
564 milioni di dollari. “Questo valore rappresenta il reddito generato dai
trafficanti dopo aver dedotto il costo dell’acquisto dell’oppio grezzo dai
coltivatori”, si legge nel dossier.
Come si diceva, gli analisti la chiamano “coltura di sopravvivenza”. Nel 2025, i
prezzi nazionali dell’oppio secco alla produzione si aggira in media sui 365
dollari al chilogrammo, più del doppio rispetto al 2019. L’Unodc stima che
l’anno scorso gli agricoltori abbiano guadagnato tra i 300 e i 487 milioni di
dollari dalla vendita dell’oppio. Ci sono poi le produzioni di droghe
sintetiche, tra cui metanfetamina e ketamina. Delphine Schantz descrive così la
situazione: “Spinti dall’intensificarsi del conflitto, dalla necessità di
sopravvivere e dal fascino dell’aumento dei prezzi, gli agricoltori sono
attratti dalla coltivazione del papavero. Se non vengono create alternative
valide, il ciclo di povertà e dipendenza dalle coltivazioni illecite non farà
che aggravarsi”.
L'articolo Il Myanmar ha superato l’Afghanistan nella produzione di oppio: per
le Nazioni Unite è la “coltura della sopravvivenza” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Un’altra indagine sul narcotraffico. Ma sotto la superficie, fra telefoni
criptati, porti lontani tra uniti nell’utilizzo e scambi di denaro che non
passano mai per una banca, c’è un traffico che attraversa mezzo mondo. E
racconta la storia di un’alleanza silenziosa tra ’ndrangheta, broker albanesi e
narcos sudamericani. E, in un angolo meno visibile, di un uomo che non porta
armi: un cambista cinese capace di far viaggiare milioni senza far muovere un
euro. E così martedì mattina i finanzieri del comando provinciale di Milano e
gli investigatori del Servizio centrale anticrimine hanno notificato ventotto
ordinanze: venticinque finite in carcere e tre ai domiciliari. L’accusa della
procura di Milano è quella di fa parte di un’organizzazione criminale armata che
ha orchestrato, finanziato e portato in Europa tonnellate di cocaina dal Sud
America.
LA RETE DELLE TRE MAFIE
L’indagine, coordinata dalla Direzione Nazionale Antimafia, ha svelato una trama
complessa, un intreccio di accordi tra gruppi criminali calabresi, lombardi e
campani. Al centro, la “famiglia Barbaro” di Platì, un nome storico della
’ndrangheta, abituato a muoversi con disinvoltura tra le rotte globali della
polvere bianca. È stata individuata una vera centrale operativa in Lombardia,
con tentacoli in Germania, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito, Colombia e Brasile.
Un hub internazionale che, in due anni, avrebbe movimentato droga per un valore
di oltre 27 milioni di euro. Il metodo era quello dei professionisti: porti
diversi—Livorno, Rotterdam, Gioia Tauro, Le Havre—e sempre la stessa tecnica, il
“rip-off”, il trucco con cui i narcos infilano la droga dentro container
perfettamente regolari, lasciando ai complici il compito di recuperarla prima
che la merce legale venga scaricata.
IL RUOLO DEI BROKER ALBANESI
Il vertice dell’organizzazione parlava direttamente con broker albanesi di peso
internazionale, figure chiave nel moderno narcotraffico europeo. Esperti di
logistica criminale, in grado di muovere carichi di cocaina come fossero
spedizioni commerciali. Le loro conversazioni, protette da sistemi di
messaggistica criptata, sono state recuperate grazie alla collaborazione di
Eurojust ed Europol. È da quelle chat che gli investigatori sono riusciti a
ricostruire i movimenti della rete e identificare gli uomini coinvolti.
IL CAMBISTA E IL DENARO INVISIBILE
Tra gli arrestati, c’è un personaggio insolito per un racconto di mafia: un
cittadino cinese, un cambista. Il suo compito era far viaggiare i soldi senza
farli vedere, usando il sistema di compensazione informale noto come fei eh
’ien, un metodo antico e diffusissimo in Asia, dove il valore si sposta senza
che si muovano contanti o vengano tracciati bonifici. Era lui a garantire che i
narcos venissero pagati. Una sorta di banca ombra, silenziosa, invisibile, ma
cruciale quanto le armi o i container.
TRE TONNELLATE E MEZZO DI COCAINA
Secondo gli investigatori, in due anni la rete avrebbe gestito importazioni per
oltre 3,5 tonnellate di cocaina, di cui più di 400 kg sequestrati in Italia e
all’estero. Una catena produttiva senza pause, dalla Colombia e dal Brasile fino
alle banchine dei porti europei. Perquisizioni e controlli sono stati eseguiti
nelle province di Milano, Pavia, Bergamo, Parma, Imperia, Como, Roma, Taranto e
Reggio Calabria, con unità cinofile antidroga impegnate a setacciare depositi,
abitazioni e magazzini.
L'articolo Il cambista cinese, i narcos e la rete delle tre mafie. “Storia” di
un traffico globale: 28 arresti proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’ex snowboarder olimpico Ryan James Wedding è stato inserito a marzo dall’Fbi
nella lista dei dieci latitanti più ricercati al mondo. Wedding è stato accusato
di aver ordinato l’omicidio di un testimone, secondo quanto ha dichiarato il
Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) che avrebbe dovuto
testimoniare contro di lui in un caso di droga negli Stati Uniti. Il testimone è
stato ucciso a gennaio con cinque colpi di pistola alla testa in Colombia.
Anche l’avvocato di Wedding, Deepak Balwant Paradkar – canadese come lui – è
stato arrestato con l’accusa di aver consigliato all’ex atleta olimpico di
uccidere la vittima per evitare l’estradizione negli Stati Uniti. Se condannati,
l’ex snowboarder 44enne e gli altri imputati in relazione all’omicidio rischiano
adesso l’ergastolo. Wedding è inoltre accusato di una congiura per lo spaccio di
sostanze stupefacenti e omicidio in relazione a un’attività criminale in corso.
Alcuni funzionari statunitensi hanno paragonato Wedding al narcotrafficante
messicano Joaquín “El Chapo” Guzmán e al colombiano Pablo Escobar.
“Ryan Wedding controlla una delle organizzazioni di narcotraffico più prolifiche
e violente al mondo”, ha dichiarato il Procuratore Generale degli Stati Uniti
Pam Bondi, aggiungendo che l’ex atleta “è il più grande spacciatore di cocaina
in Canada“. Mercoledì l’Fbi ha dichiarato che la ricompensa per informazioni che
portino all’arresto e alla condanna di Wedding sarà aumentata fino a 15 milioni
di dollari. L’ex snowboarder ha gareggiato nello slalom gigante parallelo
maschile alle Olimpiadi invernali del 2002 a Salt Lake City, classificandosi
ventiquattresimo. Funzionari statunitensi hanno affermato che si ritiene che
Wedding si trovi in Messico.
L'articolo “Come El Chapo e Pablo Escobar, comanda un’organizzazione
violentissima”: l’ex snowboarder olimpico tra i latitanti più ricercati al mondo
proviene da Il Fatto Quotidiano.
Armi e cocaina. Radio malavita gracchia forte: “Con la mitraglietta ho otto
caricatori da 36, sai che significa? Trecento colpi, e andiamo!”. “Bamba,
bamba!”. Un bel cocktail che oggi a Milano, nonostante i tanti decreti sicurezza
sbandierati dal governo, va di gran moda. Al bancone lo servono organizzazioni
sempre più robuste che spacciano grammi ad avvocati, giudici, politici e che nei
blocchi di cemento della periferia raccolgono consenso sociale alimentando i
testi di giovani trapper. A far da timone, a partire dal 2023, le indagini sulla
banda del quartiere Barona. Ultima in ordine temporale quella sulla Super
Mamacita Katia Adragna, narco-madrina legata al gruppo di Nazzareno e Luca
Calajò. Un clan che ricorda, per forza e ramificazioni, quello della Magliana e
che come la banda romana sembra una matrioska.
E così il gioco delle bambole mostra oltre al gruppo sovrano della Barona altre
batterie di trafficanti che tengono in mano la città. L’ultima e inedita
controlla lo storico quartiere del Giambellino, quello del Cerutti Gino cantato
da Giorgio Gaber. Ma qui oggi non è più tempo di nebbia e romanticherie, qui il
sapore è quello metallico delle armi e dello spaccio en plein air. Con i
“cavallini” che, cresciuti alla scuola di Katia Adragna e dei grandi boss,
sognano di indossare abiti da trafficanti. Massimo Caivano è un milanese di 47
anni. Al Giambellino tra i civici 64 e 59 è il ras. Dice: “Prima di tutto
comando io, sempre e comunque”. Ne parla con Giovanni Licausi, giovane siciliano
di 32 anni, il quale dopo aver lavorato per Katia Adragna vuole mettersi in
società con Caivano: “Ma se io dovessi venire a lavorare pure, perchè voglio
portare persone”. In batteria poi ci sono i fratelli Simula, Davide e Francesco
che qualche problema lo hanno con Tony Faraci, trapezzista della cocaina tra il
Giambellino e il cuore della Barona, ma soprattutto pistolero dal grilletto
facile.
Armi, dunque. Per difendersi e attaccare. Armi da guerra, bombe a mano,
mitragliette. E sì perché seguendo i neofiti del Giambellino style si incappa in
una Santabarbara che dovrebbe allarmare politica e Comune di Milano. Invece
nulla. E così liberamente, fino a pochi giorni prima di finire in carcere
assieme alla mamacita e altri manager della coca, Toni Faraci, bolognese
trapiantato sotto al Duomo, si permetteva di scendere dall’auto pistola in pugno
e colpo in canna. Perché le microspie oltre alle parole ascoltano anche i
rumori. Così negli atti si legge: “La registrazione fornisce la prova
inequivocabile che Faraci sia in possesso di una pistola visto che, quando lui
esce dall’autovettura, scarrella la pistola per inserire il colpo in canna,
generando in tal modo il tipico rumore causato dalla predetta operazione”.
A Faraci, stando agli atti d’indagine, la mosca al naso salta non di rado. Anche
per stupidaggini come un caricatore del cellulare che non gli vogliono prestare:
“Adesso ti ammazzo! Ti sparo ti giuro! Se mi arrestano ti ammazzo! Vai su,
infame!”. Finisce così che il gruppo del Giambellino più che organizzato sembra
comporsi da “indiani metropolitani” pronti a tutti. I fratelli Simula, vista la
loro vicinanza con Martina M. che tempo addietro aveva avuto un relazione con
Faraci, temono ritorsioni e si preparano alla guerra: “Ah bè, io devo vivere con
la paura che tu mi vieni a sparare?! Eh?! Ma che cazzo me ne fotte a me di lui!!
Se troviamo i colpi della Glock gli do due colpi in testa!! M’ha cagato la
minchia. La pistola ce l’abbiamo a casa, nell’armadietto. Mi mancano i
proiettili della Glock, chiama chi cazzo vuoi e trovaci i proiettili della
Glock!!”. Faraci del resto viene definito dagli inquirenti come “soggetto di
elevato spessore criminale, che pure si ritiene sia in possesso di diverse armi
clandestine e relativo munizionamento”. Una di queste, la mitraglietta, per un
po’ l’ha tenuta come foto profilo su Whatsapp fino a quando un amico gli ha
consigliato di toglierla.
Quali siano queste è comunque lo stesso Faraci a raccontarcelo intercettato in
auto con due amici. E così il Giambellino style diventa far west metropolitano:
“Pensa se mi trovavano le armi (…). Una 38, una Glock, menomale che le ho
portate qua. Una 38, una 9×21, una mitraglietta, ho la 857 magnum. Otto
caricatori, la mitraglietta! Da trentasei! Sai che significa? Trecento colpi! E
andiamo! La guerra faccio solo con quello! Mi chiamo John Rambo. Aspetta aspetta
dopodomani mi arrivano quattro ananas, le bombe a mano! Così me le metto
addosso! Con le catenelle! Venite, venite!”. Corrono le parole come corre la
Fiat Punto lungo le strade dal Giambellino alla Barona.
L'articolo Giambellino a mano armata, il nuovo clan dello spaccio nel quartiere
cantato da Gaber: “Ho 300 colpi, faccio la guerra” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Importavano eroina e cocaina dall’Olanda e le riversano su Veneto e Lombardia.
Lo facevano in modo così organizzato da essere considerati un’associazione a
delinquere dalla Dda di Venezia. Con l’operazione Marshall i carabinieri hanno
arrestato venti cittadini nigeriana di età compresa tra i 25 e i 57 anni. Gli
inquirenti li ritengono responsabili di sistema criminale di spaccio
internazionale e traffico di droga che presentava dei ruoli estremamente
delineati.
L’organizzazione poteva contare su un fornitore nei Paesi Bassi, che trovava e
inviava gli stupefacenti. In Italia era presente un promotore a coordinare le
attività e un gruppo di distributori che confezionavano e spacciavano le
sostanze. La droga era trasportata da una rete di corrieri (i body packer) che
ingerivano degli ovuli, e portavano la merce passando il confine con la Francia.
Le zone principali di spaccio erano il Veneto e la Lombardia. Ogni corriere
trasportava più o meno un kg di droga suddiviso in ovuli da 11 grammi sui quali
era segnato con un pennarello una sigla identificativa dell’acquirente finale.
Ascoltando le loro comunicazioni è stato decriptato il loro particolare
linguaggio dove, ad esempio, il termine “TOP” era riferito alla cocaina, “SPA”
all’eroina, “Pantaloncino” alle dosi da 5 grammi e “Fogli di caramelle” al
denaro contante. Tra gli episodi citati dalla procura anche quello dell’aprile
2025, presso la stazione ferroviaria di Padova, quando una 34enne è stata
arrestata mentre trasportava 1,1 kg di cocaina occultati nel reggiseno. Dopo un
indagine durata due anni, ora il giudice per le indagini preliminari di Venezia
ha disposto la custodia cautelare per tutti gli indagati anche considerando i
numerosi precedenti a carico di alcuni esponenti dell’organizzazione e il
concreto rischio di fuga.
L'articolo Dall’Olanda al Veneto e alla Lombardia, arrestata la “banda” dei
nigeriani che trafficava eroina e cocaina proviene da Il Fatto Quotidiano.
“State tranquilli, qui da noi la polizia non è attenta. Sono dei minch*oni”.
Così un 26enne del Torinese rassicurava e tranquillizzava i complici del
traffico di droga che gestiva fra l’Italia, il Vietnam e la Thailandia. Alla
fine però è stato arrestato al termine di un’indagine condotta proprio dalla
polizia e, in particolare, dall’aliquota in forza alla procura di Asti (oltre
che dai carabinieri).
Il giovane, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, girava fra i tre Paesi
usando un visto di “nomade digitale” e gestiva dal web quello che è stato
definito un vero e proprio supermarket degli stupefacenti: hashish, cocaina,
eroina, ketamina, oppio, Lsd. Tutta droga che veniva spedita in Italia con il
servizio postale e destinata a locker automatizzati.
A supportarlo e aiutarlo logisticamente, sempre secondo le indagini, erano degli
amici di vecchia data che, nonostante le sue rassicurazioni, sono stati tutti
arrestati in flagranza di reato. Per un arco di tempo il 26enne, che risiede a
Cambiano (Torino), ha cambiato i suoi collaboratori, ma dopo l’ultima retata è
scappato all’estero.
Circa dieci giorni fa è stato rintracciato e arrestato a Bangkok, in Thailandia.
Dopo qualche giorno ha chiesto e ottenuto di rientrare in Italia, dove è stato
prelevato dalla polizia all’aeroporto di Milano Malpensa e condotto nel carcere
di Busto Arsizio.
L'articolo Trafficava droga tra Italia, Vietnam e Thailandia: “Qui la polizia
non è attenta, sono dei minch*oni”. Ma lo arrestano proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Pio D’Antini e Amedeo Grieco non solo tornano al cinema dal 27 novembre con “Oi
Vita Mia” ma per il quinto film da protagonisti debuttano anche come registi:
“Ci prendiamo tutta la responsabilità, ma volevamo prenderci tutta la libertà
che volevamo”, dicono all’unisono a FqMagazine.
Pio gestisce una comunità di recupero per ragazzi, Amedeo una casa di riposo
per anziani, dove alloggia anche Lino Banfi (“sono un malato di Alzheimer e sono
da sempre un ammiratore di Pio e Amedeo, quindi sono felicissimo di aver fatto
questo film a novant’anni”). Uno ha una relazione in crisi, l’altro una figlia
adolescente irrequieta. Costretti dalle circostanze a vivere sotto lo stesso
tetto tra anziani smemorati e giovani casinisti che si fanno la guerra, i due
finiranno per scambiarsi consigli non richiesti, infilarsi in situazioni assurde
e, tra bollette arretrate e partite a padel, trovare finalmente il coraggio di
mettere ordine alle loro vite e scoprire così un nuovo modo di stare assieme.
Il film, nelle sale dal 27 novembre, si mantiene sui toni della leggerezza, ma
anche un retrogusto amaro nella narrazione di categorie difficili e spesso
dimenticati dalla società. Un buon debutto alla regia per i due attori e comici.
LA SOLITUDINE UNISCE (PURTROPPO) GENERAZIONI DIVERSE
“Abbiamo pensato ad un film generazionale perché tra i temi c’è anche la
solitudine. – dicono all’unisono i due – L’individualismo sta prendendo il
sopravvento. Abbiamo pensato che questo tema potesse unire due generazioni
lontane, abbattendo un po’ questo muro che ormai li divide con questa convivenza
che c’è all’interno di questo film. Si impone così un dialogo alla fine tra due
mondi, apparentemente distanti, ma uniti nella realtà”.
I GIOVANI DI OGGI SONO LASCIATI ALLO SBANDO, CON LE ALI TARPATE
E poi ancora Pio ha specificato: “In Italia c’è disattenzione verso le
problematiche di giovani e anziani. Per i giovani abbiamo la percezione che più
nessuno si prenda le responsabilità. Sono un po’ tutti così mandati allo sbando.
Parlo da padre e confido che la scuola insegni a mia figlia delle cose, ma la
scuola confida nella famiglia e allora la famiglia confida sul catechismo ed è
tutto uno scaricabarile su questi giovani. Noi siamo chiamati alle
responsabilità. Ed è la cosa più difficile del mondo, la cosa meno naturale del
mondo… La realtà ci riempie di dubbi e non ci sono certezze perché ogni tanto
arriva qualcuno e ti dice ‘tuo figlio lo devi educare in questo modo’ e tu lì
entri in un trip perché dici ‘lo rimprovero o non lo rimprovero? Gli tolgo
questa cosa o non gliela tolgo?’. Mi dispiace molto perché vedo tanti giovani
con le ali tarpate, ecco perché abbiamo pensato di unire gli anziani ai giovani
in questo film, perché l’uno per gli altri sono terapeutici. Una volta gli
anziani vivevano in famiglia, oggi sono visti come un peso. E qui entrano in
gioco le case di riposo, dove abbiamo ambientato la pellicola”.
E ALL’IMPROVVISO COMPARE ANCHE “TEMPTATION ISLAND”
Nella pellicola viene citato anche “Temptation Island”: “L’abbiamo inserito per
fare una citazione anchea un pubblico mainstream. Perché questo film è pieno di
piccole citazioni, c’è anche l’omaggio a Monicelli, che è stato un po’ il papà
di un certo tipo di commedia, ma abbiamo scelto ‘Temptation Island’ perché
rappresenta un prodotto transversale, un prodotto che è apprezzabile da ogni
fascia sociale e d’età. Quindi abbiamo fatto questa citazione a questo programma
che è diventato un fenomeno di costume. In questo passaggio naturale nella
storia, c’è un ipotetico tradimento e quindi c’è una missione ad un certo punto
della sceneggiatura che sfocia nella spiaggia. Comunque speriamo che questo film
piaccia anche al pubblico di ‘Temptation Island’, quindi a tutti”.
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anziani sono terapeutici. Ecco perché uniamo due generazioni”: Pio e Amedeo neo
registi con “Oi Vita Mia” proviene da Il Fatto Quotidiano.