“Un mercato delle vacche“, “un verminaio“, “una macchia nerissima nella storia
della magistratura”. Più si avvicina il referendum, più Carlo Nordio cerca
definizioni apocalittiche per il sistema Palamara, il suq delle nomine
giudiziarie venuto a galla nell’ormai lontano 2019. Il ministro della Giustizia
usa il nome dell’ex pm radiato come spauracchio per sponsorizzare il sorteggio
del Consiglio superiore della magistratura, uno dei pilastri della sua riforma
costituzionale. E accusa l’attuale Csm – composto per due terzi da membri eletti
dalle toghe – di aver “insabbiato lo scandalo del secolo“, nascondendo “la
polvere sotto il tappeto”. “Noi possiamo anche credere all’asinello che vola, ma
non possiamo credere che lo scandalo Palamara si sia limitato a quei quattro
poveretti che si sono dimessi”, ha detto, riferendosi agli ex consiglieri
beccati a concordare coi politici il nome del futuro procuratore di Roma in una
saletta del famigerato hotel Champagne. Nel merito, Nordio ha sicuramente
ragione: quasi tutti i sodali di Palamara, che si rivolgevano a lui per ottenere
poltrone per sé e gli amici, non hanno avuto conseguenze sulla carriera, e molti
sono stati addirittura promossi. C’è solo un dettaglio: in questa consiliatura,
i voti decisivi per salvarli sono arrivati sempre dai “laici” di centrodestra,
cioè i consiglieri eletti dal Parlamento su input dei partiti della maggioranza.
L’ennesimo colpo di spugna risale a mercoledì, quando a palazzo Bachelet si è
discusso il caso di Roberto Ceroni, pm a Bologna e già referente per
l’Emilia-Romagna della corrente UniCost, a lungo dominata da Palamara (ora in
fase di profondo rinnovamento dopo lo scandalo). Tra il 2017 e il 2018 Ceroni
scriveva insistentemente su WhatsApp al collega, allora membro del Csm,
chiedendogli di spendersi perché i posti ai vertici di Tribunali e Procure
nell’Emilia e nelle Marche andassero a esponenti di UniCost: “Luca, mi
raccomando. Area (la corrente progressista, ndr) sta facendo man bassa nel
distretto a nostro discapito. Di tutto quello che è stato bandito negli ultimi
mesi abbiamo chiesto solo mirati posti e sinora solo uno ne abbiamo ottenuto.
Non possiamo perdere, il gruppo ne pagherebbe le conseguenze”, è uno dei tanti
messaggi sequestrati sul telefono di Palamara. Per queste chat il pm bolognese
ha subito un procedimento disciplinare da cui è uscito assolto per “scarsa
rilevanza del fatto“; tre giorni fa il Consiglio doveva decidere se concedergli
la valutazione positiva di professionalità, lo scatto di carriera previsto ogni
quattro anni. È finita con dieci voti favorevoli e otto contrari: ago della
bilancia i nove astenuti, tra cui cinque laici scelti dai partiti di governo
(Felice Giuffré, Daniela Bianchini e Isabella Bertolini in quota Fratelli
d’Italia, Claudia Eccher per la Lega ed Enrico Aimi per Forza Italia).
Ma i “chattisti” perdonati dalla destra sono molti di più. Una Nordio se l’è
persino portata al ministero: Rosa Sinisi, ex presidente della Corte d’Appello
di Potenza, nominata vice capo del Dipartimento organizzazione giudiziaria dopo
aver raccomandato per anni a Palamara candidati “amici” per i posti di tutta la
Puglia. Il Csm avrebbe potuto bloccare l’incarico per ragioni di opportunità, ma
il via libera è arrivato grazie ai 14 voti favorevoli dei laici di destra e dei
togati conservatori di Magistratura indipendente, nonostante i nove contrari e
le sette astensioni. Eclatante il caso della giudice Marilena Rizzo, una delle
toghe più sfacciate nel segnalare nomi in chat (indicandoli come “i nostri”),
anche lei graziata in sede disciplinare per “scarsa rilevanza”: prima è stata
confermata come presidente del Tribunale di Firenze, poi, pochi mesi fa,
promossa alla guida della Corte d’Appello di Bologna, in entrambi i casi –
neanche a dirlo – con i voti del centrodestra.
Tra gli interlocutori di Palamara “amnistiati” grazie alla maggioranza anche
Antonello Racanelli, confermato procuratore aggiunto a Roma e poi promosso capo
dei pm di Padova; Vittorio Masia, confermato presidente del Tribunale di
Brescia; Massimo Forciniti, ex presidente di sezione del Tribunale di Crotone,
che ha scampato il trasferimento d’ufficio per incompatibilità e poi ha ottenuto
regolarmente il suo scatto di carriera quadriennale. Fino a Cosimo Ferri,
l’altro grande tessitore dell’hotel Champagne: l’ex sottosegretario renziano
alla Giustizia rischiava la radiazione dalla magistratura come Palamara, ma è
uscito indenne dal procedimento disciplinare grazie allo scudo della Camera, che
ha negato l’uso delle intercettazioni nei suoi confronti. E chi ha votato per
negarlo? Ovviamente i deputati di centrodestra, insieme a quelli di Italia viva
e Azione. Così ora, dopo un periodo “in esilio” al ministero della Giustizia,
Ferri potrà tornare a fare il magistrato, grazie a una sentenza del Consiglio di
Stato che ha disapplicato nei suoi confronti la legge sulle porte girevoli. A
proposito di scandali “insabbiati”.
L'articolo “Il Csm ha insabbiato il caso Palamara”: Nordio rivanga lo scandalo
per spingere la riforma. Ma a salvare le toghe coinvolte è stata la destra: ecco
i casi proviene da Il Fatto Quotidiano.