La recente norma che ha reso il femminicidio reato autonomo a mio avviso può e
deve essere esaminata da tre punti di vista: come cittadini, sotto il profilo
tecnico e attraverso l’analisi politica. Il femminicidio è ora previsto
dall’art. 577 bis del codice penale. Come cittadini, non si può che esserne
soddisfatti. Qualunque cosa sia utile a fermare la furia omicida dei maschi
contro le donne, deve essere vista con grande favore. Sotto il profilo tecnico,
però, occorre fare alcune osservazioni.
Fino a oggi, l’uccisione di una donna per il suo “essere donna” era omicidio
volontario aggravato da motivi abietti o futili oppure da crudeltà e sevizie,
delitto punito con l’ergastolo. Con l’introduzione della nuova norma, invece,
l’uccisione di una donna commessa per odio, discriminazione, prevaricazione o
come atto di controllo, possesso o dominio in quanto donna, o anche per il
rifiuto di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di
limitazione delle sue libertà individuali (l’articolo dice testualmente questo),
è considerata femminicidio ed è punita con l’ergastolo. Guardiamo l’art. 3 della
Costituzione: recita che i cittadini italiani sono uguali davanti alla legge
sotto ogni profilo, perciò è chiaro che l’introduzione del delitto di
femminicidio cozzi contro questo principio.
Se confrontiamo le aggravanti dell’art. 61 del codice penale, cioè l’aver agito
per motivi abietti o futili o con sevizia e crudeltà, con gli elementi richiesti
dal delitto di femminicidio (cioè – lo ripetiamo – l’atto di odio o di
discriminazione o di prevaricazione o l’atto di controllo o possesso o dominio
in quanto donna, o per il rifiuto della donna di instaurare o mantenere un
rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali),
probabilmente riterremmo che per il giudice sarebbe più semplice individuare i
motivi abietti o futili, piuttosto che la prevaricazione e la volontà di
possesso o di controllo. È meno complicato considerare abietto l’omicidio della
propria compagna, che non cercare di capire se, nel momento dell’uccisione, la
psiche di un assassino stesse discriminando o prevaricando una donna in quanto
tale.
Non solo la nuova formulazione potrebbe creare problemi interpretativi ai
giudici, ma addirittura – e questo è davvero paradossale – potrebbe fornire ai
difensori dell’imputato delle armi potenti: come si fa a dimostrare che
quell’uccisione è avvenuta per un atto di possesso o di dominio? Cos’è, in
realtà, un atto di possesso o di dominio? Come si può provare? Per contestare
l’accusa, ora i legali dell’assassino potranno attingere alla sociologia, alla
psicologia, perfino alla filosofia o alla Storia. A questo punto, mi domando se
fosse davvero necessario creare una norma autonoma per punire l’uccisione di una
donna in quanto tale.
Qui aggiungo un’analisi politica. Infatti, il governo – che ha varato l’art. 577
bis con l’appoggio dell’opposizione – oggi può vantarsi di aver comunque fatto
qualcosa per arginare il problema, sulla base del principio che la stragrande
maggioranza (della gente che vota) ignora totalmente il profilo tecnico di cui
abbiamo parlato.
In conclusione, che il femminicidio serva a prevenire la strage delle donne –
cosa purtroppo poco probabile – a noi sta più che bene. Ma il sospetto che
l’introduzione del femminicidio come reato autonomo sia soprattutto
un’iniziativa finalizzata all’immagine politica, c’è tutto.
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problemi interpretativi proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“In teoria, con la Costituzione attuale, si potrebbe anche sottomettere o
comunque vincolare il pubblico ministero al potere esecutivo. La nostra
Costituzione attualmente attribuisce l’assoluta indipendenza e autonomia
soltanto al giudice“. Parlando alla convention di Noi moderati a Roma, Carlo
Nordio propone una singolare lettura – che forse è un auspicio – del principio
di indipendenza della magistratura sancito dalla Carta: secondo il ministro
della Giustizia, nella Costituzione attuale “si dice che soltanto il giudice è
soggetto alla legge”, mentre con la riforma sulla separazione delle carriere,
oggetto di referendum in primavera, “la figura del pm viene elevata allo stesso
rango d’indipendenza e autonomia del giudice”. Per sostenere questa tesi Nordio
cita l’articolo 101, che recita “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”,
ma sembra dimenticarsi del tutto l’articolo 104, secondo cui “la magistratura
costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere“. E della
magistratura, prima e dopo la riforma, fanno e faranno parte anche i pubblici
ministeri.
Non è ben chiaro, poi, cosa intenda il Guardasigilli quando afferma che con la
nuova legge i pm saranno “elevati” al rango dei giudici. L’articolo 101 infatti
resterà identico e continuerà a definire esclusivamente i giudici “soggetti
soltanto alla legge”, mentre il 104 verrà completamente riscritto: prima
specificando che la magistratura è “composta dai magistrati della carriera
giudicante e della carriera requirente“, poi disciplinando i due distinti
Consigli superiori per le due categorie. Insomma, non si capisce perché dopo la
riforma l’indipendenza dei pm separati dai giudici dovrebbe essere più al
sicuro. Nordio però accusa di “ignoranza” chi avverte del rischio di una futura
sottoposizione delle Procure all’esecutivo: si tratta di “trucchi verbali, vere
e proprie trappole enfatiche che non hanno nessun fondamento con la realtà. Mi
dolgo che simili sciocchezze vengano dette da alcuni magistrati”.
Il ministro accusa poi l’Associazione nazionale magistrati di opporsi alla
riforma perché gli toglie il “potere” di influire sulle decisioni del Csm, i cui
membri togati verranno sorteggiati. “Tutti sanno, in realtà, i magistrati per
primi, che quello che irrita l’Anm è che il sorteggio rompe, spezza, infrange,
frantuma quel legame perverso fra elettori ed eletti che ha fondato quella
baratteria di scambi di cariche al’interno del Csm e anche al momento del
giudizio disciplinare che è emerso nel caso Palamara”. Come ha già fatto più
volte, Nordio afferma che le toghe abbiano messo “la polvere sotto il tappeto”
dopo lo scandalo nomine, usando come capro espiatorio il “povero Palamara,
estromesso in tempi rapidi dalla magistratura”. Nel merito, il Guardasigilli ha
ragione: quasi tutti i sodali di Palamara, che si rivolgevano a lui per ottenere
poltrone per sé e gli amici, non hanno avuto conseguenze sulla carriera, e molti
sono stati addirittura promossi. C’è solo un dettaglio: al Csm i voti decisivi
per salvarli sono arrivati sempre dai “laici” di centrodestra, cioè i
consiglieri eletti dal Parlamento su input dei partiti della maggioranza. Una
dei sodali di Palamara Nordio se l’è persino portata al ministero: Rosa Sinisi,
ex presidente della Corte d’Appello di Potenza, nominata vice capo del
Dipartimento organizzazione giudiziaria dopo aver raccomandato per anni all’ex
pm radiato candidati “amici” per i posti di tutta la Puglia.
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governo”. Ma non è vero: è “autonomo da ogni potere” proviene da Il Fatto
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