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La bugia di Meloni sulla separazione delle carriere: “Non ci sarà più una vergogna come il caso Garlasco”. Ma non è vero
È il caso che più di ogni altro incolla i telespettatori agli schermi. Ne beneficia lo share televisivo, ma pure i numeri registrati dai siti di news e dai quotidiani online: basta parlare del caso Garlasco e l’audience cresce. Sarà per questo motivo se, tra tutti i cold case, Giorgia Meloni ha deciso di citare proprio la vicenda dell’assassinio di Chiara Poggi per lanciare la campagna elettorale in vista del referendum sulla separazione delle carriere in magistratura. E pazienza se casi giudiziari come quello di Garlasco continueranno a verificarsi anche quando pm e giudici saranno formalmente due mestieri separati. MELONI E LA “VERGOGNA” DI GARLASCO Certo per arrivare a quel punto bisognerà prima aspettare che i Sì superino i No al quesito referendario. Ed è quindi in questo clima da campagna elettorale permamente che Meloni è arrivata a chiudere l’ultima edizione di Atreju. Alla fine di un discorso lungo poco più di un’ora, la premier ha citato una frase del magistrato Rosario Livatino, ucciso dai mafiosi della Stidda nel 1990. “Il giudice se apparirà sempre libero e indipendente, si mostrerà degno della sua funzione; se si manterrà integro e imparziale non tradirà mai il suo mandato”, è la citazione del “giudice ragazzino”. Meloni l’ha tradotta così: “La giustizia cioè non può essere piegata, né manipolata, né intimidita”. Sorvolando sul fatto che spesso sono esponenti del suo governo (o lei stessa) ad attaccare i magistrati e a manipolare il contenuto di alcune sentenze (come nel caso dei centri in Albania), la capa dell’esecutivo ha quindi lanciato la corsa al referendum. “È esattamente quello che vogliamo realizzare con la riforma del Csm che finalmente libererà la magistratura dall’influenza nefasta delle correnti politicizzate. E con l’istituzione dell’Alta corte disciplinare per affermare finalmente che chi sbaglia si assume la sua disponibilità”. Secondo Meloni queste sono “misure che servono all’Italia. Sono misure che non hanno nulla a che vedere con il ‘mandiamo a casa la Meloni“, ha detto, con una punta di falsetto sull’ultima frase. Nel caso qualcuno avesse dubbi, la premier ha spiegato di riferirsi a chi “chiaramente non ha alcun argomento nel merito delle norme”. Poi ha sganciato l’esito del voto al referendum dal suo destino politico: “Fregatevene della Meloni, tanto questo governo rimane in carica fino alla fine della legislatura. I governi passano, ma le leggi rimangono e incidono sulla vostra vita. Fregatevene della Meloni, votate per voi stessi, per i vostri figli, per il futuro di questa nazione”. Quindi, con il tipico climax ascendente che caratterizza l’oratoria meloniana, ecco la citazione del cold case più pop del momento: “Votate perché non ci debba più essere una vergogna come quella che stiamo rivedendo a Garlasco, ultimo caso solo dal punto di vista temporale di una giustizia che va profondamente riformata”. La folla, ovviamente, ha applaudito a scena aperta. L’OMICIDIO DI 18 ANNI FA Ma è davvero così? Con la separazione delle carriere non ci sarà più la “vergogna” che stiamo vedendo a Garlasco, come dice la Meloni? Ma poi quale sarebbe la “vergogna” del caso Garlasco? A cosa si riferisce la premier? Le indagini sull’omicidio di Chiara Poggi sono state riaperte dalla procura di Pavia nel marzo scorso, quasi diciotto anni dopo i fatti. I pm sostengono di aver trovato nuovi elementi che li hanno portati a scrivere nel registro degli indagati il nome di Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. Secondo l’ipotesi degli inquirenti, avrebbe agito in concorso con Alberto Stasi (o con ignoti), fidanzato di Chiara Poggi, che fino a oggi è l’unico condannato per l’omicidio commesso il 13 agosto del 2007. Già all’epoca i sospetti si concentrarono subito su Stasi, arrestato il 24 settembre del 2007. Dopo aver scelto l’abbreviato, venne assolto in primo grado (2009) e pure in Appello (2011). Poi, però, nel 2013 la Cassazione annullò l’assoluzione, ordinando un nuovo processo di secondo grado. Alla fine del quale, Stasi venne riconosciuto colpevole, senza le aggravanti della crudeltà e della premeditazione: trattandosi di un processo in abbreviato, l’imputato ottenne uno sconto di un terzo della pena, quindi la condanna a 24 anni venne ridotta a 16 anni di carcere. Sentenza poi confermata dalla Suprema corte. INNOCENTISTI E COLPEVOLISTI Il tortuoso iter processuale, sommato a una serie di errori commessi nelle indagini, ha trasformato l’assassinio di Garlasco in un vero e proprio caso, che ha spaccato l’opinione pubblica tra colpevolisti e innocentisti: c’è chi crede che Stasi sia l’unico assassino e chi invece lo considera un capro espiatorio. “Trovo irragionevole che, dopo una sentenza o due sentenze di assoluzioni, sia intervenuta una condanna senza nemmeno rifare l’intero processo”, ha detto per esempio Carlo Nordio. Un’opinione legittima, soprattutto perchè proviene dal Ministro della Giustizia: il guardasigilli, certo, potrebbe riformare il codice per modificare questo meccanismo. Fino a oggi, però, non l’ha mai fatto. E di sicuro non è con la riforma della separazione delle carriere che avverrà tutto questo. Il provvedimento, come è noto, si limita a differenziare completamente e nettamente i percorsi professionali tra giudicanti e requirenti. Per questo motivo verrà sdoppiato il Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno delle toghe: ne esisteranno due, uno per i pubblici ministeri e un altro per i giudici. Nascerà poi un terzo organo, l’Alta Corte disciplinare, che sanzionerà i magistrati per i loro illeciti professionali: prerogativa che al momento appartiene al Csm. Su tutto questo dovranno esprimersi i cittadini, chiamati a votare al referendum costituzionale della prossima primavera. Anche se dovesse vincere il Sì, la riforma non inciderà in alcun modo sulla celebrazione dei processi, sulla loro velocità, sulla capacità degli investigatori di compiere le indagini e su quella dei giudici di valutare le prove. COSA NON SUCCEDERÀ CON LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE Nulla dunque impedirà a una procura di riaprire le indagini su fatti di cronaca nera, come avvenuto appunto su Garlasco. Si può dibattere sull’opportunità di mettere sotto inchiesta Sempio o su quella di aver chiuso il caso con la sentenza Stasi, si può discutere sugli evidenti errori commessi nelle indagini di 18 anni fa, ma sempre avendo ben chiaro un elemento: con la separazione delle carriere una “vergogna” come quella di Garlasco – qualsiasi fosse il riferimento di Meloni – si potrà verificare ancora. Anche quando i pm avranno una carriera separata dai giudici continueranno a esistere i casi irrisolti, quelli risolti parzialmente e quelli definiti ma in cui le indagini vengono riaperte lo stesso. Perché dunque Meloni ha citato Garlasco ad Atreju come simbolo dei mali che saranno spazzati via in caso di vittoria al referendum? Secondo Barbara Floridia, presidente M5S della Commissione di Vigilanza sulla Rai, la premier ha dichiarato apertamente “di essere a capo del circo mediatico sul caso Garlasco. Un caso che non è più cronaca, è cornice narrativa: serve a tenere alta la tensione, a costruire l’emergenza permanente e a spingere il referendum sulla separazione delle carriere. Un’operazione che non accelera i processi, non rende la giustizia più efficiente, non migliora la vita dei cittadini. Serve solo a fare propaganda, e la propaganda ha bisogno di rumore costante. Per questo ci martellano giorno e notte con trasmissioni che ne parlano”. Del resto che la riforma non inciderà in alcun modo sui tempi di accertamento della verità lo ammettono pure autorevoli esponenti di governo. “Con questa riforma processi più veloci? Chi parla di questo non conosce il sistema della giustizia in Italia”, ha detto, per esempio, Andrea Ostellari, sottosegretario alla giustizia della Lega, il giorno dell’approvazione definitiva del provvedimento. E d’altra parte a riconoscerlo era stato lo stesso ministro Nordio, nel marzo scorso: “Questa riforma non influisce sull’efficienza della giustizia“. Qualcuno allora dovrebbe ricordarlo a Meloni. L'articolo La bugia di Meloni sulla separazione delle carriere: “Non ci sarà più una vergogna come il caso Garlasco”. Ma non è vero proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il trafficante di droga grida in aula contro il pm De Tommasi e lo minaccia: “Deve finirla di rovinare le persone”
Il trafficante già condannato per associazione a delinquere oggi torna in aula per altri capi d’imputazione. Sul piatto sempre droga. Aula bunker del carcere milanese di Opera, Luigi Ruggiero, tarantino classe ’87, considerato a capo della batteria di trafficanti del comune di Rozzano assieme al defunto Chicco Pagani, prende la parola per alcune dichiarazioni spontanee. E che fa? Minaccia chiaramente il pubblico ministero. E chi è il pm? Francesco De Tommasi per il quale Ruggiero è uno dei tanti protagonisti della sua maxi inchieste Barrios su sette piazze di spaccio a Milano, tra cui, quella più grande, annidata nel quartiere della Barona. De Tommasi, assieme al collega Gianluca Prisco, proprio per aver chiuso il cerchio attorno alla famiglia Calajò, storici reggenti della malavita alla Barona, sono finiti sotto scorta. Era l’ottobre 2023 e dal carcere erano state registrate chiare minacce di morte. Questa mattina la storia sembra essersi ripetuta. Un fatto gravissimo che rubrica a poco meno che una bagatella l’affare tutto interno alla Procura che ha visto De Tommasi vedersi bocciato lo scatto di avanzamento di carriera dal consiglio giudiziario distrettuale per il presunto poco equilibrio mostrato nell’indagine bis sul caso di Alessia Pifferi e che riguardava i tentativi di manipolare la perizia psicologica a favore di una infermità mentale esclusa dalle sentenze di primo e secondo grado. In quel fascicolo, per farla breve, risulterà indagata anche la legale della donna, recentemente assolta. Detto questo, quel troncone finito sotto la lente della Procura Generale e del ministero della Giustizia non ha rilevato alcun illecito disciplinare. La questione in valutazione al Csm, sembra solo un fastidioso rumore di sottofondo rispetto alle minacce lanciate da un pericoloso trafficante di droga. Torniamo allora a Luigi Ruggiero, già condannato in abbreviato nel maxi processo Barrios, e questa mattina imputato per altri capi di accusa (cinque episodi di spaccio) in una lista di 57 persone, Ruggiero ha chiesto così di fare dichiarazioni spontanee e qui proprio non si è tenuto e anche ha alzato non poco la voce. In attesa della trascrizione dell’udienza, queste sono state le sue parole: “Il dottor De Tommasi deve smettere di perseguitarmi”. Il pm, dice Ruggiero, deve smetterla “di rovinarlo” che gli “ha fatto prendere 30 anni” e deve “lasciarlo in pace” e “finirla di rovinare le persone”. Il tutto alzandosi in piedi, alzando la voce e ripetendo più volte “dottor De Tommasi”. Parole sinistre che ricordano quelle del 2023 quando in carcere a Opera fu intercettata questa frase di Nazza Calajò: “De Tommasi si fermi se vuole salva la vita sua e della sua famiglia”. De Tommasi come il suo collega Prisco non si sono fermati e sono finiti sotto scorta armata. E ancora, sempre per voce del capo Nazzareno Calajò: “De Tommasi non ti conviene, credimi. Lasciaci stare e siamo a posto così e ti salvi la vita! A me di questa galera non me ne fotte niente. E te lo faccio vedere, non è uno scherzo! Ti lascio in un lago di sangue. Tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli, le tue sorelle, i tuoi figli li uccido tutti!”. Non contento aggiungerà: “Io lo ammazzo De Tommasi, ti mangio come un cannibale, lo sgozzo (…). Ti faccio esplodere con una bomba (…). Il Tribunale di Milano lo faccio arrivare su Marte (…). Ti faccio fare la fine di quei due porci di merda (…). Ti faccio diventare un martire come loro”, riferendosi ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quindi spiega: “Non vi preoccupate, giù in cantina abbiamo quattro bombe e quattro mitra”. Quasi tre anni dopo, ancora minacce gravi. E però a tenere banco nei corridoi e tra le correnti della magistratura è solo quella legittima attività di indagine, finita con le assoluzioni degli imputati, come spesso capita nelle aule di giustizia. L'articolo Il trafficante di droga grida in aula contro il pm De Tommasi e lo minaccia: “Deve finirla di rovinare le persone” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il filo che collega attacchi alla magistratura e più scorta a Ranucci: controllo in cambio di sicurezza
C’è un filo che lega gli attacchi alla magistratura, i più recenti di nuovo a Federico Cafiero De Raho e a Roberto Scarpinato, quelli alla Università di Bologna col pubblicizzato potenziamento della scorta a Sigfrido Ranucci: il “nuovo” patto sociale promosso dalla destra di potere, ovvero il pieno controllo nelle mani del Governo in cambio della sicurezza prodotta dalla sorveglianza. Sono lontani i tempi del Papeete: Matteo Salvini nell’estate del 2019, in groppa alla sua “bestia” da milioni di contatti, sbagliò tempi, modi, sponsor e finì disarcionato. Ma fu precursore e gli andò senz’altro meglio che al Battista. Oggi la situazione è più matura, resa convincente e vincente (per ora) da un contesto internazionale che spinge per la liquidazione dello stato di diritto, per il collasso della Unione Europea, malfermo presidio di democrazia ma pur sempre presidio, per l’annichilimento delle Nazioni Unite basate sui diritti umani fondamentali: tutti attrezzi mai digeriti da una parte importante di umanità e corrosi dall’ipocrita sostegno di altra parte. Oggi viviamo uno di quei tornanti in cui la storia accelera improvvisamente, quando in un solo momento i freni saltano, le titubanze diventano appuntamenti imperdibili col destino, le parole sussurrate in segreto vengono gridate sui tetti e diventano osceni manifesti (“omicidi extragiudiziali” si può dire e fare, “genocidio” invece si può fare ma non dire). Così tutto si tiene nel cortile di casa nostra che non è mai stato soltanto “nostro”: il “riequilibrio tra i poteri” invocato dalla presidente Meloni passa per la subalternità della magistratura all’esecutivo, il premierato forte, una legge elettorale funzionale alla “stabilità” mantra buono per ogni scorribanda istituzionale e la mortificazione della scuola in ogni ordine e grado, dagli accorpamenti degradanti alla umiliazione della autonomia didattica. Il primo tassello deve essere fissato attraverso il referendum di primavera che dovrà confermare, nelle intenzioni del Governo, la “riforma Nordio” ed ecco che allora il circo grande delle reti unificate spara senza sosta contro i magistrati trasformati in mostri dell’arbitrio giudiziario: c’è quello che sabota le politiche del Governo in tema di immigrazione, quello che “ruba” i figli dalle case nei boschi, quello che si vende la funzione anche davanti ad un terribile femminicidio, fino ad arrivare ai “mostri” preferiti perché ingabbiarli serve a più di un prestigio e cioè Federico Cafiero De Raho, accusato di aver coperto l’immondo mercato delle informazioni riservate nella Procura nazionale antimafia da lui diretta e Roberto Scarpinato, accusato di aver perseguitato una giovane ed intrepida magistrata rea di aver indagato nella direzione “sbagliata” (Scarpinato ha già annunciato querela). Un altro tassello poi è stato piantato negli scorsi giorni con la iperbolica polemica contro l’Università di Bologna che avrebbe addirittura “tradito”, secondo le reazioni da manuale dei primi della classe Meloni-Crosetto-Bernini, coloro che sacrificando le proprie vite difendono anche quegli imbelli di docenti, che hanno negato un corso ad hoc in filosofia per una pattuglia di ufficiali. Ingrati! Sono attacchi mirati che offendono la democrazia tanto quanto quelli ai giornalisti, colpiti nell’esercizio della professione in maniera più pericolosa di quanto abbiano fatto gli sciagurati assaltatori della sede de La Stampa a Torino: chi ha illegalmente spiato Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino con strumenti di natura militare in dotazione al Governo italiano? Chi e perché ha pedinato Sigfrido Ranucci e altri suoi collaboratori di Report? E mentre chili di “carte riservate” passano nelle cucine della Commissione parlamentare antimafia e del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza, pronti a diventare relazioni e veline, il Viminale annuncia l’innalzamento del livello di sicurezza per Sigfrido Ranucci, che passa da una a due macchine blindate. Con un messaggio chiaro: state alla larga da Ranucci! (Fonti comprese, vien da pensare). Qualche giorno fa a Bologna si sono dati appuntamento per un convegno molti famigliari di vittime delle stragi di mafia e di terrorismo, pare che non abbiano nemmeno più distinto tra coloro che sono caduti per colpa della “strategia della tensione” e coloro che invece sono caduti per colpa delle bombe “mafiose” degli anni ‘90 (che della “strategia della tensione” hanno rappresentato una sorta di tragico Tfr: trattamento di fine rapporto). Lo hanno fatto per ribadire l’universale diritto alla verità. Mi associo, convinto che la sicurezza alla quale ognuno di noi giustamente ambisce dipenda assai di più dalla “verità” cioè dalla lotta alla impunità, piuttosto che dalla sorveglianza occhiuta di chi, proteggendo, controlla e inibisce. L'articolo Il filo che collega attacchi alla magistratura e più scorta a Ranucci: controllo in cambio di sicurezza proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La tesi di Nordio: “Con l’attuale Carta si può sottomettere il pm al governo”. Ma non è vero: è “autonomo da ogni potere”
“In teoria, con la Costituzione attuale, si potrebbe anche sottomettere o comunque vincolare il pubblico ministero al potere esecutivo. La nostra Costituzione attualmente attribuisce l’assoluta indipendenza e autonomia soltanto al giudice“. Parlando alla convention di Noi moderati a Roma, Carlo Nordio propone una singolare lettura – che forse è un auspicio – del principio di indipendenza della magistratura sancito dalla Carta: secondo il ministro della Giustizia, nella Costituzione attuale “si dice che soltanto il giudice è soggetto alla legge”, mentre con la riforma sulla separazione delle carriere, oggetto di referendum in primavera, “la figura del pm viene elevata allo stesso rango d’indipendenza e autonomia del giudice”. Per sostenere questa tesi Nordio cita l’articolo 101, che recita “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”, ma sembra dimenticarsi del tutto l’articolo 104, secondo cui “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere“. E della magistratura, prima e dopo la riforma, fanno e faranno parte anche i pubblici ministeri. Non è ben chiaro, poi, cosa intenda il Guardasigilli quando afferma che con la nuova legge i pm saranno “elevati” al rango dei giudici. L’articolo 101 infatti resterà identico e continuerà a definire esclusivamente i giudici “soggetti soltanto alla legge”, mentre il 104 verrà completamente riscritto: prima specificando che la magistratura è “composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente“, poi disciplinando i due distinti Consigli superiori per le due categorie. Insomma, non si capisce perché dopo la riforma l’indipendenza dei pm separati dai giudici dovrebbe essere più al sicuro. Nordio però accusa di “ignoranza” chi avverte del rischio di una futura sottoposizione delle Procure all’esecutivo: si tratta di “trucchi verbali, vere e proprie trappole enfatiche che non hanno nessun fondamento con la realtà. Mi dolgo che simili sciocchezze vengano dette da alcuni magistrati”. Il ministro accusa poi l’Associazione nazionale magistrati di opporsi alla riforma perché gli toglie il “potere” di influire sulle decisioni del Csm, i cui membri togati verranno sorteggiati. “Tutti sanno, in realtà, i magistrati per primi, che quello che irrita l’Anm è che il sorteggio rompe, spezza, infrange, frantuma quel legame perverso fra elettori ed eletti che ha fondato quella baratteria di scambi di cariche al’interno del Csm e anche al momento del giudizio disciplinare che è emerso nel caso Palamara”. Come ha già fatto più volte, Nordio afferma che le toghe abbiano messo “la polvere sotto il tappeto” dopo lo scandalo nomine, usando come capro espiatorio il “povero Palamara, estromesso in tempi rapidi dalla magistratura”. Nel merito, il Guardasigilli ha ragione: quasi tutti i sodali di Palamara, che si rivolgevano a lui per ottenere poltrone per sé e gli amici, non hanno avuto conseguenze sulla carriera, e molti sono stati addirittura promossi. C’è solo un dettaglio: al Csm i voti decisivi per salvarli sono arrivati sempre dai “laici” di centrodestra, cioè i consiglieri eletti dal Parlamento su input dei partiti della maggioranza. Una dei sodali di Palamara Nordio se l’è persino portata al ministero: Rosa Sinisi, ex presidente della Corte d’Appello di Potenza, nominata vice capo del Dipartimento organizzazione giudiziaria dopo aver raccomandato per anni all’ex pm radiato candidati “amici” per i posti di tutta la Puglia. L'articolo La tesi di Nordio: “Con l’attuale Carta si può sottomettere il pm al governo”. Ma non è vero: è “autonomo da ogni potere” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Nordio convoca i sottosegretari: dopo il referendum si accelera su riforma della prescrizione e sequestro smartphone
Un vertice per decidere i prossimi passi. E soprattutto le prossime riforme da fare. Martedì scorso in via Arenula il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha incontrato il viceministro Francesco Paolo Sisto e i sottosegretari Andrea Delmastro e Andrea Ostellari per una riunione politica. Cosa fare delle riforme sulla giustizia ferme al palo? Alla fine l’esito è stato chiaro: nessuna riforma sarà approvata prima del referendum sulla separazione delle carriere che si terrà a marzo o inizio aprile. Dopo però il governo intende procedere spedito su due disegni di legge: la riforma della prescrizione e quella che rende più difficile il sequestro degli smartphone. Quest’ultimo disegno di legge, a prima firma del senatore Pier Antonio Zanettin, era stato calendarizzato in aula il 20 novembre ma alla fine sarà rinviato. La norma prevede l’obbligo del pm di sottoporre al vaglio e al via libera del gip il sequestro di un cellulare per esaminare prima il suo contenuto, eliminando ciò che è strettamente privato. Su questo è in atto uno scontro nella maggioranza di governo con Fratelli d’Italia che, con la presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo, chiede modifiche più stringenti soprattutto per non intaccare le inchieste contro la criminalità organizzata. Per evitare spaccature nella maggioranza e messaggi troppo punitivi in vista del referendum è stato deciso di rinviare tutto a dopo la consultazione. Ma dopo l’esito referendario, soprattutto se dovesse vincere il Sì, il governo vuole andare avanti approvando il disegno di legge in aula alla Camera. Manca solo l’ultimo passaggio in aula. Stesso discorso per la riforma della prescrizione, ferma da quasi due anni in commissione Giustizia al Senato. Il testo, approvato a gennaio 2024, prevede l’interruzione della prescrizione per 24 mesi dopo la sentenza di primo grado e 12 dopo quella di Appello, una sorta di ritorno alla Legge Orlando del 2017. Il disegno di legge è stato messo in calendario dalla presidente della commissione Giustizia al Senato Giulia Bongiorno, ma è ancora fermo e non ha fatto passi avanti. Durante il vertice con i sottosegretari, dunque, è stato deciso di congelare tutto fino al referendum per non mettere troppa carne al fuoco e di non aprire nuovi fronti con la magistratura. Ma subito dopo la maggioranza vuole accelerare e approvare entrambe le riforme in tempi rapidi. Per chiudere il progetto di riforma della giustizia entro la fine della legislatura. L'articolo Nordio convoca i sottosegretari: dopo il referendum si accelera su riforma della prescrizione e sequestro smartphone proviene da Il Fatto Quotidiano.
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