Tag - Censis

Il Paese dei pensionati che aiutano i nipoti. Impoveriti, invecchiati e con l’incubo Sanità: l’Italia del Censis 2025
Nel suo nuovo Rapporto 2025 sulla situazione sociale del Paese, il Censis, l’istituto di ricerca socio-economica italiano, dipinge un quadro di profonda incertezza e declino del benessere, con il ceto medio in affanno, i lavoratori più anziani a sostenere l’occupazione e un aumento record del debito pubblico, in un contesto di forte disillusione e timori crescenti sulla tenuta del Servizio Sanitario Nazionale. 4 pensionati su 10 aiutano figli e nipoti – L’Italia continua a invecchiare, con gli over 65 che rappresentano il 24,7% della popolazione. I pensionati svolgono un ruolo economico cruciale per le famiglie: il 43,2% fornisce aiuti economici regolari a parenti e il 61,8% ha contribuito o intende contribuire a spese importanti di figli o nipoti, come l’acquisto della casa. La consapevolezza di questo necessario supporto a figli e nipoti giustifica, per il 54,2% degli italiani, l’indicizzazione all’inflazione anche delle pensioni lorde superiori ai 2.500 euro. E vista l’incertezza economica, il 94,2% degli anziani risparmia per malattia o non autosufficienza e l’82,2% monitora il bilancio familiare. Non solo: il 72,6% degli attuali pensionati vorrebbe continuare a lavorare, purché non ci siano penalizzazioni fiscali. Tra lavoratori anziani e robot – Il mercato del lavoro è soggetto a una progressiva “senilizzazione“. L’incremento di 833.000 occupati nel biennio 2023-2024 è dovuto per l’84,5% (704.000 unità) alle persone con 50 anni e oltre. Nei primi dieci mesi del 2025, il saldo positivo (206.000 occupati in più) è dovuto esclusivamente agli over 50 (+410.000 unità), a fronte di cali tra i 35-49enni (-1,1%) e gli under 35 (-2,0%). Tra i giovani, gli inattivi sono in forte aumento (+3,0%). Questa crescita del lavoro (+3,7% occupati, +5,3% ore lavorate) supera il Pil (+1,7%), causando una riduzione degli indicatori di produttività: -2,0% del valore aggiunto per occupato. In parallelo, l’Italia è 14° per intensità di automazione e 6° nel mondo per robot industriali installati nel 2023. Nel settore automotive (1995-2022), segnala il rapporto, la produzione è aumentata del 61,4% con una riduzione del 21,3% della forza lavoro, ma a fronte di un aumento del valore aggiunto per occupato del 48,8%, i salari sono cresciuti solo del 9,3%. Sfiducia e incubo sanità – Il 78,5% degli italiani teme di non poter contare su servizi sanitari adeguati in caso di non autosufficienza. Lo stesso contesto sanitario è difficile: in un anno si sono registrati 22.049 casi di aggressione agli operatori. Il 91,2% dei medici ritiene il lavoro nel SSN più stressante. Il 66,0% dei medici non ha tempo per dialogare con i pazienti, il 65,9% opera in strutture con carenze di personale e il 51,8% usa attrezzature obsolete. Il 41,2% non si sente sicuro a causa della violenza e il 71,8% si sente un capro espiatorio delle carenze del sistema. La percezione di inadeguatezza dell’intervento pubblico si estende anche ai rischi ambientali, con il 72,3% che crede insufficienti gli aiuti statali in caso di eventi estremi. Di conseguenza, il 54,7% si dichiara disposto a spendere fino a 70 euro al mese per tutelarsi, e il 52,3% considera la possibilità di ridurre i consumi per l’acquisto di strumenti assicurativi. Tuttavia, il 70% degli italiani non intraprende azioni concrete sul piano finanziario o assicurativo. Tra le alternative, il 37,2% rimanda la decisione, il 34,5% punta sui risparmi e il 22,0% sul welfare pubblico. C’era una volta il ceto medio – Il ceto medio è in grave affanno e rischia di perdere il proprio status. Le retribuzioni annue medie reali nel 2024 sono inferiori dell’8,7% rispetto al 2007, e nello stesso periodo il potere d’acquisto pro capite è calato del 6,1%,. Tra il 2004 e il 2024, il numero di titolari d’impresa è diminuito del 17,0%, con quasi 585.000 imprenditori in meno. Particolarmente colpita la fascia giovane, dove gli imprenditori under 30 sono calati del 46,2%. Tra il 2011 e il 2025, la ricchezza delle famiglie italiane è diminuita in termini reali dell’8,5%. Il ceto medio è il più penalizzato: il 50% delle famiglie più povere ha perso il 23,2% della propria ricchezza, mentre il 10% delle famiglie più ricche l’ha vista aumentare del 5,9%. Il 48% della ricchezza è detenuto dal 5% delle famiglie più abbienti. L’inflazione ha aggravato la situazione: nel 2024 i prezzi erano più alti del 17,4% rispetto al 2019 e il carrello della spesa del 23,0%. Nonostante la spesa maggiore, il volume di generi alimentari acquistati è diminuito del 2,7%. Il debito pubblico più alto di sempre – A settembre il debito pubblico italiano ha toccato la cifra record di 3.081 miliardi di euro, in crescita del 38,2% rispetto al 2001,. La spesa per interessi nell’ultimo anno è stata di 85,6 miliardi, corrispondenti al 3,9% del Pil, il valore più alto tra i Paesi europei dopo l’Ungheria e ben oltre la media Ue dell’1,9%. Questi costi superano gli investimenti pubblici (78,3 miliardi) e la spesa per i servizi ospedalieri (54,1 miliardi). La vulnerabilità è accresciuta dal fatto che il 33,7% del debito è in mano a creditori esteri (più di 1.000 miliardi), mentre le famiglie detengono il 14,4%,. Nel contesto del G7, dove il debito è lievitato dal 75,1% al 124,0% del Pil tra il 2001 e il 2024, l’Italia è passata dal 108,5% al 134,9%. Si prevede che entro il 2030 il rapporto debito/Pil nel G7 supererà il 137%. Il calo della produzione industriale – L’indice della produzione industriale ha segnato un dato negativo per trentadue mesi consecutivi, con l’eccezione di tre lievi rimbalzi. La produzione manifatturiera ha registrato un calo del -1,6% nel 2023, del -4,3% nel 2024 e del -1,2% nei primi nove mesi di quest’anno. Solo quattro comparti (elettronica, alimentare, farmaceutica, legno e carta) mostrano segnali di ripresa nel 2025. In controtendenza, la fabbricazione di armi e munizioni ha registrato un incremento del 31,0% nei primi nove mesi dell’anno rispetto all’anno precedente. Torna il sogno del pubblico impiego – La disaffezione verso il lavoro privato è evidente, con solo il 29,4% degli occupati dipendenti nel settore privato che si sente molto motivato. La motivazione è maggiore negli over 55 (37,5%) rispetto agli under 44 (24,0%). Il disimpegno è legato al disallineamento tra competenze e mansioni. La maggioranza dei lavoratori (46,4%) preferirebbe un impiego dipendente nel settore pubblico, mentre solo il 30,6% opterebbe per il privato e l’11,0% per la libera professione. La stabilità (63,0%), la certezza del reddito fisso (55,1%) e l’evitare il rischio di licenziamento (35,2%) sono le principali ragioni di questa preferenza. La permanenza media nello stesso lavoro in Italia è di 11,7 anni, superiore alla media Ue di 9,9 anni. Tuttavia, solo il 38% dei lavoratori italiani ritiene il proprio ambiente professionale psicologicamente ed emotivamente salubre. E intanto sul lavoro si continua a morire – Nel 2024 sono stati denunciati 518.497 infortuni sul lavoro in Italia, 22 ogni 1.000 occupati, con 1.191 esiti mortali. Negli ultimi dieci anni gli occupati sono aumentati del 9,2% e gli infortuni diminuiti del 10,7%, ma quelli mortali sono in lieve aumento (+0,8%). Nel primo semestre 2025, gli infortuni mortali sono aumentati del 7,1%, arrivando a 495 casi. Le malattie professionali sono state 88.384 nel 2024, un dato in crescita del 54,1% nell’ultimo decennio. Il genere è un fattore di rischio primario, con il 92,0% dei morti sul lavoro di sesso maschile. Anche i lavoratori stranieri e i giovani sono più esposti: gli stranieri, che sono il 10,5% degli occupati, hanno subito il 23,0% di tutti gli infortuni; i giovani 15-24enni, il 4,8% degli occupati, hanno registrato il 12,0% degli infortuni. L'articolo Il Paese dei pensionati che aiutano i nipoti. Impoveriti, invecchiati e con l’incubo Sanità: l’Italia del Censis 2025 proviene da Il Fatto Quotidiano.
Cronaca
Sanità
Governo Meloni
Povertà
Censis
Il rapporto Censis dice ciò che ci aspettavamo: siamo poveri e senza ambizioni. Ma ci resta un po’ di sesso
L’uscita del Rapporto Censis, a dicembre di ogni anno, per me è un momento di interesse e di curiosità. La maggior parte delle cose dette nel rapporto sono arcinote, ma almeno c’è una lettura sociale ed etica che un tempo era frequente e che ora nessuno fa più. Soprattutto, anche se a tratti mi pare non proprio scientifico, il rapporto Censis utilizza un linguaggio fatto di metafore forti e con un certo grado di giudizio morale. Ma, ripeto, di questi tempi è almeno un diversivo rispetto al piattume generale. E allora veniamo a quello di quest’anno, il 59esimo. In sintesi, dice, appunto, cose che ci aspettavamo. Gli italiani sono abbastanza poveri. Il ceto medio è schiacciato, il debito pubblico è immenso, l’inflazione è inquietante e a due cifre, come il Rapporto bene specifica analizzando ogni bene, dall’energia agli alimenti. Non solo. Gli italiani non hanno alcuna fiducia della politica (e si vede vista l’astensione) e non si interessano neanche dell’informazione politica. Sono consapevoli che l’Europa non conti più nulla, che la Cina sia il futuro e che forse la democrazia non stia tanto bene (il che non vuol dire che sposino l’autocrazia). Insomma, abbastanza saggi, nonostante tutto. Di più: gli italiani odiano la guerra, specie se taglia quel poco di welfare che rimane. E infatti affermano che se dovesse essere necessario aumentare le spese per la difesa e tagliare i servizi, beh, allora non bisognerebbe aumentare le spese della difesa, punto. Neanche se, di fronte a una crisi industriale spaventosa, con un crollo delle piccole imprese che arriva al 40% negli ultimi anni, la produzione di armi e munizioni resta l’unico fattore di crescita. Anche qui, gli italiani mostrano lungimiranza. Sono avversi, però, all’immigrazione. La temono. Non vogliono avere troppo immigrati, nonostante la crisi demografica sia ormai un fatto evidente (e devastante). Il nostro paese ha sempre meno culle (e più cucce per animali), siamo sempre più vecchi, anzi vecchissimi, e questo rappresenta un problema enorme di cui la politica non si occupa. Come non si occupa d’altronde delle sfide enormi che ci attendono, dice il rapporto, dall’Ai alla crisi climatica. Gli italiani, inoltre spendono meno in cultura; aumenta la voglia, invece, di eventi culturali dal vivo, dagli spettacoli ai concerti. Interessante. Il dato però forse più curioso è dato dal piacere, in particolare sessuale. Gli italiani, ricorda il Rapporto, vivono di piccoli piaceri legati al consumo, lo sconto del Black Friday o l’upgrade gratis in business class che non possono permettersi, ma soprattutto si dedicano al più economico dei piaceri, quello per il quale non servono soldi, a parte l’acquisto di preservativi (poco amati) e di altri strumenti di piacere. Sì, il Rapporto Censis quest’anno ci regala un focus sesso, sostenendo che chi fa sesso dalla giovinezza alla maturità avanzata lo fa regolarmente, la maggioranza almeno una volta alla settimana, un cinque per cento tutti i giorni, mentre gli astenuti perenni sono poco di più. Certo, bisognerebbe sapere se i dati sono “tarati”, visto che come è noto le persone tendono a dire che fanno più sesso di quanto di fatto ne facciano, ma è un dato interessante. Insomma, siamo poveri, le cose costano una follia, almeno dedichiamoci a un po’ di piacere dei corpi. Si potrebbe sorridere, ma si tratta di un sorriso amaro. In effetti, il sesso è sempre stato, nella storia, legato anche a dei valori. Faccio un esempio. Negli anni Settanta, fare sesso era bello perché esprimeva anche una protesta, era un gesto di liberazione privato ma anche pubblico. Per questo così meraviglioso. Il film di Bertolucci The Dreamers lo racconta bene: alla fine quei ragazzi, stufi di stare chiusi in casa, scendono in piazza e si uniscono alle manifestazioni (quelle che che, secondo il Rapporto di quest’anno, sono invece vistosamente calate, non si scende quasi più in piazza per protestare). Un altro legame tra sesso e valori è quello tra sesso e figli. Quando si cerca una maternità, il sesso assume un valore quasi “ontologico”, perché capace di generare vita, insomma un grande senso in più. Oggi non è così. Il sesso di cui parla il Censis sembra un “sesso per il sesso”, fine a se stesso. Un sesso un po’ disperato, un sesso un po’ ginnastica come l’abbonamento in palestra, che facciamo perché non ci resta molto altro. Non ci sono orizzonti politici utopici e ideali. Non c’è l’utopia del creare una famiglia. Allora forse ha un po’ – a mio avviso – il sapore della sconfitta e della rinuncia. D’altronde, che altro fare? Non ci sono grandi riforme, non c’è nessuna utopia concreta, Si naviga a vista, questo il Censis non lo dice oggi ma da anni. Almeno su questa barchetta ci si stringe forte. A volte strettissimi. Ben attenti, però, a che non nascano figli, che i soldi per mantenerli proprio non ci sono più. L'articolo Il rapporto Censis dice ciò che ci aspettavamo: siamo poveri e senza ambizioni. Ma ci resta un po’ di sesso proviene da Il Fatto Quotidiano.
Società
Blog
Censis