Il dottor Giuseppe Feltrin, il direttore generale del Centro nazionale
trapianti, l’ha definita una scelta “generosa e inconsueta”. Il riferimento è
all’ultimo caso italiano di donazione samaritana, una donazione di organi in cui
una persona sceglie di sottoporsi a un intervento di prelievo del rene per
offrirlo in dono a una persona sconosciuta. All’Azienda ospedale-università di
Padova (AOUP), una donna in lista d’attesa è riuscita a recuperare una piena
qualità di vita grazie al rete di uno sconosciuto.
Il trapianto è stato eseguito lo scorso ottobre. In precedenza, il donatore
samaritano era già stato sottoposto a un percorso clinico, immunologico e
psicologico necessario per essere ammesso al programma della Rete nazionale
trapianti. Dopo l’autorizzazione del magistrato, il Centro nazionale trapianti,
guidato da Feltrin, ha accettato la donazione del rene da parte del donatore
samaritano, poiché non era stato possibile avviare la procedura ordinaria di
trapianti incrociati.
Nell’arco di una sola giornata, l’equipe medica guidata dalla direttrice del
Centro trapianti rene e pancreas di Padova, la professoressa Lucrezia Furian, ha
effettuato le procedure di donazione e trapianto del rene. Nel giro di pochi
giorni dopo l’intervento, sia l’uomo che la donna sono stati dimessi: sono in
ottime condizioni di salute.
Cosa ha spinto l’uomo a donare il proprio rene a una persona sconosciuta? Lo ha
spiegato lui stesso durante la conferenza stampa che ha raccontato l’intervento:
“Il percorso è iniziato quando ho fatto l’ultima donazione di sangue, che poi
non ho più potuto fare per raggiunti limiti di età. Vivendo l’esperienza di mio
cognato che è morto prima che arrivasse un fegato utile a farlo sopravvivere, ho
maturato l’idea di diventare donatore samaritano”. Oltre alle motivazioni
biografiche, c’entra anche la sua fede religiosa: “Ascoltando il Vangelo in
chiesa, in uno dei passaggi su San Giovanni Battista, ho avuto una sorta di
illuminazione, e ho pensato: se le tuniche di cui parla il Battista fossero nel
mio caso i reni?”.
Fa notare il dottor Feltrin: “Le donazioni samaritane sono sicuramente
inconsuete, ma la donazione dopo la morte è una scelta alla portata di tutti:
oggi, con 8mila persone in attesa di trapianti, dare il proprio consenso alla
donazione è più che mai fondamentale”. In Italia ci sono circa 8mila persone in
attesa di un trapianto di organo.
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L'articolo “Mio cognato è morto prima che arrivasse un fegato, per questo ho
donato il mio rene a una sconosciuta” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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E dopo la Procura di Catanzaro arriva anche la Corte dei Conti che, nell’ambito
dell’inchiesta sulle presunte liste d’attesa privatizzate alla “Renato
Dulbecco”, ha disposto il sequestro conservativo di oltre 9 milioni di euro a
carico di 11 persone. Si apre un altro capitolo nell’indagine che, nei mesi
scorsi, ha travolto il reparto di oculistica dell’Azienda
ospedaliera-universitaria di Catanzaro. Su delega della Procura generale della
Corte di Conti, infatti, il provvedimento è stato eseguito dal Nucleo di Polizia
economico-finanziaria di Catanzaro.
I destinatari sono il primario Vincenzo Scorcia e la segretaria del suo studio
privato Maria Battaglia. Ma anche la caposala Laura Logozzo e i medici Giuseppe
Giannacare, Adriano Carnevali, Rocco Pietropaolo, Andrea Lucisano, Andrea Bruni,
Eugenio Garofalo, Giorgio Randazzo e Maria Aloi.
Per tutti, la Corte dei conti ha ipotizzato svariate condotte di danno erariale
in relazione all’indebita percezione dell’indennità di esclusività e di stipendi
non dovuti, nel mancato riversamento di proventi da lavoro autonomo
illegittimamente esercitato, nella “privatizzazione” del servizio pubblico e
nell’appropriazione di beni pubblici per fini privati.
Da qui la richiesta, accolta dal presidente della Sezione giurisdizionale per la
Calabria della Corte dei conti, di un sequestro conservativo per un importo di
oltre 9 milioni di euro. Di questi, 6,2 milioni sono contestati al primario
Scorcia (di cui 2,3 in solido con la segretaria e la caposala). Per quanto
riguarda le altre contestazioni, 280mila sono stati sequestrati a Giuseppe
Giannaccare, 83mila ad Adriano Carnevali, 350mila a Rocco Pietropaolo, un
milione e 288 mila ad Andrea Lucisano, 357mila ad Andrea Bruni, 463mila ad
Eugenio Garofalo, 70mila a Giorgio Randazzo e 29mila a Maria Aloi.
L’inchiesta aveva portato lo scorso luglio agli arresti domiciliari, poi
annullati dal Riesame, del primario del reparto Vincenzo Scorcia e della sua
segretaria accusati di associazione a delinquere, peculato, concussione, truffa
aggravata e interruzione di pubblico servizio e, il medico, di falsità
ideologica e autoriciclaggio.
Secondo quanto emerso dalle indagini dei pm di Catanzaro, guidati dal
procuratore Salvatore Curcio, nel reparto di oculistica dell’Azienda Dulbecco
vigeva una gestione “privatistica” delle liste di attesa, con visite private a
pagamento per aggirare le lista d’attesa e scalare la graduatoria per essere
operati, alimentando, di fatto, un sistema privato di prenotazioni e prestazioni
erogate gratuitamente.
Per i magistrati contabili vi era “un sistema consolidato attraverso il quale i
medici dell’equipe erano soliti effettuare interventi chirurgici su pazienti
previamente visitati a pagamento durante lo svolgimento della suddetta attività
extra-istituzionale privata, garantendo loro un trattamento ‘privilegiato’
rispetto ai pazienti ambulatoriali regolari”. In questo modo sarebbero state
aggirate “le liste d’attesa ufficiali” e lesi “i principi di trasparenza ed
equità dell’assistenza sanitaria pubblica”. Il tutto “utilizzando integralmente
per tali interventi chirurgici risorse dell’azienda ospedaliera”.
Il danno erariale, ipotizzato dalla Corte dei Conti, ha portato così alle cifre
monstre del sequestro conservativo. Il provvedimento dei giudici contabili non è
un’attribuzione di responsabilità. Piuttosto è finalizzato a vincolare i beni
mobili e immobili degli indagati e a evitare che possano essere venduti o
dispersi prima di una sentenza definitiva nel merito. Ovviamente nel caso in
cui, al termine del processo, i medici coinvolti nell’inchiesta “Short Cut”
dovessero risultare colpevoli e di conseguenza condannati a risarcire i danni
all’Erario e all’università “Magna Grecia”. Intanto, però, dopo i sigilli si
aprirà il contradditorio anche davanti alla Corte dei conti.
L'articolo Liste d’attesa “privatizzate” al reparto di oculistica: sequestrati 9
milioni su richiesta della Corte dei Conti proviene da Il Fatto Quotidiano.
Contro il dottor Roberto Palumbo, agli arresti domiciliari con l’accusa di
corruzione, si è attivata l’Azienda sanitaria locale Roma 2, di cui era
componente del comitato etico. Il 5 dicembre è scattata la sospensione
obbligatoria dal servizio nei confronti del primario di Nefrologia dell’ospedale
Sant’Eugenio. La Azienda sanitaria ha aperto un fascicolo interno e attivato
l’ufficio di disciplina: con una nota ha espresso “piena fiducia nel lavoro
degli inquirenti”, garantendo “ogni supporto necessario per favorire il rapido
accertamento del caso”. Si è fatto sentire anche l’Ordine dei medici: “Se i
fatti risulteranno confermati, è l’intera categoria medica ad essere parte
lesa”.
L’ARRESTO DI PALUMBO
Palumbo è stato fermato giovedì in flagranza di reato, mentre riceveva
dall’imprenditore Maurizio Terra una busta contenente 3mila euro in banconote da
50 e 100 euro. Ieri il gip ha disposto gli arresti domiciliari invece del
carcere. Oggi il medico romano, insieme al suo avvocato, sta valutando la
possibilità di un ricorso al Tribunale del riesame per riottenere la libertà.
Terra avrebbe “sostanzialmente ammesso i fatti” mentre da Palumbo sarebbero
giunte “importanti ammissioni“. La sua condotta appare più grave “perché la
contestazione consente di cogliere una costanza di comportamenti e, dunque, una
pervicacia, significative di una personalità incline alla commissione dei
reati”, scrive il gip.
L’AMMISSIONE DEI SOLDI IN NERO
Il primario è accusato di aver ottenuto soldi e benefici per dirottare i
pazienti dimessi dal Sant’Eugenio – ma ancora bisognosi di cure – verso le
cliniche amiche. Inoltre avrebbe sfruttato le liste di attesa pubbliche
obbligando i dializzati, di fatto, a rivolgersi ai centri privati. Ieri durante
l’udienza di convalida. Durante l’interrogatorio con il gip l’imprenditore
avrebbe inizialmente negato tutto: “Mai preso soldi per mandare i pazienti nelle
strutture private”. Poi però i toni sarebbero cambiati, con l’ammissione di aver
comunque incassato soldi in nero: “Ciò che emerge al momento è che Palumbo non
ha preso tremila euro in contanti per una mazzetta, ma in quanto erano utili
derivanti dall’attività di imprenditore occultamente svolta rispetto alla
società Dilaeur”, sostiene al Giornale l’avvocato Antonello Madeo. Il primario
ora agli arresti infatti aveva ottenuto il 60 per cento delle quote della
Dialeur. Dunque, secondo il suo legale, i soldi sarebbero i pagamenti in nero
degli utili. Il passaggio delle quote tuttavia non sarebbe stato gradito a
Maurizio Terra, anzi. Una decisione “sostanzialmente imposta” e senza benefici
per l’amministratore unico della clinica, “non avendogli portato alcun
vantaggio”.
I PRESUNTI BENEFICI: DALLA MERCEDES ALLA CASA
Ieri dagli atti delle indagini sono trapelati i dettagli dell’ipotesi di
corruzione formulata dai pubblici ministeri. Palumbo avrebbe ottenuto in
beneficio carte di credito, il pagamento dell’affitto di casa e del leasing di
una Mercedes, contratti di lavoro per la sua compagna, e tanti soldi. Quanti? 3
mila euro per ogni paziente indirizzato verso le cliniche amiche del primario,
dopo le dimissioni dal Sant’Eugenio di Roma. Tra le aziende private “premiate”
da Palumbo c’era la Dialeur. L’amministratore unico è Maurizio Terra, agli
arresti domiciliari: da lui proveniva la mazzetta colta in flagranza dalle forze
dell’ordine. Nell’ordinanza di convalida, Palumbo avrebbe avanzato richieste
“pressanti ed esorbitanti” agli imprenditori. Tanto da far sorgere il sospetto,
agli inquirenti, che l’imprenditore sarebbe quasi sollevato dalle indagini della
magistratura. “In qualche modo gli ha consentito di sottrarsi a procedure e
condotte che, seppur necessarie per poter svolgere la propria attività, erano
vissute come imposizioni”, si legge ancora nell’ordinanza. Alcune
intercettazioni suggeriscono presunti scambi di denaro. “È urgente a questo
punto, uno come deve fare e basta..”, dice il primario. E l’imprenditore
replica: “L’unica è cambiare sistema e finisce la storia, sennò ogni mese è
così”. In un’altra conversazione il medico dice a Terra: “…fai l’amministratore
e te godi la vita”. E alla fine il primario è diventato amministratore, grazie
alla quote della Dialeur.
LE MINACCE
Palumbo, riportano le carte dell’indagine, avrebbe anche minacciato gli
imprenditori riottosi. In che modo? “Paventando di fare in modo che i pazienti
dimessi dal Sant’Eugenio, ma ancora bisognosi di terapia emodialitica
ambulatoriale, non si rivolgessero più per la predetta terapia” alle cliniche
poco inclini alle richieste del primario. Sarebbe accaduto all’imprenditore
Antonio Carmelo Alfarone della Rome Medical Group: quest’ultimo ha denunciato
Palumbo per gli anni tra il 2019 e il 2021.
L'articolo Roberto Palumbo, l’Asl apre fascicolo e sospende il primario
arrestato per corruzione proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un’indagine dell’Ats su richiesta della Regione Lombardia. E’ scattata,
riferisce il Corriere della Sera, sull’ospedale San Raffaele di Milano – che fa
parte del Gruppo San Donato ed è un istituto privato che opera in convenzione
con il Servizio sanitario regionale – dopo i gravi disservizi che avrebbero
interessato il terzo piano del padiglione “Iceberg” tra la notte del 5 e il 6 e
domenica 7 dicembre. Sotto esame sono finite le modalità con cui è stata gestita
l’assistenza infermieristica in reparti ad altissima complessità, come la
Medicina ad alta intensità, la Medicina di cure intensive e l’Admission room,
affidata a una cooperativa esterna accusata di essere priva delle competenze
necessarie.
La scelta sarebbe stata presa dall’amministratore unico Francesco Galli, che ha
rassegnato le dimissioni, nonostante le riserve espresse dal personale interno
che aveva sconsigliato il ricorso a operatori esterni vista la delicatezza delle
condizioni dei pazienti. Secondo quanto emerge da mail interne circolate tra
sabato e domenica, gli infermieri della cooperativa avrebbero commesso errori
tali da determinare “situazioni ad elevatissimo rischio per i pazienti”.
Tra gli episodi segnalati, il medico di guardia riferisce di un’operatrice che
non conosceva adeguatamente la lingua italiana né i nomi dei farmaci, tanto da
confondere l’Amiodarone 150 mg con un inesistente “modarone” da 500 mg,
arrivando a somministrare una dose dieci volte superiore a quella prescritta.
Un’altra infermiera, riferisce ancora il quotidiano di via Solferino, non
sarebbe stata in grado di gestire correttamente la ventilazione non invasiva di
un paziente. “È una situazione troppo pericolosa. Errori irrecuperabili sono
dietro l’angolo ed è solo una questione di tempo”, scrive uno dei medici
coinvolti.
Di fronte alle difficoltà operative, la direzione sanitaria ha istituito
un’unità di crisi. Sono stati temporaneamente bloccati i nuovi accessi ai
reparti interessati dal pronto soccorso e i pazienti più critici sono stati
trasferiti in altre strutture o reparti. Al terzo piano del padiglione “Iceberg”
sono stati inseriti in turno infermieri già assunti dall’ospedale. Fonti
sindacali riferiscono che, per fronteggiare l’emergenza, sarebbero stati offerti
compensi straordinari: 600 euro per il turno diurno e fino a 1.000 euro per
quello notturno agli operatori disponibili. La situazione sarebbe tornata sotto
controllo nella giornata di domenica.
L’assessore al Welfare Guido Bertolaso ha espresso «massima attenzione e
preoccupazione» per l’episodio, annunciando l’avvio immediato dell’indagine da
parte dell’Ats. Il caso ha acceso anche lo scontro politico in Consiglio
regionale. L’opposizione va all’attacco: Pierfrancesco Majorino, capogruppo del
Pd, definisce quanto accaduto “inaccettabile” e lo indica come l’ennesima prova
dello squilibrio, nella Lombardia governata dal centrodestra, tra sanità
pubblica e privata, chiedendo spiegazioni al presidente Attilio Fontana.
L'articolo San Raffaele, farmaci sbagliati e dosi 10 volte superiori a quelle
prescritte. Regione Lombardia: “Indagine dell’Ats” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
Roberto Palumbo “aveva un controllo della destinazione dei pazienti verso i vari
centri” e, secondo il giudice per le indagini preliminari, gli indirizzava “in
modo da raggiungere il massimale consentito verso la Dilauer”. Non una struttura
a caso, visto che possiede “di fatto il 60% delle quote” del centro dialisi. È
racchiusa principalmente in questo passaggio, contenuto nell’ordinanza con la
quale il gip di Roma ha disposto i domiciliari, l’accusa al primario di
Nefrologia dell’ospedale Sant’Eugenio, arrestato in flagranza mentre intascava
una tangente dall’imprenditore Maurizio Terra. Stando all’inchiesta, il medico
avrebbe avuto a disposizione carte di credito, un appartamento in affitto, il
leasing di un’automobile di lusso e sua moglie avrebbe ricevuto un contratto di
consulenza da 2.500 euro al mese.
Le mazzette incassate, stando all’inchiesta, erano “a carattere mensile”. Nel
provvedimento sono citate una serie di intercettazioni tra Palumbo e
l’imprenditore Maurizio Terra. In un dialogo carpito, a detta del giudice, c’è
la prova del passaggio di denaro mensile: il primario afferma “è urgente a
questo punto, uno come deve fare e basta..” a cui Terra replica “l’unica è
cambiare sistema e finisce la storia, sennò ogni mese è così”. Nell’atto il
giudice cita alcuni episodi, a partire dall’aprile scorso, in cui il medico
avrebbe ricevuto del denaro in contanti.
Il giudice definisce “gravi i fatti contestati” e aggiunge che Terra “ha,
sostanzialmente, ammesso i fatti e anche Palumbo, che nel corso
dell’interrogatorio reso dinanzi al pm era parso più reticente ha, infine,
operato ammissioni di responsabilità nel corso dell’udienza di convalida”. Per
il magistrato, il “sinallagma tra la funzione” esercitata dal medico e il
“pagamento è evidente”. Non solo: il gip ritiene anche evidente che Palumbo
“potesse agevolare l’invio dei pazienti, anche verso la Dialeur, società da lui
di fatto detenuta con partecipazione di maggioranza”.
Nel provvedimento il giudice spiega che “Terra ha ammesso, con più trasparenza,
le proprie responsabilità, ha fornito elementi atti a ricostruire compiutamente
i fatti, ha mostrato, soprattutto all’udienza di convalida, di essere quasi
sollevato dall’emersione della vicenda che, in qualche modo, gli ha consentito
di sottrarsi a procedure e condotte necessarie per poter svolger e la propria
attività ma vissute anche come imposizioni”. E ancora: “Ha chiaramente detto che
la titolarità formale del 60% delle quote gli è stata sostanzialmente imposta ed
ha avuto uno sviluppo, nel tempo, da lui patito e, certamente, non voluto, non
avendogli portato alcun vantaggio”.
Per quanto riguarda Palumbo “ha reso dichiarazioni che, comunque, hanno permesso
una più esatta ricostruzione dei fatti e, tuttavia, la sua condotta va valutata
come più grave perché la contestazione consente di cogliere una costanza di
comportamenti e, dunque, una pervicacia, significative di una personalità
incline alla commissione di reati della specie di quello per cui si procede”,
scrive il giudice. Palumbo, conclude, “ha dichiarato di non essere interessato a
mantenere il ruolo di direttore della struttura, ha dichiarato di voler lasciare
il pubblico e, tuttavia, da anni, mantiene la sua posizione di potere e continua
e lavorare nella struttura pubblica”.
L'articolo Il giudice sul primario arrestato per corruzione: “Mandava i pazienti
nella struttura di cui era socio occulto” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Quote societarie, carte di credito, Mercedes in leasing, l’affitto di un
appartamento, contratti lavoro per la sua compagna. Il dottor Roberto Palumbo,
primario di Nefrologia all’ospedale Sant’Eugenio di Roma, avrebbe ottenuto
benefici importanti dalle cliniche private amiche. Verso quelle strutture –
secondo gli inquirenti – il medico dirottava i pazienti in dialisi dimessi dal
nosocomio pubblico (ma ancora bisognosi di cure e assistenza) come merce di
scambio. Le vicende sono ricostruite nel decreto di perquisizione e nella
richiesta di convalida dell’arresto, firmati dalla procura di Roma e citati dal
Corriere della Sera. Il dottor Palumbo è stato arrestato giovedì insieme
all’imprenditore Maurizio Terra, amministratore unico di Dialeur, colti in
flagranza durante lo scambio di mazzette: il primo è in carcere, il secondo ai
domiciliari.
Per le imprese riottose alle richieste, poteva scattare la minaccia da parte del
primario. In che modo? “Paventando di fare in modo che i pazienti dimessi dal
Sant’Eugenio, ma ancora bisognosi di terapia emodialitica ambulatoriale, non si
rivolgessero più per la predetta terapia” alle cliniche poco inclini alle
richieste del primario. Sarebbe accaduto all’imprenditore Antonio Carmelo
Alfarone della Rome medical Group. Quest’ultimo ha denunciato Palumbo per gli
anni tra il 2019 e il 2021: secondo la procura, Alfarone sarebbe stato costretto
a versare al dottore 3mila per ciascun paziente, in tutto 700mila euro. Non
solo: il primario avrebbe ricevuto 1.600 euro al mese per pagare l’affitto di
una casa al centro di Roma, altri mille per una Mercedes in leasing, 3 carte di
credito utilizzate in ristoranti, alberghi, esercizi commerciali. Per la sua
compagna, invece, un contratto di consulenza da 2.500 euro mensili per un anno.
Agli atti degli inquirenti ci sono anche le intercettazioni. In una di queste
l’imprenditore ai domiciliari Maurizio Terra illustra alla moglie le parole del
primario: “Quello che devi fa te… si devi fa l’amministratore e non
l’amministrativo… fai l’amministratore e te godi la vita”. Palumbo si sarebbe
riferito ad una passaggio di quote societarie di una clinica per i pazienti in
dialisi. L’avvocato di Palumbo ha smentito ogni accusa: “Stiamo parlando di uno
dei principali nefrologi italiani. Grazie alle sue attività, l’Ospedale ha
guadagnato. Dimostreremo che Palumbo non ha preso alcuna mazzetta. Quelli erano
soldi che gli spettavano per sue prestazioni professionali”.
L'articolo Carte di credito, auto di lusso e affitto pagato: “Così veniva
corrotto il primario del Sant’Eugenio” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Nel suo nuovo Rapporto 2025 sulla situazione sociale del Paese, il Censis,
l’istituto di ricerca socio-economica italiano, dipinge un quadro di profonda
incertezza e declino del benessere, con il ceto medio in affanno, i lavoratori
più anziani a sostenere l’occupazione e un aumento record del debito pubblico,
in un contesto di forte disillusione e timori crescenti sulla tenuta del
Servizio Sanitario Nazionale.
4 pensionati su 10 aiutano figli e nipoti – L’Italia continua a invecchiare, con
gli over 65 che rappresentano il 24,7% della popolazione. I pensionati svolgono
un ruolo economico cruciale per le famiglie: il 43,2% fornisce aiuti economici
regolari a parenti e il 61,8% ha contribuito o intende contribuire a spese
importanti di figli o nipoti, come l’acquisto della casa. La consapevolezza di
questo necessario supporto a figli e nipoti giustifica, per il 54,2% degli
italiani, l’indicizzazione all’inflazione anche delle pensioni lorde superiori
ai 2.500 euro. E vista l’incertezza economica, il 94,2% degli anziani risparmia
per malattia o non autosufficienza e l’82,2% monitora il bilancio familiare. Non
solo: il 72,6% degli attuali pensionati vorrebbe continuare a lavorare, purché
non ci siano penalizzazioni fiscali.
Tra lavoratori anziani e robot – Il mercato del lavoro è soggetto a una
progressiva “senilizzazione“. L’incremento di 833.000 occupati nel biennio
2023-2024 è dovuto per l’84,5% (704.000 unità) alle persone con 50 anni e oltre.
Nei primi dieci mesi del 2025, il saldo positivo (206.000 occupati in più) è
dovuto esclusivamente agli over 50 (+410.000 unità), a fronte di cali tra i
35-49enni (-1,1%) e gli under 35 (-2,0%). Tra i giovani, gli inattivi sono in
forte aumento (+3,0%). Questa crescita del lavoro (+3,7% occupati, +5,3% ore
lavorate) supera il Pil (+1,7%), causando una riduzione degli indicatori di
produttività: -2,0% del valore aggiunto per occupato. In parallelo, l’Italia è
14° per intensità di automazione e 6° nel mondo per robot industriali installati
nel 2023. Nel settore automotive (1995-2022), segnala il rapporto, la produzione
è aumentata del 61,4% con una riduzione del 21,3% della forza lavoro, ma a
fronte di un aumento del valore aggiunto per occupato del 48,8%, i salari sono
cresciuti solo del 9,3%.
Sfiducia e incubo sanità – Il 78,5% degli italiani teme di non poter contare su
servizi sanitari adeguati in caso di non autosufficienza. Lo stesso contesto
sanitario è difficile: in un anno si sono registrati 22.049 casi di aggressione
agli operatori. Il 91,2% dei medici ritiene il lavoro nel SSN più stressante. Il
66,0% dei medici non ha tempo per dialogare con i pazienti, il 65,9% opera in
strutture con carenze di personale e il 51,8% usa attrezzature obsolete. Il
41,2% non si sente sicuro a causa della violenza e il 71,8% si sente un capro
espiatorio delle carenze del sistema. La percezione di inadeguatezza
dell’intervento pubblico si estende anche ai rischi ambientali, con il 72,3% che
crede insufficienti gli aiuti statali in caso di eventi estremi. Di conseguenza,
il 54,7% si dichiara disposto a spendere fino a 70 euro al mese per tutelarsi, e
il 52,3% considera la possibilità di ridurre i consumi per l’acquisto di
strumenti assicurativi. Tuttavia, il 70% degli italiani non intraprende azioni
concrete sul piano finanziario o assicurativo. Tra le alternative, il 37,2%
rimanda la decisione, il 34,5% punta sui risparmi e il 22,0% sul welfare
pubblico.
C’era una volta il ceto medio – Il ceto medio è in grave affanno e rischia di
perdere il proprio status. Le retribuzioni annue medie reali nel 2024 sono
inferiori dell’8,7% rispetto al 2007, e nello stesso periodo il potere
d’acquisto pro capite è calato del 6,1%,. Tra il 2004 e il 2024, il numero di
titolari d’impresa è diminuito del 17,0%, con quasi 585.000 imprenditori in
meno. Particolarmente colpita la fascia giovane, dove gli imprenditori under 30
sono calati del 46,2%. Tra il 2011 e il 2025, la ricchezza delle famiglie
italiane è diminuita in termini reali dell’8,5%. Il ceto medio è il più
penalizzato: il 50% delle famiglie più povere ha perso il 23,2% della propria
ricchezza, mentre il 10% delle famiglie più ricche l’ha vista aumentare del
5,9%. Il 48% della ricchezza è detenuto dal 5% delle famiglie più abbienti.
L’inflazione ha aggravato la situazione: nel 2024 i prezzi erano più alti del
17,4% rispetto al 2019 e il carrello della spesa del 23,0%. Nonostante la spesa
maggiore, il volume di generi alimentari acquistati è diminuito del 2,7%.
Il debito pubblico più alto di sempre – A settembre il debito pubblico italiano
ha toccato la cifra record di 3.081 miliardi di euro, in crescita del 38,2%
rispetto al 2001,. La spesa per interessi nell’ultimo anno è stata di 85,6
miliardi, corrispondenti al 3,9% del Pil, il valore più alto tra i Paesi europei
dopo l’Ungheria e ben oltre la media Ue dell’1,9%. Questi costi superano gli
investimenti pubblici (78,3 miliardi) e la spesa per i servizi ospedalieri (54,1
miliardi). La vulnerabilità è accresciuta dal fatto che il 33,7% del debito è in
mano a creditori esteri (più di 1.000 miliardi), mentre le famiglie detengono il
14,4%,. Nel contesto del G7, dove il debito è lievitato dal 75,1% al 124,0% del
Pil tra il 2001 e il 2024, l’Italia è passata dal 108,5% al 134,9%. Si prevede
che entro il 2030 il rapporto debito/Pil nel G7 supererà il 137%.
Il calo della produzione industriale – L’indice della produzione industriale ha
segnato un dato negativo per trentadue mesi consecutivi, con l’eccezione di tre
lievi rimbalzi. La produzione manifatturiera ha registrato un calo del -1,6% nel
2023, del -4,3% nel 2024 e del -1,2% nei primi nove mesi di quest’anno. Solo
quattro comparti (elettronica, alimentare, farmaceutica, legno e carta) mostrano
segnali di ripresa nel 2025. In controtendenza, la fabbricazione di armi e
munizioni ha registrato un incremento del 31,0% nei primi nove mesi dell’anno
rispetto all’anno precedente.
Torna il sogno del pubblico impiego – La disaffezione verso il lavoro privato è
evidente, con solo il 29,4% degli occupati dipendenti nel settore privato che si
sente molto motivato. La motivazione è maggiore negli over 55 (37,5%) rispetto
agli under 44 (24,0%). Il disimpegno è legato al disallineamento tra competenze
e mansioni. La maggioranza dei lavoratori (46,4%) preferirebbe un impiego
dipendente nel settore pubblico, mentre solo il 30,6% opterebbe per il privato e
l’11,0% per la libera professione. La stabilità (63,0%), la certezza del reddito
fisso (55,1%) e l’evitare il rischio di licenziamento (35,2%) sono le principali
ragioni di questa preferenza. La permanenza media nello stesso lavoro in Italia
è di 11,7 anni, superiore alla media Ue di 9,9 anni. Tuttavia, solo il 38% dei
lavoratori italiani ritiene il proprio ambiente professionale psicologicamente
ed emotivamente salubre.
E intanto sul lavoro si continua a morire – Nel 2024 sono stati denunciati
518.497 infortuni sul lavoro in Italia, 22 ogni 1.000 occupati, con 1.191 esiti
mortali. Negli ultimi dieci anni gli occupati sono aumentati del 9,2% e gli
infortuni diminuiti del 10,7%, ma quelli mortali sono in lieve aumento (+0,8%).
Nel primo semestre 2025, gli infortuni mortali sono aumentati del 7,1%,
arrivando a 495 casi. Le malattie professionali sono state 88.384 nel 2024, un
dato in crescita del 54,1% nell’ultimo decennio. Il genere è un fattore di
rischio primario, con il 92,0% dei morti sul lavoro di sesso maschile. Anche i
lavoratori stranieri e i giovani sono più esposti: gli stranieri, che sono il
10,5% degli occupati, hanno subito il 23,0% di tutti gli infortuni; i giovani
15-24enni, il 4,8% degli occupati, hanno registrato il 12,0% degli infortuni.
L'articolo Il Paese dei pensionati che aiutano i nipoti. Impoveriti, invecchiati
e con l’incubo Sanità: l’Italia del Censis 2025 proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un nuovo sondaggio rivela quanto i pazienti oncologici si sentano impreparati e
vulnerabili nel periodo che intercorre tra la diagnosi e l’inizio del
trattamento. La ricerca è stata finanziata da Abbott, che ha pubblicato “The
Prehabilitation Method”, una guida dedicata a chi affronta una diagnosi
oncologica per imparare a utilizzare quel tempo in modo utile, attraverso un
percorso di preabilitazione basato su alimentazione, attività fisica e benessere
psicologico. Oltre la metà dei partecipanti (56%) non aveva mai sentito parlare
di questo approccio.
Secondo quanto è emerso dal dossier, dopo l’intervista a 500 adulti che hanno
ricevuto una diagnosi di tumore negli ultimi cinque anni, un quarto dei pazienti
afferma che nulla avrebbe potuto prepararli alla lunga e angosciante attesa che
precede le cure. Le settimane successive alla diagnosi sono state caratterizzate
da sentimenti intensi: il 46% ha riportato ansia, il 40% incertezza e il 23% una
sensazione di totale smarrimento.
Dallo studio emerge che, mediamente, i pazienti hanno dovuto aspettare tre
settimane prima di iniziare il trattamento. Durante questo periodo, il 92% ha
dichiarato di non sentirsi in controllo della propria vita, faticando a gestire
emozioni, routine quotidiane e capacità decisionali.
Imogen Watson, dietista e responsabile degli affari medici e scientifici di
Abbott nel Regno Unito, ha spiegato: “Non sono sorpreso dal fatto che appena
viene fatta la diagnosi il paziente oncologico inizia a sviluppare uno stato
d’ansia, paura e confusione – e ha aggiunto – Spesso si va nel panico e non si
sa come agire, ma il tempo tra la diagnosi e l’inizio delle cure può
assolutamente aiutare a prepararsi per quello che verrà dopo, sia mentalmente
che fisicamente. Speriamo di aumentare la consapevolezza del concetto di
preabilitazione, è assurdo che le persone si sentano perse e preoccupare durante
quel periodo, questo perché abbiamo lavorato con persone con molta esperienza
che possono rappresentare una guida”.
Nel periodo precedente alle cure, molti partecipanti hanno trascorso il tempo
guardando la TV, facendo ricerche sulle terapie o passeggiando. Alcuni hanno
dedicato più tempo alla famiglia, altri hanno scelto di concentrarsi sulla
salute mentale. Tuttavia, il 23% non era consapevole del ruolo fondamentale
dell’alimentazione, mentre un quinto avrebbe voluto sapere come sfruttare meglio
il tempo a disposizione. Solo il 15% dei pazienti si è detto maggiormente
preoccupato per la propria capacità di affrontare la diagnosi; il 39%, invece,
temeva soprattutto per i propri cari.
L'articolo “I pazienti oncologici sono impreparati ad affrontare il periodo tra
la diagnosi e l’inizio delle cure”: un’equipe di medici ha messo a punto la
“Preabilitazione” proviene da Il Fatto Quotidiano.
E dire che di lavoro ce ne sarebbe molto. Tra i nuovi ospedali da costruire,
buchi nei bilanci, medici a cavallo tra settore pubblico e il privato, inchieste
varie e via discorrendo, l’ufficio della responsabile del settore
“Anticorruzione e vigilanza sui contratti e sulle strutture pubbliche e private”
della Direzione Sanità della Regione Piemonte dovrebbe essere impegnatissimo a
trovare buone pratiche per prevenire corruzione e sprechi. Invece la dirigente
Laura Benente, nominata da sei mesi, è ancora sola: “Non sono mai state
attribuite risorse di personale a questa struttura”, ha detto lei lunedì 17
novembre, nel corso di un’audizione della commissione Legalità del consiglio
regionale, per poi aggiungere che “il settore non sta in piedi da solo o,
meglio, solo con il dirigente”.
La sua è una figura unica in Italia: “Non mi risulta che in altre regioni esista
una struttura analoga che si occupa di anticorruzione nello specifico
dell’ambito sanitario”, ha spiegato. Non si tratta del responsabile
anticorruzione, presente in tutte le amministrazioni regionali, ma di quello
specifico della Direzione Sanità, ambito da cui passa il grosso della spesa
delle regioni. Il suo ruolo è stato creato nell’ottobre 2019 dalla giunta
piemontese di Alberto Cirio, per promuovere “le buone pratiche per il contrasto
di fenomeni corruttivi”, coordinare e promuovere la vigilanza sui contratti
delle aziende sanitarie regionali e sulle strutture pubbliche e private, ma
anche promuovere e coordinare “attività volte ad assicurare l’adeguatezza
complessiva dei controlli” per garantire “la tutela della salute mediante un
utilizzo oculato delle risorse pubbliche destinate”. Da allora si sono succeduti
due dirigenti ad interim, privi di staff, e per un certo periodo il ruolo è
rimasto scoperto.
A maggio, i consiglieri Pd Mauro Salizzoni e Domenico Rossi hanno denunciato
“una scarsa attenzione per questo tipo di attività”, cioè la vigilanza
anticorruzione, “che forse avrebbe potuto prevenire la bufera che si sta
abbattendo sui conti della principale azienda ospedaliera del Piemonte e che
sembra destinata ad allargarsi”. Sia la procura di Torino sia la procura della
Corte dei conti avevano avviato inchieste sui bilanci della Città della Salute,
il principale polo ospedaliero di Torino. E ancora non si era a conoscenza
dell’indagine della procura di Ivrea su appalti e concorsi truccati
nell’ospedale di Settimo Torinese. L’assessore regionale al Personale, Gianluca
Vignale, rispose all’interrogazione affermando che presto avrebbero messo a
bando l’incarico che, comunque, ha un compito di coordinamento dei responsabili
della prevenzione della corruzione e della trasparenza (Rpct) delle aziende
sanitarie regionali.
E qui viene uno degli aspetti critici segnalati da Benente nel corso
dell’audizione. Ascoltata dal presidente della commissione, Rossi, e pochi altri
consiglieri, la dirigente ha spiegato di aver avviato incontri con alcuni Rpct
per avere il polso della situazione, ma ha sottolineato che “difficilmente gli
Rpct delle aziende sanitarie svolgono questo ruolo in via esclusiva”, ma lo
esercitano accanto ad altri incarichi interni alle Asl: “Questo pone non pochi
problemi di reale efficacia di quel ruolo e anche, forse, a volte di opportunità
di sovrapposizione di funzioni che vanno valutate attentamente – ha detto per
poi aggiungere –. Io credo che gli Rpct delle Asl, da soli, non abbiano tutta la
forza necessaria per affrontare un contrasto efficace a quella che è la
maladministration”.
C’è poi un’altra questione: “Questo quadro si è arricchito, da quando è stato
istituito il settore ad oggi, anche di nuovi attori”, ha aggiunto riferendosi
alla nascita dell’Orecol, Organismo di controllo collaborativo che vigila su
contratti e appalti della Regione e delle sue partecipate, ora presieduto
dall’avvocato di Giorgia Meloni, Luca Libra. Inoltre, circa un anno fa, è stato
costituito a un gruppo di esperti (composto dal prefetto a riposo Filippo
Dispenza, l’ex pm Antonio Rinaudo, il generale dei carabinieri Franco Frasca e
quello della Guardia di finanza Giovanni Mainolfi che “accompagneranno” la
realizzazione di undici nuovi ospedali e altre strutture sanitarie, un
investimento da 4,5 miliardi di euro.
Insomma, sorge un problema di sovrapposizione di compiti e competenze. Nel
frattempo, l’ufficio della dirigente anticorruzione della Sanità resta vuoto.
Sarebbero in corso interlocuzioni, ma “al momento non ho notizie sui tempi e sul
numero” di persone assegnate al suo staff. “L’audizione della dirigente ha messo
in evidenza due problemi: l’assenza di staff dedicato al settore e una
frammentazione degli organismi che si occupano di legalità e anticorruzione.
Serve un coordinamento strategico e un rafforzamento del settore”, sintetizza il
presidente della commissione Legalità, Rossi, che presenterà un atto di
indirizzo in questa direzione.
L'articolo Sanità piemontese, l’anticorruzione lasciata senza personale:
sovrapposizioni di competenze e ritardi proviene da Il Fatto Quotidiano.
Medici, infermieri, ostetrici, tecnici della prevenzione, di laboratorio, della
riabilitazione. Ma anche chi si occupa di gestire la prenotazione delle
prestazioni o chi è impiegato nei servizi di accettazione. Tutti i lavoratori
del comparto sanitario potranno partecipare allo sciopero generale del 28
novembre, indetto dai sindacati di base – Usb, Cobas, Cub e Sgb -, che anticipa
la manifestazione nazionale in programma a Roma per il giorno successivo. “La
situazione è sotto gli occhi di tutti. Lavoratori e cittadini toccano con mano
la crisi della sanità. Quello che succede nei reparti, la carenza di personale,
le condizioni di lavoro, le liste d’attesa. E questa legge di Bilancio non farà
che peggiorare le criticità”, spiega a ilfattoquotidiano.it Stefano Corsini,
membro del coordinamento nazionale pubblico impiego di Usb. Da qui la scelta di
due giorni di protesta contro una manovra “che premia i redditi più alti, riduce
i servizi e condanna i lavoratori a un’ulteriore perdita di potere d’acquisto,
mentre il governo accelera su riarmo e spesa militare”.
SERVIZI ESSENZIALI ED ESAMI: COSA È A RISCHIO
Come sempre vale per gli scioperi in sanità, i servizi essenziali resteranno
comunque garantiti. Pronto soccorso e chirurgia d’emergenza continueranno a
operare regolarmente, così come l’assistenza ai pazienti già ricoverati, le cure
domiciliari e le attività di prevenzione considerate urgenti. A rischio rinvio,
invece, esami diagnostici, accertamenti e visite ambulatoriali. Possibili disagi
anche per le funzioni amministrative legate a prenotazioni e accettazione delle
prestazioni. “È il momento di tornare alla pratica del ‘Blocchiamo tutto’, già
utilizzata con efficacia in solidarietà al popolo palestinese, contro il
genocidio e in supporto alla Global Sumud Flotilla – spiega il sindacalista -.
Contro una legge di Bilancio povera e di guerra, che prevede la militarizzazione
della spesa pubblica. Basti vedere le risorse stanziate dall’esecutivo per
raggiungere gli obiettivi imposti dalla Nato o quanto previsto dal piano ReArm
Europe”.
“DEFINANZIAMENTO REALE”
Un cortocircuito, spiega, reso ancora più evidente se confrontato con quanto
messo sul tavolo dal governo per la salute. Il Fondo sanitario crescerà di 6,6
miliardi di euro nel 2026, ma la spesa pubblica si fermerà al 6,5% del Pil,
percentuale inferiore sia alla media Ocse (7,1%), sia a quella Ue (6,9%). “Dopo
aver dovuto ascoltare una serie infinita di dichiarazioni sul record di
stanziamenti in sanità, possiamo affermare con certezza che il definanziamento
reale del Servizio sanitario nazionale non si ferma – prosegue – Nel 2028 per la
prima volta il Fondo sanitario scenderà sotto la soglia del 6% rispetto al Pil.
L’aumento di risorse assolute di cui parla il governo è fumo negli occhi se non
viene parametrato con l’inflazione che lo divora”. Discorso che vale anche per
gli aumenti di stipendio previsti dal contratto Sanità della Pubblica
amministrazione, firmato a fine ottobre, per il triennio 2022-2024. Soprattutto
alla luce dei dati diffusi dall’Istat, secondo cui negli ultimi quattro anni i
prezzi dei beni alimentari in Italia sono aumentati del 25%.
GLI AUMENTI DI STIPENDIO? “IRRISORI”
“Tutto dovrebbe essere riparametrato all’inflazione – commenta Corsini – In tal
senso, il contratto appena firmato grida vendetta. Sono stati lasciati per
strada dieci punti reali di potere d’acquisto. A novembre i lavoratori si
renderanno conto effettivamente degli aumenti irrisori che riceveranno in busta
paga: circa 30 euro netti al mese per un infermiere con anni di anzianità”. E
riguardo al piano straordinario di assunzioni promesso dall’esecutivo, per
Corsini ci troviamo di fronte “all’ennesima politica dell’annuncio, perché 6mila
infermieri in più sono una barzelletta”. In Italia, ne mancano più di 65mila –
anche se secondo i sindacati di categoria la carenza è quasi tre volte maggiore
– e nei prossimi anni questa penuria peggiorerà ancora, visto che sempre meno
giovani scelgono di intraprendere questa professione. “A queste condizioni
lavorative e salariali, in ogni caso, sarà difficile anche assumere i 6mila
professionisti previsti dalla manovra. Le condizioni economiche non sono
sostenibili. Banalmente, come pensiamo che un infermiere possa vivere in una
città cara come Milano con questi stipendi?”, conclude Corsini.
L'articolo Sciopero generale 28 novembre, si ferma anche la sanità: visite ed
esami, ecco cosa è a rischio. “Gli aumenti? Irrisori” proviene da Il Fatto
Quotidiano.