di Fiore Isabella
Cari parlamentari cattolici,
la Vostra risposta alla nota della Cei la considero troppo categorica, anche
alla luce di una profezia che non è tanto annunciare il futuro, quanto
interpretare la volontà di Dio nel presente, specialmente nei momenti di crisi
come quella odierna alimentata da conflitti in cui il cinismo dei potenti della
terra non risparmia neppure i bambini. Che cosa c’è di più categorico
dell’affermazione: “Siamo politici, non preti. Le armi servono”?
Non so quantificare l’entità del carattere blasfemo di tale affermazione in
bocca a politici che si richiamano alla Chiesa e, al contempo, se ne allontanano
lanciando un’opa incondizionata alle ragioni delle armi e della guerra.
Fortunatamente, la nostra generazione con la guerra non ha avuto contatto
diretto; dell’ultima, quella del secondo conflitto mondiale, mi parla ancora mia
madre, oggi 98 anni, allora poco più che bambina. Io l’ascolto volentieri
perché, a quell’età, raccontare il passato esercita la funzionalità delle sue
sinapsi risvegliando tormenti e paure mai del tutto sopite.
Sapete Voi, cari parlamentari-cattolici-non-preti, quali erano le paure della
famiglia di mia madre e delle tante famiglie povere del tempo in cui si campava
a fatica o si moriva di stenti? Era quella di vedere una pentola di rame, il
vomere dell’aratro di metallo di suo padre, anziano bovaro, requisiti dai
gerarchi del fascismo e convertiti dall’industria bellica statale in bombe e
siluri. Sì, proprio quegli aggeggi infernali usati per ammazzare e non certo per
cuocere la verdura e per arare i campi.
Io, diversamente da Voi cari parlamentari-cattolici-non-preti, ho molto
apprezzato la nota pastorale dei Vescovi, estremamente critica verso il governo
di colei che si professa madre, italiana e cristiana; l’ho apprezzata perché
parla di disarmo e di pace, parla di servizio civile obbligatorio e non di
ripristino del servizio militare, parla di tavolo della diplomazia e non di
campi di battaglia. Mons. Giovanni Ricchiuti, proprio in questi giorni, a
proposito della guerra in Ucraina ricorda: “È dall’inizio della guerra che la
Chiesa sostiene che la soluzione militare non avrebbe portato la pace, ma
peggiorato la guerra. Ora, dopo quasi quattro anni, a che punto siamo? L’Europa
e l’Italia avrebbero dovuto seguire altre strade: non le armi, ma il negoziato.
Quindi fa bene la Cei a smarcarsi da qualsiasi appoggio alle politiche di riarmo
del governo”.
E poi perdonatemi, cari parlamentari-cattolici-non-preti, adesso si vuole
reintrodurre il servizio militare obbligatorio e chi lo propone sostiene che il
servizio militare educa i giovani. Mons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax
Christi Italia, si chiede: “Ma perché bisogna educarli con il fucile fra le
mani?”. Appare chiaro che, usando il termine educare in modo improprio, si dà
adito a chi confonde l’esercizio all’uso delle armi a quello di educare che vuol
dire insegnare a pensare; tutt’altra cosa dell’imparare ad ammazzare. Il
pensiero, che porta nel suo Dna lo sviluppo delle capacità critiche, prevede la
possibilità di disubbidire – che è una pratica estranea alle logiche militari.
Il pensiero libero è la condizione essenziale per essere protagonisti del
proprio destino e non sopporta il cedimento all’ubbidienza passiva, così come
l’ubbidienza “senza se e senza ma” non tollera alcun ricorso alla pedagogia,
tantomeno alla “pedagogia mite” che si fonda sull’interpretazione dell’uomo
“ascoltandolo” e non “parlando a lui”.
Cari parlamentari-cattolici-non-preti, a questo punto e con rispetto, Vi chiedo:
qual è la differenza tra cattolici preti e cattolici parlamentari? E il Vangelo
da che parte sta? Dalla parte di chi ha il compito di predicarlo e praticarlo o
dalla parte di chi dice che le armi servono?
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L'articolo Cari parlamentari-cattolici-non-preti, dire che ‘le armi servono’ è
una vera blasfemia proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Cei
Da anni svolgono il servizio spirituale per il personale militare, sono essi
stessi arruolati nelle forze armate e prendono parte alle missioni, umanitarie o
in campo di guerra. I cappellani militari, i sacerdoti “in divisa”, hanno anche
i gradi e sono equiparati agli ufficiali. Ma il loro ruolo nel prossimo futuro
potrebbe cambiare o essere affiancato da altre figure. L’argomento è stato,
infatti, affrontato dalla Conferenza episcopale italiana nella nota pastorale
“Educare alla pace disarmata e disarmante“, approvata dall’assemblea generale
che si è svolta ad Assisi.
“SERVONO FORME MENO LEGATE ALLE FORZE ARMATE”
Dopo aver criticato la corsa al riarmo, parlato di obiezione di coscienza e
servizio civile obbligatorio, i vescovi hanno anche dedicato un paragrafo della
nota proprio alla “testimonianza ecclesiale di pace entro le Forze armate”.
Ricordando le figure di alcuni noti cappellani militari (in primis Angelo
Roncalli, poi diventato Papa Giovanni XXIII, o don Giovanni Minzoni) e il ruolo
dei sacerdoti anche nelle missioni all’estero delle Forze armate italiane, la
Cei ribadisce la “gratitudine” per “l’opera dei cappellani militari che in tanti
contesti hanno testimoniato l’Evangelo della pace anche in situazioni molto
difficili”, ma apre una riflessione. “Ci chiediamo però anche se non si debbano
prospettare diverse forme di presenza in tali contesti, meno direttamente legate
a un’appartenenza alla struttura militare“. In questo modo, si legge nella nota
pastorale, le nuove figure “consentirebbero maggior libertà nell’annuncio di
pace specie in contesti critici”.
LA RECENTE MODIFICA
Parole in qualche modo rivoluzionarie che potrebbero portare a sostituire o
modificare una figura che ha creato dibattito anche all’interno della Chiesa
stessa (basti ricordare la “Lettera ai cappellani militari” scritta da don
Milani nel 1965). Presa di posizione che arriva, tra l’altro, a un mese
dall’entrata in vigore delle modifiche – conseguente allo Scambio di Lettere tra
la Repubblica Italiana e la Santa Sede – relative al ruolo di cappellano
militare: tra queste anche l’abbassamento dell’età richiesta per la nomina da 28
a 25 anni e l’eliminazione del limite anagrafico massimo (prima fissato a 40
anni). Novità che, in realtà, sembrano finalizzate a consentire un ampliamento
dell’organico.
IL RUOLO E COME AVVIENE LA NOMINA
Presenti al fianco dei militari già prima dell’unità d’Italia, il ruolo dei
cappellani militari è stato via via sempre più formalizzato e strutturato. Il 6
marzo del 1925 nasce l’Ordinariato militare per l’Italia, al quale è stato
assegnato il compito dell’assistenza spirituale nelle forze armate. Oggi
assimilato a una diocesi, l’Ordinariato è guidato da un arcivescovo ordinario
militare (ruolo ricoperto dall’aprile scorso dall’arcivescovo Gian Franco Saba),
designato dal Papa e nominato con decreto del presidente della Repubblica, su
proposta del presidente del Consiglio e dei ministri della Difesa e
dell’Interno. L’Ordinario militare è coadiuvato da un vicario generale militare
e da tre ispettori. Anche i cappellani militari vengono nominati con decreto del
Presidente della Repubblica ma su proposta del ministro della Difesa, previa
designazione dell’Ordinario Militare. L’istituzione ecclesiastica di cappellano
militare e il conferimento della missione canonica sono, invece, di competenza
propria dell’Ordinario Militare.
IL GIURAMENTO E I GRADI MILITARI
Essendo anche lui arruolato il cappellano militare, nell’assumere servizio,
presta giuramento con la formula e secondo le modalità previste per gli
ufficiali delle Forze armate dello Stato. Di regola indossa solo l’abito
ecclesiastico previsto, salvo situazioni speciali dove è necessario indossare la
divisa militare. La gerarchia prevede anche per loro i gradi militari:
l’ordinario militare è equivalente al grado di generale di corpo d’armata; il
vicario generale militare al grado di generale di divisione; l’Ispettore al
grado di generale di brigata. Poi ci sono il 3º cappellano capo, equivalente al
grado di colonnello; il 2º cappellano capo equivalente al grado di tenente
colonnello; il 1º cappellano capo equivalente al grado di maggiore; il
cappellano capo, equivalente al grado di capitano; il cappellano addetto,
equivalente al grado di tenente e, infine, il cappellano di complemento
equivalente al grado di sottotenente. Dal 1998 è stato istituito anche il
Seminario Maggiore dell’Ordinariato Militare per l’Italia, denominato “Scuola
Allievi Cappellani Militari”: qui i giovani possono prepararsi per essere
sacerdoti al servizio pieno dell’Ordinariato.
GLI STIPENDI
Non solo i gradi. Ai cappellani militari spetta anche un trattamento economico,
che corrisponde integralmente a quello degli ufficiali della Forza armata presso
la quale prestano servizio, secondo il grado di assimilazione. Lo stesso vale
per gli altri: all’Ordinario militare, ad esempio, compete il trattamento
economico previsto per il grado di generale di corpo d’armata. Stipendi che sono
a carico delle casse dello Stato italiano. A novembre, tra l’altro, i Radicali
Italiani hanno presentato un esposto alla Corte dei Conti per chiedere di
verificare la legittimità e l’economicità della spesa pubblica destinata ai
cappellani militari. “Ogni anno lo Stato spende oltre dieci milioni di euro per
finanziare un servizio religioso interno alle Forze Armate, con preti in
uniforme e elevati stipendi a carico dei contribuenti”, ha dichiarato il
segretario dei Radicali Filippo Blengino. Sottolineando le recenti modifiche ai
limiti di età “in modo da consentire un ampliamento dell’organico e una
permanenza più lunga nel servizio religioso militare”, per Blengino c’è il
rischio “di aumentare ulteriormente la spesa pubblica e di rafforzare un
privilegio confessionale incompatibile con la laicità della Repubblica“. “La
fede è una scelta personale; la laicità è un dovere dello Stato. Chiediamo che
la Corte dei Conti del Lazio accerti se questo uso di fondi pubblici sia
conforme alla Costituzione e all’interesse generale dei cittadini”, conclude la
nota del segretario del Radicali. Intanto – su un altro fronte – è oggi la Cei
ad aprire una riflessione sul ruolo dei cappellani militari.
(Nella foto l’Ordinario Militare in visita al Multinational Battle Group in
Bulgaria dal sito ordinariatomilitare.it)
L'articolo Cappellani militari, per la Cei il ruolo va rivisto: “Meno legati
all’esercito per parlare più di pace”. Gradi e stipendi: chi è oggi il sacerdote
“in divisa” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Le necessità della difesa non devono diventare occasione per contribuire al
riarmo globale di questi anni, distraendo risorse dalla costruzione di una
comunità più umana”. La Conferenza Episcopale Italiana torna a parlare di pace e
mette in guardia dalla corsa al riarmo avviata dai Paesi europei (e non solo).
Nella nota pastorale “Educare alla pace disarmata e disarmante“, approvata
dall’assemblea generale che si è svolta ad Assisi, la Cei rilancia gli appelli
di Papa Leone e richiama alla necessità di formare le coscienze per uscire dalla
logica della guerra. Una nota nella quale i vescovi toccano diversi argomenti:
dal web all’obiezione di coscienza – per una difesa non militare – fino al
servizio civile obbligatorio. La Cei propone anche di rivedere la figura dei
cappellani militari proponendo forme differenti “non legate” agli ambienti della
forze armate.
“UN’ALTRA STRADA È POSSIBILE”
I vescovi ricordano che l’Europa – che è stata “costruita in questi settant’anni
non con rivendicazioni o sopraffazioni, ma come cammino condiviso” – “va
coltivata espandendone tutte le potenzialità di pace”. Ma “appaiono invece
contraddittorie rispetto a tale orizzonte”, scrive la Cei, “quelle proposte di
pesanti investimenti sul piano degli armamenti e delle tecnologie militari che
hanno fatto seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia”. Per
questo l’Europa deve ricordare le proprie origini e tornare alla sua essenza:
“In un tempo in cui si tornano a invocare il conflitto e la guerra, guardando
all’altro solo come nemico e minaccia, l’Unione Europea testimonia che un’altra
strada è possibile, che la logica della violenza non è inevitabile”.
OBIEZIONE DI COSCIENZA E SERVIZIO CIVILE
“In un tempo in cui governi, attori politici e perfino opinioni pubbliche
considerano la guerra come strumento privilegiato di risoluzione dei conflitti,
occorre il coraggio di vie alternative per dare sostanza al realismo
lungimirante della cura della dignità umana e del creato. Vale allora la pena –
si legge nella nota pastorale – di far memoria di esperienze civili di grande
spessore, cui i cattolici hanno contribuito. Una di queste è quella che ha
portato a scoprire che la difesa della patria non si assicura solo con il
ricorso alle armi, ma passa per la cura della civitas, attraverso l’obiezione di
coscienza e il servizio civile”, scrive la Cei per la quale “un servizio civile
obbligatorio sarebbe un investimento per dare alle prossime generazioni
l’occasione di praticare la cura per la dignità della persona umana e per
l’ambiente, per opporsi all’ineguaglianza che si fa sistema sociale,
all’inimicizia come qualifica delle relazioni fra esseri umani e popoli, alla
soggezione dell’altro alle proprie ambizioni”.
I CAPPELLANI MILITARI
La Cei, tra le proposte concrete, parla anche dei cappellani militari e della
necessità di pensare a figure alternative: “C’è anche una forma di difesa della
patria che si compie nelle Forze armate ed essa non può lasciare indifferente la
Chiesa: anche qui occorrono forme di assistenza spirituale che esprimano
un’attiva sensibilità di pace”. Da qui la proposta di ” forme nuove di
assistenza spirituale per le Forze armate, che tengano anche conto dei
cambiamenti che hanno interessato il ruolo delle donne e degli uomini che
compiono questa scelta”. “Ci chiediamo anche se non si debbano prospettare
diverse forme di presenza in tali contesti, meno direttamente legate a
un’appartenenza alla struttura militare: esse consentirebbero maggior libertà
nell’annuncio di pace specie in contesti critici”, scrivono i vescovi.
WEB, ANTISEMITISMO E ISLAMOFOBIA
Nella nota si parla an che di web e media “luoghi in cui la pace va coltivata
quotidianamente”, secondo la Cei. “Portare nei social media una visione
nonviolenta significa contrastare la polarizzazione, promuovere linguaggi
rispettosi, educare al discernimento critico e aprire spazi di dialogo
autentico. Le grandi potenzialità della comunicazione digitale possono così
essere orientate all’incontro, alla ricerca comune della verità e alla
costruzione di comunità più giuste, nelle quali la cura reciproca prevalga sulla
logica dello scontro”, scrive la Conferenza episcopale nel documento. Infine i
vescovi lanciano l’allarme sull’aumento della diffusione di “antisemitismo,
islamofobia e cristianofobia“: “È drammaticamente cresciuto l’antisemitismo, che
riprende antiche falsità contro gli ebrei e che viene oggi alimentato da una
fallace identificazione della realtà ebraica con inaccettabili recenti pratiche
dello Stato d’Israele” mentre con “l’islamofobia” “si alimenta l’idea confusa di
una minaccia di islamizzazione dei popoli europei o di una ‘sostituzione
etnica’, per instillare nella quotidianità paura”. “Nei due casi, slogan e
campagne politiche favoriscono attacchi violenti contro le rispettive comunità“,
denuncia la Cei.
L'articolo I vescovi contro la corsa agli armamenti: “Necessità di difesa non
siano occasione per contribuire al riarmo globale” proviene da Il Fatto
Quotidiano.