Assistiamo a sempre più surreali dibattiti sulla necessità di rilanciare
l’Unione Europea rendendola finalmente un protagonista militare all’altezza dei
difficili tempi che corrono, ovvero del presunto tradimento statunitense. Tali
dibattiti evidenziano una volta di più la pessima qualità del ceto politico e
giornalistico italiano, espressione purtroppo veridica di un Paese alla deriva
sotto l’egida della pessima Meloni con la sua Armata Brancaleone di incapaci e
profittatori, nonché dell’altrettanto pessima finta opposizione piddina che
sulle questioni cruciali della pace e della guerra dimostra tutta la sua
subalternità alle forze dominanti.
Tutti costoro vaneggiano enunciando tesi sconnesse e destituite del benché
minimo fondamento, perché si ostinano a negare, come ogni psicopatico che si
rispetti, alcune verità del tutto elementari e inconfutabili.
Primo. La destabilizzazione tentata undici anni fa in Ucraina dalla Nato contro
la Russia e buona parte del popolo ucraino è fallita.
Secondo. Tale fallimento rientra nel quadro d’insieme del naufragio storico
dell’Occidente coloniale e neocoloniale. E’ definitivamente concluso, per
fortuna, il lungo periodo, durato circa 500 anni, dell’egemonia occidentale sul
pianeta.
Terzo. L’Occidente che sta tramontando definitivamente ha dominato il pianeta in
questi cinque secoli avvalendosi di strumenti di morte: guerre di sterminio,
genocidi e oppressione di moltitudini in Africa, America Latina, Asia. Non c’è
quindi nessun presunto primato in materia di diritti umani e democrazia da
rivendicare. La democrazia e lo Stato di diritto vivono attualmente una crisi
profonda e tendenzialmente esiziale proprio nel cuore stesso dell’Occidente
capitalistico.
Quarto. Il genocidio del popolo palestinese, tuttora in atto nonostante la finta
tregua di Sharm El Sheik, costituisce un’ulteriore mefitico sussulto del
corpaccio agonizzante dell’Occidente. Ne è protagonista lo Stato d’Israele,
governato da una compagine di nazisionisti che praticano apartheid, pulizia
etnica e massacri in modo non differente da quello che fu all’epoca il Terzo
Reich nazista e per tale motivo sono oggi sotto accusa in tutto il mondo, anche
in sedi giudiziarie riconosciute come la Corte internazionale di giustizia e la
Corte penale internazionale. Complici del genocidio sono del resto gli Stati
occidentali che da sempre finanziano e armano Israele coprendone i crimini, con
in testa Stati Uniti, Germania e Italia.
Quinto. Consapevole della decadenza occidentale in atto, il presidente
statunitense Donald Trump sta tentando una disperata manovra di contenimento
all’insegna del cosiddetto “Make America Great Again”. In tale ambito Trump
cerca un accordo con la Russia, nell’illusoria convinzione di dividerla dalla
Cina e in quella altrettanto demenziale di resuscitare la dottrina Monroe
affermando il proprio predominio in America Latina scatenando guerre
d’aggressione contro il Venezuela ma anche contro Colombia, Messico, Brasile,
Cuba. Si veda al riguardo il recente documento relativo alla Strategia nazionale
degli Stati Uniti. Contemporaneamente Trump sta pricedendo alla fascistizzazione
dello Stato all’insegna del razzismo contro i migranti.
Sesto. In questo quadro gli Stati Uniti, consapevoli – più e meglio degli ottusi
europei – della situazione di crisi terminale dell’Occidente, hanno deciso di
abbandonare la nave che sta affondando, lasciando gli europei a pagare il conto
della guerra in Ucraina e auspicando in sostanza la fine dell’Unione Europea.
Settimo. I dementi e corrotti governanti europei stanno scegliendo la via della
guerra contro la Russia, sia perché la potente lobby degli armamenti chiede il
riarmo, sia perché la militarizzazione della società sembra loro la risposta più
adeguata di fronte alla crisi della democrazia europea. Piuttosto che mollare il
potere personaggi come Merz, Macron, Stamer e Meloni sono pronti alla catastrofe
bellica. Per questo lanciano in continuazione allarmi infondati sulla presunta
aggressività russa, spingono fino all’inverosimile l’acceleratore sul riarmo,
impoverendo ulteriormente le loro economie e le loro società, ostacolano
irresponsabilmente il raggiungimento di una pace definitiva in Ucraina,
alimentando le pulsioni revansciste di Zelensky & C., rendendosi in tal modo
colpevoli, come lo fu all’epoca Boris Johnson, quando sabotò poco dopo
l’invasione russa il raggiungimento di un accordo di pace a Istanbul, della
morte di decine di migliaia di giovani ucraini e russi.
Prendere atto dei sette postulati appena enunciati costituisce la necessaria
operazione di pulizia preliminare per continuare a parlare di Europa. Ciò
comporta evidentemente una vera e propria rivoluzione concettuale e politica che
veda la rimozione delle attuali sconfitte, decotte e corrotte classi dominanti
europee per aprirsi a una prospettiva di pace e cooperazione nell’ambito di un
mondo multipolare, mentre la ruota della storia si rimette in moto, nonostante e
contro l’Unione Europea in disfacimento.
L'articolo L’Ue è fallita insieme all’intero Occidente: sette motivi per
prenderne atto (e da cui ripartire) proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Riarmo
di Riccardo Bellardini
Io credo che nello sconquasso generale che domina il quadro geopolitico globale,
l’Unione Europea possa ritrovare ancora la sua saggezza, o più precisamente il
senno, buttato via negli ultimi anni, sostituito da una lucida, inquietante
follia guerrafondaia. Ancora c’è tempo, forse, per evitare il peggio, e a mio
avviso la via da percorrere è solo una: riaprire il canale diplomatico con
Putin. Sì. L’unione deve tornare a parlare con Hitler 2.0.
Non in via indiretta, fingendo da una parte disposizione a discutere l’accordo
negoziale già improntato dall’America, spingendo poi dall’altra l’acceleratore
sulla militarizzazione anti-russa della società a tutti i livelli. Deve
incontrare dal vivo lo Zar, guardarlo in faccia di fronte ad un tavolo. Parlare
con lui, coi suoi collaboratori. Tornare a riallacciare rapporti concreti,
tangibili, mettersi in prima linea nell’iniziativa negoziale. Solo così
spariglierebbe le carte. Donald Trump perderebbe il suo ruolo da unico
pacificatore mondiale che ormai gli viene riconosciuto in ogni sede, mancando
davvero soltanto la conquista del Nobel, e in tal caso sarebbe un premio unico
nel suo genere, consegnato a chi ha nei fatti formalizzato una pulizia etnica,
quella palestinese, spacciandola per pace (oh, che pace sublime!).
A quel punto Trump non potrebbe più dire peste e corna della piccola Europa, per
decenni fiero zerbino degli Usa. Dovrebbe starsene almeno per un po’ in disparte
a guardare. Papa Leone XIV ritiene che non è possibile escludere l’Europa dalle
trattative di pace, ma a sua Santità vorrei dare una notizia: é lei che si è fin
dall’inizio autoesclusa. Dall’Unione Europea non sentiamo che frasi incendiarie
da tre anni. I fragori delle armi li ascoltiamo già nelle frasi dei leader
sprezzanti del vecchio continente, che sembrano correre con gioia il pericolo
mortale, forse perché saranno i civili comuni quelli inevitabilmente più esposti
ai drammi di una catastrofe bellica, mentre loro avranno modo di trovare il
salvacondotto.
Se l’Unione europea è diversa dai barbari, se si ritiene emblema dei diritti
umani e delle libertà, riprenda la via della diplomazia, completamente
seppellita sotto la coltre di un riarmo dissanguante per le economie nazionali.
Parlare con Putin non significa consegnargli la vittoria. Significa tentare di
ottenere una distensione che il leader russo non sembra disdegnare, dal momento
che da Mosca le uniche minacce che sentiamo sono in realtà risposte alle minacce
subite dal blocco occidentale, con in testa l’Ue fomentata dal riarmo, dunque
sono minacce solo perché l’informazione allineata le vende come tali. Vorrei
tanto essere un complottista qualsiasi nel sostenere ciò. Purtroppo però non è
così. Finite le patrie e gli slanci identitari, non resta che l’odio, dunque ci
inculcheranno l’odio nei confronti dei russi, e lo faranno i paladini delle
libertà.
Loro, i capi di quel progetto di pace che fu l’Unione Europea, se tutto
procederà senza deviazioni ci educheranno ad aver paura del nemico orientale e a
provare astio nei suoi confronti, così ci verrà pure la voglia di neutralizzarlo
con un’arma di ultima generazione. Loro, difensori inarrivabili dei diritti
umani, ci insegneranno ad odiare. Proprio loro. Tuttavia un cambio di direzione
è ancora possibile: si può parlare a voce più bassa e tendere la mano, perché il
mondo non si può permettere una guerra nucleare.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dichiarato che l’Italia
ripudia la guerra. Ha riportato il testo di un articolo costituzionale ormai de
facto completamente dimenticato, violato senza ritegno. Il Capo dello Stato si
attivi, se quest’articolo è davvero ancora valido, pressando il governo
nazionale per indurlo ad un cambio di strategia da discutersi anche in sede
europea. L’Unione Europea può tornare credibile soltanto se alla legge del più
forte sostituisce la riabilitazione e la valorizzazione di un canale che l’ha
sempre contraddistinta: quello diplomatico.
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L'articolo L’Ue può ancora ritrovare il senno buttato nella follia bellicista
riaprendo il dialogo con Putin proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il sì all’ampliamento dello stabilimento della fabbrica di bombe nelle campagne
del Sulcis, a pochi chilometri dal mare, “esplode” all’interno della giunta
regionale sarda. “Non posso fare altro”, aveva provato a spiegare la presidente
Alessandra Todde (del Movimento 5 stelle) ufficializzato il via libera
all’autorizzazione. Adesso, però, un partito della maggioranza prendere le
distanze: Alleanza Verdi Sinistra annuncia, infatti, il voto contrario alla
delibera e chiede di ritirarla: “Chiediamo una fase di confronto con la
presidente Todde e il centrosinistra anche sul tema della transizione ecologica
ed energetica”, dichiarano l’assessore ai Lavori pubblici Antonio Piu e i
consiglieri regionali Maria Laura Orrù, Diego Loi e Giuseppe Dessena. Posizione
sostenuta anche dai due leader nazionali del partito.
Una bella grana per Todde che – dopo aveva rallentato l’iter e dato l’illusione
di volerlo contrastare – è pronta a dare l’ok all’ampliamento dello stabilimento
Rwm Italia di Domusnovas, controllata dai tedeschi di Rheinmetall. Una fabbrica
che ha prodotto bombe per l’Arabia Saudita, droni per Israele, armi per Ucraina
e Paesi Nato, con soli 102 dipendenti fissi e molti interinali precari. I lavori
di ampliamento erano già stati completati ma senza autorizzazione definitiva e
l’annuncio della presidente è arrivato dopo un lungo iter che ha visto il
coinvolgimento di più assessorati e una serie di valutazioni tecniche: “Potrei
strappare qualche applauso se dicessi no alla Valutazione di impatto Ambientale
per Rwm, negando una nuova autorizzazione per i manufatti già realizzati. E il
giorno dopo mi ritroverei i tribunali e gli uffici dello Stato che commissariano
la Regione e ottengono lo stesso risultato a cui ora voi vi opponete. La Regione
ha un ruolo che va oltre i desideri della sua persona, ha un incarico
istituzionale che deve svolgere rispettando le leggi”, aveva detto Todde.
Non la pensano come lei gli alleati. “La Sardegna sostiene già un carico
militare sproporzionato e aggiungere un’industria di armi vuol dire condannarla
a essere retrovia di un’economia di guerra, riproponendo il vecchio ricatto del
lavoro in cambio di attività invasive che consumano territorio, dividono le
comunità e non lasciano futuro, solo capannoni vuoti e giovani costretti ad
andare via. Rivendichiamo invece uno sviluppo fondato sulle risorse dell’isola,
sulla pace, sulla qualità dell’ambiente e sulla dignità del lavoro, non
sull’ennesima fabbrica di armi”, scrivono assessore e consiglieri di Avs.
“Condivido in pieno la loro iniziativa”, commenta il leader di Sinistra italiana
Nicola Fratoianni: “Bisogna votare no all’ampliamento della fabbrica di armi ed
è utile quindi aprire un confronto con la presidente Todde per trovare soluzioni
alternative”, aggiunge. Sulla stessa linea Angelo Bonelli che invita la giunta
regionale a “votare no all’ampliamento perchè non solo dobbiamo essere coerenti
con quello che diciamo, ma la Sardegna è e deve restare una Regione di pace. Non
possiamo permetterci -avverte il leader di Europa verde – che una delle più
grandi industrie europee di armi come la tedesca Rheinmetall – produttrice di
droni, munizioni, che vende a Israele e sono state utilizzate a Gaza– ampli la
sua fabbrica”. “Questa delibera va bocciata e siamo pronti a sostenere tutte le
azioni giuridiche a sostegno dell’iniziativa di Avs”, conclude Bonelli. La
giunta regionale potrebbe comunque approvare la delibera anche senza il voto
dell’assessore di Avs. Ma rappresenterebbe un fatto politico che potrebbe avere
conseguenze sulla maggioranza che sostiene Todde.
L'articolo Sardegna, tensioni in giunta. Avs contro Todde: “No all’ampliamento
della fabbrica di bombe. Ritirate la delibera” proviene da Il Fatto Quotidiano.
di Fiore Isabella
Cari parlamentari cattolici,
la Vostra risposta alla nota della Cei la considero troppo categorica, anche
alla luce di una profezia che non è tanto annunciare il futuro, quanto
interpretare la volontà di Dio nel presente, specialmente nei momenti di crisi
come quella odierna alimentata da conflitti in cui il cinismo dei potenti della
terra non risparmia neppure i bambini. Che cosa c’è di più categorico
dell’affermazione: “Siamo politici, non preti. Le armi servono”?
Non so quantificare l’entità del carattere blasfemo di tale affermazione in
bocca a politici che si richiamano alla Chiesa e, al contempo, se ne allontanano
lanciando un’opa incondizionata alle ragioni delle armi e della guerra.
Fortunatamente, la nostra generazione con la guerra non ha avuto contatto
diretto; dell’ultima, quella del secondo conflitto mondiale, mi parla ancora mia
madre, oggi 98 anni, allora poco più che bambina. Io l’ascolto volentieri
perché, a quell’età, raccontare il passato esercita la funzionalità delle sue
sinapsi risvegliando tormenti e paure mai del tutto sopite.
Sapete Voi, cari parlamentari-cattolici-non-preti, quali erano le paure della
famiglia di mia madre e delle tante famiglie povere del tempo in cui si campava
a fatica o si moriva di stenti? Era quella di vedere una pentola di rame, il
vomere dell’aratro di metallo di suo padre, anziano bovaro, requisiti dai
gerarchi del fascismo e convertiti dall’industria bellica statale in bombe e
siluri. Sì, proprio quegli aggeggi infernali usati per ammazzare e non certo per
cuocere la verdura e per arare i campi.
Io, diversamente da Voi cari parlamentari-cattolici-non-preti, ho molto
apprezzato la nota pastorale dei Vescovi, estremamente critica verso il governo
di colei che si professa madre, italiana e cristiana; l’ho apprezzata perché
parla di disarmo e di pace, parla di servizio civile obbligatorio e non di
ripristino del servizio militare, parla di tavolo della diplomazia e non di
campi di battaglia. Mons. Giovanni Ricchiuti, proprio in questi giorni, a
proposito della guerra in Ucraina ricorda: “È dall’inizio della guerra che la
Chiesa sostiene che la soluzione militare non avrebbe portato la pace, ma
peggiorato la guerra. Ora, dopo quasi quattro anni, a che punto siamo? L’Europa
e l’Italia avrebbero dovuto seguire altre strade: non le armi, ma il negoziato.
Quindi fa bene la Cei a smarcarsi da qualsiasi appoggio alle politiche di riarmo
del governo”.
E poi perdonatemi, cari parlamentari-cattolici-non-preti, adesso si vuole
reintrodurre il servizio militare obbligatorio e chi lo propone sostiene che il
servizio militare educa i giovani. Mons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax
Christi Italia, si chiede: “Ma perché bisogna educarli con il fucile fra le
mani?”. Appare chiaro che, usando il termine educare in modo improprio, si dà
adito a chi confonde l’esercizio all’uso delle armi a quello di educare che vuol
dire insegnare a pensare; tutt’altra cosa dell’imparare ad ammazzare. Il
pensiero, che porta nel suo Dna lo sviluppo delle capacità critiche, prevede la
possibilità di disubbidire – che è una pratica estranea alle logiche militari.
Il pensiero libero è la condizione essenziale per essere protagonisti del
proprio destino e non sopporta il cedimento all’ubbidienza passiva, così come
l’ubbidienza “senza se e senza ma” non tollera alcun ricorso alla pedagogia,
tantomeno alla “pedagogia mite” che si fonda sull’interpretazione dell’uomo
“ascoltandolo” e non “parlando a lui”.
Cari parlamentari-cattolici-non-preti, a questo punto e con rispetto, Vi chiedo:
qual è la differenza tra cattolici preti e cattolici parlamentari? E il Vangelo
da che parte sta? Dalla parte di chi ha il compito di predicarlo e praticarlo o
dalla parte di chi dice che le armi servono?
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L'articolo Cari parlamentari-cattolici-non-preti, dire che ‘le armi servono’ è
una vera blasfemia proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Non riarmo, ma pace!“. È il grido di Massimo Cacciari in uno dei passaggi più
incisivi del suo intervento a Dimartedì (La7), dove il filosofo icommenta il
nuovo scenario geopolitico delineato dalle parole di Donald Trump.
Di fronte alla domanda del conduttore Giovanni Floris, che gli chiede se la
nuova amministrazione Usa non identifica la Russia come nemico, Cacciari non
lascia zone grigie: “Significa semplicemente che gli Stati Uniti non ritengono
la Russia il nemico e quindi se l’Europa vuole fare la guerra alla Russia, si
arrangerà, la farà lei per conto suo, si riarmi, così moltiplicherà i populismi
e le estreme destre all’interno di ogni Stato. Se ritiene di farlo, si arrangi,
ne sconteremo noi le conseguenze“.
Il filosofo chiarisce subito la distinzione che considera fondamentale: “Nemici
di Putin sia chiaro, lo siamo tutti, perché Putin è un oligarca e il suo regime
non può piacere a nessun democratico e a nessun europeo. Un’altra cosa è la
Russia: se c’è rimasto un minimo di sale in zucca, dobbiamo sempre distinguere
Netanyahu da Israele, Putin dalla Russia, l’Italia dalla Meloni. O no?”.
Il cuore del ragionamento, ripete, è la necessità di non confondere un leader
politico con un intero Paese, e di non trasformare la Russia in un nemico
strutturale dell’Europa. Per Cacciari, infatti, l’idea stessa di considerare la
Russia un avversario strategico è “una follia“. La politica europea, sostiene,
non può prescindere da rapporti “sani, commerciali ed economici con la Russia”.
E a dimostrarlo, afferma, sono i costi delle fratture apertisi con la guerra in
Ucraina: “Adesso che siamo in guerra ne stiamo subendo le conseguenze
economiche”.
Il filosofo richiama anche una prospettiva più ampia, quella del declino
economico europeo: “Ma ci rendiamo conto che l’Europa nel ’90 aveva il 26% del
Pil mondiale e oggi siamo al 14? Ce ne rendiamo conto o no?”.
In un contesto di crisi profonda, ribadisce, l’Europa “avrà bisogno di
commerciare con tutti, di avere rapporti economici, finanziari buoni con tutti”,
ritrovando una vocazione diplomatica “di pace”.
Sul fronte ucraino, Cacciari non nega le responsabilità russe: “È giusto
appoggiare l’Ucraina, è giusto difendere la sovranità dell’Ucraina, è giusto
riconoscere la grande colpa della Russia nell’avere attaccato e invaso
l’Ucraina”. Ma a suo avviso la via d’uscita resta una sola: tornare agli accordi
di Minsk.
“Questa guerra – osserva – dopo tragedie, migliaia di morti, distruzioni, se
finirà o se non continuerà all’infinito, naturalmente tra Europa e Russia,
perché gli Stati Uniti non la continuano certamente questa guerra, si concluderà
con gli accordi di Minsk, sottoscritti dal presidente della Francia, dalla
Merkel e dal presidente dell’Ucraina di allora”.
Il filosofo, infine, ricorda che gli accordi offrivano una soluzione pragmatica
per le regioni russofone, “una situazione di relativa autonomia amministrativa e
finanziaria”. Non erano, insiste, un’imposizione del Cremlino: “Gli accordi di
Minsk sono stati sottoscritti anche dal presidente di allora dell’Ucraina, non
imposti da Putin. Questa è la storia. Vorremmo ricordarcela oppure veramente non
abbiamo memoria, non abbiamo raziocinio, non abbiamo più un piffero di niente,
noi europei?”.
L'articolo Cacciari a La7: “Essere nemici della Russia è una follia che
compromette ogni politica europea degna di questo nome” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“La guerra si fa anche con la disinformazione sistematica. E in Italia molti
organi di stampa e molti media sono entrati in guerra, disinformando. Se scendi
in campo e punti il nemico, spargi fake news col fine di danneggiare quel
nemico. Il 90% dei media italiani ha lavorato così“. Sono le parole pronunciate
dal filosofo Massimo Cacciari, ospite di Battitori Liberi, su Radio Cusano
Campus, intervenendo sulla situazione della guerra tra Russia e Ucraina.
L’ex sindaco di Venezia fa un parallelismo su come funzionava la stampa
italiana, francese e tedesca durante la seconda guerra mondiale. E stigmatizza
la narrazione del conflitto offerta dalla stampa e dai media mainstream: “Non
c’è stata nessuna indagine sulle cause della guerra, nessuna analisi di come
erano le strutture in Russia e in Ucraina che si confrontavano, nessun giudizio
sul comportamento della Nato, tantomeno su quello del governo europeo, nessuna
notizia fondata. Quindi, siamo arrivati adesso al punto che la Russia è a un
passo da Kiev dopo che i nostri giornali per mesi sono andati avanti dicendo che
gli ucraini stavano vincendo e che bastava armarli perché vincessero“.
Altrettanto ferma è la sua analisi del conflitto. Massimo Cacciari descrive un
continente incapace di incidere diplomaticamente e sempre più trascinato in una
spirale di riarmo e propaganda: “Per raggiungere una forma di patto occorre che
le due parti trovino un punto d’accordo. Che non ci sarà mai, se la Russia
ritiene di aver vinto e vuole dettare i termini del trattato e l’Ucraina non si
rende conto che la situazione è quella che è e che tutti vedono al di là dei
fumi di propaganda, cioè che sul campo non poteva che perdere, come tutte le
persone ragionevoli, alle quali mi vanto di appartenere, hanno detto dal primo
giorno. E cioè che l’Ucraina da sola non può vincere la Russia. O c’è una guerra
di tutta l’Europa, una guerra guerra, o se no…”.
E aggiunge: “Bbisogna che entrambi assumano una posizione realistica: la Russia
non può pretendere una vittoria sul campo e l’Ucraina deve riconoscere di non
poter continuare la guerra da sola senza travolgerci tutti in una guerra
mondiale. L’Unione Europea non ha fatto altro che peggiorare la situazione, non
proponendo alcuna linea precisa di trattativa, limitandosi a riarmare l’Ucraina,
appunto come se l’Ucraina, anche riarmata fino ai denti, potesse da sola vincere
la Russia. La posizione dell’Europa è folle da un punto di vista strategico,
dannosissima per gli interessi dei nostri paesi, perché ci siamo auto-sanzionati
e continuiamo ad auto-sanzionarci. E questa posizione della Ue adesso è anche
improvvida perché è in rotta di collisione con la posizione americana, che bene
o male punta alla trattativa”.
Cacciari punta il dito contro i “volenterosi”, come Macron e Merz, accusandoli
di essere “leader debolissimi”, condizionati dalle rispettive destre interne e
inclini a “esaltare la funzione del nemico” per sopravvivere politicamente. In
questo quadro, giudica Giorgia Meloni “la meno peggio”, perché almeno riconosce
qualche limite della linea più oltranzista.
La critica si allarga rapidamente alla struttura della Ue. Cacciari parla
esplicitamente di un “regime antidemocratico”, dominato da una Commissione che
“può fare tutto quello che vuole” e da comitati tecnici “educati alle scuole
neoliberiste”. Il Parlamento europeo, afferma, è “un fantasma”. Una dinamica che
allontana Bruxelles dai bisogni dei cittadini e che riguarda anche i settori
chiave della vita nazionale: “”Metà dei nostri destini sono in mano all’Europa,
vedi tutta la politica agricola e industriale”.
Il filosofo riconosce anche un conflitto interno al potere americano. “Gli Stati
Uniti non sono un monolite”, sostiene. Da una parte ci sarebbero forze
politiche, rappresentate oggi da Donald Trump, che spingono per ridurre il
coinvolgimento europeo e concentrare l’attenzione sulla Cina. Dall’altra,
settori che vogliono mantenere viva la contrapposizione con la Russia. La Nato,
in questo scenario, “sembra soffiare sul fuoco”.
Circa la posizione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, Cacciari
la definisce “pallida”: “Non credo che Sergio Mattarella sia nella posizione del
‘facciamo la guerra alla Russia’. ma certamente sarebbe stato augurabile una sua
posizione più netta a salvaguarda dell’articolo 11 della Costituzione.
Mattarella è un presidente di mediazione, di compromesso, un presidente che non
farebbe mai esternazioni evidentemente polemiche nei confronti del suo governo”.
Ma aggiunge: “La contraddizione, in realtà, è all’interno del governo. Ed è
destinata a crescere perché più l’Italia si schiera su chi vuole riarmare, su
chi vuole spendere soldi per le armi piuttosto che per la sanità, più il ceto
medio di questo paese soffre di inflazione e perdita di valore dell’acquisto dei
propri salari e delle proprie pensioni – prosegue – più la Meloni, che viene da
una destra sociale e non da quella liberista o trumpiana, è destinata a essere
in crisi. La contraddizione è palese, la sua base sociale è una destra sociale:
fino a che punto riuscirà a far finta di non vivere in una contraddizione? È
pazzesco”.
Cacciari conclude con un attacco frontale al sistema decisionale europeo e
nazionale: “È stato chiesto ai cittadini se sono d’accordo sul nucleare e
verranno interpellati sulla separazione delle carriere dei magistrati, cioè su
temi specifici e tecnici la gente è chiamata a votare, mentre sarebbe stato il
caso che decidessero altri e non l’opinione pubblica – chiosa – Sulla politica
di riarmo, invece, non si consulta nessuno. Perché non viene chiesto ai
cittadini se preferiscono spendere 90 miliardi per il riarmo o investirli in
scuole, sanità e ricerca?”.
L'articolo Ucraina, Cacciari: “Il 90% dei media italiani sparge fake news.
Perché Meloni non consulta i cittadini sul riarmo?” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
“Se l’Europa vuole essere grande deve essere capace di difendersi da sola“. La
premier Giorgia Meloni difende la linea del riarmo europeo e italiano. “Quando
appalti la sicurezza a qualcun altro devi sapere che c’è un prezzo da pagare –
spiega la presidente del Consiglio in un’intervista al TgLa7 – Quello che è
accaduto al vertice della Nato è questa cosa qui, a me non ha stupito. Sappiamo
che è un processo inevitabile ed è un’occasione per noi. Chiaramente la difesa
ha un costo economico e produce una libertà politica“, sostiene Meloni. Che
ribadisce anche il fermo sostegno militare a Kiev: “La linea del governo è molto
chiara dall’inizio, abbiamo sostenuto l’Ucraina per costruire la pace. La pace
non si costruisce con le buone intenzioni ma con la deterrenza. La linea del
governo deve rimanere la stessa per costruire un percorso verso la pace”,
sottolinea la premier.
Sull’argomento però non c’è la stessa convinzione da parte della Lega, uno degli
alleati del centrodestra. Ma Meloni replica: “I fili ce li hanno i burattini…
Questo non è un dibattito tra filo-russi, filo-americani, filo-europei. Noi
siamo tutti filo–italiani. Il tema vero è come si difende meglio l’interesse
nazionale italiano? Gli italiani pensano che in fin dei conti l’Ucraina è
lontana, quello che accade lì non ci riguarda. Io penso che purtroppo ci
riguardi e che noi rischiamo di pagare un prezzo molto più alto facendo una
scelta diversa, ma è un dibattito tra italiani che si interrogano su come sia
meglio stimolare l’interesse nazionale“.
Sul riconoscimento dello Stato della Palestina “rimango fedele alla linea
indicata dal Parlamento: ha votato una risoluzione che prevede il riconoscimento
dello Stato palestinese quando si materializzeranno due condizioni, il disarmo
di Hamas e la certezza che non abbia un ruolo nella governance di Gaza. Gli
sforzi italiani sono rivolti a implementare il piano di Trump, che è complesso
ma è un’occasione che potrebbe non tornare”, spiega ancora Meloni. Poi nega che
l’Italia sia stata timida con Israele su quanto successo in Cisgiordania: “Noi
siamo stati molto chiari in varie sedi. All’Assemblea generale delle Nazioni
Unite, io ho detto che Israele non ha il diritto di impedire la nascita di uno
stato della Palestina o di favorire nuovi insediamenti per impedirlo. E’ la
ragione per la quale abbiamo sottoscritto la dichiarazione di New York sui due
Stati, per cui la posizione italiana è sempre stata molto chiara”.
Infine i temi di politica interna, in particolare sul possibile faccia a faccia
con Schlein e Conte ad Atreju. “Ho dichiarato varie volte la mia disponibilità a
confrontarmi con il leader dell’opposizione, quando mi diranno chi è…“, risponde
Meloni a Enrico Mentana che le ha domandato se ci sarà prima o poi un confronto
con Elly Schlein. “Incontri amichevoli se ne fanno tanti, ma – aggiunge Meloni –
se si parla di confronto con il leader dell’opposizione, io non mi infilo nelle
dinamiche delle opposizioni”. Poi una battuta anche sul referendum sulla
giustizia: “Tranquilli, il governo rimane in carica fino a fine legislatura
comunque vada il referendum. Consiglio di andare a votare guardando al merito
delle norme, la giustizia può migliorare“.
L'articolo Meloni: “Se l’Europa vuole essere grande deve essere capace di
difendersi da sola. Sosteniamo l’Ucraina per costruire la pace” proviene da Il
Fatto Quotidiano.
“Le necessità della difesa non devono diventare occasione per contribuire al
riarmo globale di questi anni, distraendo risorse dalla costruzione di una
comunità più umana”. La Conferenza Episcopale Italiana torna a parlare di pace e
mette in guardia dalla corsa al riarmo avviata dai Paesi europei (e non solo).
Nella nota pastorale “Educare alla pace disarmata e disarmante“, approvata
dall’assemblea generale che si è svolta ad Assisi, la Cei rilancia gli appelli
di Papa Leone e richiama alla necessità di formare le coscienze per uscire dalla
logica della guerra. Una nota nella quale i vescovi toccano diversi argomenti:
dal web all’obiezione di coscienza – per una difesa non militare – fino al
servizio civile obbligatorio. La Cei propone anche di rivedere la figura dei
cappellani militari proponendo forme differenti “non legate” agli ambienti della
forze armate.
“UN’ALTRA STRADA È POSSIBILE”
I vescovi ricordano che l’Europa – che è stata “costruita in questi settant’anni
non con rivendicazioni o sopraffazioni, ma come cammino condiviso” – “va
coltivata espandendone tutte le potenzialità di pace”. Ma “appaiono invece
contraddittorie rispetto a tale orizzonte”, scrive la Cei, “quelle proposte di
pesanti investimenti sul piano degli armamenti e delle tecnologie militari che
hanno fatto seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia”. Per
questo l’Europa deve ricordare le proprie origini e tornare alla sua essenza:
“In un tempo in cui si tornano a invocare il conflitto e la guerra, guardando
all’altro solo come nemico e minaccia, l’Unione Europea testimonia che un’altra
strada è possibile, che la logica della violenza non è inevitabile”.
OBIEZIONE DI COSCIENZA E SERVIZIO CIVILE
“In un tempo in cui governi, attori politici e perfino opinioni pubbliche
considerano la guerra come strumento privilegiato di risoluzione dei conflitti,
occorre il coraggio di vie alternative per dare sostanza al realismo
lungimirante della cura della dignità umana e del creato. Vale allora la pena –
si legge nella nota pastorale – di far memoria di esperienze civili di grande
spessore, cui i cattolici hanno contribuito. Una di queste è quella che ha
portato a scoprire che la difesa della patria non si assicura solo con il
ricorso alle armi, ma passa per la cura della civitas, attraverso l’obiezione di
coscienza e il servizio civile”, scrive la Cei per la quale “un servizio civile
obbligatorio sarebbe un investimento per dare alle prossime generazioni
l’occasione di praticare la cura per la dignità della persona umana e per
l’ambiente, per opporsi all’ineguaglianza che si fa sistema sociale,
all’inimicizia come qualifica delle relazioni fra esseri umani e popoli, alla
soggezione dell’altro alle proprie ambizioni”.
I CAPPELLANI MILITARI
La Cei, tra le proposte concrete, parla anche dei cappellani militari e della
necessità di pensare a figure alternative: “C’è anche una forma di difesa della
patria che si compie nelle Forze armate ed essa non può lasciare indifferente la
Chiesa: anche qui occorrono forme di assistenza spirituale che esprimano
un’attiva sensibilità di pace”. Da qui la proposta di ” forme nuove di
assistenza spirituale per le Forze armate, che tengano anche conto dei
cambiamenti che hanno interessato il ruolo delle donne e degli uomini che
compiono questa scelta”. “Ci chiediamo anche se non si debbano prospettare
diverse forme di presenza in tali contesti, meno direttamente legate a
un’appartenenza alla struttura militare: esse consentirebbero maggior libertà
nell’annuncio di pace specie in contesti critici”, scrivono i vescovi.
WEB, ANTISEMITISMO E ISLAMOFOBIA
Nella nota si parla an che di web e media “luoghi in cui la pace va coltivata
quotidianamente”, secondo la Cei. “Portare nei social media una visione
nonviolenta significa contrastare la polarizzazione, promuovere linguaggi
rispettosi, educare al discernimento critico e aprire spazi di dialogo
autentico. Le grandi potenzialità della comunicazione digitale possono così
essere orientate all’incontro, alla ricerca comune della verità e alla
costruzione di comunità più giuste, nelle quali la cura reciproca prevalga sulla
logica dello scontro”, scrive la Conferenza episcopale nel documento. Infine i
vescovi lanciano l’allarme sull’aumento della diffusione di “antisemitismo,
islamofobia e cristianofobia“: “È drammaticamente cresciuto l’antisemitismo, che
riprende antiche falsità contro gli ebrei e che viene oggi alimentato da una
fallace identificazione della realtà ebraica con inaccettabili recenti pratiche
dello Stato d’Israele” mentre con “l’islamofobia” “si alimenta l’idea confusa di
una minaccia di islamizzazione dei popoli europei o di una ‘sostituzione
etnica’, per instillare nella quotidianità paura”. “Nei due casi, slogan e
campagne politiche favoriscono attacchi violenti contro le rispettive comunità“,
denuncia la Cei.
L'articolo I vescovi contro la corsa agli armamenti: “Necessità di difesa non
siano occasione per contribuire al riarmo globale” proviene da Il Fatto
Quotidiano.
di Stefano Briganti
“Chi fu il primo che inventò le spaventose armi? Da quel momento furono stragi,
guerre. Si aprì la via più breve alla crudele morte. Tuttavia il misero non ne
ha colpa. Siamo noi che usiamo malamente ciò che ci fu dato per difenderci dalle
feroci belve” (Tibullo; Elegie).
Questo dovrebbe comparire all’ingresso del Parlamento Europeo. Quel parlamento
che ha approvato la produzione europea di armi spaventose come quelle all’uranio
impoverito e quelle al fosforo bianco. Lo stesso parlamento che ha passato una
risoluzione sul conflitto russo-ucraino che non frena il proseguimento della
guerra e che getta le basi per combatterne una nuova contro la Russia quando
quella dell’Ucraina giungerà al termine.
L’Europa oggi ha scelto come principio guida della sua politica estera il “Se
vuoi la pace preparati alla guerra” (Vegezio; Epitoma rei militaris). Lo
dimostrano tutte le azioni europee intraprese da un anno a questa parte e
iniziate con la dichiarazione di VdL: “Finito il tempo delle illusioni. È il
momento della pace attraverso la forza”, in un crescendo proporzionale agli
andamenti sul campo di battaglia sfavorevoli a Kiev.
L’azione dell’Europa per il riarmo è arrivata fino ad annunciare un attacco
della Russia all’Europa/Nato tra 3-4 anni. Annuncio fatto per giustificare il
ReArmEu, il raddoppio delle spese militari Nato, il cosiddetto muro di droni, il
ripristino del servizio di leva (volontario) e infine una guerra ibrida europea
da lanciare contro la Russia. In Germania sono stati messi a budget un trilione
di euro per spese militari e quasi sette trilioni di euro dalla Ue per spese
legate all’ambito militare da spendere in dieci anni.
Mosca all’Onu ha dichiarato di non avere intenzione di attaccare paesi europei e
di essere disposta a metterlo nero su bianco. Si obietterà che in passato la
Federazione Russa ha violato impegni formali, ma l’Europa potrebbe cogliere
questa disponibilità di Mosca e lavorare ad un impegno blindato, anche con il
coinvolgimento degli Usa, della Cina e dei Brics, dando così una formidabile
prova di diplomazia. Invece si studiano attacchi Nato “preventivi-ma-difensivi”
alla Russia.
La storia ha dimostrato che la “deterrenza delle armi” ha spesso mostrato il suo
limite, contrariamente alla locuzione di Tibullo. Alessandro Magno non avrebbe
mai dovuto ingaggiare in battaglia l’esercito persiano di Dario che all’epoca
era il più formidabile del mondo. Annibale non avrebbe dovuto attraversare le
Alpi e marciare su Roma che era difesa dall’esercito meglio armato e gestito del
mondo conosciuto. Più recentemente l’esercito israeliano, considerato tra i più
avanzati ed efficienti, non ha impedito che Hamas, che dispone di una forza
militare enormemente inferiore, attuasse un orribile attacco in territorio
israeliano.
A diversità dei tempi di Alessandro, di Annibale e del trattato di Vegezio, oggi
ci sono paesi con forze militari comparabili, alcuni dei quali forniti di armi
che, se usate anche solo in parte, possono annientare mezzo mondo e avvelenarne
la rimanente metà. Sono dei livelli di armamenti e una equivalenza di forze tali
da ridurre il principio stesso di deterrenza che era invece pensabile nei tempi
antichi. Questo è il risultato della corsa alle armi per “garantire una pace”
che, dopo i carnai delle guerre mondiali, sta ora riprendendo velocemente vigore
in Europa.
Oggi il “Si vis pacem para bellum” è anacronistico considerando come era il
mondo nel IV secolo e come è oggi, 17 secoli dopo. Infine anche legare il
concetto di pace alla forza delle armi è fuorviante e fuori luogo. La parola
pace ha, nella sua antica radice “pak-” (poi pax in latino), il significato di
“patto, accordo, legame”, che nulla ha a che fare con le armi. Inoltre il saluto
di Gesù “la pace sia con voi” stava ad indicare “…che la tranquillità, la
serenità, la riconciliazione sia con voi” e certamente non intendeva dire che la
pace sia con voi grazie a quattro pugnali che dovreste tenere nella cintola.
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L'articolo Oggi l’Europa vuole la pace attraverso la guerra: un principio
anacronistico proviene da Il Fatto Quotidiano.
È un modello in scala uno a uno di un cacciabombardiere a dare il benvenuto ai
visitatori della decima edizione dell’Aerospace & Defense Meetings di Torino, la
più importante convention internazionale dedicata all’industria aerospaziale e
della difesa. Per gli organizzatori è un’edizione da record. Rispetto al 2023,
ci sono oltre 3mila partecipanti (+50%) da 35 Paesi, più di 800 aziende (+35%) e
oltre 300 buyer (+10%). E gli stand occupano tutto lo spazio dell’Oval coprendo
oltre 17mila quadri, il 35 per cento in più rispetto alla scorsa edizione.
Numeri che rispecchiano la crescita di un settore che con l’aumentare delle
tensioni internazionali degli ultimi anni sembra non conoscere crisi.
Lo sa bene il presidente del cda di Leonardo Stefano Pontecorvo che prima del
suo “key note speech” ringrazia tra i sorrisiil capo della divisione aeronautica
della sua azienda “al quale voglio molto bene perché mi fattura oltre 4 miliardi
di euro quindi l’affetto del presidente è commisurato”. E lo sanno bene i tanti
produttori di componenti che riforniscono le grandi aziende del settore
aerospaziale e della difesa. Anche se, a detta di un rappresentante di
un’azienda che produce macchine per la lavorazione di metalli leggeri per
satelliti e pesanti per carri armati: “Nell’ambito del mercato aerospazio e
difesa, la difesa rappresenta il ‘main business”. Che fine ha fatto dunque
l’aerospace? “In realtà è integratoperché qualsiasi elemento della difesa che
voli è aerospace e dunque anche i satelliti rientrano in ambito aerospace”.
E tra gli stand della fiera, i produttori di componenti puntano la loro
comunicazione su immagini legate all’ambito militare. Ci sono le aziende che
producono cavi per le navi militari e per gli Eurofighter. E poi c’è un’azienda
lettone che ha portato il suo “prodotto di punta”. Un modello di drone per
esercitazioni militari. “L’Ucraina ci ha mostrato che questi strumenti stanno
diventando sempre più importanti – racconta un rappresentante lettone – tutto si
evolve molto rapidamente in questo settore, la domanda non manca e sta crescendo
molto rapidamente”. Poco più in là un rappresentante del “corridoio
dell’industria della difesa” della regione indiana del Tamil Nadu racconta di
come nel suo territorio si producano “molte componenti per i missili destinate
anche al mercato europeo”. E quando gli si chiede se ci siano anche aziende
israeliane risponde così: “Sì, abbiamo anche alcune aziende israeliane che
prendono le loro componenti dall’India”.
Un evento che ha attirato anche la protesta del movimento Extinction Rebellion.
Mercoledì mattina decine di attiviste e attivisti del movimento si sono
incatenati agli ingressi del Meeting. “Ogni due anni, per tre giorni le
principali aziende dell’industria militare, tra cui Leonardo, Thales, Safran,
Avio, si incontrano per stringere accordi e consolidare investimenti – scrive in
una nota Extinction Rebellion – aziende che producono armi o tecnologie militari
e che fondano profitti e potere economico su attività che causano perdita di
vite umane e devastazione di territori ed ecosistemi. In un mondo segnato
dall’intensificarsi di conflitti per il controllo dei confini, bloccare eventi
come l’ADM è un atto di resistenza a un’aggressione – ormai istituzionalizzata –
alla vita e alla Terra. Un atto necessario, fatto di amore e rabbia, che
ribadisce che l’unica Difesa su cui investire è quella della Terra, non dei
confini.
L'articolo Aerospazio e difesa | Viaggio tra caccia, droni e satelliti negli
stand del settore che si fa ricco con la guerra: “Gli affari crescono
rapidamente” proviene da Il Fatto Quotidiano.