La salita per raggiungere la parità di genere in Italia può essere affrontata
anche con mezzi inaspettati, come la bicicletta. Da sei anni in Toscana è attiva
Bikeboobs, un’associazione sportiva dilettantistica e di promozione sociale
guidata da Agnese Gentilini, Giulia Vinciguerra e Sara Paoli. L’idea di unire
femminismo e sport nasce dall’esperienza diretta delle tre cicliste, in un
settore ancora troppo maschile, anche a livelli agonistici. Questa realtà è
diventata un anello di congiunzione tra ciclismo e femminismo. Alle donne
vengono offerte conoscenze pratiche sulla bici, dalla meccanica al gps fino alla
cartografia, e momenti di confronto per discutere di temi ancora considerati
tabù aumentando così la consapevolezza sul proprio corpo. “Cerchiamo di
avvicinare le donne alla bicicletta perché è uno strumento di emancipazione, un
mezzo storicamente rivoluzionario che permette di occupare spazio,
autodeterminarsi e in questo momento storico è molto importante essere visibili”
spiega Agnese Gentilini.
BIKEBOOBS, IL CICLISMO AL FEMMINILE
Pedalare in gruppo non è solo un modo per conoscere se stesse. Le donne possono
partire con tour accompagnati che durano diversi giorni e superare la paura di
viaggiare da sole. Nel 2023 è stato organizzato con Liv Cycling il primo viaggio
tutto al femminile che ha riunito 60 donne: il gruppo è partito dal comune
fiorentino di Figline Valdarno e dopo quattro giorni ha raggiunto Pontedera,
vicino Pisa. La propensione a usare la bici tuttavia cambia a seconda della
provenienza geografica. “Nelle regioni centro-settentrionali ci sono più donne
che pedalano e da qui provengono le partecipanti ai nostri eventi – sottolinea
Gentilini -. Sono tutte donne che scelgono di viaggiare da sole, senza partner
maschili”. Superate le paure iniziali, si inizia a scavare negli stereotipi di
genere, per decostruirli e distaccarsene. Pedalare insieme permette di
approfondire la conoscenza del proprio corpo e fare chiarezza su argomenti che
di solito non vengono esplorati. “Durante la pedalata creiamo un ambiente privo
di giudizio. Noi stesse condividiamo le strategie personali che mettiamo in
campo per affrontare questioni come ciclo mestruale, sfregamenti e dolori in
bici e abbiamo iniziato a fare dei workshop sul benessere in sella e
sull’intimità consapevole, a cui partecipano anche gli uomini” evidenzia la
co-fondatrice dell’associazione.
SO.DE, CONSEGNE A DOMICILIO ALL’INSEGNA DELL’ECOLOGIA E DEI DIRITTI DEI
LAVORATORI
Per le donne la bici può diventare un mezzo non solo per scoprire se stesse ma
anche per raggiungere un’indipendenza economica. Con questo obiettivo è nata la
collaborazione tra Bikeboobs e So.De social delivery, una realtà di consegne a
domicilio attiva dal 2021 a Milano e che ha la sua ragion d’essere nella
sostenibilità in tutti i suoi aspetti, da quella lavorativa e contrattuale a
quella ambientale che punta sul commercio di prossimità e sulla consegna dei
pacchi con le cargo bike. “Siamo nati durante la pandemia. Non potevamo
accettare che un servizio così importante come il delivery fosse fatto da
lavoratori poco tutelati e sottopagati” spiega Rossana Adorno, project manager
di So.De. Con questa realtà di delivery solidale, che ha da poco ricevuto la
menzione speciale al XIX Premio Innovazione di Legambiente, la bici diventa “un
punto di ripartenza per giovani che non studiano e non lavorano, per chi ha
dovuto lasciare il proprio Paese, per chi vorrebbe trovare un’indipendenza
economica e non dipendere da compagni o mariti”, sottolinea Adorno. La
leadership stessa di So.De è a prevalenza femminile, con 4 donne su 7 ai
vertici, in un settore come quello della logistica che è quasi tutto al
maschile: in Italia le donne rappresentano appena il 21,8 per cento della forza
lavoro nella logistica e in generale sono alla guida del 22,18 per cento delle
imprese. “Ci siamo resi conto che attrarre donne in questo settore non è una
cosa semplice”, spiega Adorno. Per questo motivo, con Bikeboobs stanno
organizzando per il prossimo anno una giornata interamente dedicata alla
presenza femminile nel mondo della bici. “L’idea è cercare tutte le donne che si
organizzano per pedalare insieme con un certo spirito, anche femminista – spiega
Gentilini – e far sottoscrivere a ogni realtà un manifesto che contiene le linee
guida del ciclismo al femminile, rivolto anche a chi vuole creare una propria
realtà ciclistica”. Bikeboobs sta preparando la prima grande mappatura di tutte
le associazioni di donne in bicicletta in Italia e da questo bacino So.De potrà
attingere per trovare le fattorine di un futuro sempre più vicino.
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parità: i casi di Bikeboobs e So.De proviene da Il Fatto Quotidiano.
Tag - Discriminazioni di Genere
Io lavoro, tu lavori, lei lavora. Poi lei cucina, lava, accudisce. E alla fine
del mese, a conti fatti, guadagna meno. In Italia il carico della cura pesa
ancora sulle spalle delle donne. Che il più delle volte sono penalizzate anche
in ufficio. Lo dimostrano gli studi sulle discriminazioni di genere al lavoro:
le donne sono più preparate e si laureano prima, ma hanno carriere più
discontinue. Gestiscono un carico familiare superiore, eppure percepiscono
redditi più bassi. Fanno figli quanto gli uomini, ma rischiano maggiormente di
perdere il lavoro. Le conseguenze sono innanzitutto economiche: se l’Italia
allineasse i benchmark europei su occupazione giovanile, femminile, stranieri,
partecipazione 60-69enni, secondo il Welfare Italia Index 2025 presentato a
novembre, si attiverebbe un incremento occupazionale di circa 2,8 milioni di
unità con una crescita del Pil fino a 226 miliardi di euro, +10,6% rispetto ai
livelli attuali. Oltre l’82% delle donne che non lavorano, secondo un report di
ottobre dell’Organizzazione internazionale del lavoro e di Federcasalinghe, lo
fa per dedicarsi alla cura familiare. Questo le impegna per un numero di ore
settimanali superiore a quello di un impiego retribuito. Un impegno che riguarda
anche le lavoratrici: come emerge dal report, l’Italia è il secondo Paese
dell’Unione Europea dopo il Portogallo per il tempo dedicato dalle donne al
lavoro non pagato. Con un carico di oltre 5 ore al giorno.
La situazione peggiora drasticamente con l’arrivo dei figli: “Le donne occupate
nel settore privato subiscono un marcato calo dei redditi, mentre per gli uomini
si osserva una crescita continua”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Maria De Paola,
professoressa di Politica Economica all’università della Calabria in congedo e
dirigente presso la Direzione Centrale Studi e Ricerche Inps. Secondo gli studi
dell’ente previdenziale, nel settore privato le madri registrano, nell’anno
della nascita, una riduzione fino al 76% dei redditi annui percepiti, con un
recupero solo parziale negli anni successivi. Non solo. “Prima della nascita del
figlio la probabilità di uscita dal settore privato è simile per uomini e donne
(circa 10,5-11% per le donne e 8,5-9% per gli uomini), mentre nell’anno della
nascita la probabilità aumenta bruscamente per le donne, raggiungendo il 18%, e
scende all’8 per cento per gli uomini”.
Come segnalano le indagini sugli stereotipi di genere, sul divario pesano ancora
fattori culturali. Ma anche la carenza di strumenti di conciliazione,
strutturati come se riguardassero soltanto le donne: “Basti pensare all’esiguità
del congedo di paternità, alla resistenza ad introdurre incentivi per la
condivisione di quello genitoriale, all’‘opzione donna’ legittimata in quanto
sono le donne a doversi far carico eventualmente della cura dei nipoti”,
sottolinea a Ilfattoquotidiano.it Chiara Saraceno, sociologa della famiglia e
filosofa. Così la cultura d’impresa e il modello tradizionale di lavoro
continuano a penalizzare di più le donne: “Si basano su un’idea di lavoratore
libero da responsabilità di cura, un lavoratore che può delegare quella
responsabilità a qualcun altro: nello specifico, a una donna”.
L’impatto è innanzitutto economico. Il tasso di occupazione femminile in Italia
è pari al 57,4%, sotto la media Ue di oltre 13 punti. Si tratta di un dato che
ha conseguenze sia individuali, sia collettive. Da un lato infatti le donne sono
maggiormente esposte al rischio di esclusione sociale e povertà, dall’altro
questa esclusione ha conseguenze anche sul Pil e sulla tenuta economica del
Paese. Sarebbe poi più preciso dire che il 57,4% delle donne ha un lavoro
retribuito. Se si considera anche il lavoro di cura non stipendiato, infatti, i
dati cambiano: il 92% delle donne svolge almeno un’attività di cura o lavoro
domestico nel corso della giornata, contro il 75% degli uomini. Secondo De
Paola, il riconoscimento economico non sarebbe una soluzione strutturale
sostenibile: “Retribuire formalmente il lavoro domestico e di cura richiederebbe
risorse significative. Inoltre, non servirebbe ad eliminare gli squilibri che si
osservano attualmente sul mercato del lavoro”. La priorità è intervenire su quei
gap: “È necessario promuovere politiche volte ad accrescere la produttività e
incentivare l’innovazione, creando lavori di qualità, e allo stesso tempo
favorire il superamento della segregazione settoriale e degli stereotipi che
ancora limitano le carriere femminili”.
Più che retribuire la cura privata, insomma, secondo le esperte si dovrebbe
innanzitutto redistribuirla: renderla una responsabilità collettiva e condivisa
tra uomini e donne, ma anche tra famiglie, stato e imprese. Ad esempio
agevolando misure come il lavoro da remoto o a tempo ridotto per entrambi i
neogenitori. Questi dispositivi, però, spesso rimangono appannaggio delle sole
donne, divenendo di fatto nuovi deterrenti per la carriera: “Il diritto a
prendere il part-time in forma reversibile nei primi anni di vita del bambino
sia per i padri che per le madri costituisce una forma di flessibilità
auspicabile, che aumenta i gradi di libertà. In pratica però, anche dove questa
possibilità esiste, come ad esempio in Olanda e Germania, sono comunque più
spesso le donne a farlo”, spiega Saraceno.
In Italia, circa il 31,5% delle donne occupate lavora part-time, una quota
significativamente più alta rispetto all’8,1% degli uomini. La riduzione delle
ore in ufficio spesso è un’arma a doppio taglio: blocca sia gli stipendi, sia la
progressione di carriera, e a volte arriva giocoforza dopo i figli. “Difficile
distinguere tra part-time volontario e involontario, ma in alcune regioni esso
raggiunge dimensioni davvero preoccupanti. Ad esempio in Calabria circa il 64%
delle donne occupate nel settore privato ha un contratto part-time”, racconta De
Paola. Ma quando orari ridotti o lavoro da remoto non vengono concessi, cresce
il rischio di abbandonare l’occupazione.
La condizione lavorativa delle donne con figli è resa più fragile anche dalle
disparità economiche pregresse. E a volte gli strumenti di sostegno si
trasformano in veri e propri boomerang: “Le misure che si basano su una prova
dei mezzi familiare, pur avendo una loro giustificazione, presentano il rischio
di scoraggiare l’occupazione femminile nei ceti più modesti e per le donne con
alti carichi familiari e bassa qualifica”, spiega Saraceno. Come l’assegno unico
per i genitori lavoratori: “Il coefficiente aggiuntivo introdotto è troppo
modesto per contrastare questo rischio”. Un discorso che resta immutato alla
luce dell’ultima legge di Bilancio: la decontribuzione fiscale per le imprese è
prevista solo in caso di assunzione di donne svantaggiate o madri di tre o più
figli piccoli, si incentiva la trasformazione dei contratti full time in
part-time per lavoratrici con 3 o più figli minori, e si riserva alle
lavoratrici a basso reddito, madri di 2 o più figli minori, un assegno
integrativo mensile di 60 euro.
La percezione, come testimoniano le storie delle donne che dopo essere diventati
madri hanno perso il lavoro, è che manchino servizi pubblici e misure di
sostegno. Per questo, spiegano le esperte, è fondamentale una risposta
istituzionale. “Occorre migliorare le condizioni di vita complessive, fornendo
un quadro di stabilità e continuità delle politiche, invece di interventi
frammentati e una tantum“, sottolinea Saraceno. Superando la logica dei bonus e
delle mance: “I servizi sono più efficaci dei trasferimenti monetari. È
importante il sostegno all’occupazione delle donne e in particolare delle madri,
ma servono anche forme di congedo disegnate per agevolare la condivisione delle
responsabilità di cura tra madri e padri fin dalla prima infanzia”. E che
incoraggino entrambi i genitori a ricorrervi equamente: “Il divario
nell’utilizzo – specifica De Paola – è ancora molto ampio. Nuove politiche di
conciliazione tra vita e lavoro, insieme ad interventi per la riduzione del
gender wage gap, restano fondamentali”.
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discriminate, non pagate e costrette a ruoli di cura proviene da Il Fatto
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