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Femminismo e bicicletta, quando delivery e ciclismo lottano per la parità: i casi di Bikeboobs e So.De
La salita per raggiungere la parità di genere in Italia può essere affrontata anche con mezzi inaspettati, come la bicicletta. Da sei anni in Toscana è attiva Bikeboobs, un’associazione sportiva dilettantistica e di promozione sociale guidata da Agnese Gentilini, Giulia Vinciguerra e Sara Paoli. L’idea di unire femminismo e sport nasce dall’esperienza diretta delle tre cicliste, in un settore ancora troppo maschile, anche a livelli agonistici. Questa realtà è diventata un anello di congiunzione tra ciclismo e femminismo. Alle donne vengono offerte conoscenze pratiche sulla bici, dalla meccanica al gps fino alla cartografia, e momenti di confronto per discutere di temi ancora considerati tabù aumentando così la consapevolezza sul proprio corpo. “Cerchiamo di avvicinare le donne alla bicicletta perché è uno strumento di emancipazione, un mezzo storicamente rivoluzionario che permette di occupare spazio, autodeterminarsi e in questo momento storico è molto importante essere visibili” spiega Agnese Gentilini. BIKEBOOBS, IL CICLISMO AL FEMMINILE Pedalare in gruppo non è solo un modo per conoscere se stesse. Le donne possono partire con tour accompagnati che durano diversi giorni e superare la paura di viaggiare da sole. Nel 2023 è stato organizzato con Liv Cycling il primo viaggio tutto al femminile che ha riunito 60 donne: il gruppo è partito dal comune fiorentino di Figline Valdarno e dopo quattro giorni ha raggiunto Pontedera, vicino Pisa. La propensione a usare la bici tuttavia cambia a seconda della provenienza geografica. “Nelle regioni centro-settentrionali ci sono più donne che pedalano e da qui provengono le partecipanti ai nostri eventi – sottolinea Gentilini -. Sono tutte donne che scelgono di viaggiare da sole, senza partner maschili”. Superate le paure iniziali, si inizia a scavare negli stereotipi di genere, per decostruirli e distaccarsene. Pedalare insieme permette di approfondire la conoscenza del proprio corpo e fare chiarezza su argomenti che di solito non vengono esplorati. “Durante la pedalata creiamo un ambiente privo di giudizio. Noi stesse condividiamo le strategie personali che mettiamo in campo per affrontare questioni come ciclo mestruale, sfregamenti e dolori in bici e abbiamo iniziato a fare dei workshop sul benessere in sella e sull’intimità consapevole, a cui partecipano anche gli uomini” evidenzia la co-fondatrice dell’associazione. SO.DE, CONSEGNE A DOMICILIO ALL’INSEGNA DELL’ECOLOGIA E DEI DIRITTI DEI LAVORATORI Per le donne la bici può diventare un mezzo non solo per scoprire se stesse ma anche per raggiungere un’indipendenza economica. Con questo obiettivo è nata la collaborazione tra Bikeboobs e So.De social delivery, una realtà di consegne a domicilio attiva dal 2021 a Milano e che ha la sua ragion d’essere nella sostenibilità in tutti i suoi aspetti, da quella lavorativa e contrattuale a quella ambientale che punta sul commercio di prossimità e sulla consegna dei pacchi con le cargo bike. “Siamo nati durante la pandemia. Non potevamo accettare che un servizio così importante come il delivery fosse fatto da lavoratori poco tutelati e sottopagati” spiega Rossana Adorno, project manager di So.De. Con questa realtà di delivery solidale, che ha da poco ricevuto la menzione speciale al XIX Premio Innovazione di Legambiente, la bici diventa “un punto di ripartenza per giovani che non studiano e non lavorano, per chi ha dovuto lasciare il proprio Paese, per chi vorrebbe trovare un’indipendenza economica e non dipendere da compagni o mariti”, sottolinea Adorno. La leadership stessa di So.De è a prevalenza femminile, con 4 donne su 7 ai vertici, in un settore come quello della logistica che è quasi tutto al maschile: in Italia le donne rappresentano appena il 21,8 per cento della forza lavoro nella logistica e in generale sono alla guida del 22,18 per cento delle imprese. “Ci siamo resi conto che attrarre donne in questo settore non è una cosa semplice”, spiega Adorno. Per questo motivo, con Bikeboobs stanno organizzando per il prossimo anno una giornata interamente dedicata alla presenza femminile nel mondo della bici. “L’idea è cercare tutte le donne che si organizzano per pedalare insieme con un certo spirito, anche femminista – spiega Gentilini – e far sottoscrivere a ogni realtà un manifesto che contiene le linee guida del ciclismo al femminile, rivolto anche a chi vuole creare una propria realtà ciclistica”. Bikeboobs sta preparando la prima grande mappatura di tutte le associazioni di donne in bicicletta in Italia e da questo bacino So.De potrà attingere per trovare le fattorine di un futuro sempre più vicino. L'articolo Femminismo e bicicletta, quando delivery e ciclismo lottano per la parità: i casi di Bikeboobs e So.De proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Austria, il parlamento approva il divieto per le ragazze sotto i 14 anni di indossare l’hijab a scuola
In Austria, d’ora in avanti, le ragazze con meno di 14 anni non potranno più indossare l’hijab a scuola. La decisione è stata approvata dal Parlamento di Vienna a larga maggioranza. Secondo il governo guidato dal conservatore Christian Stocker del Partito popolare austriaco, il divieto mira a proteggere le ragazze dall’oppressione. Il partito dei Verdi, all’opposizione, ha votato contro il bando del velo islamico, affermando che si tratta di una misura incostituzionale. La decisione è stata già contestata da attivisti e gruppi per i diritti umani, che parlano di discriminazione e denunciano il rischio di creare divisioni all’interno della società austriaca. Alle ultime elezioni politiche, il partito di estrema destra Fpo aveva sfiorato il 30%. L'articolo Austria, il parlamento approva il divieto per le ragazze sotto i 14 anni di indossare l’hijab a scuola proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Parità di genere, l’Ue migliora ma troppo lentamente. L’Italia ancora ultima sul lavoro: gli uomini guadagnano più del doppio delle partner
Nonostante vent’anni di strategie, conferenze e piani d’azione, l’Unione europea nel 2025 continua a migliorare “con il freno tirato” sulla parità di genere. L’Italia, anche quest’anno, avanza meno degli altri. Il nuovo Gender Equality Index pubblicato dall’EIGE assegna al nostro Paese 61,9 punti su 100, uno in meno della media Ue (63,4). Un risultato insufficiente, nonostante la crescita di quasi dieci punti nell’ultimo decennio. L’Italia non è più nelle retrovie, ma resta in affanno. Il dato europeo registra un miglioramento complessivo: nel 2020 la media Ue era 60 punti, cinque anni prima 53. La distanza si accorcia, ma la fotografia è chiara: il ritmo è troppo lento, e per l’Italia ancora di più. L’Indice 2025, aggiornato nelle fonti e negli indicatori — compresa per la prima volta una sezione autonoma sulla violenza di genere — non cambia la sostanza: i Paesi che corrono sono altri: Svezia, Francia, Danimarca e Spagna hanno punteggi superiori a 70. La progressione italiana è trainata quasi interamente dall’aumento della presenza femminile nei ruoli decisionali, che dal 2020 guadagna 12,7 punti, soprattutto nell’ambito economico (+18,1) e sociale (+17,5). È l’unico settore in cui l’Italia recupera terreno: oggi è seconda nell’Ue per presenza femminile ai vertici economici (44% dei membri dei board è donna contro una media Ue del 34) e sale al nono posto complessivo negli ambiti della “conoscenza” e del “potere”. Ma è un miglioramento che non modifica gli equilibri generali. Negli altri ambiti — lavoro, tempo, salute, redditi — l’Italia continua a scontare ritardi strutturali, alcuni inchiodati da oltre dieci anni. Il lavoro resta il punto più critico. L’Italia resta l’ultima in Europa sulla parità di genere sul fronte lavorativo. L’indicatore sulla partecipazione femminile è il più basso dell’Ue: 33% di occupazione equivalente a tempo pieno, contro il 53% degli uomini. Il divario si allarga nelle coppie con figli, tra le donne con minore scolarizzazione e persino nelle coppie senza figli. La vita lavorativa stimata è di 28 anni per le donne e 37 per gli uomini: nove anni di differenza, che non erano presenti nemmeno prima della pandemia. A frenare il lavoro retribuito è quello non retribuito. Tra i genitori di bambini 0-11 anni, il 41% delle donne dedica più di cinque ore al giorno alla cura, contro il 16% degli uomini. Nelle faccende domestiche il rapporto è 65% contro 28%. La conseguenza è un crollo del tempo libero, delle possibilità di formazione, di carriera e persino di salute. La fotografia economica è altrettanto netta: in Italia le donne in coppia guadagnano solo il 53% del partner, la quota più bassa dell’Ue. Gli uomini guadagnano in media il 112% in più delle partner femminili. Tradotto: per raggiungere lo stesso reddito annuo, una donna dovrebbe lavorare quasi quattro mesi in più. Il rischio di povertà riguarda il 20% delle donne occupate e aumenta nelle famiglie monoparentali: il welfare familiare non basta più a compensare le disuguaglianze del mercato del lavoro. L’Italia è nona nell’ambito della conoscenza, ma resta sotto la media Ue nel livello d’istruzione terziaria: tra i 30-34enni solo il 38% delle donne ha una laurea, contro il 24% degli uomini. Nelle discipline STEM la quota femminile scende al 39%, in calo rispetto al 2015. Nell’ambito della salute si registra una flessione (-0,1 punti in cinque anni), dovuta al peggioramento dello stato di salute percepito. Le donne vivono più a lungo, ma con meno anni di buona salute: 48% contro 56% dopo i 65 anni. La nuova sezione dedicata alla violenza di genere restituisce un dato che pesa come un macigno: il 31% delle donne europee ha subìto violenza fisica o sessuale nella vita adulta. In Italia la percentuale è del 32%, con un 4% nei soli ultimi dodici mesi. Numeri che l’EIGE definisce “probabilmente sottostimati”, vista la difficoltà di denuncia. Nella politica italiana le quote restano ferme: le donne sono il 34% in Parlamento, il 30% nei ministeri, il 27% nelle Regioni. Percentuali che non crescono da anni, nonostante la normativa sul riequilibrio di genere nelle liste elettorali. Paradossalmente va meglio nelle società quotate, dove grazie alle quote obbligatorie le donne rappresentano il 44% dei cda. Il quadro finale è quello di un Paese che migliora solo dove politiche pubbliche e regole di settore impongono vincoli, come nei cda, mentre perde terreno in tutto ciò che dipende dall’organizzazione sociale: lavoro, cura, redditi, conciliazione. L’Italia oggi è più vicina alla media europea rispetto al passato. Ma resta sotto la media. E soprattutto resta lontana dalla parità reale: un traguardo che, secondo le proiezioni dell’EIGE, potrebbe richiedere ancora decenni. L'articolo Parità di genere, l’Ue migliora ma troppo lentamente. L’Italia ancora ultima sul lavoro: gli uomini guadagnano più del doppio delle partner proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Diversity Media Awards, ilfattoquotidiano.it premiato per il miglior articolo web con un’inchiesta sugli ostacoli all’aborto nelle Marche
Sono stati proclamati il 28 novembre, in diretta sul profilo Instagram di Fondazione Diversity, i vincitori e le vincitrici della decima edizione dei Diversity Media Awards, i riconoscimenti che premiano i personaggi e i contenuti mediali che si sono distinti nel corso dell’anno precedente per una rappresentazione valorizzante ed inclusiva delle persone e dei temi per Genere, Età, Etnia, Disabilità, LGBT+, Aspetto Fisico. Tra i premiati anche Eleonora Cirant, giornalista collaboratrice de ilfattoquotidiano.it, vincitrice nella categoria miglior articolo stampa web con un’inchiesta sugli ostacoli all’aborto nelle Marche. > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da Fondazione Diversity ~ Diversity Media Awards > (@diversitylab) Ascoltando il sentimento del tempo e delle comunità, il momento storico che stiamo vivendo richiede di mettere da parte red carpet e teatri per ripartire dall’essenziale. Per questo i Diversity Media Awards hanno inaugurato un nuovo evento digitale che ha portato i premi laddove l’inclusione ha trovato negli anni una “casa” naturale e una straordinaria cassa di risonanza per istanze spesso totalmente escluse dall’informazione tradizionale, i social. Un viaggio nella ricchezza della diversità, raccontato sui social da 13 contenuti video nei quali Aurora, Guglielmo e Pierluca hanno celebrato tutte le nominate e i nominati delle varie categorie e annunciato i vincitori e le vincitrici di questa edizione. Francesca Albanese, Relatrice Speciale ONU per i diritti umani nei territori palestinesi, è eletta Personaggio dell’Anno, perché “ha mantenuto un impegno instancabile nel denunciare il genocidio in corso. La sua voce rigorosa e la sua presenza internazionale rendono inevitabile il confronto con le responsabilità politiche e morali che il tema impone”, come si legge nelle motivazioni del premio. Il Premio al Miglior Programma Tv l’ha vinto “La perfezione non esiste” (Prime Video) perché “propone uno sguardo originale sulla chirurgia estetica, arricchito dal contributo di psicologhe/i e anestesiste/i. Attraverso i racconti dei pazienti, il programma mette al centro il rapporto con il proprio corpo e le pressioni dei modelli di bellezza diffusi online, mantenendo una prospettiva rispettosa e inclusiva, valorizzando anche corpi lontani dagli standard tradizionali”. Il Premio come Miglior Film Italiano se l’è aggiudicato “Il ragazzo dai pantaloni rosa” di Margherita Ferri, in quanto “è interessante come inviti alla riflessione chiamando in causa responsabilità diffuse – scuola, comunità, piattaforme digitali – per ribadire l’urgenza di contrastare l’omolesbobitransfobia quotidiana che ancora attraversa la nostra società”. Per quanto riguarda il mondo delle serie tv, il riconoscimento alla Miglior Serie TV Italiana è stato vinto da “L’arte della gioia” di Valeria Golino (Sky e NOW) perché “la miniserie attraversa desiderio, classe, autodeterminazione e tabù, senza addomesticarne la complessità. Un racconto di formazione femminile che provoca e interroga l’ordine morale. Al centro, una protagonista svincolata dagli stereotipi di genere e una rappresentazione della disabilità matura e coerente, sostenuta dalla presenza in scena di interpreti con disabilità, scelta ancora rara nel panorama audiovisivo italiano”, mentre la vittoria per la Miglior Serie Tv Straniera se l’è aggiudicata “Hacks” (Netflix) per “aver creato una straordinaria storia di donne, raccontando una protagonista fortissima nei suoi settant’anni e l’incredibile crescita di un legame tra due generazioni differenti. L’alta qualità di questa serie rende giustizia alla rappresentazione del femminile nel suo invecchiamento, visto non come un declino valoriale, ma trattato con rispetto, seppur sempre con ironia”. Infine, il Premio per la Miglior Serie Tv Young è andato a “Hearstopper 3” (Netflix) dato che con la terza stagione “conferma l’impegno nel mostrare l’universo LGBT+ young, facendo attenzione anche a rappresentare diversità di corpi e a mettere al centro i temi della salute mentale”. “5 in condotta” (Rai Radio 2) condotto da Serena Bortone ha vinto il riconoscimento come Miglior Programma Radio perché “si propone come spazio libero di confronto sull’attualità e la società. Con leggerezza e autoironia, affronta temi complessi dando spazio a idee e prospettive diverse. La conduzione di Serena Bortone, da sempre attenta ai diritti civili, contribuisce a rendere il programma un presidio di pluralismo e inclusione, in grado di portare nel servizio pubblico un dialogo accessibile e non superficiale”. Il Premio per il Miglior Podcast se l’è aggiudicato “Sigmund” (Il Post), condotto da Daniela Collu che “con rigore e chiarezza affronta temi complessi legati alla salute mentale, dalla psicoterapia al trauma, fino all’impatto dei social sulla psiche. Ogni puntata, arricchita dal dialogo con professionisti e professioniste, contribuisce a sfatare tabù e disinformazione, offrendo strumenti di comprensione accessibili e normalizzando la cura psicologica come pratica di consapevolezza e benessere”. A ricevere il riconoscimento come Creator dell’anno è Sofia Fabiani (@cucinare_stanca) che “con ironia e linguaggio diretto ha trasformato la cucina in uno spazio di riflessione sociale, smontando stereotipi di genere, orientamento sessuale e affettivo, pregiudizi sul corpo, rendendo l’inclusione un ingrediente quotidiano, accessibile e potente”, mentre il premio come Miglior Prodotto Digital è stato vinto da Aurora Leone dei The Jackal per il contenuto “La festa dei Nonni” in quanto “The Jackal e Aurora Leone hanno raccontato il valore delle relazioni intergenerazionali celebrando affetto, diversità e legami familiari con ironia e autenticità capaci di parlare a pubblici trasversali”. Durante l’evento sono stati attribuiti anche i riconoscimenti all’informazione: Miglior servizio TG al Tg La7 (per il servizio “Data Room di Milena Gabanelli: il centro per migranti di Mineo e il bisogno di manodopera in Italia” di Milena Gabanelli), Miglior Articolo Stampa Quotidiani a Il Messaggero (per l’articolo “Il miraggio parità nel lavoro” di Franca Giansoldati e Gabriele Rosana), Miglior Articolo Stampa Periodici a Il Venerdì – La Repubblica (per l’articolo “Il primo pride non si scorda mai” di Claudia Arletti) e Miglior Articolo Stampa Web a Ilfattoquotidiano.it (per l’articolo “Marche, obiezione quasi al 100% e ostacoli all’aborto farmacologico: le storie delle donne costrette a spostarsi. E la Regione non si adegua alle linee ministeriali” di Eleonora Cirant). I Diversity Media Awards sono un osservatorio costante dello stato dell’inclusività dei media d’informazione e d’intrattenimento: le segnalazioni per l’edizione 2026 riapriranno subito dopo il 28 novembre. 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Crisi climatica, le donne pagano il prezzo più alto. Le storie (portate alla Cop30) da Brasile, Kenya e Tanzania
La crisi climatica non è neutra. Il genere conta. Perché quando i raccolti bruciano a causa della siccità prolungata e bisogna camminare chilometri per trovare acqua che si può bere, oppure quando gli uomini migrano cercando un posto di lavoro, a portare il peso più grande della crisi climatica sono donne e ragazze. Lavorano di più e riposano di meno. Anche se sono in gravidanza. Esposte alle violenze, a gravidanze precoci e matrimoni forzati, con accesso limitato a cure mediche, cibo, autonomia economica e diritti sul proprio corpo. Strade e ponti danneggiati, infatti, rendono difficile raggiungere ospedali e centri sanitari. Nei giorni della Cop 30 di Belém, dove la voce degli indigeni ha avuto un ruolo e una potenza inediti, arrivano proprio dal Brasile, ma anche dal Kenya e dalla Tanzania le storie di queste donne. Le ha raccontate nel rapporto “On our lands, on our bodies” – realizzato in collaborazione con il centro di ricerca Arco – l’organizzazione umanitaria WeWorld, membro italiano di ChildFund Alliance, rete globale impegnata nella tutela dei diritti dell’infanzia. ALLA COP30, LA VOCE DELLE DONNE CHE PAGANO IL PREZZO DELLA CRISI E alla Cop le ha portate Lydia Wanja Kingeru, attivista e ricercatrice keniana, insieme all’attivista indigena brasiliana Glaubiana Alves, una delle voci della ricerca. “La ricerca analizza come il cambiamento climatico influenzi la salute sessuale e riproduttiva delle donne, in particolare nelle comunità indigene e rurali. Si concentra su esperienze provenienti da Brasile, Kenya e Tanzania, dove le trasformazioni ambientali stanno modificando profondamente la vita quotidiana” spiega Martina Albini, coordinatrice del Centro studi di WeWorld. Alla Cop, tra l’altro, c’è chi conosce bene il prezzo pagato dalle donne per il cambiamento climatico. Certamente lo conosce la ministra dell’Ambiente del Brasile, Marina Silva, nata in un villaggio dell’entroterra amazzonico. Figlia di raccoglitori di gomma, è stata analfabeta fino ai 17 anni quando, trasferita in città, ha iniziato a combattere per i diritti dei raccoglitori. Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, ha lanciato di recente un appello: “Quando il fiume sale, le cliniche devono restare aperte”. Proprio ciò che non accade in molti dei Paesi più a rischio. In questo modo le donne non hanno un posto sicuro dove cercare aiuto e diventano irraggiungibili il presidio sanitario che può fornire la contraccezione, le cure prenatali, quelle dopo uno stupro. Ma l’azione climatica dimentica la salute e i diritti sessuali e riproduttivi delle donne. STORIE DAL BRASILE: “CAMMINAVAMO PER ORE CON I VESTITI IN TESTA DA LAVARE” In Brasile, lo studio condotto nelle comunità indigene del Ceará, evidenzia come il cambiamento climatico stia ridefinendo le dinamiche di potere all’interno delle famiglie. Il degrado ambientale minaccia i mezzi di sussistenza tradizionali e i sistemi alimentari, mentre gli eventi climatici estremi e le infrastrutture danneggiate limitano l’accesso ai servizi sanitari. “La mia infanzia e adolescenza non sono esistite, le ho trascorse prendendomi cura dei miei fratelli più piccoli. Ero la maggiore di dieci fratelli – racconta una delle donne indigene del Ceará – e la mia comunità era piena di sofferenza e senza opportunità. La situazione idrica era terribile: dovevamo camminare per ore con i vestiti in testa da lavare, e tornavamo con il collo dolorante”. Ma non c’era acqua corrente, solo pozzi salmastri: “Ci rendevano la pelle grigia. Usavamo l’olio da cucina per idratarci”. Le donne indigene stanno assumendo ruoli di leadership all’interno delle famiglie e delle comunità “ma il peso delle norme patriarcali e la fragilità delle reti di supporto femminile – denuncia WeWorld – rendono necessario un intervento mirato e sensibile al contesto locale”. STORIE DAL KENYA: “LE DONNE SVOLGONO PIÙ LAVORI PESANTI” In Kenya, la ricerca condotta in tre contee, Narok, Isiolo e Kwalesu, sottolinea come i fattori legati al cambiamento climatico influiscono sulla salute riproduttiva e delle madri. Siccità, inondazioni e ondate di calore estremo, compromettono l’accesso all’acqua: il 91 per cento delle donne intervistate segnala una riduzione dell’accesso ai servizi sanitari, l’89 per cento riferisce di impatti negativi durante la gravidanza e l’83 per cento riscontra peggioramenti nella gestione della salute durante il ciclo mestruale. In queste contee, le donne lavorano di più e riposano di meno. La scarsità d’acqua e di cibo aumenta anche il carico di lavoro domestico e agricolo, con conseguenze sulla salute fisica e mentale. “La situazione è aggravata dalla struttura patriarcale della proprietà terriera – è il racconto di un’altra donna – sono gli uomini a decidere come utilizzare la terra, anche per piccoli orti. Tante donne sono costrette a lavorare nei campi altrui solo per guadagnare qualcosa”. STORIE DELLA TANZANIA: “VULNERABILI DAVANTI A VIOLENZE E MATRIMONI PRECOCI” In Tanzania, l’indagine è stata condotta sull’isola di Pemba, nelle aree di Konde, Micheweni e Majenzi. Qui l’accesso all’acqua rappresenta una sfida critica: il 58% delle donne segnala difficoltà e l’81% è costretto a percorrere lunghe distanze per procurarsela, con rischi per la salute e per la sicurezza. L’insicurezza alimentare causata dal cambiamento climatico influisce negativamente sulla nutrizione materna e sull’allattamento: oltre la metà delle donne (56%) ha difficoltà ad accedere a cibi nutrienti. Lo stress ambientale influenza le decisioni sulla pianificazione familiare. Le difficoltà economiche e lo stress causati dai rischi climatici rendono donne e ragazze più vulnerabili alla violenza di genere, inclusi matrimoni forzati, violenza sessuale e domestica. LE POLITICHE DA ATTUARE (CHE L’UNIONE EUROPEA SMANTELLA) L’indagine di WeWorld si conclude con una sezione di raccomandazioni per orientare politiche e pratiche che promuovano l’equità di genere, la salute e la giustizia sessuale e riproduttiva. Le raccomandazioni sono indirizzate ai diversi attori coinvolti: donatori e finanziatori internazionali, decisori politici, organizzazioni della società civile. “On Our Lands, On Our Bodies” approfondisce gli effetti della crisi climatica sulle comunità rurali e indigene, ma WeWorld ha condotto anche ricerche sulla filiera agroalimentare, per comprendere come il clima influenzi l’agricoltura locale e i mezzi di sussistenza, con particolare attenzione alle donne. L’organizzazione sostiene iniziative di Disaster Risk Reduction, promuovendo sistemi locali di allerta e piani di emergenza e, a livello istituzionale, porta avanti iniziative di advocacy per influenzare le politiche climatiche e sociali, come il lavoro sulla direttiva Due diligence presso l’Unione Europea, per promuovere responsabilità sociale e tutela dei diritti nelle filiere produttive. Proprio in questi giorni, tra l’altro, è partito il negoziato interno all’Unione europea, dopo che il Parlamento Ue ha votato la sua posizione negoziale, indebolendo il pacchetto di misure che obbligano le aziende a rispondere delle violazioni dei diritti umani e ambientali nelle loro catene di approvvigionamento. Fotocredits: WeWorld L'articolo Crisi climatica, le donne pagano il prezzo più alto. Le storie (portate alla Cop30) da Brasile, Kenya e Tanzania proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Diversity Media Awards, ilfattoquotidiano.it in finale come “miglior articolo stampa web”
Tornano venerdì 28 novembre i Diversity Media Awards. L’iniziativa, arrivata alla decima edizione e promossa dalla Fondazione Diversity, premia i personaggi e i contenuti mediali che si sono distinti per una rappresentazione valorizzante ed inclusiva delle persone e dei temi per Genere, Età, Etnia, LGBT+, Disabilità, Aspetto fisico. Ilfattoquotidiano.it è entrato in shortlist nella categoria “miglior articolo stampa web”, grazie all’inchiesta di Eleonora Cirant dal titolo: “Marche, obiezione quasi al 100% e ostacoli all’aborto farmacologico: le storie delle donne costrette a spostarsi. E la Regione non si adegua alle linee ministeriali”. Nel 2025 i Diversity Media Awards compiono dieci anni, dieci anni in cui sono state premiate oltre 100 produzioni cinematografiche, televisive, radiofoniche, digitali, assegnati oltre 30 Premi stampa ed eletti in ogni edizione i Personaggi e i Creator dell’anno, per riconoscere e celebrare la miglior produzione culturale italiana, quella capace di rappresentare in modo corretto e inclusivo la diversità, restituendo un racconto della società più autentico. Nato come un evento fisico a Milano, trasmesso più volte anche in tv, prima su Real Time e successivamente su Rai1, l’evento chiuso in teatro si trasforma in una premiazione pop, diffusa, virale. Un evento digitale che porta i premi laddove l’inclusione ha trovato negli anni una “casa” naturale e una straordinaria cassa di risonanza per istanze spesso totalmente escluse dall’informazione tradizionale, i social. Un viaggio nella ricchezza della diversità, raccontato sui social da 13 video nei quali Aurora Ramazzotti, Guglielmo Scilla e Pierluca Mariti celebrano tutte le nominate e i nominati delle varie categorie e annunciano i vincitori e le vincitrici dei Diversity Media Awards 2025, pubblicati sulla pagina Instagram di Fondazione Diversity il 28 novembre a partire dalle ore 11:00 e per tutta la giornata. Durante gli episodi, verrà premiato il Personaggio dell’Anno – in lizza Francesca Albanese, Gino ed Elena Cecchettin, Geppi Cucciari, Rula Jebreal, Porpora Marcasciano e Jasmine Paolini – e tutti i vincitori delle categorie Miglior Film, Miglior Serie TV Italiana, Miglior Serie TV Straniera, Miglior Serie Young, Miglior Programma TV, Miglior Programma Radio, Miglior Podcast, Miglior prodotto digital, Creator dell’anno. Saranno inoltre assegnati anche i riconoscimenti all’informazione attribuiti dal Comitato Scientifico di Diversity: Miglior servizio TG, Miglior Articolo Stampa Quotidiani, Miglior Articolo Stampa Periodici, Miglior Articolo Stampa Web. I Diversity Media Awards sono un osservatorio costante dello stato dell’inclusività dei media d’informazione e d’intrattenimento. L'articolo Diversity Media Awards, ilfattoquotidiano.it in finale come “miglior articolo stampa web” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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