La nota catena di negozi Mediaworld, che si occupa della vendita al dettaglio di
prodotti di elettronica, diventa cinese. Il gruppo Jd ha, infatti, conquistato
l’85,2% dell’azienda tedesca Ceconomy, holding che controlla i negozi MediaMarkt
(in Italia Mediaworld) e Saturn. Circa il 60% arriva dall’Opa lanciata da Jd,
mentre il resto è frutto dell’accordo con Convergenta, la holding della famiglia
Kellerhals, che manterrà una quota del 25,35%. La notizia è stata resa nota
dalla stessa azienda con un comunicato.
A fine luglio il gruppo cinese aveva acquistato il 32% di Ceconomy. Jd è in Cina
il terzo gestore di commercio online. Il valore di questa precedente
transazione, secondo il quotidiano economico Handelsblatt, era di 2,2 miliardi
di euro. L’acquisizione di MediaMarkt e Saturn dà a JD.com l’accesso a uno dei
più grandi negozi online di prodotti elettronici in Europa e a una rete di circa
1.000 negozi in undici Paesi europei. Sempre a luglio era stato concordato che
per i successivi tre anni non ci saranno licenziamenti o chiusure di filiali
nell’ambito della transazione.
L’Autorità federale antitrust tedesca ha dato il proprio via libera a settembre,
poiché JD.com era finora “attiva in Germania solo in misura molto limitata“.
Tuttavia, secondo Ceconomy, la conclusione dell’offerta pubblica di acquisto è
ancora soggetta all’approvazione delle autorità competenti in materia di
commercio estero e all’approvazione ai sensi del regolamento Ue sulle
sovvenzioni estere. La conclusione è prevista quindi nella prima metà del 2026.
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Tag - Holding
La Commissione Ue torna all’attacco contro Google. Dopo anni di istruttorie e
maxi-multe sul fronte concorrenza, Bruxelles apre un nuovo fronte sul rispetto
del Digital Markets Act in vigore dallo scorso anno. Nel mirino il declassamento
nei risultati di ricerca dei siti di news che accanto a contenuti editoriali
ospitano contenuti prodotti da terzi: materiali creati da partner commerciali,
agenzie o collaboratori esterni. Secondo il colosso californiano, questa
politica serve a evitare che soggetti esterni sfruttino la reputazione di un
editore per migliorare artificialmente il loro posizionamento. Ma il
monitoraggio della Commissione mostra che la retrocessione scatta anche quando i
contenuti di terzi sono parte di modelli editoriali perfettamente legittimi
mirati a monetizzare i contenuti. E qui si apre il problema.
Molte testate online, infatti, pubblicano articoli o materiali forniti da
agenzie, rubriche curate da collaboratori, contenuti partner o speciali
commerciali chiaramente identificabili. È una forma di integrazione editoriale
che non ha nulla a che fare con l’abuso del ranking, ma che consente agli
editori di diversificare ricavi e prodotti. Secondo Bruxelles, Google invece non
distingue e applica una penalizzazione automatica che può ridurre drasticamente
la visibilità in Search, con impatti diretti sul traffico e, di conseguenza,
sulla sostenibilità economica delle redazioni.
L’indagine aperta da Bruxelles riguarda chiunque pubblichi contenuti di terzi
sottoposti a controllo editoriale: quotidiani, magazine, siti verticali, portali
tematici. La policy di Google si è tradotta in una riduzione del traffico e
quindi in una “significativa perdita di fatturato” per gli editori e per i
fornitori di contenuti terzi, spiega un funzionario Ue. “Gli editori hanno
opzioni molto limitate, se non nulle, per rispondere effettivamente
all’applicazione di questa politica da parte di Alphabet per ripristinare la
loro visibilità online su ricerca Google, il che, in sostanza, si traduce in una
pressione sugli editori affinché rinuncino alle partnership commerciali o
lascino che queste pagine redditizie diventino invisibili sulla ricerca Google”.
Per la Commissione, questo può “limitare la libertà degli editori di condurre
attività commerciali legittime, innovare e collaborare con fornitori di
contenuti”, violando il principio di accesso equo e non discriminatorio
prescritto dal Dma.
In caso sia accertata la violazione, la Commissione può imporre sanzioni fino al
10% del fatturato mondiale totale dell’azienda e fino al 20% in caso di
recidiva. In caso di violazioni sistematiche, può adottare anche misure
correttive aggiuntive, come l’obbligo per un gatekeeper di vendere un’azienda o
parti di essa, oppure il divieto di acquisire servizi aggiuntivi correlati alla
non conformità sistemica.
L’Ue, attraverso la vice presidente della Commissione Teresa Ribera, si è detta
“preoccupata che le policy di Google non consentano agli editori di notizie di
essere trattati in modo equo, ragionevole e non discriminatorio nei risultati di
ricerca”. “Oggi”, ha detto, “adottiamo misure per garantire che i gatekeeper
digitali non impediscano ingiustamente alle aziende che si affidano a loro di
promuovere i propri prodotti e servizi”.
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monetizzano i contenuti” proviene da Il Fatto Quotidiano.