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Il Papa scalzo nella moschea blu di Istanbul. Perché lo storico viaggio rivela la linea spirituale di Leone XIV
Inizia l‘importante viaggio di Leone XIV. Il Papa è stato accolto in Turchia dal capo della Diyanet, la presidenza degli affari religiosi, Safi Arpagus. Il Pontefice è entrato scalzo, in segno di rispetto, nella moschea Sultan Ahmed della capitale Istanbul. Il luogo di culto è conosciuto come Moschea Blu per il colore turchese delle 21.043 piastrelle che la decorano. Il muezzin della moschea, Asgin Tunca, ha riferito ai giornalisti del colloquio avuto col Pontefice: “Gli ho detto che questa era la casa di Allah e gli ho chiesto se voleva pregare, e lui ha risposto «no, osserverò in giro»”. Una scelta diversa da quella dei suoi predecessori. Nelle ultime due visite, quella di Papa Francesco nel 2014 e di Papa Benedetto XVI nel 2006, la preghiera silenziosa compiuta dai pontefici richiese una puntualizzazione del Vaticano che la definì non una preghiera comune quanto “un’adorazione”. Dopo la visita di Leone XIV, la Santa Sede ha fatto sapere che “il Papa ha vissuto la visita alla Moschea in silenzio, in spirito di raccoglimento e in ascolto, con profondo rispetto del luogo e della fede di quanti si raccolgono lì in preghiera”. Una scelta, questa del nuovo pontefice, che va letta nel contesto del suo primo viaggio internazionale, che toccherà anche drammatici teatri di guerra nel medio-oriente. Domenica è atteso a Beirut, in Libano. Chiare le sue parole a proposito del tormentato contesto medio-orientale: “L’uso della religione per giustificare la guerra e la violenza, come ogni forma di fondamentalismo e di fanatismo, va respinto con forza, mentre le vie da seguire sono quelle dell’incontro fraterno, del dialogo e della collaborazione”. Spazio anche all’importanza della “fratellanza e sorellanza universale indipendentemente dall’etnia, dalla nazionalità, dalla religione o dall’opinione”. Per il Santo Padre, infatti, “non sarebbe possibile invocare Dio come Padre se rifiutassimo di riconoscere come fratelli e sorelle gli altri uomini e donne, anch’essi creati a immagine di Dio”. Il viaggio ha interessato venerdì anche Iznick, nell’Anatolia settentrionale, la cittadine storicamente nota come Nicea. Qui il Papa si è raccolto in preghiera in riva al lago, accompagnato da rappresentanti della chiesa ortodossa e del patriarca Bartolomeo. A Nicea, dal 20 maggio al 19 giugno dell’anno 325, l’imperatore Costantino convocò tutti i vescovi dell’oikouméne, tutta la terra abitata conosciuta. Fu appunto quello il primo consiglio ecumenico e passò alla storia per la condanna all’arianesimo e per la decisione sulla data in cui si sarebbe celebrata la Pasqua. Da tempo nella Chiesa si denuncia quello che Prevost ha definito “arianesimo di ritorno, presente nella cultura odierna e a volte tra gli stessi credenti”. Il termine era stato utilizzato anche da Joseph Ratzinger negli anni Novanta. L’arianesimo è una dottrina considerata eretica elaborata dal Vescovo Ario nel IV secolo. Al centro è la negazione la qualità consubstanziale di Cristo, cioè l’idea che il Figlio sia “della stessa sostanza” del Padre, ovvero che Cristo sia allo stesso livello di Dio e non subordinato a lui come invece riteneva Ario. Il Concilio di Nicea, invece, definì Cristo homooúsios, cioè “della stessa sostanza” del Padre. “Se Dio non si è fatto uomo, come possono i mortali partecipare alla sua vita immortale? Questo era in gioco a Nicea ed è in gioco oggi”, ha dichiarato Papa Leone. Per il nuovo pontefice la figura di Gesù Cristo è centrale e la sua difesa in quanto divinità e non semplice intermediario è anche un monito ai fedeli. Prevost ammette che “il 1700° anniversario del Primo Concilio di Nicea è un’occasione preziosa per chiederci chi è Gesù Cristo nella vita delle donne e degli uomini di oggi, chi è per ciascuno di noi. Questa domanda interpella in modo particolare i cristiani, che rischiano di ridurre Gesù Cristo a una sorta di leader carismatico o di superuomo, un travisamento che alla fine porta alla tristezza e alla confusione”. L'articolo Il Papa scalzo nella moschea blu di Istanbul. Perché lo storico viaggio rivela la linea spirituale di Leone XIV proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Mamma e figli di 3 e 6 anni sono morti mentre erano in vacanza a Istanbul, grave il padre: evacuato l’hotel dove alloggiavano
Due bambini di 3 e 6 anni e la loro mamma sono morti per sospetto avvelenamento mentre si trovavano in vacanza a Istanbul. Il papà è ricoverato in gravi condizioni. E ora l’hotel dove alloggiavano è stato evacuato. La famiglia Böcek era arrivata a Istanbul dalla Germania lo scorso 9 novembre: il ricovero il 12 novembre, con sintomi da sospetto avvelenamento. Poi, il decesso dei bambini Kadir Muhammet Böcek (6) e Masal Böcek (3), e della madre Çiğdem Böcek (27). Il padre, Servet Böcek (36), è ancora ricoverato in terapia intensiva. I media turchi fanno ora sapere che sono altre due le persone intossicate e ricorverate che alloggivano nello stesso hotel, nel quartiere di Fatih. La famiglia si era sentita male mercoledì scorso, dopo aver mangiato diversi piatti tipici di street food nel quartiere di Ortakoy. Ma gli investigatori stanno indagando anche su una disinfestazione con pesticidi fatta al piano tetta dell’hotel: un dipendente della struttura e due addetti alla disinfestazione sono stati arrestati. Gli ospiti sono stati trasferiti in altre strutture e la polizia ha portato via alcuni oggetti per le analisi di laboratorio. L'articolo Mamma e figli di 3 e 6 anni sono morti mentre erano in vacanza a Istanbul, grave il padre: evacuato l’hotel dove alloggiavano proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Turchia, l’atto d’accusa contro Imamoglu, principale avversario di Erdogan: 142 reati per migliaia di anni di carcere
Mentre prosegue il tentativo del governo turco di realizzare un accordo di pace definitivo con i curdi, molto probabilmente per ottenere dal partito filo curdo per la democrazia e l’ uguaglianza dei popoli, DEM – terzo partito per numero di seggi in Parlamento – l’ok a un referendum per cambiare la Costituzione e permettere al presidente-autocrate Recep Tayyip Erdogan di presentarsi per la terza volta alle presidenziali del 2028, la magistratura assesta un ulteriore colpo, finora inedito, contro il principale rivale del Sultano proprio alle presidenziali: il sindaco sospeso di Istanbul, Ekrem Imamoglu, in carcerazione preventiva dallo scorso marzo. Ieri è stato finalizzato l’atto di accusa nell’ambito di un’indagine, prefabbricata, per corruzione nella Municipalità Metropolitana di Istanbul, controllata dall’opposizione, che include Ekrem İmamoglu tra i 402 imputati, 105 dei quali sono attualmente in stato di arresto. L’atto di accusa, lungo 3.700 pagine, accusa İmamoğlu di 142 reati distinti e richiede una pena detentiva compresa tra 828 e 2.352 anni. Tra le accuse figurano “costituzione e direzione di un’organizzazione criminale”, nonché “corruzione” e “accettazione di tangenti”. Mai si era vista finora avanzare una richiesta di pena detentiva di migliaia di anni. Si tratta di una richiesta insensata oltre che provocatoria. İmamoglu, dato per vincente alle prossime presidenziali, secondo i sondaggi, è l’esponente più popolare e di spicco del Partito Popolare Repubblicano (CHP), la formazione socialdemocratica e kemalista che rappresenta il maggior partito di opposizione; è stato arrestato assieme a decine di altre persone, tra cui dipendenti comunali e imprenditori. Pochi giorni dopo l’arresto di İmamoğlu, che ha scatenato proteste in tutto il paese, il CHP lo ha dichiarato candidato alle elezioni presidenziali del 2028. Da quando è diventato sindaco di Istanbul nel 2019, İmamoğlu è emerso come una figura di spicco all’interno del CHP ed è ampiamente considerato un rivale politico di Erdogan. L’atto d’accusa, presentato davanti alla 40ª Corte Penale di Istanbul, utilizza ripetutamente l’espressione “come i tentacoli di una piovra” per descrivere la presunta rete criminale guidata da İmamoglu, un’espressione spesso utilizzata dal presidente Erdogan. I pubblici ministeri accusano inoltre İmamoglu di aver tentato di “prendere il controllo del CHP” e di “aver formato un’organizzazione per raccogliere fondi per la propria campagna presidenziale”. L’atto d’accusa sostiene che la presunta rete criminale abbia causato perdite pubbliche per 160 miliardi di lire e 24 milioni di dollari. La prima sezione dell’atto di accusa descrive la “struttura generale e le caratteristiche” della presunta organizzazione criminale. La seconda sezione fornisce una sintesi dell’indagine. La terza sezione si concentra sul periodo in cui İmamoglu è stato sindaco del distretto di Beylikdüzü tra il 2014 e il 2019, descrivendolo come il “leader dell’organizzazione”. La quarta sezione descrive in dettaglio le presunte azioni compiute durante il suo mandato come sindaco di Istanbul, affermando che la rete si è estesa “in tutta la città come i tentacoli di una piovra”. La quinta e la sesta sezione affrontano le accuse relative alle filiali del comune di Istanbul. L’ultima sezione classifica le accuse contro i sospettati e delinea gli articoli pertinenti del codice penale. L’atto di accusa elenca 92 individui come “membri dell’organizzazione”, inclusi sei “leader”, mentre centinaia di altri sono descritti come “collegati all’organizzazione ma non membri” e chiede la punizione per 142 atti criminali presumibilmente commessi da İmamoglu, tra cui “costituzione di un’organizzazione criminale”, 12 capi d’imputazione per “corruzione”, sette capi d’imputazione per “riciclaggio di denaro”, sei capi d’imputazione per “frode contro istituzioni pubbliche”, cinque capi d’imputazione per “truffa di appalti pubblici”, due capi d’imputazione ciascuno per “falsificazione di documenti ufficiali”, “occultamento e diffusione di documenti ufficiali” e “distruzione di prove penali”, nonché “danneggiamento di proprietà pubblica” (quattro capi d’imputazione), “diffusione di informazioni fuorvianti al pubblico” (tre capi d’imputazione) e violazioni relative ai dati personali (sette capi d’imputazione in totale). Ulteriori accuse includono la mancata segnalazione alla Commissione Investigativa sui Reati Finanziari (MASAK), il riciclaggio di beni ottenuti tramite contrabbando, l’inquinamento ambientale e le violazioni della Legge Forestale e del Codice Civile. Una serie di accuse che sarebbero ridicole se non fossero tragiche perchè Imamoglu rischia di passare ancora degli anni in carcere, almeno fin oltre le presidenziali del 2028, così che non potrá presentare la propria candidatura permettendo a Erdogan di rimanere al potere dopo più di vent’anni. Il leader del CHP, Özgür Özel, ha respinto l’atto d’accusa definendolo “scritto da Erdogan”, descrivendo la detenzione di Imamoglu come un colpo di Stato. “Questo non è un atto d’accusa, ma un memorandum dei golpisti che prende di mira la politica”, ha affermato. “Ciò che stiamo vivendo non è di natura legale, ma puramente il risultato dell’ambizione politica di una persona”. Imamoglu ha anche risposto sui social media, affermando: “L’atto d’accusa che avete scritto consiste in menzogne estorte attraverso minacce, coercizione e calunnia, che legano le persone in catene di paura”. “Avete davvero il coraggio? Allora vi sfido!”, ha aggiunto. “Trasmettete il processo in diretta. Lasciate che il pubblico assista alle vostre bugie e calunnie. Confidate per una volta nella coscienza della società e nel senso di giustizia della gente. Lasciate che sia la gente a decidere: siamo noi i criminali o quelli che conducono questa indagine illegale?” L'articolo Turchia, l’atto d’accusa contro Imamoglu, principale avversario di Erdogan: 142 reati per migliaia di anni di carcere proviene da Il Fatto Quotidiano.
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