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Ignorate le parole di Papa Francesco: le carceri sono ancora sovraffolate e governate dall’ipocrisia
Siamo governati dall’ipocrisia. Tutti si definiscono cristiani ma nessuno ascolta le parole del capo della Chiesa. Lo scorso 26 dicembre Papa Francesco aprì la porta Santa a Rebibbia, dove giovedì è morta una detenuta e dove il giorno prima si è recato il Presidente della Repubblica. Le parole del Pontefice, che al carcere aveva dedicato pensieri e azioni, sono rimaste inascoltate, colpevolmente rimosse da parte di chi dirige il nostro sistema penitenziario. Per questo un ampio numero di associazioni e istituzioni – tra le quali A buon diritto, Acli, Antigone, Arci, Cgil, Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia CNVG, Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti CNCA, Federsolidarietà, Forum Droghe, Gruppo Abele, L’altro diritto, La Società della Ragione, Legacoop, Movi, Ristretti, No prison e Nessuno Tocchi Caino – hanno promosso un appello per offrire dignità e megafono all’impegno di Papa Francesco. Vanno assicurate umanità e clemenza a un sistema, quello delle prigioni, che vive una drammatica crisi. Il mondo delle carceri italiane sta perdendo ogni legame con la missione costituzionale di cui al terzo comma dell’articolo 27. Un articolo scritto con il sangue, il dolore e la profondità politica di quella parte dei nostri costituenti che aveva vissuto l’esperienza della prigionia durante il fascismo. I numeri descrivono l’attuale crisi in modo impietoso. Al 30 novembre 2025 erano 63.868 le persone detenute nelle nostre carceri. La capienza effettiva era invece pari a 46.124 posti. Ciò significa che si contavano quasi 18.000 posti in meno rispetto alle presenze. È facile capire cosa significhi e quanto le possibilità di risocializzazione, nonostante l’impegno di alcuni operatori, si trasformino in mito. Di fronte a tassi di affollamento così elevati è sbagliato, nonché utopico, pensare di risolvere il problema con fantomatici piani di edilizia penitenziaria. L’affollamento delle carceri può e deve risolversi depenalizzando quel che ha a che fare con questioni sociali e non deve essere gestito con politiche penali, a partire dal tema delle droghe, trattato con le armi inique del proibizionismo che mette sullo stesso piano tossicodipendenti e trafficanti. Le galere sono piene di persone espulse da un sistema di welfare selettivo. Il tasso di affollamento medio nazionale è ormai dunque al 138,5% e in ben 72 delle 189 carceri italiane è pari o finanche superiore al 150%. Non sono meri numeri, perché dietro di essi vivono persone: in alcuni luoghi manca per loro lo spazio vitale. Negli istituti più affollati – come Lucca (247%), Vigevano (243%), Milano San Vittore (231%), Brescia Canton Monbello (216%), Foggia (215%), Lodi (211%), Udine (209%), Trieste (201%), Brindisi (199%), Busto Arsizio (196%), ma anche in molte altre carceri metropolitane – non ci sono quasi più spazi per la socialità, per la scuola. Il carcere diventa così solo un grande, inutile dormitorio. Per la prima volta nella storia, dopo il cosiddetto Decreto Caivano, anche nelle carceri minorili sta accadendo lo stesso. Ma altri numeri sono ancora da segnalare. Ovvero quelli, assai paradigmatici, che ci raccontano in maniera oggettiva l’illegalità in cui versa il sistema. Nel corso del 2024, i tribunali di sorveglianza italiani hanno accolto ben 5.837 ricorsi che riconoscevano ad altrettante persone detenute di aver vissuto in carcere in condizioni inumane o degradanti. Ben 5.837 sono state dunque sottoposte a una pena contraria al senso di umanità, contraria all’art. 27 della Carta costituzionale. In tante carceri in giro per l’Italia si è tornati a vivere in meno di tre metri quadri a persona, come quando l’Italia venne condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La reazione delle istituzioni, sia per adulti che per minori, si riassume in una sola parola: chiusura. Il carcere è sempre più chiuso. C’è insofferenza istituzionale verso chi nel mondo esterno vuole cooperare per l’esecuzione di una pena più umana. Per tutti questi motivi le associazioni, anche in considerazione del Giubileo dei detenuti in corso, hanno indetto una grande assemblea da tenersi a Roma il prossimo 6 febbraio. Per ricordare a chi governa che il carcere non è proprietà privata dei custodi. L'articolo Ignorate le parole di Papa Francesco: le carceri sono ancora sovraffolate e governate dall’ipocrisia proviene da Il Fatto Quotidiano.
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C’è anche Papa Leone XIV tra le star meglio vestite del 2025 secondo Vogue: ecco qual è stato il suo “look” vincente
Per la prima volta, un Papa entra ufficialmente nella classifica dei personaggi meglio vestiti dell’anno. Papa Leone XIV figura infatti nella tradizionale lista dei 50 best dressed 2025 stilata da Vogue America, accanto a star del cinema, della musica e della cultura globale. Un ingresso che sorprende solo in apparenza e che segna, ancora una volta, l’incontro sempre più esplicito tra moda, simboli del potere e rappresentazione pubblica. Il Pontefice compare nella galleria dei personaggi più eleganti del 2025, insieme ad attori come Jacob Elordi e Chloë Sevigny, artisti come Tyler, The Creator, ma anche figure istituzionali e iconiche come Michelle Obama. La sua presenza non è trattata come un’eccezione folkloristica: la scheda dedicata a Papa Leone XIV segue esattamente lo stesso formato riservato agli altri protagonisti della lista. Secondo Vogue, il Pontefice è “noto per aver rotto con i gusti volutamente umili del suo predecessore, Papa Francesco, pur mantenendone il sarto e proseguendo l’eredità papale dei paramenti liturgici di pregio”. Una scelta che la rivista legge come un ritorno consapevole alla solennità visiva della tradizione, senza rinunciare a un dialogo con il presente. Vogue sottolinea anche la sua apertura verso il mondo della cultura e del cinema, citando l’invito in Vaticano a Monica Bellucci e Cate Blanchett, interpretato come parte di un più ampio tentativo di modernizzare l’immagine della Chiesa, “assecondando anche una dichiarata cinefilia”. Il miglior look del 2025, secondo la redazione americana, coincide con un momento altamente simbolico: la prima apparizione pubblica di Papa Leone XIV dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro. In quell’occasione, il Pontefice ha indossato una mantella di mozzetta in raso rosso, accompagnata da una stola rosso vinaccia ricamata in oro e da un pendente a croce con cordone di seta dorata. Un insieme che Vogue descrive come perfetto equilibrio tra autorità, continuità storica e forza iconografica. Alla base della selezione, spiegano le redazioni di Vogue, c’è un criterio semplice ma rigoroso: aver sfoggiato almeno un look davvero indimenticabile nel corso dell’anno. Non conta la quantità, né la frequenza delle apparizioni, ma l’impatto visivo e simbolico. Un principio che vale tanto per i red carpet quanto per contesti istituzionali e che ha permesso l’ingresso del Pontefice in una lista tradizionalmente riservata allo star system. Le classifiche dei personaggi meglio vestiti del 2025 saranno condivise da tutte le edizioni internazionali di Vogue e raccontano un anno attraversato da grandi eventi: dagli Awards Season dei primi mesi dell’anno ai red carpet di Cannes e Venezia, passando per il MET Gala e le sfilate di Parigi, Londra, New York e Milano. Un panorama che intreccia moda, spettacolo, sport e potere simbolico. Accanto a Papa Leone XIV compaiono nomi che raccontano la pluralità dell’eleganza contemporanea: Vittoria Ceretti, Damiano David, Valeria Golino, Anok Yai, Jannik Sinner, Laura Mattarella, Rihanna e A$AP Rocky, Bianca Balti, Miuccia Prada, Pedro Pascal, Dua Lipa, Donatella Versace, Rosalía, Emma Stone, Michelle Obama, Julia Roberts e molti altri. L'articolo C’è anche Papa Leone XIV tra le star meglio vestite del 2025 secondo Vogue: ecco qual è stato il suo “look” vincente proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il video dell’incontro tra Zelensky e Papa Leone XIV: il faccia a faccia a Castel Gandolfo
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky arriva alla residenza papale di Castel Gandolfo per un incontro con Papa Leone XIV. Questo avviene il giorno dopo i colloqui di Zelensky con i leader europei a Londra e Bruxelles. I due si erano già incontrati proprio a villa Barberini lo scorso 9 luglio. Quello di oggi è il terzo incontro e il secondo faccia a faccia tra il presidente ucraino e il Pontefice, il primo era stato nell’ambito della messa di insediamento di Leone il 18 maggio scorso. Il secondo, il 9 luglio a Castel Gandolfo quando era stato il primo vero e proprio colloquio a tu per tu. Papa Leone e Zelensky si sono affacciati insieme dal balcone di villa Barberini al termine del colloquio durato all’incirca mezz’ora. I due hanno salutato giornalisti e fotografi senza rilasciare commenti. L'articolo Il video dell’incontro tra Zelensky e Papa Leone XIV: il faccia a faccia a Castel Gandolfo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Il Papa ‘tessitore’ aggiusta la linea: sì alle coppie gay, no alle donne diacono. E un messaggio a Meloni
Sette mesi dopo l’elezione di Leone XIV comincia a precisarsi meglio la linea del suo pontificato. Prevost è stato scelto e sostenuto dai cardinali elettori perché in maniera equilibrata continuasse il riformismo di Francesco, riservando però maggiore attenzione al potenziamento dell’istituzione vaticana ed ecclesiale, al contempo superando la frattura che aveva visto contrapporsi al pontefice argentino un aggressivo blocco conservatore. Leone è pienamente consapevole della situazione e appare evidente la sua intenzione di ricucire, impegnandosi come Tessitore. Il che spiega il modo prudente di muoversi sia quando conferma le svolte di Francesco sia quando dà un colpo di freno. Erano tre i principali punti di attacco dei conservatori alla vigilia del conclave del maggio scorso: la questione omosessuale, il ruolo delle donne, il rapporto con l’Islam (agli ultra-tradizionalisti non era andato giù che Francesco avesse firmato con il grande imam Al Tayyeb di Al Azhar un documento, in cui la pluralità delle religioni è definita parte del “disegno di Dio”). In questo quadro si spiega, ad esempio, la decisione di Leone di non pregare nella Moschea Blu di Istanbul, dove pure aveva pregato (già prima di Francesco) papa Ratzinger, teologo rigorosissimo. Limitarsi ad un tour culturale è stato un gesto distensivo verso le preoccupazioni del fronte conservatore. Leone XIV ha fatto invece capire che non vi sarà nessun cambiamento rispetto ad una forte innovazione voluta da Francesco: la benedizione delle coppie omosessuali. La norma attuale prevede una benedizione che non appaia ritualizzata come il sacramento del matrimonio, ma in ogni caso è un riconoscere che c’è una coppia gay impegnata in un cammino comune. Una svolta radicale rispetto all’epoca di Wojtyla e di Ratzinger. La benedizione rimarrà ed è prevedibile che nei prossimi anni ogni episcopato la regolamenterà. Diverso l’approccio sulla “questione femminile”. Leone continuerà a inserire donne in posizioni di rilievo della Curia vaticana, ma sul diaconato femminile c’è uno stop. “Per il momento non ho intenzione di cambiare l’insegnamento della Chiesa sull’argomento”, disse Prevost appena eletto. Nei giorni scorsi sono stati pubblicati i risultati della seconda commissione istituita nel 2020 da Francesco sul diaconato femminile. La conclusione – unanime – è che in alcune fasi storiche il diaconato femminile si è sviluppato in “maniera diseguale” in diverse parti della Chiesa ma “non è stato inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile e non sembra avere rivestito un carattere sacramentale”. Varie votazioni hanno rivelato la spaccatura della commissione su come formulare una proposta per risolvere la questione in futuro. L’orientamento contorto della commissione è evidenziato particolarmente da una delle votazioni. Alla tesi che suona così: “Il sottoscritto non appare al momento favorevole all’istituzione nella Chiesa del diaconato femminile inteso come terzo grado dell’Ordine sacro. Tale valutazione si basa sugli elementi storici e teologici fino a oggi acquisiti, senza escludere evoluzioni successive su questo tema», le risposte sono state le seguenti. Quattro membri concordano con la formulazione, 5 la respingono, uno si astiene. Insomma un 40% continua a sperare in “evoluzioni successive”. Dal punto di vista geopolitico la linea di Leone prosegue complessivamente l’indirizzo dei suoi predecessori, basato sul mantenimento (o la ricostruzione) di un equilibrio multilaterale. Tuttavia il recente viaggio in Turchia e Libano ha portato delle novità nelle sfumature. Prevost non ha proclamato in pubblico il diritto dei palestinesi a realizzare un loro Stato. Nell’aereo da Istanbul a Beirut si è limitato a dire che la Santa Sede da sempre appoggia l’idea dei due Stati come unica soluzione al conflitto in corso. Però una cosa è rilasciare un commento alla stampa, altro è affermare pubblicamente un principio nello spazio arabo e islamico, rivolgendosi direttamente alle masse o a una riunione di autorità statali e ambasciatori. Per il governo israeliano, che nel frattempo continua a bombardare Gaza e in parte tollera, in parte incoraggia i pogrom antipalestinesi in Cisgiordania (oltre mille i morti), è un vantaggio. Con la stampa Leone XIV si è dilungato invece sulla questione ucraina e anche qui sono emerse accenti interessanti. Prevost si è espresso nuovamente per un cessate il fuoco e ha tenuto a sottolineare che la presenza dell’Europa ai negoziati di pace è importante. Accenti che collocano la Santa Sede più vicina alle posizioni di Kyiv. Rispetto alla visione di Bergoglio, che vedeva nel conflitto uno scontro fra imperialismi, è un aggiustamento di linea da non sottovalutare. Soprattutto perché subito dopo – nella conversazione con i giornalisti sull’aereo da Beirut a Roma – Leone ha esaltato il ruolo che l’Italia potrebbe giocare: “Ha la capacità di agire come mediatrice in un conflitto tra diverse parti. Anche Ucraina, Russia, Stati Uniti…”. Un obiettivo incoraggiamento al ruolo della presidente del Consiglio. Leone non parla mai a caso e sentirlo dire “Potrei suggerire che la Santa Sede promuova questo tipo di mediazione e che cerchiamo insieme una soluzione che possa realmente offrire” una pace giusta in Ucraina, è stato forse un regalo inaspettato per Giorgia Meloni. L'articolo Il Papa ‘tessitore’ aggiusta la linea: sì alle coppie gay, no alle donne diacono. E un messaggio a Meloni proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Eseguirò i brani richiesti da Papa Leone, ha un ottimo gusto”: Michael Bublé in concerto per i poveri in Vaticano
“Io eseguirò tutti i brani richiesti dal Papa che ha un ottimo gusto. L’Ave Maria l’ho cantata una sola volta; mi sento molto onorato“. È con questa dichiarazione, che unisce l’entusiasmo della star internazionale alla solennità dell’occasione, che Michael Bublé ha presentato l’evento più atteso in Vaticano. Il cantante canadese sarà il protagonista del “Concerto con i Poveri”, un appuntamento giunto alla sua sesta edizione, a cui domani, sabato 6 dicembre, assisterà in prima persona anche Papa Francesco. Il concerto, che si terrà nell’Aula Paolo VI, è un gesto concreto di vicinanza agli ultimi. L’evento accoglierà gratuitamente oltre ottomila persone, di cui circa tremila indigenti di ogni lingua e religione, invitati come ospiti d’onore tramite il Dicastero per il Servizio della Carità – Elemosineria Apostolica e diverse associazioni di volontariato, tra cui la Caritas di Roma e la Comunità di Sant’Egidio. Monsignor Frisina, direttore del Coro della Diocesi di Roma, ha sottolineato come l’evento sia un “incontro tra mondi musicali diversi per dire che si può dialogare con tutti i generi musicali e Dio è presente sempre. La Chiesa in questo fa tutti gli sforzi perché la musica può servire veramente come strumento di incontro che va oltre le ideologie”. Il programma musicale è un vero e proprio racconto di Natale, costruito per guidare gli ottomila presenti dalla solennità liturgica alla gioia del repertorio contemporaneo. All’arrivo del Santo Padre, il Coro della Diocesi di Roma e la Nova Opera Orchestra apriranno la serata accogliendo il Pontefice con “Tu sei Pietro”. La prima parte, diretta da Monsignor Frisina, sarà dedicata alla contemplazione del Mistero dell’Incarnazione: si inizierà con l’antica antifona natalizia “Puer natus est nobis”, per poi passare alla celebre pastorale di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, “Quando nascette Ninno”, interpretata da Serena Autieri, e a una vivace esecuzione di “Joy to the World”. L’atmosfera cambierà radicalmente con l’ingresso di Michael Bublé. L’artista, accompagnato dalla Nova Opera Orchestra diretta dal maestro Nicholas Jacobson-Larson, proporrà un itinerario musicale costruito appositamente per l’occasione, alternando i suoi brani iconici alle grandi melodie del Natale. Il momento di massima intensità sarà l’interpretazione dell’“Ave Maria”, che Bublé eseguirà in latino con un arrangiamento corale e orchestrale pensato per l’imponente Aula Paolo VI. L'articolo “Eseguirò i brani richiesti da Papa Leone, ha un ottimo gusto”: Michael Bublé in concerto per i poveri in Vaticano proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Papa Leone in Libano, la popolazione delusa dalla decisione di non visitare il Sud in guerra: “Sarebbe stato un segnale di vicinanza”
Papa Leone XIV ha concluso il suo primo viaggio all’estero che lo ha portato, dopo la Turchia, anche in Libano, dove vive la più vasta comunità cristiana del Medio Oriente insieme a 18 diverse confessioni religiose riconosciute nel Paese. Almeno sulla carta, in Libano i cristiani maroniti hanno ancora la maggioranza. In un Paese dove politica e religione non conoscono separazioni, a un cristiano spetta la più alta carica dello Stato. Il presidente della Repubblica, Joseph Aoun, maronita e precedentemente a capo delle forze armate libanesi, ha accolto e accompagnato Papa Leone in diverse tappe del suo itinerario. La visita è stata accolta calorosamente, da cristiani e non. Appena arrivato Papa Leone ha attraversato parte della periferia sud di Beirut, oggi a maggioranza musulmana sciita, per recarsi alla residenza presidenziale. Per la strada una folla si era riunita ad attendere il passaggio del Pontefice, nonostante la pioggia e il diverso credo. “La visita del Papa rappresenta un qualcosa di significativo nella vita dei libanesi. Di tutti. Musulmani, cristiani, e di tutte le confessioni, senza eccezioni”, dice Mer Marry, madre superiora delle suore Antoniane di Nabatieh, congregazione maronita nella cittadina a maggioranza sciita. L’itinerario del Papa non ha previsto il sud. Per questa ragione, la visita in Libano non ha portato solo gioia e speranza, ma anche frustrazione tra la gente delle aree meridionali che più di tutti ha pagato il prezzo della guerra e che più di altri si aspettava la visita del Pontefice. “Mi aspettavo che venisse principalmente al sud, che è proprio l’area che soffre maggiormente a causa dei continui attacchi da parte di Israele”, spiega Sahar Shakaroun, imprenditrice di Nabatieh, senza nascondere la sua frustrazione. Il sud del Libano è ancora l’area più colpita da bombardamenti israeliani che si verificano quasi giornalmente, nonostante l’accordo di cessate il fuoco. Secondo l’esercito israeliano, che occupa ancora cinque postazioni in territorio libanese, gli attacchi sono finalizzati ad impedire la ricostruzione di Hezbollah, il cui disarmo a sud del fiume Litani sembra essere invece quasi completo. Non è chiaro se la visita sia stata esclusa per ragioni di sicurezza o per ragioni politiche. Secondo alcune fonti vicine alle autorità libanesi non sembra che la possibilità di visitare l’area sia mai stata presa realmente in considerazione. “La visita di Papa Leone è stata puramente religiosa e non politica”, sostiene Saher al-Mokaddem, libanese, musulmano sciita cresciuto al sud. Secondo il sindaco di Chebaa, Adam Farhat, a livello popolare molti sono convinti che il Papa desiderasse recarsi al sud, ma che le condizioni relative alla sicurezza non lo abbiano permesso. Mentre altri credono che la decisione sia stata dovuta a difficoltà organizzative o di diversa natura. “Senz’altro tutti avrebbero apprezzato questo gesto simbolico e molti avrebbero sentito che le difficoltà della vita quotidiana vicino al confine venivano riconosciute”. Chebaa è una cittadina di montagna a maggioranza musulmana sunnita situata tra il Libano e le alture del Golan occupate da Israele. È anche ultimo avamposto a est della missione delle Nazioni Unite, Unifil, che dal 1978 controlla la zona e monitora sulla linea di demarcazione che divide Libano e Israele. Per la vicinanza ai territori rivendicati da Beirut e occupati da Tel Aviv, quasi tutti gli abitanti sono stati costretti a scappare durante le fasi più acute dei bombardamenti. Nel corso della visita, il Pontefice non ha fatto riferimento diretto alla condizione del Libano, mettendo al centro il tema più generale della pace. In risposta alle domande dei giornalisti sul volo di rientro a Roma ha detto che per convincere le parti ad abbandonare le armi e la violenza si lavora dietro le quinte, ma la mancata visita del sud ha senz’altro influito sul morale di una fetta della popolazione che già si percepisce come largamente marginalizzata. “Qui la gente è abituata a essere esclusa da molti eventi ufficiali o spirituali, sia per motivi di sicurezza che politici, quindi non è stata una sorpresa”, spiega il sindaco Farhat accennando alle ragioni storiche del sentimento di lontananza dal governo centrale. Dalle voci raccolte in diverse zone del sud del Libano, quello della marginalità è un tema diffuso e accusato da gran parte della popolazione. Eppure, la comunità cristiana locale fa notare come il sud includa luoghi che hanno caratterizzato la vita del figlio di Dio. “Il sud del Libano è stato attraversato da Gesù, da Kawkaba fino al monte Hermon”, spiega George Nakad, ex sindaco del villaggio di Deir Mimes e a capo del pronto soccorso dell’ospedale al-Najdaha Shabeya di Nabatieh. “Anche Qana e Magdoushi”, sottolinea Linda Akiki, insegnante in pensione della stessa città, riferendosi al luogo del primo miracolo di Gesù e a quello in cui, secondo la religione cristiana, Maria lo attendeva mentre praticava a Sidone. Anche nelle zone a maggioranza drusa del sud del Paese, la visita del Pontefice sarebbe stata accolta come un momento di speranza. “Qualcosa di cui abbiamo disperatamente bisogno”, dice Dany Emasha, membro della municipalità della cittadina drusa di Hasbaya e volontario della Croce Rossa durante i mesi di bombardamenti, poi sfociati nella guerra di ampia scala che ha coinvolto tutto il Libano. Insieme al sostegno morale, oltre alle affiliazioni religiose, “avrebbe ribadito che il sud è una parte essenziale dell’identità libanese”, continua Labib al-Hamra, sindaco di Hasbaya e presidente dell’unione delle municipalità del distretto. “Il sud non è una regione marginale, è pieno di vita e di persone che hanno vissuto esperienze dure, guerre, bombardamenti, sfollamenti e che nonostante tutto continuano a sperare” conclude Farhat. Se il papa non ha visitato il sud, in molti dal sud si sono infatti spostati a Beirut anche solo per attendere il passaggio della sua auto. L'articolo Papa Leone in Libano, la popolazione delusa dalla decisione di non visitare il Sud in guerra: “Sarebbe stato un segnale di vicinanza” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Donne diacono? Non sia mai: il Vaticano di Papa Leone XIV boccia duramente la proposta nata con Bergoglio
Il Vaticano boccia duramente le diaconesse. Leone XIV ha fatto pubblicare la sintesi del lavoro svolto dalla seconda Commissione di studio sul diaconato femminile voluta da Papa Francesco e presieduta dal cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo emerito di L’Aquila. “Allo stato attuale della ricerca storica e della nostra conoscenza delle testimonianze bibliche e patristiche – scrive la commissione – si può ragionevolmente affermare che il diaconato femminile, sviluppatosi in maniera diseguale nelle diverse parti della Chiesa, non è stato inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile e non sembra avere rivestito un carattere sacramentale”. Petrocchi ricorda che “Papa Francesco ha avocato a sé la questione del possibile accesso delle donne al diaconato”. Proposta che è tornata più volte durante il pontificato di Bergoglio, ma senza alcuna prospettiva concreta. Leone XIV, invece, è stato ancora più esplicito su questo aspetto, chiudendo subito definitivamente la porta a qualsiasi possibilità di ordinare donne diacono. Petrocchi sottolinea che già la prima Commissione di studio sul diaconato femminile, voluta sempre da Bergoglio, affermava che “la Chiesa ha riconosciuto in diversi tempi, in diversi luoghi e in varie forme il titolo di diacono/diaconessa riferito alle donne attribuendo però ad esso un significato non univoco”. “Tale affermazione – aggiunge il porporato – si colloca in linea con un’altra proposizione formulata dalla Commissione teologica internazionale: ‘Sembra evidente che tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile’”. “Sappiamo, tuttavia, – precisa ancora Petrocchi – che la prospettiva puramente storica non consente di giungere ad alcuna certezza definitiva. In ultima analisi, la questione deve essere decisa sul piano dottrinale. Pertanto, le problematiche relative all’ordinazione diaconale di donne rimangono aperte ad ulteriori approfondimenti teologici e pastorali, tenendo fermo il principio della ‘communio hierarchica’ che assegna la decisione conclusiva su queste tematiche al magistero della Chiesa, come risposta autorevole a domande presenti in alcuni settori del popolo di Dio”. La commissione ha discusso anche sulla possibilità di istituire eventuali nuovi ministeri che potrebbero “contribuire alla sinergia tra uomini e donne. La loro attuazione richiederebbe lo sviluppo di mezzi appropriati di formazione (teologica, pratica, mistagogica) e di sostegno”. La commissione, inoltre, sottolinea che “lo status quaestionis intorno alla ricerca storica e all’indagine teologica, considerati nelle loro mutue implicazioni, esclude la possibilità di procedere nella direzione dell’ammissione delle donne al diaconato inteso come grado del sacramento dell’ordine. Alla luce della Sacra Scrittura, della tradizione e del magistero ecclesiastico, questa valutazione è forte, sebbene essa non permetta ad oggi di formulare un giudizio definitivo, come nel caso dell’ordinazione sacerdotale”. Petrocchi precisa anche che “molte petizioni non si limitano a chiedere l’ammissione delle donne al sacramento del diaconato, ma sostengono che pure gli altri gradi dell’ordine sacro (presbiterato ed episcopato) debbano essere resi accessibili alle donne. L’argomentazione che poggia sulla mascolinità di Gesù Cristo è vista come una visione sessista e ristretta, che porta alla discriminazione delle donne. Secondo tali visuali la repraesentatio Christi dovrebbe non più essere legata a categorie di genere, ma mettere al centro la mediazione ministeriale della salvezza attraverso uomini e donne. In questa prospettiva, poiché l’ordinazione al diaconato non è ad sacerdotium, ma ad ministerium, l’esclusione delle donne non sembrerebbe giustificata, poiché anche le donne sono in grado di rappresentare Cristo come diakonos. Nella documentazione arrivata, letta con attenzione, molte donne hanno descritto il loro lavoro per la Chiesa, spesso vissuto con grande dedizione, come se fosse un criterio sufficiente per l’ordinazione al diaconato. Altre hanno parlato di una forte ‘sensazione’ di essere state chiamate, come se fosse la prova necessaria per garantire alla Chiesa la validità della loro vocazione ed esigere che questa convinzione sia accolta. Molte svolgevano già funzioni di tipo diaconale, soprattutto in comunità prive di sacerdote, e ritenevano di essere ‘meritevoli’ di ricevere l’ordinazione, avendone, in qualche modo, acquisito il diritto. Altre parlavano semplicemente di volere l’ordinazione come segno di visibilità, autorevolezza, rispetto, sostegno e soprattutto uguaglianza. In una linea di pensiero molto diversa, nello sviluppo della terza sessione, è stata avanzata la seguente tesi: ‘La mascolinità di Cristo, e quindi la mascolinità di coloro che ricevono l’ordine, non è accidentale, ma è parte integrante dell’identità sacramentale, preservando l’ordine divino della salvezza in Cristo. Alterare questa realtà non sarebbe un semplice aggiustamento del ministero ma una rottura del significato nuziale della salvezza’”. Petrocchi, infine, scrive che “ci è stato riferito che nel documento finale del Sinodo la proposizione 60 sullo studio della possibilità del diaconato femminile è quella che ha ottenuto il maggior numero di voti contrari (97 no)”. Non si comprende allora come questa proposta sia riemersa recentemente nel documento finale della terza assemblea sinodale della Conferenza episcopale italiana. La Cei, infatti, non ha alcun potere in merito. Ogni decisione di questo tipo spetta unicamente al Papa. Eppure, con 625 voti favorevoli e 188 contrari, è stata approvata la proposta maggiormente contestata dell’intero documento, ovvero “che la Cei sostenga e promuova progetti di ricerca di facoltà teologiche e associazioni teologiche per offrire un contributo all’approfondimento delle questioni relative al diaconato delle donne avviato dalla Santa Sede”. Duramente contestato, con 661 voti favorevoli e 156 contrari, anche il paragrafo che afferma “che la Cei, promuovendo una rete di diverse realtà nazionali, sostenga la creazione di un tavolo di studio permanente sulla presenza e l’apporto delle donne nella Chiesa, al fine di formulare proposte operative per incentivarne la corresponsabilità ecclesiale”. L'articolo Donne diacono? Non sia mai: il Vaticano di Papa Leone XIV boccia duramente la proposta nata con Bergoglio proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ucraina, il Papa: “Presenza dell’Europa importante per i negoziati, anche Santa sede può incoraggiare mediazione”
Nel conflitto in Ucraina “penso che il ruolo dell’Italia sia molto importante, culturalmente e storicamente per la capacità che ha l’Italia di essere intermediaria in mezzo ad un conflitto esistente tra diverse parti, anche quello tra Russia e Ucraina”. Così il Papa rispondendo ai giornalisti in volo, a bordo dell’aereo papale. “Io potrei suggerire che la Santa Sede possa incoraggiare questa mediazione e che si cerchi, e cerchiamo insieme – ha detto Leone XIV -, una soluzione che possa veramente confluire in una giusta pace, in questo caso in Ucraina”. “È evidente che da una parte il presidente degli Stati Uniti – ha proseguito il Pontefice – pensava di poter promuovere un piano di pace in un primo momento senza Europa”. Ma “la presenza dell’Europa è importante” nei negoziati di pace tra Ucraina, Russia e Stati Uniti “e la prima proposta è stata modificata anche per quello”. L'articolo Ucraina, il Papa: “Presenza dell’Europa importante per i negoziati, anche Santa sede può incoraggiare mediazione” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Ucraina, il Papa: “Piano Trump proposta concreta per la pace”. E sulla Palestina: “Israele non accetta soluzione due Stati”
“La Santa Sede già da diversi anni pubblicamente appoggia la soluzione dei due Stati. Sappiamo tutti che in questo momento Israele ancora non accetta questa soluzione, ma la vediamo come unica soluzione al conflitto che continuamente vivono” israeliani e palestinesi. Lo ha detto Papa Leone XIV parlando con i giornalisti a bordo del volo che lo ha portato da Istanbul a Beirut nell’ambito del suo viaggio in Turchia e Libano. “Noi siamo anche amici di Israele e cerchiamo con le due parti di essere una voce mediatrice che possa aiutare ad avvicinarci a una soluzione giusta per tutti”, ha aggiunto. Prevost afferma di aver “parlato di questo” con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che, dice, “è certamente d’accordo” sull’ipotesi dei due Stati: “La Turchia potrebbe giocare un ruolo importante in questo”, ha sottolineato. Leone ha anche elogiato la Turchia per aver favorito, “qualche mese fa”, i nuovi colloqui di Istanbul tra Ucraina e Russia: “Il presidente Erdoğan ha aiutato molto a convocare le due parti. Ancora non abbiamo visto purtroppo una soluzione, però ci sono oggi di nuovo proposte concrete per la pace”, ha aggiunto, in riferimento al piano di Trump. “Speriamo che Erdoğan, con i suoi rapporti con i presidenti di Russia, Ucraina e di Stati Uniti possa aiutare a promuovere il dialogo, il cessate il fuoco e risolvere questo conflitto, questa guerra in Ucraina. Certamente abbiamo parlato di tutte e due le situazioni“, ha detto, riferendosi al conflitto in Europa e a quello in Medio Oriente. L'articolo Ucraina, il Papa: “Piano Trump proposta concreta per la pace”. E sulla Palestina: “Israele non accetta soluzione due Stati” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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