Chiuse le urne in Cile e in Ecuador, ma la partita è aperta: la destra non
sfonda, al momento, e il vento di Donald Trump si ferma a Quito. Ma andiamo con
ordine: la sinistra cilena, guidata dalla comunista Jeannette Jara, ottiene il
26% dei voti e promette di rafforzare le istituzioni, però scende a patti con il
discorso securitario per resistere all’avanzata dell’ultraliberista José Antonio
Kast, fermo al 24%, e delle destre in generale, che si prendono il Congresso (90
seggi a 64), in attesa del ballottaggio.
Nelle stesse ore l’Ecuador infligge un duro colpo al presidente Daniel Noboa, là
dove oltre il 60% degli elettori ha “no” al ritorno delle basi militari Usa nel
Paese e all’apertura di una Costituente e il 53% si è detto contrario alla
diminuzione dei parlamentari. Ancora una volta la realtà smentisce previsioni,
bookmakers e sondaggi, là dove le stime Polymarket davano a Kast una probabilità
di vittoria del 73%, ora in parte ridimensionata, e i sondaggi anticipavano un
“Sì” del 60% alle basi militari Usa in Ecuador e alla Costituente di Noboa.
Il contesto. In Cile e in Ecuador il dibattito elettorale era stato
monopolizzato dalla crescente crisi di sicurezza, provocata dall’avvento della
criminalità transnazionale e dalla questione migratoria, che ha senz’altro
rafforzati sentimenti di paura e xenofobia nell’elettorato generale. E in
entrambi i casi gli Stati Uniti si sono posti come partner militare per arginare
i delinquenti e punto di riferimento ideologico in chiave anti-migratoria,
complice lo spauracchio della gang venezuelana “Tren de Aragua“, che ha spesso
lasciato la firma a Santiago del Cile e a Quito.
Gli Usa in campagna elettorale. Le ingerenze di Washington non sono mancate, con
il segretario del Tesoro Usa Scott Bessent che ha commentato gli appuntamenti
elettorali come “un’opportunità storica per creare alleanze in America Latina”
sulla falsariga delle mid-term argentine e del trionfo di Rodrigo Paz in
Bolivia, auspicando gli stessi risultati in Cile. A sua volta il sottosegretario
di Stato Christopher Landau ha sostenuto che, sotto il governo di Gabriel Boric,
le relazioni tra Washington e Santiago del Cile non sono state “solide”,
accusando il presidente uscente di “mentire” per le sue critiche a Trump.
A sua volta, poche ore prima del referendum in Ecuador il segretario di Stato
Marco Rubio non ha esitato a esprimere il suo sostegno a Noboa, elogiando la sua
lotta contro il “narcoterrorismo” e assicurando il sostegno della Casa Bianca.
Rubio ha visitato il Paese a inizio settembre, rafforzando la cooperazione
Washington-Quito, mentre il controverso imprenditore Erik Prince riscuote 30mila
dollari al giorno per le sue consulenze agli organi di Pubblica sicurezza. “È
uno spreco innecessario di risorse pubbliche”, aveva avvertito l’ex generale
ecuadoregno Luis Altamirano. Ma l’apice dell’espansionismo Usa si è verificato
una settimana fa con la visita di Kristi Noem, segretario per la Sicurezza
nazionale, che ha effettuato un sopralluogo a cavallo nelle vecchie basi
militari di Manta e Salinas. “Da qui l’Ecuador porrà fine al narcotraffico”,
aveva tuonato Noem, pochi giorni prima del referendum.
Freno a mano. La presa di Santiago e Quito è quindi rimandata con gli Stati
Uniti costretti a ridimensionare l’obiettivo, puntando al massimo sulla vittoria
di Kast in Cile, in ottica di un governo ideologicamente affine. Certamente, gli
elettori vorrebbero più sicurezza, ma si guardano bene dalla svendita dei
rispettivi Stati. La loro diffidenza si deve in parte a quanto accade nei
Caraibi, al largo del Venezuela, con l’operazione Southern Spear pronta
all’avvio con tanto di offerte di esilio a Nicolás Maduro e ipotesi di
intervento. “Più si forza la mano più si risvegliano sentimenti antiamericani
nella regione. E l’opinione pubblica preferisce stare alla larga da certe
dinamiche, che mettono a rischio il continente”, dice una fonte al
fattoquotidiano.it. Altro fattore incisivo riguarda l’impatto della Cina su
entrambi i Paesi: l’Ecuador deve a Pechino quasi 5 miliardi di dollari, che
Quito sta pagando in greggio. Xi Jinping è anche il primo socio commerciale del
Cile, con uno scambio bilaterale che ha recentemente superato i 50 miliardi di
dollari, soprattutto in materie prime come rame e litio. In termini reali, al di
là di quello che sarà risultato del ballottaggio in Cile, il pieno allineamento
con Washington resta un’illusione assai lontana.
Questioni aperte. Tuttavia i nodi sicurezza e migrazione restano aperti in
entrambi i Paesi. In Ecuador il tasso di omicidi è passato da 25,6 a 43,7 ogni
100mila abitanti negli ultimi due anni, i sequestri di persona sono aumentati
del 60% nello stesso periodo. Elementi che hanno rafforzato la percezione di una
“guerra interna“, spingendo il governo Noboa a “un presidenzialismo esacerbato”,
afferma Hernán Salgado Pesantes, ex magistrato della Corte interamericana per i
Diritti umani. Anche in Cile aumenta il tasso di omicidi del 5% negli ultimi due
anni e il focus del dibattito resta sulle migrazioni, poiché la popolazione
migrante ha raggiunto l’8,8% della popolazione, rafforzando la proposta di
“espulsioni di massa” lanciata da Kast.
L'articolo Gli Usa non sfondano in Sudamerica: il Cile va al ballottaggio e
l’Ecuador dice “no” alle basi militari di Washington proviene da Il Fatto
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