Tag - Allevamenti Intensivi

C’è uno spot anti-caccia che scatena le polemiche: “Chi lo promuove fa business con allevamenti intensivi e petfood”
“Niente giustifica la caccia”. Si intitola così la campagna di comunicazione che Fondazione Capellino ha avviato da qualche settimana – corredata da una petizione – per chiedere che venga fermata la riforma della legge sulla tutela della fauna selvatica e sul prelievo venatorio (157/92) voluta dal ministro Francesco Lollobrigida e dal centrodestra unito. E dunque spot (al momento sono due, apparsi sulle reti nazionali), ma anche sondaggi, dibattiti pubblici e – non ultimo – attività di lobbying, dichiarata, nei confronti dei parlamentari italiani. Insomma, come si vede, un’ampia strategia, che si pone in antitesi con ciò che, dall’altra parte della “barricata”, fa da anni e con successo Fondazione Una, il think tank dei cacciatori. Fin qui tutto legittimo. E, nei contenuti, meritorio, dal momento che come scritto da ilFattoQuotidiano.it il ddl Malan (e gli emendamenti del centrodestra) liberalizza la caccia, costituendo un pericolo per la fauna selvatica, la biodiversità e l’incolumità delle persone. Il problema è che le associazioni venatorie – e Fondazione Una stessa – hanno puntato il dito contro il business su cui si basa Fondazione Capellino. Fondazione Capellino è proprietaria al 100% di Almo Nature, famosa azienda che si occupa di petfood. L’accusa, dunque, riguarda il cortocircuito etico: “Attaccano l’attività venatoria ma poi macellano gli animali“. Da quanto appreso da ilFatto.it, e confermato dalla Fondazione stessa, la filiera della produzione di carne per cani e gatti di cui si serve Almo Nature è la medesima di altre grandi aziende dello stesso settore. Si tratta, in buona sostanza, di allevamenti intensivi – come spiegato dalla stessa Fondazione – di cui è difficile conoscere il livello di benessere degli animali. “Con una precisazione – fa sapere l’azienda – Almo Nature si affida alla filiera della carne destinata all’uomo, dunque non aumenta il numero di animali uccisi per il petfood“. Di quali animali parliamo? Polli, maiali, manzi, tacchini, tonni e, seppur in misura minore (5% del totale), cinghiali. Questi ultimi provenienti, secondo Federcaccia, da “scarti di attività venatoria”. Con, complessivamente, il 56% della carne che arriva da Paesi extra-Ue. Da qualche settimana tra la principale associazione venatoria italiana, supportata da Fondazione Una, e Fondazione Capellino è in corso una battaglia di dossier e contro-dossier. In pratica, vicendevoli accuse. I cacciatori chiedono, per esempio, quanti animali uccisi vengano utilizzati da Almo Nature ogni anno o “quali sono gli standard sanitari riconosciuti per petfood di provenienza extra-Ue, come la Thailandia?”. Il presidente Pier Giovanni Capellino ha risposto in parte alle critiche, sottolineando che la campagna contro la caccia non ha l’obiettivo “di fare soldi” o marketing, dal momento che, per statuto, la Fondazione ha deciso di reinvestire i proventi di Almo Nature – al netto di stipendi e costi vari – in progetti di tutela della biodiversità (per esempio, il progetto Yellowstone to Yukon o quello di Villa Fortuna) e “in favore di dipendenti e lavoratori lungo tutta la nostra filiera”. Nel 2018, in un’intervista, Capellino aveva dichiarato che mettendo in piedi la Fondazione avrebbe creato “uno strumento economico a disposizione degli animali, della biodiversità e di coloro che condividono l’idea che sia necessario un nuovo patto degli umani con tutte le altre vite”. Ma per i detrattori non è sufficiente: “È paradossale che un’azienda che produce alimenti che si basano sull’utilizzo intensivo e industriale di proteine animali fomenti i consumatori contro la caccia quando, in casa propria, fa business sugli animali”. Qui la riposta dell’azienda data a ilFatto.it: “Migliorare il sistema dall’interno è una strada possibile, soprattutto se si riesce ad essere etici e sostenibili e il modello della Reintegration Economy punta a questo. Ci sono altre strade possibili? Se ci fossero e se venissero proposte si valuterebbero certamente”. E ancora: “Il rischio di scelte più estreme può portare a fallire a lungo termine perché l’offerta al pubblico lieviterebbe e il petfood costerebbe 4-5 volte tanto. Meglio migliorare operando dall’interno, accettando in parte la contraddizione ma impegnandosi per fare la differenza”. E poiché Fondazione Capellino promette di lanciare altre battaglie, qui siamo soltanto alla prima puntata. Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it Instagram L'articolo C’è uno spot anti-caccia che scatena le polemiche: “Chi lo promuove fa business con allevamenti intensivi e petfood” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Ambiente
Allevamenti Intensivi
Caccia
Strisce bianche sui polli: il caso del white striping approda in Parlamento
Il caso white striping arriva in Parlamento e deputati e senatori chiedono risposte sulla realtà della produzione di carne di pollo in Italia. Si tratta di una patologia muscolare legata alla rapida crescita dei polli e che si presenta sotto forma di strisce bianche, costituite da grasso e tessuto cicatriziale. Dopo la pubblicazione dei risultati dell’indagine condotta da Essere Animali su 619 confezioni a marchio Conad, Coop ed Esselunga e acquistate in 48 supermercati italiani sono state presentate due interrogazioni parlamentari al Senato e alla Camera dei Deputati, dirette al ministero della Salute e al ministero dell’Agricoltura, a firma dei deputati del Partito democratico, Eleonora Evi, Ilenia Malavasi e Gian Antonio Girelli e della senatrice Dolores Bevilacqua del Movimento 5 Stelle. Al centro delle interrogazioni il sistema di allevamento, che solleva preoccupazioni riguardanti la salute pubblica, la qualità della carne venduta nei supermercati e il benessere degli animali allevati. L’INCHIESTA DI ESSERE ANIMALI E LA RISPOSTA DI COOP Durante le sue osservazioni, Essere Animali aveva riscontrati segni evidenti di white striping sul 90 per cento dei polli presi in esame. L’indagine faceva seguito a quella condotta, tra dicembre 2023 e gennaio 2024, su su oltre 600 campioni di petto di pollo da allevamento convenzionale a marchio Lidl venduti nei punti vendita di 11 città italiane, da Bari a Torino. Secondo Coop, il white striping non comporta “rischi di sicurezza del prodotto, come dimostrato da autorevoli studi scientifici”. E, relativamente al caso segnalato, l’aziende ha dichiarato a ilfattoquotidiano.it che “i controlli sistematici, effettuati con metodologie che prevedono l’apertura delle confezioni e la verifica di tutti i tagli presenti all’interno, non confermano le percentuali riportate”. Secondo quanto riferito da Coop, nel 2024 (ultimo dato annuale), sono state analizzate da personale esperto oltre 1500 confezioni rilevando la presenza del fenomeno ad una percentuale inferiore al 5%. PD E M5S CHIEDONO DI SOTTOSCRIVERE L’ECC Nel documento presentato dalla senatrice Bevilacqua sull’inchiesta e sulla presenza di white striping, si ribadisce che, per ridurre drasticamente le criticità legate alla miopatia che colpisce i petti di pollo “a causa della selezione genetica estrema dei polli a crescita rapida” e che “intacca la qualità della carne”, è necessario adottare anche in Italia standard migliori per i polli da carne (Ecc, ovvero l’European chicken commitment). “Ho presentato un’interrogazione con la quale chiedo al Governo di intervenire con decisione – ha dichiarato – sostenendo una transizione verso filiere più responsabili e trasparenti”. Il testo presentato dai deputati del Partito democratico ricorda come “in Europa più di 380 aziende hanno sottoscritto l’Ecc, mentre solo un numero ridotto di gruppi italiani che vi hanno aderito”. E lo conferma Simone Montuschi, presidente di Essere Animali: “Purtroppo, ancora oggi, aziende come Coop non hanno preso impegni sufficienti per garantire quelle minime condizioni di benessere che consentirebbero di affrontare il fenomeno del white striping”. Il fenomeno, infatti, è direttamente connesso alla genetica spinta con la quale sono stati “prodotti” i cosiddetti polli broiler, le razze a crescita rapida che rappresentano oltre il 95% dei polli negli allevamenti intensivi. PIÙ CONSAPEVOLEZZA NEI CITTADINI EUROPEI Questa selezione comporta per i polli enormi sofferenze, una crescita spropositata che si ripercuote su articolazioni e organi interni, mentre la carne viene colpita a livello qualitativo proprio dall’aumento della presenza di grassi. In Italia sono oltre 550 milioni i polli macellati ogni anno. Scondo i dati dell’ultimo Eurobarometro 2025, promosso dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) in Unione Europea, circa 7 cittadini su 10 dichiarano di essere interessati alla sicurezza alimentare. Per quanto riguarda la carne, è aumentata la consapevolezza riguardo alle malattie animali (il 65% degli europei), mentre il 36% dei consumatori si dice preoccupato per la presenza di residui di antibiotici, ormoni e steroidi. Gli italiani sono i più attenti alla sicurezza del cibo, ma allo stesso tempo i meno informati rispetto alla media europea. L'articolo Strisce bianche sui polli: il caso del white striping approda in Parlamento proviene da Il Fatto Quotidiano.
Ambiente
Allevamenti Intensivi
Alimentazione
Ministero della Salute
Aviaria, aumentano i focolai al Nord. Aziende agricole sequestrate e smaltimento di uova nel Varesotto, abbattimenti nell’Alto Mantovano
Nel Nord Italia i focolai di influenza aviaria, del tipo H5N1, continuano ad aumentare. Dopo i casi nelle province di Forlì, Alessandria, Udine e Verona e quelli in Lombardia dove, a fine ottobre, in pochi giorni sono stati individuati tre focolai, nel Cremonese, nel Lodigiano (a Zelo Buon Persico) e nel Bresciano e dove si erano dovuti abbattere tacchini e fagiani, c’è molta apprensione in queste ore nelle province di Varese e Mantova. Sono risultati positivi al virus i tamponi, analizzati dall’Istituto zooprofilattico sperimentale di Brescia, provenienti da un allevamento di galline ovaiole, non distante da Busto Arsizio dove, come prevede la legge, è stato avviato lo smaltimento di uova, mangimi e animali morti. A Olgiate Olona, sempre nel Varesotto, un’azienda agricola è stata sequestrata su ordine del dipartimento veterinario di Ats Insubria e messa in quarantena. Nel frattempo, nel Bergamasco, il virus è stato trovato in uccelli selvatici abbattuti a Fontanella, tanto che l’Ats di Bergamo ha chiesto a tutti gli allevamenti all’aperto di tenere pollame e volatili al chiuso, per evitare contatti con l’avifauna selvatica. E dato che a Bologna, all’inizio dell’anno, sono stati individuati due casi di influenza aviaria nei gatti, proprio di recente, il servizio di Anatomia patologica del Dipartimento di Scienze mediche veterinarie dell’Università di Bologna ha avviato un un progetto di monitoraggio. BUSTO ARSIZIO, CONTROLLI COSTANTI IN 44 ALLEVAMENTI Dopo il riscontro di una positività definita “ad alta patogenicità” nell’allevamento di pollame nei pressi di Busto Arsizio, sono scattate misure stringenti per le aziende avicole nel raggio di tre chilometri ed è stata disposta una zona di sorveglianza che si allarga per dieci chilometri e arriva fino al Comasco, ma coinvolge quasi 40 Comuni. L’Ats ha individuato 44 allevamenti di varie dimensioni da sottoporre a controlli costanti e, nell’ordinanza firmata dalla direzione del settore Sanità animale, prevede 30 giorni di sorveglianza durante i quali, anche nei pollai privati, sarà necessario segnalare ogni possibile anomalia o sintomo riconducibile all’aviaria. L’origine del focolaio, al momento l’unico nell’area, non sarebbe legata ad animali selvatici, ma al contatto con un’altra struttura nella quale è stata riscontrata l’infezione, fuori dal Varesotto. Quindi legata a un altro focolaio. A OLGIATE OLONA (VARESE), SANIFICAZIONE E DISINFESTAZIONE Sempre nei giorni scorsi, il dipartimento veterinario di ATS Insubria ha dovuto mettere in quarantena, per un periodo di 21 giorni – anche un allevamento di Olgiate Olona, dove sono state condotte misure di sanificazione e disinfestazione previste dai protocolli. Il contagio è stato confermato dall’Istituto zooprofilattico sperimentale di Brescia e non sarebbe stato causato direttamente da animali selvatici. Anche in questo caso, sono scattate le restrizioni previste dai protocolli: zona di osservazione per le attività nel raggio di tre chilometri dall’allevamento in cui è stato rilevato il virus e zona di sorveglianza nel raggio di dieci chilometri dall’allevamento in questione. FOCOLAIO DELL’ALTO MANTOVANO: ABBATTUTI 20MILA TACCHINI IN DUE DITTE Si stanno invece concludendo le operazioni di abbattimento di 9mila tacchini, dopo quelle che hanno riguardato altri 11mila capi in seguito all’individuazione di un focolaio di influenza aviaria in un allevamento di pollame di Guidizzolo, nel Mantovano di pollame, anche in questo caso ad alta patogenicità, del sottotipo H5n1. In questo caso, infatti, non si è proceduto solo all’abbattimento degli animali nell’allevamento interessato, ma anche al de-popolamento di quello vicino. GLI ALTRI CASI IN LOMBARDIA E NEL NORD ITALIA Ma è da ottobre che i casi continuano ad aumentare. Il primo segnale era arrivato da Casale Cremasco-Vidolasco il 27 ottobre. Nell’attesa dei risultati delle analisi, poi, il virus è stato individuato nel Bresciano, in un allevamento di tacchini di Seniga, al confine con la provincia di Cremona. Qui è stato inevitabile l’abbattimento di 34mila tacchini. Nel frattempo, è arrivata a sentenza di morte anche per tutti i 60mila capi presenti nel capannone di Casale Cremasco. Il focolaio ha portato all’istituzione di una zona di protezione di 3 chilometri intorno all’allevamento e di una zona di sorveglianza che coinvolge 18 comuni della Bassa Bergamasca. Ma sono più di trenta, tra Bassa Bergamasca, Val Calepio e Hinterland, le zone di protezione e sorveglianza rafforzate. Poi è stata la volta di Lodi, con un altro focolaio individuati in un allevamento di fagiani di Zelo Buon Persico. Negli stessi giorni, in un allevamento della pianura forlivese, al confine con il territorio Ravenna, si procedeva all’abbattimento di 150 polli da carne. Risale a circa un mese fa, invece, la conferma della presenza di un focolaio in uno dei due capannoni di un allevamento di galline di Occimiano, in provincia di Alessandria. Trentacinquemila tra galli e galline per la riproduzione erano presenti nell’allevamento e sono stati tutti abbattuti, anche – preventivamente – i diciassettemila presenti nel capannone dove il virus non è stato riscontrato. Gli altri casi, sempre un mese fa, nell’Udinese (in un allevamento di polli boiler di Povoletto) e nel Veronese, a Oppeano, dove il virus ha colpito un allevamento di tacchini. L'articolo Aviaria, aumentano i focolai al Nord. Aziende agricole sequestrate e smaltimento di uova nel Varesotto, abbattimenti nell’Alto Mantovano proviene da Il Fatto Quotidiano.
Ambiente
Salute
Aviaria
Allevamenti Intensivi