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Incidente di caccia in provincia di Lucca: 50enne ferito all’addome
Colpito durante una battuta di caccia e salvato dall’elisoccorso. Intorno alle 10.30 di domenica, un cacciatore cinquantenne è rimasto gravemente ferito all’addome da un colpo di arma da fuoco. Il fatto è avvenuto nella zona di Croce di Brancoli, in provincia di Lucca. La polizia sta cercando di far luce sulla dinamica dell’incidente. Dopo l’incidente sono intervenuti il 118, i vigili del fuoco e il soccorso alpino. Sul posto sono giunti anche carabinieri e polizia. Vista la natura impervia della zona, è stato necessario l’impiego dell’elisoccorso. Le operazioni di soccorso sono state lunghe e complesse ed è stato impiegato il dispositivo del verricello per far scendere il personale dall’elicottero. Il cinquantenne è stato trasportato all’ospedale Cinisello di Pisa in codice rosso. I poliziotti hanno avviato gli accertamenti per ricostruire con precisione la dinamica dell’accaduto. FOTO DI ARCHIVIO L'articolo Incidente di caccia in provincia di Lucca: 50enne ferito all’addome proviene da Il Fatto Quotidiano.
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C’è uno spot anti-caccia che scatena le polemiche: “Chi lo promuove fa business con allevamenti intensivi e petfood”
“Niente giustifica la caccia”. Si intitola così la campagna di comunicazione che Fondazione Capellino ha avviato da qualche settimana – corredata da una petizione – per chiedere che venga fermata la riforma della legge sulla tutela della fauna selvatica e sul prelievo venatorio (157/92) voluta dal ministro Francesco Lollobrigida e dal centrodestra unito. E dunque spot (al momento sono due, apparsi sulle reti nazionali), ma anche sondaggi, dibattiti pubblici e – non ultimo – attività di lobbying, dichiarata, nei confronti dei parlamentari italiani. Insomma, come si vede, un’ampia strategia, che si pone in antitesi con ciò che, dall’altra parte della “barricata”, fa da anni e con successo Fondazione Una, il think tank dei cacciatori. Fin qui tutto legittimo. E, nei contenuti, meritorio, dal momento che come scritto da ilFattoQuotidiano.it il ddl Malan (e gli emendamenti del centrodestra) liberalizza la caccia, costituendo un pericolo per la fauna selvatica, la biodiversità e l’incolumità delle persone. Il problema è che le associazioni venatorie – e Fondazione Una stessa – hanno puntato il dito contro il business su cui si basa Fondazione Capellino. Fondazione Capellino è proprietaria al 100% di Almo Nature, famosa azienda che si occupa di petfood. L’accusa, dunque, riguarda il cortocircuito etico: “Attaccano l’attività venatoria ma poi macellano gli animali“. Da quanto appreso da ilFatto.it, e confermato dalla Fondazione stessa, la filiera della produzione di carne per cani e gatti di cui si serve Almo Nature è la medesima di altre grandi aziende dello stesso settore. Si tratta, in buona sostanza, di allevamenti intensivi – come spiegato dalla stessa Fondazione – di cui è difficile conoscere il livello di benessere degli animali. “Con una precisazione – fa sapere l’azienda – Almo Nature si affida alla filiera della carne destinata all’uomo, dunque non aumenta il numero di animali uccisi per il petfood“. Di quali animali parliamo? Polli, maiali, manzi, tacchini, tonni e, seppur in misura minore (5% del totale), cinghiali. Questi ultimi provenienti, secondo Federcaccia, da “scarti di attività venatoria”. Con, complessivamente, il 56% della carne che arriva da Paesi extra-Ue. Da qualche settimana tra la principale associazione venatoria italiana, supportata da Fondazione Una, e Fondazione Capellino è in corso una battaglia di dossier e contro-dossier. In pratica, vicendevoli accuse. I cacciatori chiedono, per esempio, quanti animali uccisi vengano utilizzati da Almo Nature ogni anno o “quali sono gli standard sanitari riconosciuti per petfood di provenienza extra-Ue, come la Thailandia?”. Il presidente Pier Giovanni Capellino ha risposto in parte alle critiche, sottolineando che la campagna contro la caccia non ha l’obiettivo “di fare soldi” o marketing, dal momento che, per statuto, la Fondazione ha deciso di reinvestire i proventi di Almo Nature – al netto di stipendi e costi vari – in progetti di tutela della biodiversità (per esempio, il progetto Yellowstone to Yukon o quello di Villa Fortuna) e “in favore di dipendenti e lavoratori lungo tutta la nostra filiera”. Nel 2018, in un’intervista, Capellino aveva dichiarato che mettendo in piedi la Fondazione avrebbe creato “uno strumento economico a disposizione degli animali, della biodiversità e di coloro che condividono l’idea che sia necessario un nuovo patto degli umani con tutte le altre vite”. Ma per i detrattori non è sufficiente: “È paradossale che un’azienda che produce alimenti che si basano sull’utilizzo intensivo e industriale di proteine animali fomenti i consumatori contro la caccia quando, in casa propria, fa business sugli animali”. Qui la riposta dell’azienda data a ilFatto.it: “Migliorare il sistema dall’interno è una strada possibile, soprattutto se si riesce ad essere etici e sostenibili e il modello della Reintegration Economy punta a questo. Ci sono altre strade possibili? Se ci fossero e se venissero proposte si valuterebbero certamente”. E ancora: “Il rischio di scelte più estreme può portare a fallire a lungo termine perché l’offerta al pubblico lieviterebbe e il petfood costerebbe 4-5 volte tanto. Meglio migliorare operando dall’interno, accettando in parte la contraddizione ma impegnandosi per fare la differenza”. E poiché Fondazione Capellino promette di lanciare altre battaglie, qui siamo soltanto alla prima puntata. Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it Instagram L'articolo C’è uno spot anti-caccia che scatena le polemiche: “Chi lo promuove fa business con allevamenti intensivi e petfood” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Le città di Roma e Bologna chiedono di fermare il ddl caccia di Lollobrigida: “Rischio per l’incolumità pubblica”
Si moltiplicano da Nord a Sud le prese di posizione istituzionali contro il disegno di legge (a prima firma Lucio Malan) che intende stravolgere la 157/92, liberalizzando l’attività venatoria e riducendo le tutele della fauna selvatica (e dei cittadini). Mentre il provvedimento giace in commissione al Senato – è lì dovrebbe stare almeno fino a gennaio – prima il Comune di Roma e poi quello di Bologna hanno approvato due diversi atti – una mozione, nel primo caso, e un ordine del giorno nel secondo – per chiedere che il ddl voluto da Francesco Lollobrigida venga fermato. Nella Capitale l’iniziativa è stata presa dal consigliere Rocco Ferraro (lista civica Gualtieri sindaco) e la mozione è stata approvata coi voti del Pd, Alleanza Verdi-Sinistra, Movimento 5 stelle e con quello della consigliera di Forza Italia, Rachele Mussolini. “La norma va in sfregio a qualunque logica ed etica per quanto riguarda il rispetto degli animali, oltre al fatto che presenta un rischio per l’incolumità pubblica” ha detto Ferrero, puntando sul pericolo per “turisti, escursionisti, ciclisti e cittadini” che frequentano boschi, campagne, aree demaniali e – se venissero approvati alcuni emendamenti proposti da Lega e Fratelli d’Italia, come denunciato da ilFattoQuotidiano.it – spiagge. Nel capoluogo emiliano è stata invece la consigliera dem Mary De Martino a presentare l’ordine del giorno contro il ddl Malan, poi approvato. “Raccogliamo con grande entusiasmo questa espressione di una volontà che accomuna la stragrande maggioranza di cittadini italiani, da sempre contrari alla caccia – dichiara Massimo Vitturi, responsabile Area Animali Selvatici della Lav– La netta posizione di contrarietà ribadisce ancora una volta e con ancora più forza quanto emerso dai recenti sondaggi che confermano che quasi l’80% degli italiani vorrebbe che la caccia fosse dichiarata finalmente illegale”. Lav che, insieme ad altre associazioni animaliste, ha presentato in Parlamento una legge di iniziativa popolare per chiedere l’abolizione della caccia; mentre il Wwf ha promosso una petizione, che ha superato le 100mila firme, proprio per fermare il disegno di legge voluto dal ministro dell’Agricoltura. Oltre a Roma e Bologna, in questi mesi altri Comuni hanno fatto sentire la propria voce, come nel caso di Avigliano, in provincia di Torino. Il sindaco Andrea Archinà, intervistato dalla Lav, ha spiegato che “il nostro territorio è ad alta attrazione turistica: i troviamo lungo il percorso della via Francigena, perciò abbiamo tantissimi camminatori, escursionisti e appassionati di outdoor, amanti della bicicletta. Se il ddl venisse approvato, il rischio di incidenti diventerebbe ancora più elevato. Abbiamo ricevuto molte segnalazioni da parte dei cittadini, soprattutto abitanti delle borgate e delle zone periferiche, che hanno mostrato preoccupazione per gli spari vicino casa a qualsiasi ora del giorno”. Per la cronaca, anche a Pescara c’è stato un tentativo, col consigliere Paolo Sola (M5s). L’assemblea a trazione centrodestra però ha bocciato l’ordine del giorno. Gli occhi, ora, sono puntati sulla legge di Bilancio. Col ddl fermo in Senato, infatti, c’è il timore che pezzi del provvedimento entrino nella manovra (e vengano approvati) come successo nel 2022 con il noto “emendamento Foti”, che aveva dato avvio alla caccia selvaggia in parchi e aree urbane. Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it Instagram L'articolo Le città di Roma e Bologna chiedono di fermare il ddl caccia di Lollobrigida: “Rischio per l’incolumità pubblica” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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