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La rivincita delle streghe: così la storia di immagini, simboli e pregiudizi ridà voce e dignità alle “eretiche del sapere”
Prima di essere temute, erano adorate. Prima dei roghi, erano fiaccole accese nei templi del mondo. Circe che trasforma, Medea che conosce, Ecate che guida nell’oscurità: i loro sussurri provenivano dalle caverne, dai pozzi sacri, giungevano in sogno per guidare le sorti di uomini, battaglie e interi popoli. Era il tempo in cui la Pizia di Delfi, le Sibille greco-romane, la Velleda germanica, la Völva norrena custodivano verità che agli uomini sempre saranno precluse. Con l’avvento della cristianità e delle istituzioni moderne, l’angelo stilnovista e la sposa biblica dei Cantici degradarono nella strega demoniaca: su di lei ricaddero le ansie collettive di una società repressa e instabile, ossessionata dal corpo, flagellata da epidemie, crisi economiche, guerre. E fu così che dal 1430 iniziò la “caccia alle streghe”. Dopo le tappe di Monza e Bologna, Stregherie. Iconografia, riti e simboli delle eretiche del sapere apre a Padova in veste completamente rinnovata e immersiva. Lo storico dell’arte e criminologo Andrea Pellegrino firma la nuova edizione del progetto che indaga le forme mutevoli della stregoneria popolare tra le pieghe dei secoli, nei suoi immaginari, nelle pratiche e nelle repressioni. Attraverso le immagini che hanno modellato – e distorto – la figura della strega, lo spettatore è invitato ad attraversare le ombre per liberarsi dai pregiudizi e dai luoghi comuni. Attingendo a piene mani dall’antropologia, dalla storia dell’arte e da quella sociale, il curatore prende le distanze dalle caricature fiabesche e dalle ossessioni inquisitorie per restituire complessità storica e simbolica a una figura demonizzata troppo a lungo. La mostra Stregherie si attraversa come un incantesimo: le nove sezioni sono le soglie da varcare per “rinascere” con una nuova consapevolezza critica, quella della conoscenza, dell’arte e della cultura, triade più potente di qualsiasi magia. Le opere, le litografie, gli oggetti magico-rituali, i libri di medicina popolare, testimoniano il bisogno ancestrale che l’uomo ha di attribuire senso all’incertezza, di dialogare con l’invisibile, di trovare negli elementi naturali gli alleati contro l’imprevedibilità dell’esistenza. ‹ › 1 / 20 1 Robert Shipster , Le streghe di Endor – 1797 , collezione Invernizzi ‹ › 2 / 20 2 John William Waterhouse , Il cerchio magico – XIX sec. , collezione Invernizzi ‹ › 3 / 20 3 Joseph Apoux , Le streghe – c.a. 1888 , collezione Invernizzi ‹ › 4 / 20 4 Joseph Apoux , Intimità - c.a. 1888 , Collezione Invernizzi ‹ › 5 / 20 5 Albrecht Durer , La magia – 1484, tiratura XIX sec. , collezione Invernizzi ‹ › 6 / 20 6 C. Neureuther , Hänsel und Grethel - 1876 , collezione Invernizzi ‹ › 7 / 20 7 Anonimo , 3 sculture demone esoterico legno e ferro – XVII/XVIII sec. , collezione Pezzini ‹ › 8 / 20 8 Dipinto olio su tela scena mostruosa con stregone, diavolo topi serpenti e mostri – 1928 , collezione Pezzini ‹ › 9 / 20 9 Anonimo , Mano per insegnare l’arte della chiromanzia – fine ‘800 , collezione Pezzini ‹ › 10 / 20 10 Francisco José de Goya y Lucientes , Devota Professione - 1881-1886 , collezione Invernizzi ‹ › 11 / 20 11 Léon Auguste Salles , (La strega) - seconda metà XIX sec. , collezione Invernizzi ‹ › 12 / 20 12 Lumb Stocks , Streghe e stregoni danzanti – seconda metà XIX sec. , collezione Invernizzi ‹ › 13 / 20 13 George-Achille Fould, Madame Satan, 1909, Collezione Luca Locati Luciani ‹ › 14 / 20 15 Léopold Desbrosses, Hille Bobbe, 1876, collezione Invernizzi   ‹ › 15 / 20 16 Paul Sulpice Guillaume Gavarni, Il filtro, 1839, collezione Invernizzi ‹ › 16 / 20 17 Elisa Seitzinger, Superego, arazzo ‹ › 17 / 20 18 Gran Etteilla, Jean Baptiste Alliette, ‘800 ‹ › 18 / 20 19 Nicolò Mulè, 20 Tavole della strega Gualina Stabiosa (Upui), percorso della madre eccelsa in caratteri tebani, Museo della Stregoneria Moderna ‹ › 19 / 20 20 Nicolò Mulè, 20 Tavole della strega Gualina Stabiosa (Upui), percorso della madre eccelsa in caratteri tebani, Museo della Stregoneria Moderna ‹ › 20 / 20 21 Jean Veber, Streghe moderne, circa 1910, collezione Invernizzi Le hanno inseguite e oltraggiate perché conoscevano le radici che curano e quelle che uccidono; il momento esatto in cui tagliare la mandragora, le fasi della luna, i mormorii delle foglie. Vedevano magia oscura dove c’era conoscenza che non condividevano perché non era scritta nelle loro Bibbie. Ed è per questo che le hanno bruciate: le hanno trascinate a processo come lussuriose, torturate come perverse, costrette a confessare il falso come incantatrici. Ma erano donne libere, sole per scelta o per disperazione, senza vergogna né marito. Come Lilith che non si inginocchia ad Adamo e abbandona l’Eden, come Salomè che danza per se stessa. Gli atti dei processi per stregoneria sono firmati con l’inchiostro nero della paura: non la paura delle accusate, quella degli accusatori. La strega a rovescio sul caprone di Dürer è muscolosa, nuda e libera mentre sfascia l’ideale rinascimentale di bellezza e sovverte l’ordine naturale e morale del mondo. Le streghe di Goya sono vecchie megere, sdentate e deformi, caricature che incarnano l’ignoranza della superstizione e l’abuso di potere della società spagnola in preda al fanatismo. Questo era il duplice volto del timore maschile nei confronti della donna: l’inutilità sociale della vecchiaia e la potenza seduttiva della giovinezza. La razionalità illuminata spense i roghi a fine Settecento ma la strega non scomparve, cambiò volto. Nel pieno del Positivismo scientifico, con il diffondersi dello spiritismo e delle pratiche medianiche in Europa e in America, tornò come la medium, la cartomante, la lettrice di sogni. I salotti si popolarono di affascinanti Sibille moderne, consigliere di famiglie aristocratiche e borghesi, capaci di svelare destini e segreti, di parlare con i morti, canalizzare energie, sfidare i confini tra il visibile e l’invisibile. Il corpo femminile era il tramite di fenomeni straordinari come levitazioni, scrittura automatica, apparizioni di ectoplasmi, suoni misteriosi, che un tempo sarebbero stati letti come segni di possessione diabolica, mentre nell’Ottocento vengono studiati come fenomeni scientifici. Il cerchio si chiude con il passaggio al secolo breve quando la donna è ormai consapevole di sé e del proprio potere – un sapere inscritto nella carne, nei cicli, nei desideri, non più corpo da redimere ma corpo che resiste contro la violenza patriarcale. Non sono riusciti a spegnerle e oggi sono ovunque, nelle piazze, nei libri, nei film, nei sogni delle bambine che non vogliono essere principesse. L’archetipo stregonesco in Salvador Dalí è proiezione dell’inconscio collettivo, e la strega incarna il potere del desiderio e l’irrazionale che abita la modernità. Ha abitato le soglie tra scienza e magia, oppressione e libertà, corpo e trascendenza. Specchio di paure e speranze, tessitrice di tabù, custode dei conflitti di genere e delle utopie della società, la strega si muove tra i secoli come un’ombra inquietante ma familiare. Dedicarle una mostra oggi è un atto di memoria ma soprattutto di immaginazione: un invito a inoltrarsi nel passato per scorgere le ombre – e le luci – del nostro presente. *** Info Stregherie | Iconografia, riti e simboli delle eretiche del sapere Dove | “Cattedrale” Ex Macello Quando | Fino al primo febbraio 2026 Orari | Merc-dom 10:30-19:30. Aperture straordinarie: 8 dicembre (stesso orario): dal 26 dicembre all’ 11 gennaio aperto tutti i giorni Biglietti | Intero 16 euro, ridotto 14, bambini 6 euro Contatti | email info@vertigosyndrome.it Web | stregherie.it Social | Fb @Stregherie.mostra – Ig @stregherie_mostra L'articolo La rivincita delle streghe: così la storia di immagini, simboli e pregiudizi ridà voce e dignità alle “eretiche del sapere” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Una sterzata all’arte italiana lunga vent’anni: il ritorno di Giovanni Segantini, il campione del divisionismo
A dieci anni dall’ultima mostra, torna in Italia un’esposizione che segue il percorso di Giovanni Segantini, artista nato in Trentino, formatosi a Milano, una vita spesa tra la Brianza e la Svizzera, uno dei massimi esponenti del Divisionismo. La grande antologica è allestita fino al 22 febbraio al Museo Civico di Bassano Del Grappa, in provincia di Vicenza, ed è curata da Niccolò D’Agati. Si tratta di un evento artistico di particolare suggestione, che racconta la corrente artistica i cui aderenti erano accomunati dalla tecnica pittorica che prevedeva l’accostamento di colori puri, stesi sulla tela in pennellate regolari, al fine di ottenere la massima luminosità delle tinte, la cui sintesi cromatica si attua nella rètina dell’osservatore. Da lontano quei dipinti sembrano quasi tridimensionali, ma se osservati da vicino rivelano tutta la loro difficoltà di esecuzione e, di conseguenza, la maestria di chi li aveva concepiti e realizzati. In soli 20 anni di attività artistica – nacque infatti nel 1858 e morì nel 1899, a 41 anni – tecnicamente Segantini impose una sterzata decisa all’arte italiana, percorrendo insieme ad altri artisti divisionisti – tra i quali spiccano Pellizza da Volpedo e Plinio Nomellini – un viatico che avrebbe rappresentato una sorta di “risposta italiana” all’Impressionismo francese. Tematicamente, invece, Segantini risulta tra i più sensibili osservatori del mondo naturale e impareggiabile cantore della montagna quale luogo fisico, e al tempo stesso simbolico, a tal punto che questa mostra rappresenta il giusto omaggio a un artista troppo spesso lontano dai riflettori puntati sull’arte italiana del XIX secolo. ‹ › 1 / 7 NAVIGLIO A PONTE SAN MARCO ‹ › 2 / 7 ALL'OVILE ‹ › 3 / 7 5_SEGANTINI_ULTIMO-AUTORITRATTO ‹ › 4 / 7 4_MILLET_PASTORELLA-CON-IL-SUO-GREGGE ‹ › 5 / 7 3_SEGANTINI_RITORNO-DAL-BOSCO ‹ › 6 / 7 2_SEGANTINI_SOLE-D_AUTUNNO ‹ › 7 / 7 1_SEGANTINI_AVE-MARIA-A-TRASBORDO Al piano terra e al primo piano del museo bassanese, il visitatore trova ad accoglierlo circa un centinaio di opere provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private italiane ed europee – dal parigino Musee d’Orsay al Rijksmuseum di Amsterdam, tanto per citare i principali –, quasi tutte con cornici importanti e alcune delle quali rintracciate a distanza di oltre un secolo dalla loro realizzazione, che definiscono un percorso espositivo diviso in quattro sezioni e in tre focus tematici i quali, a partire dall’esordio a Brera, inquadrano gli snodi più importanti della vicenda biografica di Segantini, mettendo allo stesso tempo in luce la straordinaria evoluzione della sua pittura. Un nucleo importante di opere giunge poi da Sankt Moritz, località sciistica di lusso della valle svizzera dell’Engadina, nota per aver ospitato per ben due volte i giochi olimpici invernali, dove ha sede il piccolo, ma affascinante Museo Segantini che propone di continuo esposizioni capaci di far vivere emozioni visive, e allo stesso tempo culturali, che hanno per comune denominatore l’arte di Segantini. Tutte considerate, le tele e i disegni in mostra concorrono a dare l’opportunità di ricostruire la figura di dell’artista attraverso un’inedita rilettura della sua opera, messa anche a confronto con l’arte coeva, per raccontare una carriera che dagli esordi “scapigliati” agli ultimi slanci simbolisti volti a catturare la Natura, fu capace di influenzare i maggiori movimenti artistici del suo tempo. La mostra si articola in quattro sezioni ben definite. La prima è dedicata alla fase milanese, segnata dall’incontro con il gallerista e sodale Vittore Grubicy De Dragon, nonché dal diretto confronto con l’eredità della Scapigliatura e del Naturalismo lombardo. Se in questo vivace contesto si fece evidente l’innata propensione del pittore allo studio delle potenzialità espressive di luce e colore, con il trasferimento in Brianza, verso la fine del 1880, si registra invece un rinnovamento della concezione dell’uso del colore in direzione di un crescente interesse per la Natura quale elemento di comunione tra uomo, paesaggio e animali. A questa iniziale parte della mostra appartiene una serie di ritratti maschili e, soprattutto, femminili, alcuni dei quali rivelano tratti assolutamente contemporanei, così come sono in evidenza immagini di luoghi milanesi, tra i quali spicca Naviglio a Ponte San Marco, una tela del 1880, e alcune nature morte che rivelano attenzioni dell’artista davvero particolari. Nella seconda sezione sono messi in luce anche i contatti con l’arte di Jean-Francois Millet, con la produzione grafica di Vincent van Gogh e con le opere degli artisti della Scuola dell’Aja, per la prima volta posti a diretto confronto con la sua pittura. È in questa sezione che il Seminatore di Segantini va a confrontarsi con quello di Van Gogh. A chiudere questa seconda parte di mostra è il primo, vero autentico capolavoro di Segantini – Ave Maria a trasbordo – proveniente da Sankt Moritz, che rappresenta il primo “atto” dell’avventura divisionista di Segantini. Tra l’altro questo dipinto resterà disponibile nella mostra di Bassano solo fino all’8 dicembre. Il percorso prosegue poi con la terza, affascinante sezione dedicata alla fase svizzera, avviatasi a Savognin nel 1886, durante la quale Segantini realizzò le grandi e celebri composizioni dedicate alla vita montana, arricchite dallo studio sugli effetti di luce e colore attraverso la definizione di una personale tecnica pittorica che lo fece emergere quale uno dei protagonisti del Divisionismo italiano. E di questo periodo si possono ammirare in mostra dipinti come Sole d’autunno, Ritorno dal bosco, ma soprattutto quella che può considerarsi l’autentica superstar della mostra – All’ovile, del 1892 – la grande tela in cui la tecnica divisionista è al suo massimo fulgore e per la quale l’artista si spinse perfino all’utilizzo di polveri d’oro e lamine metalliche. La mostra si chiude sull’ultimo decennio della produzione segantiniana, caratterizzata dal trasferimento a Maloja e dall’apertura alla poetica simbolista, raggiunto attraverso la peculiare formula del “simbolismo naturalistico”, una personale interpretazione del rapporto universale tra Uomo e Natura, ben visibile in dipinti di grande suggestione come Le due madri, L’ora mesta e La vanità, dove una fanciulla nuda – quanto meno di botticelliana ispirazione – una volta abbandonata la comfort zone della conchiglia, adesso si specchia in una pozza alpina, ma invece di ammirare la propria immagine ricevendo conferma della propria beltà, scorge un dragone simbolo dell’invidia. *** Info Giovanni Segantini A cura di | Niccolò D’Agati Dove | Museo Civico, Bassano Del Grappa Quando | Fino al 22 febbraio 2026 Orari | Tutti i giorni 10-19. Chiusura il martedì Biglietti | Intero 13 euro, ridotto 11, famiglia 28, giovani 5 Contatti e prenotazioni | Tel. 0424 177 0020 – email segantinibassano@ne-t.it Web | https://www.museibassano.it/it/mostra/giovanni-segantini Social | Fb @museibassano – Ig @museibassano L'articolo Una sterzata all’arte italiana lunga vent’anni: il ritorno di Giovanni Segantini, il campione del divisionismo proviene da Il Fatto Quotidiano.
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