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Con la nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi tramonta il mito della prova del Dna
La vicenda dell’omicidio di Chiara Poggi, 18 anni dopo e con una sentenza di condanna passata ormai da tempo “in giudicato”, sta scatenando l’interesse dei media e della collettività. Le nuove investigazioni si concentrano su un nuovo indagato. La nuova indagine, al di là delle tesi partigiane che si contrappongono sui media e sul web, peraltro assai spesso infettate da argomenti poco aderenti alle esigenze di logica processuale, sta certificando qualcosa di decisivo per il processo penale: la scienza al servizio del processo ha radicalmente mutato veste. Questa mutazione è tanto più evidente e rilevante, tanto maggiore è la forza scientifica della prova stessa. Il caso paradigmatico, che attiene proprio a questa indagine, è rappresentato dalla prova genetica o prova del Dna. L’incidente probatorio, che ha per oggetto le tracce genetiche rinvenute in zona ungueale (o subungueale) delle dita delle mani destra e sinistra della vittima, ha offerto un risultato che, a detta dei media ma anche di molti esperti, lascia aperta ogni interpretazione: da un lato questa porzione biologica può essere letta come “l’impronta” dell’assassino; dall’altro essa non sarebbe nulla più di una presenza casuale e dovuta a un contatto fortuito tra la (futura) vittima e un oggetto, presente nell’appartamento, precedentemente “contaminato” da un soggetto che nulla ha a che fare con la scena del crimine. La genetica non è in grado di stabilire il momento in cui una traccia biologica viene deposta e dunque solamente indici indiretti e interpretabili secondo le regole di senso comune possono favorire l’interpretazione del dato biologico ambiguo. Ecco dunque come nasce il dibattito attuale che vede confrontarsi, su piani contrapposti, coloro che assumono che non sia pensabile attribuire a ragioni accidentali un dato così psicologicamente forte e coloro che, al contrario, sottolineano come questa casualità sia tutt’altro che anomala qualora il titolare di quella traccia sia un frequentatore di luoghi che, in seguito, divengono il teatro di un delitto. A supporto della prima interpretazione milita poi la circostanza che, in assenza di una presenza accertata di materiale biologico del “contaminatore”, detto assunto diverrebbe una pura ipotesi indimostrata e indimostrabile; sul fronte opposto, gli interpreti contrari sostengono che il Dna si conserva assai a lungo sugli oggetti e dunque la contaminazione sia un fatto che accade costantemente e la cui anomalia non deve stupire per nulla. L’idea è che il nostro corpo e le nostre mani sarebbero piene di Dna, non solo nostro o delle persone a noi più vicine, ma anche di individui che non possiamo neppure immaginare di “avere addosso”. Nel caso di specie si deve aggiungere che la traccia analizzata è contaminata, degradata, gli esami non sono stati consolidati con adeguate ripetizioni e, non ultimo, la tipizzazione non ha offerto un profilo genetico nucleare (la “targa genetica” di ognuno di noi) ma ha svelato esclusivamente una linea cromosomica maschile della famiglia dell’attuale indagato. L’insieme di questi accertamenti pone un quesito nuovo e, per certi versi, controintuitivo: la scienza, per tradizione, offre risultati certi e incontrovertibili; come può la scienza al servizio della giurisdizione perdere questa sua forza epistemica, ontologicamente connessa ai suoi principi? Non è il caso di fare riferimento alla filosofia della scienza e alle parole di Karl Popper che assume che “la scienza è un cimitero degli errori” oppure che “la scienza avanza per errori e confutazioni”. Il punto è un altro. Il Dna (cioè la prova genetica) non ha nulla a che fare con il principio di unicità del genoma e ciò al di fuori dell’analisi di paternità (e in assenza dei gemelli omozigoti). L’analisi a fini penalistici, che vive del confronto tra una traccia repertata su un luogo, un oggetto o un corpo e un profilo genetico di un sospettato, non può mai avere quelle caratteristiche di certezza che caratterizzano il Dna. Ma c’è molto di più: le tecniche di rilevazione e analisi sono sempre più sofisticate e oggi è prassi trovarsi dinnanzi a risultati parziali, contaminati, degradati, esclusivamente rappresentativi del genoma parentale maschile oppure del Dna mitocondriale e dunque, come direbbero i genetisti, scientificamente non affidabili. Ma la prova penale può vivere questa anomalia, diversamente dalla scienza. Questo è il punto vero: la giurisprudenza che è cresciuta con il principio secondo cui la prova del Dna è un indizio che può avere capacità dimostrativa anche senza altre prove a supporto, figlia del concetto scientifico di Dna, crea grande confusione e interpretazioni poco affidabili. La prova del Dna non è la stessa cosa di una fonte di prova biologica. Questo non toglie nulla alla utilizzabilità processuale di questi dati anche perché il diritto, a differenza della scienza, vive costantemente il dramma ermeneutico dell’abduzione e dell’interpretazione. Per questo la logica processuale si è dotata strutturalmente del metodo per affrontare queste forme di conoscenza “a geometrie variabili”. La grande novità della nuova indagine sul fatto omicidiario di Garlasco è quella di costringere tutti coloro che intendono affrontare seriamente questa questione complessa ad abbandonare il lessico mitologico che impone di trattare come prova del Dna questa fonte conoscitiva che deve essere riqualificata come “prova biologica” e che dunque può racchiudere al suo interno dati chimici, fisici, genetici, anatomici, fisiologici, biochimici e biostatistici. Il diritto è preparato a questo salto e la normativa sulla prova indiziaria è la fonte migliore per evitare dibattiti pseudoscientifici e fuorvianti in campo processuale. L'articolo Con la nuova indagine sull’omicidio di Chiara Poggi tramonta il mito della prova del Dna proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Delitto di Garlasco, la perizia sul Dna sulle unghie di Chiara Poggi: “Nessuna identificazione individuale”
Una compatibilità genetica, come già emerso nei giorni scorsi, ma non un’identificazione. È questo il cuore della nuova perizia depositata nell’incidente probatorio sul delitto di Garlasco, in cui la genetista forense Denise Albani ha analizzato il materiale biologico rinvenuto sotto le unghie di Chiara Poggi, la giovane uccisa il 13 agosto 2007. Quel Dna “misto, incompleto e non attribuibile” come già definito dalla genetista non potevano che portare all’impossibilità di una identificazione individuale. Una evidenza che Albani aveva già chiarito. COMPATIBILITÀ DI LINEA PATERNA, NON IDENTITÀ INDIVIDUALE Secondo i calcoli biostatistici eseguiti da Albani – calcoli che valutano la probabilità che un profilo genetico appartenga a una specifica linea familiare – il Dna recuperato presenta un “supporto moderatamente forte/forte e moderato” all’ipotesi che provenga dalla linea maschile della famiglia Sempio. Dunque, compatibile con Andrea Sempio e con qualunque altro parente maschio legato a lui per via paterna. Si tratta però di un’analisi basata sull’aplotipo del cromosoma Y, un segmento ereditato esclusivamente lungo la linea maschile diretta. Per questo motivo, chiarisce la perita, “non è possibile addivenire a un esito di identificazione di un singolo soggetto”. Il cromosoma Y, infatti, non permette di distinguere tra individui imparentati: tutti gli appartenenti alla stessa linea maschile condividono lo stesso aplotipo. Albani sottolinea inoltre che l’identificazione individuale non sarebbe possibile nemmeno se i profili genetici fossero “completi, consolidati e attribuibili a una singola fonte”. È una caratteristica intrinseca dell’analisi del cromosoma Y, non un limite dei dati specifici del caso. TRACCE MISTE, PARZIALI E SCIENTIFICAMENTE NON DATABILI Il materiale biologico analizzato è definito dalla perita come costituito da “aplotipi misti parziali”: tracce incomplete, composte da più contributi genetici e alterate dalle condizioni del campionamento. La quantità esigua e il deterioramento del Dna non consentono, spiega Albani, di ottenere un risultato “certamente affidabile”. La perizia esclude in modo netto la possibilità di rispondere a tre domande chiave nell’ambito forense: come, quando e perché quel materiale genetico sia finito sotto le unghie della vittima. Secondo le attuali conoscenze internazionali – e gli standard scientifici validati – non è possibile determinare: se il Dna fosse depositato sopra o sotto le unghie; da quale dito esattamente provenga, nell’ambito della stessa mano; la modalità di deposizione (contatto diretto, trasferimento secondario tramite oggetto, contaminazione ambientale); il momento in cui la deposizione è avvenuta. Le ipotesi formulabili, dunque, restano “suggestive” e non dimostrabili senza un contesto informativo più ampio o dati sperimentali “granitici”, oggi non disponibili. IL PESO DELLE NUOVE ANALISI NEL QUADRO PROCESSUALE Le conclusioni di Albani si fondano sulle analisi biostatistiche condotte sui dati documentali raccolti dal precedente perito, il professor Francesco De Stefano, nominato nella fase dell’appello bis ad Alberto Stasi. L’indagine dell’incidente probatorio mirava proprio a verificare la solidità scientifica di quelle tracce genetiche spesso al centro del dibattito difensivo. Ora la perizia riconosce una compatibilità con la linea maschile della famiglia Sempio, ma conferma – con nettezza – l’impossibilità di trasformare quella compatibilità in una prova individualizzante. Il documento depositato ieri alla giudice per le indagini preliminari Daniela Garlaschelli consegna quindi alla magistratura un quadro tecnico, che delimita con precisione ciò che la scienza può dire e ciò che, allo stato delle conoscenze, non è possibile affermare. Un tassello importante in un caso che, a oltre 17 anni dall’omicidio, continua a oscillare tra nuove piste e vincoli oggettivi posti dalla prova scientifica che, in assenza di un match, non può portare oltre le ipotesi della procura di Pavia. Senza contare che tutti gli altri test su i diversi reperti non hanno trovato riscontro su Andrea Sempio. Che come è noto, essendo amico del fratello della vittima, frequentava la villetta di via Pascoli, dove i ragazzi si trovavano per giocare anche con il computer usato dalla 27enne uccisa il 13 agosto del 2007 e per cui è stato condannato in via definitiva Alberto Stasi. L'articolo Delitto di Garlasco, la perizia sul Dna sulle unghie di Chiara Poggi: “Nessuna identificazione individuale” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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La perizia sulle unghie di Chiara Poggi è stata depositata, attesa per le conclusioni della perita
La genetista Denise Albani, perita nominata dalla giudice delle indagini preliminari di Pavia Daniela Garlaschelli, ha depositato, con due giorni di anticipo rispetto ala data fissata, la sua relazione nell’ambito dell’incidente probatorio sulla nuova indagine della procura di Pavia sul delitto di Garlasco. Iscritto per l’omicidio di Chiara Poggi, per cui è stato condannato in via definitiva Alberto Stasi, Andrea Sempio. Le conclusioni riguardano il Dna ritrovato sulle unghie della vittima, traccia genetica che, secondo la Procura di Pavia, può essere riconducibile a Sempio. Le parti coinvolte hanno ricevuto la comunicazione tramite una mail pec. Secondo quanto emerso nei giorni scorsi dalle analisi della genetista della Polizia di Stato Albani, le tracce genetiche miste e incomplete sulle unghie di Chiara Poggi hanno con maggiore probabilità origine dalla linea paterna maschile di Andrea Sempio. Prima di questo deposito con le conclusioni, alcune informazioni erano state trasmesse via mail ai consulenti della Procura e della difesa: nello specifico tabelle e calcoli biostatistici sui reperti estrapolati. I reperti erano già stati analizzati in tre repliche discordanti tra loro e utilizzati nel 2014 dal professor Francesco De Stefano durante la perizia dell’appello bis che condannò Alberto Stasi a 16 anni di carcere. Albani aveva in precedenza definito quei profili come “aplotipo parziale, misto e non consolidato”, sottolineando che concettualmente non è possibile attribuire in maniera definitiva il Dna a un singolo individuo. Quella relazione trasmessa via mail non conteneva osservazioni o commenti, che sono stati con ogni probabilità invece inseriti nella versione conclusiva depositata in vista della discussione del 18 dicembre sugli esiti del maxi incidente probatorio. Nell’indagine, oltre a Sempio, erano stati considerati i Dna di Alberto Stasi, dell’intera famiglia Poggi, di tre amici di Marco Poggi, di Paola e Stefania Cappa, del miglior amico di Stasi Marco Panzarasa, di tre carabinieri intervenuti in casa e del medico legale Marco Ballardini. L'articolo La perizia sulle unghie di Chiara Poggi è stata depositata, attesa per le conclusioni della perita proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Analisi del Dna sulle unghie di Chiara Poggi: oltre 39mila aplotipi europei per i calcoli biostatistici
Le indagini scientifiche hanno bisogno di tempo, di specificità e certezze. I calcoli biostatistici sulla possibilità di corrispondenza fra le tracce genetiche sulle unghie di Chiara Poggi e il profilo Y di Andrea Sempio sono stati effettuati per esempio su una banca dati di oltre 39mila aplotipi nella popolazione dell’Europa occidentale come apprende LaPresse sulle tabelle inviate ieri dalla perita dell’incidente probatorio, Denise Albani, ai consulenti della difesa, Marina Baldi e Armando Palmegiani, della Procura di Pavia, Carlo Previderè e Pierangela Grignani, della famiglia Poggi, Marzio Capra, e al genetista della difesa Stasi, Ugo Ricci. “Non potrò mai dire, e ci tengo a sottolinearlo, che quel profilo è di Tizio, perché è proprio concettualmente sbagliato essendo un aplotipo, a prescindere dal caso specifico”, aveva già spiegato l’esperta alla scorsa udienza del 26 settembre. Per calcolare la maggiore probabilità di origine del profilo che identifica una linea paterna maschile, parziale e mista, trovato sul quinto dito della mano destra e sul primo della mano sinistra della 26enne uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007, la perita ha utilizzato il database di riferimento per la ricerca degli aplotipi in ambito forense denominato YHRD (Y-STR Haplotype Reference Database) che è il più completo archivio esistente. A livello mondiale (“Worldwide”) contiene 349.750 profili mentre il database nazionale “Italia” è composto da “soli” 5.638 profili. Un numero ritenuto troppo basso – anche dai consulenti dei pm di Pavia Napoleone-Civardi – per effettuare l’indagine statistica. La perita della polizia scientifica ha effettuato il calcolo di probabilità sul database denominato “Western European Metapopulation”, composto da 39.150 profili provenienti da cittadini dell’Europa occidentale. Con questo sistema è stato ritenuto più probabile che le tracce sulle unghie di Chiara Poggi siano state generate da Sempio e da un secondo soggetto di sesso maschile sconosciuto, che non da altri due soggetti ignoti senza legami o correlazioni con Sempio. Rispetto alle tabelle e ai calcoli inoltrati ieri alle parti e non corredati da commenti o conclusioni, la gip di Pavia, Daniela Garlaschelli, ha scritto una mail ai difensori della nuova indagine sul delitto di Garlasco per informarli del diritto di presentare “relazioni scritte” o “osservazioni” in vista dell’ultima udienza del 18 dicembre. Albani invece depositerà il suo elaborato finale, incluse le conclusioni, entro il 5 dicembre”. L'articolo Analisi del Dna sulle unghie di Chiara Poggi: oltre 39mila aplotipi europei per i calcoli biostatistici proviene da Il Fatto Quotidiano.
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“Non è un dato scientifico attendibile, dati nulli”, i consulenti della famiglia Poggi sugli esiti del Dna sulle unghie di Chiara
I risultati comunicati dalla perita nominata dalla gip di Pavia, Daniela Garlaschelli, sul Dna rilevato sulle unghie di Chiara Poggi non spostano nulla di quanto già noto dal processo d’appello bis che portò alla condanna di Alberto Stasi. È la convinzione dei consulenti della famiglia Poggi. Un risultato, quando è “in condizioni di criticità e non è consolidato” – perché il perito Francesco De Stefano nell’appello bis a carico di Alberto Stasi “lo ha ripetuto e non ha avuto lo stesso esito” – non è un “dato scientifico attendibile”. Se nel 2014 quel materiale genetico, trovato sulle unghie di Chiara, dopo le analisi fu dichiarato “non consolidato” e non comparabile, quei dati documentali parziali non possono essere usati per una valutazione biostatistica, come fatto dalla perita nell’incidente probatorio, perché non hanno validità “scientifica” e sono “nulli”. I genitori e il fratello di Chiara, assistiti dai legali Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, con i consulenti Marzio Capra e Dario Redaelli, quindi respingono l’ipotesi di un’attribuzione che comunque la perita, Denise Albani, non ha minimamente effettuato A consulenti e legali della famiglia Poggi non è arrivata ieri la relazione con i dati dell’analisi biostatistica della perita Denise Albani. In serata è arrivata una mail dall’ufficio della gip di Pavia Daniela Garlaschelli con la quale si chiedeva, in sostanza, ai consulenti delle parti di depositare qualche giorno prima dell’udienza del 18 dicembre, fissata per la discussione degli esiti della perizia, le loro osservazioni e relazioni. E si faceva riferimento a una mail della perita Albani del mattino sul deposito degli esiti dei calcoli biostatistici, nella quale veniva spiegato anche che la perizia conclusiva sarà depositata entro il 5 dicembre. Secondo i consulenti della famiglia Poggi, è un errore scientifico condurre un’analisi biostatistica su dati documentali che non hanno validità perché “non consolidati” con repliche attendibili, ossia quelli effettuati nove anni fa dal perito De Stefano. Quei dati documentali sui profili genetici individuati sulle unghie di Chiara (era emerso anche il cosiddetto “ignoto 2”) non sono utilizzabili, oltre a essere “parziali e misti”. Per capire di cosa si tratta è necessario fare un passo indietro, ai tempi della perizia affidata appunto nel 2014 al professor De Stefano dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano. Allora, i margini delle unghie della 26enne, che erano stati repertati 7 anni prima durante l’autopsia, vennero ‘sciolti’ con particolari reagenti. Il risultato di tale operazione furono tre provette contenenti il materiale biologico che venne esaurito nelle tre estrazioni effettuate, ognuna delle quali restituì un profilo maschile ma differente, non ripetitivo. Per questo, come ha messo a verbale la genetista Albani, già venerdì 26 settembre, durante l’udienza per la proroga dell’incidente probatorio, si tratta di un dato non consolidato oltreché misto – sono sovrapponibili più Dna, compreso quello di Chiara – e incompleto perché il materiale su cui si era lavorato era degradato al punto da non consentire un risultato certo. In questo quadro, la parte più rappresentativa di tale materiale biologico che riguarda “Ignoto 1” – quella che per i consulenti della Procura pavese apparterrebbe a Sempio – è stato sottoposto a un confronto biostatistico grazie a un software di ultima generazione. Che ha appunto restituito un Dna “compatibile” con la linea maschile della famiglia Sempio, ma si tratta di un “aplotipo parziale misto, degradato e di bassa intensità” il cui risultato “non è consolidato”. Di fatto, quello che era stato concluso da De Stefano che stabilì che erano troppo degradate e in quantità troppo limitata. L'articolo “Non è un dato scientifico attendibile, dati nulli”, i consulenti della famiglia Poggi sugli esiti del Dna sulle unghie di Chiara proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Caso Yara Gambirasio, la difesa di Bossetti ha ottenuto la copia dei tracciati delle analisi genetiche
La difesa di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, ha avuto copia dei tracciati delle analisi genetiche di quella che è stata l’indagine scientifica più grande della storia. L’avvocato Claudio Salvagni ha ritirato, in mattinata, i dati sul profilo genetico della vittima Yara Gambirasio e di quelli – in forma anonima – raccolti per arrivare a identificare Ignoto 1. Il capiente hard disk contiene ora gli innumerevoli elettroferogrammi – i grafici in alta definizione e a colori – che rappresentano la sequenza delle migliaia di Dna raccolti in Val Brembana nella lunga inchiesta che ha portato alla condanna definitiva all’ergastolo di Bossetti. Il materiale – documenti che lo stesso Tribunale riconosce come “non acquisiti al fascicolo dibattimentale” e aventi “anche il carattere della potenziale novità della prova” – arriva nella mani della difesa a oltre sei anni dalla richiesta. L’elenco comprende oltre alle immagini fotografiche effettuate dal Ris di Parma su tutti i reperti analizzati, anche copia dei tracciati e dei risultati in forma anonima delle caratterizzazioni genetiche effettuate. “Le stringhe – spiega l’avvocato Salvagni all’Adnkronos – riempiono ben 70 pagine, sia fronte che retro, stampate su foglie A3. Un enorme mole di dati grezzi che richiederà mesi di lavoro per uno screening completo, una ricerca da cui speriamo di recuperare dati utili per dimostrare l’innocenza di Massimo Bossetti”. Lo scoro 20 giugno il Tribunale di Bergamo aveva disposto la consegna rendendo così esecutivo il provvedimento del 27 novembre 2019 della Corte di assise che autorizzò l’esame dei reperti, dando esecuzione a una sentenza della Cassazione. L’attenzione sarà in gran parte rivolta verso una delle prove considerate più importanti contro Bossetti: gli slip su cui è stata trovata la traccia genetica mista, il Dna della vittima e dell’allora Ignoto 1. Un elemento da sempre al centro delle indagini, e dell’attenzione mediatica, e mai confutato. Secondo i giudici della Cassazione che hanno condannato all’ergastolo Bossetti: “Il Dna di Ignoto 1 è quello di Massimo Bossetti” ed è “illogica l’ipotesi del complotto”. “La probabilità di individuare un altro soggetto con lo stesso profilo genotipico”, evidenziava la Corte, equivale a “un soggetto ogni 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui. I giudici di merito – si leggeva nella sentenza – hanno correttamente affermato che il profilo genetico è stato confermato da ben 24 marcatori”, evidenziando “a maggiore tutela dell’imputato, che la certezza dell’identificazione è particolarmente solida”, in quanto le linee guida scientifiche individuano un soggetto “con l’identità di soli 15 marcatori”. In 155 pagine la Cassazione rispondeva ai venti motivi di ricorso della difesa, che sollevava diverse obiezioni, contestando la prova del Dna, la ‘catena di custodia’, i kit utilizzati. La Cassazione biasimava i “reiterati tentativi di mistificazione degli elementi di fatto”, “amplificate da improprie pubbliche sintetizzazioni”. Nel 2021 gli ermellini avevano poi deciso che la difesa aveva diritto di accedere ai reperti. L'articolo Caso Yara Gambirasio, la difesa di Bossetti ha ottenuto la copia dei tracciati delle analisi genetiche proviene da Il Fatto Quotidiano.
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