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“Stop alla diffusione degli audio dei genitori di Yara. Erano riservati”: il Garante della privacy sanziona la docuserie Netflix su Bossetti. Multa da 40mila euro
Una multa da 40mila euro. Sarebbe questa la decisione presa dal Garante della privacy contro la docuserie “Il caso Yara – oltre ogni ragionevole dubbio”, realizzata da Quarantadue srl e diffusa su Netflix a partire da luglio 2024. Alla base del provvedimento ci sarebbe una serie di file audio – 46 in totale – contenenti messaggi vocali e telefonate inviate dai coniugi Gambirasio alla figlia Yara nelle ore successive alla drammatica scomparsa della 13enne. La famiglia della giovanissima vittima di Brembate di Sopra (Bergamo) – scomparsa nel novembre 2010 e trovata assassinata nel febbraio 2011 – si è opposta alla pubblicazione di quel materiale con un reclamo presentato il 24 settembre 2024. Secondo i coniugi Gambirasio, infatti, si tratterebbe di messaggi vocali e conversazioni telefoniche “intercettati durante le indagini e mai utilizzati nel corso del processo” e per questo motivo, a loro avviso, non destinati alla diffusione pubblica. E l’Autorità ha accolto le loro posizioni, disponendo il divieto di “ulteriore diffusione dei messaggi e delle conversazioni oggetto di reclamo” e una multa di 40mila euro alla società Quarantadue: “Tra le conversazioni riprodotte e individuate nella loro istanza (nei primi tre episodi della serie, in particolare: 24 files audio nel primo episodio, 19 nel secondo episodio, 3 nel terzo episodio) vi è anche un messaggio vocale che la reclamante aveva lasciato nella segreteria telefonica della figlia quando ancora non si conosceva la drammatica sorte”, si legge nel documento del Garante riportato da “L’Eco di Bergamo”. Tra le motivazioni che hanno portato alla sanzione, il Garante precisa che “detti files audio non hanno alcuna attinenza con le indagini e sono stati inseriti nella trasmissione ‘all’unico, evidente scopo di sollecitare l’attenzione morbosa degli spettatori’, in contrasto con il loro diritto di restare affermazioni riservate”. Per l’Autorità garante, quindi, sarebbero stati violati i principi generali di liceità e correttezza, nonché di minimizzazione dei dati personali. Ed è per questo motivo che la loro pubblicazione sarebbe illecita. Al provvedimento disposto dall’Autorità garante, però, la società produttrice della serie, Quarantadue srl, si è difesa, spiegando che “le conversazioni inserite all’interno del documentario sono un estratto di qualche secondo di alcune intercettazioni telefoniche e/o ambientali autorizzate dall’autorità giudiziaria e confluite, quantomeno, nel fascicolo del pubblico ministero, ovvero semmai audio delle deposizioni rilasciate in tribunale nel corso del processo a carico di Massimo Bossetti acquisite agli atti”, le parole dell’azienda riportate dal “Corriere della Sera Bergamo”. Secondo la società, dunque, la serie sarebbe “una legittima espressione del diritto di cronaca”, in cui l’utilizzo della voce reale dei genitori – invece di quelle interpretate dagli attori – risponderebbe alla “necessità di rappresentare fedelmente e nella piena autenticità il lato umano di quei due personaggi”. Secondo il Garante, invece, “la pubblicazione dei messaggi e delle conversazioni telefoniche comprensive delle intime e sofferte esternazioni della madre, abbia disatteso i principi suindicati, travalicando i confini del lecito e corretto esercizio del diritto di cronaca”. E per questo motivo ha disposto il divieto alla diffusione del materiale oggetto di reclamo e una sanzione economica a Quarantadue srl, che potrà impugnare il provvedimento facendo ricorso. L'articolo “Stop alla diffusione degli audio dei genitori di Yara. Erano riservati”: il Garante della privacy sanziona la docuserie Netflix su Bossetti. Multa da 40mila euro proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Quindici anni fa la scomparsa di Yara Gambirasio: un delitto che fa ancora discutere
Il 26 novembre 2010 Yara Gambirasio ha soltanto 13 anni. La giovane esce dalla sua abitazione per andare in palestra senza fare mai più ritorno. La 13enne, alta, snella, gli occhi e i capelli castani e quelle stelline ai denti con cui è ritratta nelle foto in cui è sempre sorridente, è una atleta di ginnastica ritmica, socievole e spensierata, come tutte le ragazzine della sua età, legatissima alla sua famiglia. Quella sera di novembre già fa un po’ freddo nella Bergamasca. I suoi genitori vanno subito in panico quando non ricevono sue notizie. La scomparsa di Yara nel giro di poco tempo è su tutti i notiziari. Ma, nonostante numerose ricerche e lo spiegamento di forze sul territorio, quella ragazzina per tre mesi sembra essere stata inghiottita dalla terra. Il 26 febbraio fa ancora più freddo. Un appassionato di aeroplanini telecomandati si trova in un campo a Chignolo d’Isola, per provare i suoi modellini. Il malfunzionamento di uno di questi, che d’improvviso cade sull’erba, gli fa spostare lo sguardo un poco più avanti. L’uomo intravede quello che sembra un mucchio di vestiti sgualciti. Si avvicina e in un attimo quel luogo diventa per tutta l’Italia il campo dell’orrore. Lì, disteso sull’erba, c’è un corpo. Subito l’uomo chiama i soccorsi. E in pochi secondi il campo viene circondato dalle forze dell’ordine, dal medico legale, da tutte le persone che, in apprensione, si avvicinano al posto. Il pensiero va a Yara e presto arriva anche la conferma. I vestiti sono quelli che la 13enne indossava il giorno in cui è scomparsa. Il resto si capirà ben presto. Sul corpo di Yara, come evidenzia la professoressa Cristina Cattaneo che svolge l’autopsia, ci sono diversi segni di arma da taglio ma non è per quei tagli che è morta. Yara, dopo essere stata aggredita, è stata lasciata lì, distesa sull’erba. Ce l’aveva ancora fra le mani quell’erba, che ha stretto fino agli ultimi istanti. È morta di stenti e di freddo, senza possibilità di scappare, con gli occhi spalancati su un cielo che non l’ha protetta. La dottoressa Cattaneo fa poi una scoperta importante. Sul corpo della giovane è presente qualcosa che sembra calce. Come se il corpo fosse stato a contatto con quel materiale o con il cemento. Facendo lo stesso tipo di esperimento sui vestiti, si scopre che sono presenti delle piccole sferette di metallo, classiche degli ambienti dell’edilizia. Ma chi è il suo assassino? Una risposta parziale arriva grazie all’esame del dna affidato al professor Emiliano Giardina. Sugli slip della vittima era infatti presente un dna maschile, oltre a quello di Yara. Grazie a quel dna sono state fatte comparazioni con una lunghissima lista di persone, una cosa mai vista prima, fino a quando non è stata trovata una corrispondenza fra quel dna e un soggetto, tale Giuseppe Guerinoni, che però non era Ignoto1: l’uomo era morto nel 1999. Considerata la corrispondenza dell’aplotipo Y, che appartiene a tutti i soggetti di sesso maschile di una determinata famiglia, è stato possibile confrontare quel dna con quello di Massimo Giuseppe Bossetti, muratore di Mapello, incensurato e figlio illegittimo di Guerinoni. La scoperta è uno choc anche per lui. Ma l’uomo si dice estraneo al delitto. A quindici anni dalla morte di Yara, Massimo Bossetti sta scontando una condanna all’ergastolo. Si dice innocente. In tutti i gradi di giudizio la difesa ha sempre sottolineato che i campioni di dna sono stati analizzati senza garanzie per la difesa. Non si capisce come avrebbero potuto gli inquirenti dare garanzie a una persona ignota, fino a che non è stata accertata la corrispondenza… Ad ogni modo il team difensivo di Bossetti nei giorni scorsi ha ottenuto il materiale genetico che chiede da 8 anni. Sul tavolo della difesa 9mila campioni di dna emersi nel corso delle indagini. La difesa, pur sottolineando che il materiale è parziale, comincerà a lavorarci su per smontare la prova regina. Per i giudici l’omicidio è maturato per le avances sessuali respinte, come dimostrano anche i tagli sul corpo della vittima, una violenza a cui Yara è stata sottoposta quando era ancora in vita e che è stata alla base del riconoscimento dell’aggravante della crudeltà. Un delitto, quello di Yara, di una “inaudita gravità” e che fa ancora discutere. Sul pc di Bossetti è stato scoperto l’interesse per le “13enni rosse”. Anche dopo il delitto, tredici giorni prima dell’arresto, avvenuto a maggio 2014, l’uomo è solo in casa, i figli a scuola, la moglie fuori e lui cerca: “ragazzine”. Meglio se rosse o “adolescenti illibate”. Una vera ossessione. Ma lui non sa come il suo dna sia finito sugli slip di Yara, che era solo una bambina. L'articolo Quindici anni fa la scomparsa di Yara Gambirasio: un delitto che fa ancora discutere proviene da Il Fatto Quotidiano.
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Caso Yara Gambirasio, la difesa di Bossetti ha ottenuto la copia dei tracciati delle analisi genetiche
La difesa di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, ha avuto copia dei tracciati delle analisi genetiche di quella che è stata l’indagine scientifica più grande della storia. L’avvocato Claudio Salvagni ha ritirato, in mattinata, i dati sul profilo genetico della vittima Yara Gambirasio e di quelli – in forma anonima – raccolti per arrivare a identificare Ignoto 1. Il capiente hard disk contiene ora gli innumerevoli elettroferogrammi – i grafici in alta definizione e a colori – che rappresentano la sequenza delle migliaia di Dna raccolti in Val Brembana nella lunga inchiesta che ha portato alla condanna definitiva all’ergastolo di Bossetti. Il materiale – documenti che lo stesso Tribunale riconosce come “non acquisiti al fascicolo dibattimentale” e aventi “anche il carattere della potenziale novità della prova” – arriva nella mani della difesa a oltre sei anni dalla richiesta. L’elenco comprende oltre alle immagini fotografiche effettuate dal Ris di Parma su tutti i reperti analizzati, anche copia dei tracciati e dei risultati in forma anonima delle caratterizzazioni genetiche effettuate. “Le stringhe – spiega l’avvocato Salvagni all’Adnkronos – riempiono ben 70 pagine, sia fronte che retro, stampate su foglie A3. Un enorme mole di dati grezzi che richiederà mesi di lavoro per uno screening completo, una ricerca da cui speriamo di recuperare dati utili per dimostrare l’innocenza di Massimo Bossetti”. Lo scoro 20 giugno il Tribunale di Bergamo aveva disposto la consegna rendendo così esecutivo il provvedimento del 27 novembre 2019 della Corte di assise che autorizzò l’esame dei reperti, dando esecuzione a una sentenza della Cassazione. L’attenzione sarà in gran parte rivolta verso una delle prove considerate più importanti contro Bossetti: gli slip su cui è stata trovata la traccia genetica mista, il Dna della vittima e dell’allora Ignoto 1. Un elemento da sempre al centro delle indagini, e dell’attenzione mediatica, e mai confutato. Secondo i giudici della Cassazione che hanno condannato all’ergastolo Bossetti: “Il Dna di Ignoto 1 è quello di Massimo Bossetti” ed è “illogica l’ipotesi del complotto”. “La probabilità di individuare un altro soggetto con lo stesso profilo genotipico”, evidenziava la Corte, equivale a “un soggetto ogni 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui. I giudici di merito – si leggeva nella sentenza – hanno correttamente affermato che il profilo genetico è stato confermato da ben 24 marcatori”, evidenziando “a maggiore tutela dell’imputato, che la certezza dell’identificazione è particolarmente solida”, in quanto le linee guida scientifiche individuano un soggetto “con l’identità di soli 15 marcatori”. In 155 pagine la Cassazione rispondeva ai venti motivi di ricorso della difesa, che sollevava diverse obiezioni, contestando la prova del Dna, la ‘catena di custodia’, i kit utilizzati. La Cassazione biasimava i “reiterati tentativi di mistificazione degli elementi di fatto”, “amplificate da improprie pubbliche sintetizzazioni”. Nel 2021 gli ermellini avevano poi deciso che la difesa aveva diritto di accedere ai reperti. L'articolo Caso Yara Gambirasio, la difesa di Bossetti ha ottenuto la copia dei tracciati delle analisi genetiche proviene da Il Fatto Quotidiano.
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